«La conquista della libertà»: una preziosa mostra storico-didattica al liceo Dettori di Cagliari, di Gianfranco Murtas

 

Alcuni professori e, con loro, alcuni studenti con maggior passione per la storia civile degli stati, gli esponenti di diverse associazioni – fra le prime, ovviamente, quelle promotrici – e un gruppo assortito di cittadini amanti la costituzione della Repubblica giunta ora al suo 70° compleanno: in tanti così è stata inaugurata al liceo Dettori, nel pomeriggio dello scorso venerdì 16 febbraio, la mostra di 52 pannelli sulla storia della costituzione italiana partendo proprio dalle origini remote della stessa idea costituzionale, dalla immateriale Magna Charta britannica e passando per le esperienze della confederazione americana e della Francia postrivoluzionaria, fino all’epocale stagione del 1848 europeo, ivi includendo – giusto alla vigilia della prima guerra d’indipendenza antiaustriaca (e all’indomani della “perfetta fusione” sarda) – la concessione Savoia dello statuto albertino.

Promossa dall’Associazione Mazziniana Italiana che da un anno e più la sta facendo scorrere per le scuole dell’intero Paese, la mostra è stata portata a Cagliari dalla sezione “Salvatore Ghirra” dell’AMI d’intesa con l’associazione Cesare Pintus e con il comitato regionale dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano. E bene ha fatto il preside Roberto Pianta ad accoglierla nello storico liceo cagliaritano, di recente nuovamente impreziosito dal ritorno del centenario busto di Dante (sentinella dell’antica sede fin dal 1913) ed impreziosito altresì dall’allestimento, nello scorso novembre, da una bella esposizione documentaria sulla figura di docente, scrittore ed intellettuale a tutto tondo di Antonio Romagnino.

Sembra piuttosto evidente il carattere insieme informativo e didattico della iniziativa, volta innanzitutto proprio alle scolaresche, al di là della presenza o meno dell’Otto-Novecento nei rispettivi programmi di studio. E sarebbe anzi un’idea non trascurabile – così mi è dato di proporla adesso al preside Pianta – quella che il Dettori invitasse, un po’ per volta, in logica anche di circolarità scolastica, quanto meno le classi più mature degli altri istituti cittadini, ad una visita, meglio se illustrata da una pur sobria lezione sulla importanza dell’evento costituzionale per l’Italia nella sua formazione come stato unitario e nel suo rilancio repubblicano dopo i disastri della dittatura e della guerra.

La professoressa Luisa Mereu ha porto, insieme con la collega Letizia Fassò, il benvenuto ai presenti, confermando una volta ancora la tradizione di ospitalità e lo spirito civico che da sempre connota lo storico liceo cagliaritano il quale, nel corso dei suoi centosessant’anni di vita, ha formato intere generazioni di classe dirigente, professionale e politica, della capoluogo e dell’Isola. Per le rispettive associazioni sono quindi intervenuti Gianni Liguori – presidente della Cesare Pintus – e Maria Luisa Pau, per l’Istituto per la storia del Risorgimento italiano. Il primo ricordando la missione del suo sodalizio, volta a valorizzare idealità e impegno democratico di uomini dell’antifascismo laico – repubblicano, sardista, liberale e riformista –, attualizzandone il lascito. La seconda richiamando l’intensissima agenda convegnistica dell’Istituto, che ha riproposto in Sardegna eventi e protagonisti della storia nazionale, fissando anche la proficua relazione dell’Isola con la madrepatria tanto nel “cantiere” risorgimentale e postrisorgimentale quanto in quello, più recente, repubblicano.

L’intervento di Antonello Mascia, fra storia e presente

Più orientato ai temi strettamente relativi alla mostra è stato il discorso introduttivo di Antonello Mascia, presidente della sezione cagliaritana dell’AMI. Una lezione tanto sintetica quanto efficace, particolarmente gradita perché ha fornito le chiavi di lettura più immediate per una comprensione “sistematica” della sequenza dei quadri esposti:  «Da un punto di vista strettamente tecnico – egli ha sostenuto –  per costituzione di uno stato si deve intendere l’insieme delle norme fondamentali che ne reggono la vita, sia che si tratti, come nella maggior parte dei casi, di un singolo documento, oppure di un insieme di leggi (terza repubblica francese), sia invece che si tratti di norme ricavate dalla consuetudine (Gran Bretagna); in questa ottica tutti gli stati, qualunque sia la forma di governo, hanno una costituzione. Peraltro dal punto di vista storico per costituzioni s’intendono quei testi strappati dalle lotte della borghesia ai sovrani assoluti oppure elaborati da Assemblee definite, appunto, costituenti; in questo senso l’adozione di una costituzione coincide con l’affermarsi di un sistema politico che si basa sulla libertà. Noi abbiamo voluto sottolineare il nesso tra questi due momenti con il titolo che si è dato alla mostra “La conquista della libertà – nascita delle costituzioni”».

Vengono spontanee alcune domande, e sono quelle emerse anche nei liberi conversari che hanno accompagnato l’evento dettorino. E intanto: quale modalità è stata ritenuta più rispondente al bisogno, soprattutto degli studenti, di acquisire i cosiddetti “fondamentali” della nostra storia costituzionale?

Questa la risposta di Mascia: «Direi che tanto più quella costituzionale è una storia di “continuità”, da vedersi nella evoluzione dei tempi, senza ingessature dogmatiche ma anche senza facili cedimenti agli assalti. Abbiamo perciò voluto collocare la costituzione italiana nel suo divenire storico, con un’origine, appunto, e un evolversi secondo i tempi, in corrispondenza ai nuovi bisogni della società».

E nell’oggi? Si ha l’impressione che le forze politiche di maggior peso mostrino un approccio piuttosto grossolano alla materia costituzionale, o, appunto, per “ingessarla” o, al contrario, per “demolirla”. Quale la posizione dell’AMI, incarnazione di un patriottismo che dal 1943, dopo aver partecipato alla fondazione della Repubblica, e dunque ormai da tre quarti di secolo vigila sulla “salute civile” della società e l’efficienza dell’ordinamento?

«Come Associazione Mazziniana ci siamo schierati, senza se e senza ma, per il no al recente referendum, ma ciò non significa che accettiamo la tesi di una sostanziale immodificabilità della costituzione – salvo ovviamente che nei principi fondamentali – o la definizione, alquanto retorica, della stessa come “la più bella del mondo”. Queste tesi, queste definizioni stridono con la nostra concezione laica della storia. Siamo convinti, al contrario, della necessità di una modifica dell’attuale costituzione, mediante un’assemblea da eleggersi con un sistema proporzionale, proprio per rafforzare la scelta dei costituenti a favore di una forma di governo parlamentare, il che comporta il rifiuto di una concezione che identifichi il parlamento con la maggioranza uscita dalle elezioni, immodificabile per tutta la durata della legislatura».

E più nel concreto? «Questo significa adottare uno statuto delle opposizioni e rafforzare i poteri del Presidente della Repubblica e della Corte Costituzionale, organi di garanzia degli equilibri delineati dalla costituzione entrata in vigore il 1° gennaio 1948 e, più in generale, del principio di una repubblica una e indivisibile».

Osservazioni e commenti

Hanno poi preso la parola in diversi, ciascuno portando un contributo di riflessione. Fra l’altro s’è rilevato come i tempi presenti paiano sgradevolmente opporsi, in quanto allo spirito unitario che dovrebbe sostenere l’impianto costituzionale anche nelle sue possibili riforme, a quel che la storia della Assemblea di Montecitorio degli anni 1946-48 e tanto più della Commissione dei 75 racconta circa la fattività dell’incontro fra le correnti maggioritarie scaturite dal voto del 2 giugno 1946: quella cattolica (invero anche molto articolata al suo interno), quella socialcomunista e quella liberale. Contò allora, sale della democrazia, il contributo di azionisti e repubblicani, certamente minoritari in quanto a numero di eletti, ma pure portatori di una storia ideale e di lotta tale da non potersi non riconoscere come vera e propria profezia di realizzazioni che sarebbero venute: dall’idea del suffragio universale (quello femminile compreso) a quella stessa della repubblica come regime istituzionale, a quella delle autonomie territoriali interne a un quadro politico unitario, dalla visione laica dell’ordinamento all’aspirazione federalista in chiave europea, secondo il lascito antico della Giovine Europa. Perché le idealità morali e politiche di quest’ultima (al pari, sotto altri aspetti, di quelle della Repubblica Romana del triumvirato mazziniano) furono un elemento che, pur in tutt’altro contesto storico dopo le devastazioni materiali e sociali del secondo conflitto mondiale, avrebbe ispirato l’Italia nuova aperta alle pacifiche intese internazionali non meno che alle conquiste economiche e sociali della piena occupazione, della modernità industriale e del benessere generalizzato.

Doverosa e toccante, in questa fase introduttiva dell’incontro, la testimonianza resa alla memoria di due protagonisti dell’associazionismo culturale e democratico della Sardegna, di recente scomparsi: Lello Puddu e Tito Orrù, entrambi mazziniani, entrambi impegnati da sempre, in una molteplicità di iniziative, nell’offrire alle giovani generazioni l’occasione di un accostamento al patrimonio ideale e sentimentale della democrazia sarda, muovendo proprio dai martiri della causa della libertà e della repubblica: dal sassarese Efisio Tola, fucilato trentenne perché scoperto aderente alla Giovine Italia, al genovese figlio di cagliaritano Goffredo Mameli, caduto ventiduenne in un’azione di guerra in difesa della Repubblica Romana. Ma accompagnando al loro nome quello dei vari Asproni, Tuveri, Siotto Elias, Soro Pirino, ecc., fino a quello dei giovani che s’affacciarono al mondo nel primo Novecento, fattisi degni continuatori dei precursori: così Silvio Mastio, abbattuto trentenne dal fuoco nemico in un’azione combattuta per la difesa democratica del Venezuela (emigrato per antifascismo fu fedele al principio mazziniano e garibaldino per cui “ogni patria è la mia patria”!), così Cesare Pintus, rinchiuso anch’egli meno che trentenne in una cella fascista per cinque anni e prigioniero civile, vigilato dalla polizia ed escluso dall’albo professionale, per altri otto. Furono entrambi, Mastio e Pintus, ferventi mazziniani e lettori delle opere del Maestro proprio negli anni in cui frequentavano le prime classi del liceo Dettori, nel caseggiato dell’omonima piazzetta del quartiere della Marina…

Lello Puddu, mazziniano fin dall’adolescenza in quel di Nuoro, socio fondatore e dirigente della sezione AMI di Cagliari, così come della associazione politico-culturale intitolata nel 1988 a Cesare Pintus; Tito Orrù, a lungo docente di storia a Scienze Politiche, fra i curatori della stampa del “diario” politico-parlamentare di Giorgio Asproni, facondo conferenziere e anima del comitato isolano dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano, oggi affidato alla abile presidenza di Marinella Ferrai Cocco Ortu: restano entrambi nella migliore memoria della democrazia sarda che, se non chiede oggi sacrifici supremi, sempre esige la testimonianza del rigore morale e intellettuale e la fermezza dei principi politici dichiarati.

In cattedra gli studenti

E’ toccato poi a due dettorini – Francesco Mameli e Letizia Nissardi – studenti di speciale diligenza in forza alla 5.a E, illustrare al pubblico la mostra soffermandosi in particolare sui complessi quadri – sociali, economici, politici e anche militari – del 1848 e del rilascio dello statuto albertino (carta definita “flessibile” secondo le categorie del diritto costituzionale), in campo sardo-piemontese, e del 1849. Le virtù anche giuridico-costituzionali della Repubblica Romana, per il riconoscimento dei diritti intangibili della persona e del cittadino, l’equilibrio dei poteri fra la rappresentanza e gli organi di governo, la piena autonomia statale dalle pressioni dei possibili resistenti ceti clericali (e del patriziato nero) per mille anni incombenti sulla società romana e dell’Italia centrale, l’affrancamento dalle ipoteche del consolidato ancien régime giudiziario e penale (ivi inclusa la ghigliottina che fu sorte di innumerevoli teste di oppositori e democratici), ecc., tutto questo è stato brillantemente esposto provocando anche domande mirate a una più approfondita conoscenza. Proprio sotto tale profilo il maggior interesse si è orientato alle “parentele” fra la sfortunata carta repubblicana del 1849 e quella votata dall’Assemblea Costituente italiana 97 anni dopo: quella che ancora regge il nostro stato e alla quale ancora fa capo, col rango di legge costituzionale, lo statuto d’autonomia speciale della Sardegna.

Una pagina di vita cittadina, questa di cui ho creduto giusto dar conto, che sarebbe bene sviluppasse, tanto più nel circuito scolastico cittadino, come prima ho ipotizzato, tutto il suo potenziale formativo e sul piano strettamente culturale e su quello civile. Il voto giustamente riconosciuto ai diciottenni esige una conoscenza almeno dei fondamentali storici, i soli che possano sostenere una seria e serena interpretazione delle complessità dell’oggi, indirizzando a scelte meditate e responsabili.

Una conclusiva osservazione. Fra i presenti una sola autorità cittadina: l’assessore comunale Francesca Ghirra. Onore a lei.

 

Ma

 

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