La riforma della burocrazia regionale alla luce di una nuova visione del futuro della Sardegna – L’apertura del dibattito, di Enrico Lobina.
L’EDITORIALE DELLA DOMENICA della FONDAZIONE SARDINIA.
Allora perché non ci si concentra sulla riforma della regione? Per meri calcoli opportunistici o perché ridisegnare la burocrazia regionale significa discutere del futuro della Sardegna?
“La scarsa propensione della classe dirigente regionale ad affrontare problemi amministrativi complessi portò a rallentare e a non approvare norme […] che avrebbero dovuto costituire il nerbo di una politica gestionale orientata verso canoni di buon andamento dell’amministrazione”[1]. Così scriveva Daniele Sanna, discutendo della Regione Sardegna dal punto di vista amministrativo e finanziario dal 1949 al 1965.
Ancora oggi è così. La legge regionale che oggi, nel 2018, sovraintende alla struttura dell’amministrazione centrale è la legge regionale 1 del 1977. Quella legge istituiva l’assessorato alla Riforma della Regione, che ancora oggi si chiama “Assessorato degli affari generali, personale e riforma della Regione”.
Non passa giorno, però, che sui giornali e nelle televisioni locali non si lancino accuse contro la “burocrazia regionale”, altrimenti detta “macchina regionale”. Allora perché non ci si concentra sulla riforma della regione? Per meri calcoli opportunistici o perché ridisegnare la burocrazia regionale significa discutere del futuro della Sardegna?
Oggi il Sistema Regione, che comprende 15 Enti, Agenzie e l’Amministrazione Centrale, ha circa 12.200 dipendenti. Se si scorpora Forestas, si scende a circa 7.193 dipendenti. Coloro che fanno riferimento al contratto collettivo regionale sono 6.731, poiché alcuni enti ed agenzie (Arpas, Sardegna Ricerche, Istituto Zooprofilattico) non hanno il contratto collettivo regionale. Una parte consistente del Sistema Regione è basato a Cagliari.
Dall’inizio della storia autonomistica, il legislatore e l’esecutivo sardo hanno avuto il timore che l’apparato burocratico regionale non recuperasse i difetti dell’apparato ministeriale romano. Così non è stato. Si è scelto di riprodurre la strutturazione, e l’accentramento, tipico delle strutture ministeriali.
Lo Statuto Sardo, tuttavia, all’art. 3 è chiaro: “la Regione ha potestà legislativa nelle seguenti materie: a) ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale”.
La Fondazione Sardinia ha deciso di approfondire il tema della riforma della burocrazia regionale alla luce di una nuova visione del futuro della Sardegna[2]. Vogliamo alimentare il dibattito.
Dal punto di vista giuridico, sino a dove si poteva, e si può spingere la volontà riformatrice della Regione nell’attuare l’art. 3, lettera a) dello Statuto?
Da un punto di vista storico, perché si è deciso di gestire la “macchina regionale” con provvedimenti parziali e “tampone”, che hanno perpetuato errori che si ripetono dall’inizio della storia autonomistica?
Quali sono state le proposte organiche di riforma presentate negli ultimi trenta anni e non attuate? Chi le ha presentate e per quale ragione non sono state attuate?
La ricerca del programma 2018 è aperta al contributo, all’opinione, all’analisi di ciò che è stato.
Non di meno, vorremmo ragionare sul presente e sul futuro. Nell’era della “burocrazia europea” e degli “indicatori della performance”, nonché in una epoca in cui in Italia è “guerra alla burocrazia”, riceviamo volentieri proposte e suggerimenti, analisi complessive e singoli spunti, i quali siano concretamente attuabili (normative e conti alla mano) o parzialmente o totalmente utopiche.
Come vogliamo che sia la burocrazia regionale tra 20 anni? Come realizziamo il “decentramento” di cui si parla dall’inizio della storia autonomista? Come il “telelavoro”, l’internet of things ed i big data devono cambiare l’amministrazione regionale, e come e con che velocità devono essere internalizzati dalla pubblica amministrazione?
L’austerità di bilancio, e la prospettiva della netta diminuzione dei lavoratori pubblici nei prossimi 10 anni, insieme ad un netto invecchiamento, è positiva o no?
Il tema si interseca con ogni aspetto del vivere collettivo, dagli aspetti più vicini (riforma degli enti locali e spopolamento) a quelli più articolati (modello di società).
Chi ha proposte ed interesse a discuterle, le presenti.
[1] Daniele Sanna, Costruire una regione – Problemi amministrativi e finanziari nella Sardegna dell’autonomia (1949-1965), Carocci, Roma 2011, p. 218
[2] Il dibattito è cominciato nel 2013 col contributo, discusso in Fondazione Sardinia, di Salvatore Cubeddu “Per una Sardegna nuova”, cfr. http://www.fondazionesardinia.eu/ita/?p=7224
By Benedetto Sechi, 18 febbraio 2018 @ 10:23
… il classico coltello nella piaga, quello che Enrico Lobina e la Fondazione Sardinia si propongono, nell’affrontare la questione. Eppure non vi può essere modernità, sviluppo economico e soprattutto capacità di autogoverno, se non si affronta la questione dei costi e dell’efficenza della “macchina burocratica”. Aggiungerei ai numeri di E. Lobina quelli che derivano dalle ASL, ospedali, aziende sanitarie, e presidi vari. Numeri che spaventano, per dimensione, costi ed inefficiente, fatte salve le eccellenze, che non sono però la regola. recentemente il TAR annulla, per vizi di forma, il concorso per dirigenti della regione. Non che questo avrebbe risolto i problemi, ma va sottolineato per evidenziare il fatto che questa Giunta, ma le altre non erano da meno, non riesce neppure a fare il minimo sindacale.
Gli enti citati sono zeppi di figure fuori posto, professionalità obsolete, ed uffici che brulicano di personale alla ricerca di qualcosa da fare, nella migliore delle ipotesi, aspettando la pensione e la fine del mese i più.
Mi verrebbe in mente, intanto, una sola proposta. Stop ai dirigenti a vita, stop perciò ai concorsi fasulli di carattere interno, stop alle consulenze di esperti, se non sono veramente tali e si nomino dirigenti, con contratto a tempo di tipo privato, che sia strettamente collegato ai risultati da raggiungere, certi e verificabili. Dirigenti che rispondano strettamente al decisore politico, che li sceglie per realizzare gli impegni assunti con gli elettori. Nulla di nuovo si dirà, in molti paesi funziona così. Stufi di assistere alla solita litania, del politico che vorrebbe fare, ma non può, perché impedito dal burocrate di turno. Il burocrate di turno (dirigente o meno) che non fa perché non vuole assumersi responsabilità amministrative. Insomma un indecente scarica barile, dove non prevale mai nessuna competenza responsabile e i cittadini ne pagano sempre i conti salati.
By Enrico Lobina, 18 febbraio 2018 @ 21:00
Caro Benedetto,
avremmo modo di approfondire la questione. Per ora ti chiedo di scrivere un articolo, o un saggio, per il sito della Fondazione Sardinia, sul tema.
A presto,
Enrico Lobina