Conversando sull’Arborea della memoria e l’Arborea del presente. Intervista con Paolo Fadda di Alberto Medda Costella

PAOLO FADDA

 

Politico di lungo corso, concessionario, giornalista, manager pubblico, imprenditore. Sono solo alcuni dei vari ruoli ricoperti da Paolo Fadda, cagliaritano, classe 1930, che negli ultimi vent’anni ha firmato un numero impressionante di monografie sulla storia economica della Sardegna fra Ottocento e Novecento. Ci incontriamo in un pomeriggio di fine gennaio, sotto i portici di Via Roma, a Cagliari. Praticamente tra il palazzo dell’Enel, dove spicca una bellissima opera di Eugenio Tavolara, e casa sua, nel palazzo Zedda Piras (nome che rimanda alle produzioni, fra il molto altro, del mirto sardo!). Ad accompagnarmi c’è il caro amico Gianfranco Murtas, altro prolifico scrittore e saggista storico, che l’ha contattato su mia richiesta per un’intervista che rincorro da tempo. Prendiamo così posto in un tavolino all’aperto. L’aria è frizzante. Il freddo gelido avrebbe dovuto suggerirci un abbigliamento più consono, ma ci immoliamo per la causa e raccogliere così un’importante testimonianza che rappresenta uno spaccato di paese e di storia del Novecento. Ordiniamo prima un caffè, corretto ovviamente, per favorire la circolazione.

Commendator Fadda, la Villa del Presidente che fu di Dolcetta è appena passata di mano, dalla proprietà della Regione, attraverso la SBS, alla Banca di Arborea. Contento?

Sì, è una cosa bellissima. Certamente ne faranno una sede di rappresentanza, come è giusto che sia, ma speriamo che sia anche messa a disposizione per mostre ed incontri. Secondo me è un investimento che renderà molto alla comunità nel lungo periodo. Quando ho letto la notizia mi ero ripromesso di telefonare a Giulio Dolcetta junior. Quella villa rappresenta il simbolo della grande trasformazione agraria di Arborea, esempio straordinario in Sardegna, non seguito, come spesso capita. Basta vedere qual è il reddito per ettaro, sia nell’allevamento,  sia nella coltivazione rispetto a tante altre aree della Sardegna.

Lei ci ha anche abitato in quella villa?

Ci ho vissuto sette/otto mesi, subito dopo la dichiarazione di guerra e fino ai primi del 1941, tra il luglio e il marzo successivo. Ho infatti frequentato la prima media dai salesiani proprio ad Arborea e poi sono stato trasferito a Cagliari, nello stabilimento del Viale Fra Ignazio. Arborea, o meglio Mussolinia, era un nome familiare in casa, dato che mio nonno Stanislao Scano e suo fratello Dionigi erano stati fra i protagonisti della bonifica, non solo come tecnici/ingegneri, ma anche come consiglieri dell’amministrazione della Società Bonifiche Sarde. Anche se in appartamenti autonomi, vivevamo con la famiglia di Tommaso Fiorelli – ex direttore della SBS, poi passato alla conduzione della Società Elettrica Sarda – che aveva sposato una sorella di mio padre. Occupavamo il piano alto, il terzo. Ci era stata data questa possibilità, con la raccomandazione di non fare troppo rumore quando da Roma scendeva Piero Casini, che vedemmo sì e no due volte, o il dottor Silvio Silva, dirigente dell’IRI.

Perché quel trasferimento da Cagliari nel 1940?

Nelle settimane susseguenti l’entrata in guerra dell’Italia (10 giugno 1940) ci furono due o tre spezzonamenti notturni su Cagliari da parte di aerei inglesi che colpirono anche un fabbricato in via Sant’Eulalia, quasi di fronte all’allora sede della Banca d’Italia. Per circa un mese e fino alla resa della Francia gli allarmi notturni si susseguirono quasi giornalmente. Fu questa la ragione del primo sfollamento deciso dalla mia famiglia (e da quella dei miei zii Fiorelli) in quanto gli obiettivi inglesi erano quelli portuali ove erano alla fonda diversi incrociatori e sottomarini della Regia Marina: e dovrei dire che sia la mia casa, nella parte bassa del Viale Regina Margherita, sia quella dei Fiorelli, a palazzo Tirso, erano sul porto…

Quali sono i suoi ricordi di bambino di dieci anni?

Partendo dalla villa “conquistai”, girando in bicicletta, tutto il paese, dove frequentai la scuola, la parrocchia e godetti del mare estivo alla 26, insieme a fratelli e cugini Fiorelli. Sono i ricordi più belli che ho di quel periodo anche perché entrai in contatto con l’Opera salesiana.

Una volta ripartito da Mussolinia quanto è rimasto a Cagliari?

Fino al ’43, quando di fatto la città è stata sfollata e noi siamo riparati a Pozzomaggiore.

Ha citato l’ingegner Silva. Sa che in un angolo della cappella centrale di sinistra della chiesa del SS Redentore c’è una targa dedicata a un tale Angelo Silva?

Non sapevo, ma ricordo perfettamente che Silvio era fratello di Pietro, un grande storico che insegnò alla Sapienza di Roma. Erano figli di Angelo e Anita Caprara, famiglia di spicco della borghesia parmense. Presumo quindi che la lapide sia stata posta in occasione della morte del padre. Dell’ingegner Silva so che lasciò l’Elettrica Sarda negli anni del conflitto e che fu tra i più stretti collaboratori di Fiorelli e di Casini.

Che rapporti aveva con la famiglia Dolcetta?

L’ingegnere non l’ho mai conosciuto. Invece ricordo la moglie, perché sono stato a Montecchio Maggiore, dove loro avevano una bellissima villa. Lì ho incontrato i suoi tre figli Giovanni, Mario e Francesco. Dolcetta quando andò via dalle Bonifiche Sarde, o forse sarebbe più corretto dire quando è stato cacciato, probabilmente con la liquidazione, rilevò dal suo compare di Arzignano, Antonio Pellizzari, la Fiamm, una fabbrica di accumulatori elettrici.

Si tratta degli stessi Pellizzari che hanno realizzato le macchine dell’Idrovora del Sassu, che recano ben in evidenza il loro nome in rosso?

Esatto. Ritorno a Dolcetta: quando abbiamo festeggiato l’ultimo ottantennio della fondazione è venuto un nipote che portava proprio il nome del nonno, Giulio Dolcetta, figlio di Francesco. Giulio Dolcetta senior quando andò via dalla Sardegna, partì col figlio Francesco, fresco di laurea in ingegneria, in Africa orientale per organizzare l’elettrificazione del cosiddetto Corno d’Africa.

Dopo il periodo di guerra è mai tornato a Villa Dolcetta?

L’ultima volta che ci sono stato risale a una decina di anni fa per una mostra di pittura e prima ancora era capitato sotto la presidenza di Enzo Pampaloni, a guida dell’Etfas e della SBS. La villa al tempo era nella sua disponibilità. Ho dormito due notti, proprio nella villa, nella parte diciamo dei Dolcetta. Pampaloni aveva organizzato un convegno a Oristano e il direttore generale dell’Etfas era il cugino di mia madre Piero Bandini. La cosa che mia aveva colpito era la presenza dei termosifoni elettrici. Essendo “padroni” dell’elettricità potevano giustamente permettersi un sistema di riscaldamento di quel tipo. Ricordo che dentro c’era ancora gran parte delle cose lasciate da Dolcetta. Dischi dei figli e libri.

Lei che li ha conosciuti, crede sia vero che in passato gli eredi Dolcetta abbiano provato ad entrarne in possesso?

Non lo so, ma penso di no. Loro chiusero in modo traumatico con la Sardegna. Qui lasciarono le amicizie, tra cui mio zio e mio nonno, che erano collaboratori del presidente, e l’ing. Fiorelli che, fresco di laurea a Roma, si era portato dietro appena arrivato in Sardegna. C’è stato poi Giovanni, uno dei figli, che io ho conosciuto la prima volta quando hanno messo il busto ad Arborea nel ’54, opera di Franco d’Aspro. I fondi vennero messi in gran parte dai suoi amici. È venuto Mario, un paio di volte, e anche Francesco, prima che morisse abbastanza giovane. Giovanni morì a causa di un arresto cardiaco e anche Giulio Dolcetta morì per lo stesso motivo, nel ’43 quando era commissario prefettizio a Vicenza. Caso strano ha voluto che venisse nominato a guida della città del Palladio dal governo repubblichino, mentre qui in Sardegna era molto osteggiato dal fascismo locale, soprattutto dal gruppo che faceva capo ai fascisti sassaresi guidati da Lare Marghinotti e da quelli che facevano riferimento ad Antonio Putzolu, tutti in difesa de is meris de is biddas, che vedevano le bonifiche come piccoli vantaggi per, magari, costruire il ponticello nella loro proprietà. Non erano interessati alle grandi opere di riforma agraria. Con l’uscita di scena di Dolcetta nasce quindi il tempo delle bonifichette con interventi a pioggia.

Mettendo nel conto anche il suo soggiorno nel ’40 e l’invito di Pampaloni, quante volte è venuto ad Arborea?

Molte volte. Anche col pensiero. Lo facevo tutti i giorni bevendo il latte Mussolinia di Sardegna dalla latteria di Giannetto Gorini, gestore precedente a Iacuzzi dello spaccio del centro di bonifica. L’ingegner Casini lo chiamò su indicazione del dott. Ucci, allora direttore del caseificio. Era un commerciante abile e il presidente della SBS gli affidò l’esclusiva del latte per Cagliari. Aprì infatti quattro latterie mono marca, peraltro con un’efficiente distribuzione per mezzo di corrieri-ciclisti. Ho poi frequentato Arborea per altri motivi. Dagli anni ’50 fino ai ’70 mi sono occupato dell’azienda di famiglia. Per la nostra concessionaria della Lambretta avevamo ad Arborea Benito Colusso, nostro sub agente.

Finisce la guerra e nel giro di un decennio i mezzadri diventano assegnatari. Come vedevano questo cambiamento i suoi famigliari, dico gli Scano che vi si erano tanto impegnati al tempo della bonifica?

Dionigi non conobbe la riforma agraria: morì infatti nel 1949. Mio nonno Stanislao sì, ma era ormai molto anziano: scomparve nel 1960 all’età di 97 anni! Diciamo comunque che l’idea iniziale di Dolcetta era di dare la terra ai contadini e dovrei dedurne che, potendola giudicare, la riforma sarebbe stata anche per essi una cosa abbastanza normale. Soprattutto i primi lavoratori erano giunti in Sardegna con l’idea che poi sarebbero diventati proprietari. Con Casini questa idea viene accantonata. La legge agraria è stata un appiglio a cui successivamente si sono aggrappati per poterne acquisire la proprietà.

Ma lei se l’aspettava una crescita delle proporzioni note al grande mercato da parte delle cooperative nate da quella riforma? Oggi il latte viene esportato anche in Asia!

Sinceramente no, ma c’è da dire che nel tempo ci si è anche allargati con varie acquisizioni ed è normale che ci si sia mossi per cercare nuovi sbocchi. Sono diventati i leader assoluti della Sardegna, rilevando la grossa cooperativa Coapla del sassarese, governata da Mario Rossi. Una volta, mangiando al Gallo Bianco, dopo una delle giornate di dicembre dedicate alla storia di Arborea a cavallo del secolo – cui ho partecipato anche io, sarà ormai una ventina d’anni fa – , ricordo che c’era una grande critica perché si esportava troppo latte senza essere trasformato. Allora la linea dello yogurt non c’era ancora. Devo dire però che la grande trasformazione di Arborea, dal mio punto di vista, è stata opera di Piero Casini. Il passaggio da un cantiere di lavoro alla costituzione di un’azienda di produzione agroalimentare è frutto del suo impegno. È lui che ha portato ad Arborea personaggi come Egidio Galbani, autore della ricetta del Dolce Sardo. Non soltanto il latte, ma anche il vino imbottigliato. Le bottiglie che venivano fuori dall’enopolio erano le prime vendute in Sardegna. Il vino lo si vendeva soltanto sfuso e con la 3A nasce il Trebbiano, il Torrevecchia e il Sangiovese, venduto a prezzi per nulla accessibili. Una decina di anni fa sono stati celebrati i 50 anni della 3A, ma la 3A non è mica nata allora. Non è che, se cambio ragione sociale, annullo il passato. Quello era il festeggiamento della cooperativa, non dell’industria casearia.

E il suo rapporto con i veneti di Arborea? A un bambino di dieci anni, quanti ne aveva lei quando venne la prima volta e ci visse per diversi mesi, non sembrava strano confrontarsi con una realtà così diversa rispetto a quella cagliaritana?

Eravamo bambini e non facevamo valutazioni di questo tipo. Avevo un compagnetto di scuola, un Peterle, con un nome strano, ma non me lo ricordo. Poi c’è stato Sar, che è stato un atleta. La presenza dell’Opera salesiana, che peraltro, come ho detto, ritrovai a Cagliari, aiutava a favorire l’amalgama dei giovani e della recente comunità. Sia don Piemontese, il parroco, che don Scotto erano molto attenti a questo.

Si è quindi rivelata azzeccata la loro presenza per Arborea.

Certo. Anche se poi arrivarono soltanto nel ’36, fu Dolcetta a volerli, perché credo che a Vicenza avesse dei rapporti con l’Opera. So che andò a Torino per parlare con il successore di don Bosco, incontrando grandi difficoltà iniziali.

Per concludere, sotto il profilo storiografico, c’è ancora qualcosa su cui varrebbe la pena concentrare degli studi?

Devo dire che su Arborea c’è quel libro scritto da Maria Carmela Soru, che, onestamente, sul piano storiografico non mi convince per nulla, secondo cui tutto era stato fatto per fare grande Terralba. Tenendo presente che vengono portati via i terreni ai terralbesi grazie all’operazione fatta da Felice Porcella, che era deputato al parlamento, sindaco di Terralba e consulente legale delle Bonifiche Sarde, non se ne può concludere come fa la Soru. Porcella fece i contratti di acquisto in modo tale che la SBS ne entrasse subito in possesso. Secondo me invece Arborea è stata un’operazione che solo il grande coraggio di Dolcetta, e la capacità tecnica di fior di ingegneri oltreché ovviamente la disponibilità finanziaria offerta dalla Comit, poteva portare a un’operazione così straordinaria. Se in Sardegna la cosa si fosse moltiplicata per dieci o per venti avremmo avuto grandi risultati. Le operazioni tentate dall’Etfas hanno avuto come riferimento l’esperimento di Arborea, soprattutto per quanto riguarda i tecnici. Per rispondere alla sua domanda, mi piacerebbe capire come l’Ente di riforma sia riuscito ad acquisire il capitale della SBS dall’IRI con dei fondi che erano inizialmente riservati alla trasformazione agraria. Provai a indagare interrogando l’allora sindaco Antonio Marras, ma ebbi delle risposte politiche. A me invece interessava capire come questa cosa fu legalmente possibile.

Squilla nel frattempo il telefono: è mio zio Bepi Costella. Mi sento autorizzato a rispondere vista la conoscenza che il commendatore ha proprio con l’ex sindaco di Arborea e glielo passo per un saluto…

Con Bepi abbiamo realizzato un bel volume dieci anni fa. Su questa storia di Arborea ci sono molte leggende metropolitane. Ecco, come ricordavo poco fa, parecchi anni fa si facevano degli incontri ai primi di dicembre per cercare di ricostruire con sempre nuovi studi e nuovi contributi la storia di Arborea, un’iniziativa meritoria. Si dovrebbe riprendere in tal senso. Di che cosa fosse Arborea in origine se n’era persa completamente la memoria. Non per cercare di elogiare la mia famiglia, ma tutta la regolamentazione idraulica fatta da Dionigi Scano e da mio nonno Stanislao è stata praticamente studiata in tutta Europa. Sono venuti dalla Fondazione Rockefeller. Una rivoluzione compiuta attraverso l’acqua, che aveva cambiato il modo di concepire l’agricoltura. E non in un terreno fertile, ma in un acquitrino, per dimostrare che si potevano ottenere grandi risultati. Un cambiamento di mentalità, dato poi dalla presenza delle cooperative, che ha permesso di formare anche una classe dirigente, che oggi propone i prodotti della bonifica nei cinque continenti. Forse bisognerebbe anche dire che Arborea nacque, come idea e anche come primi atti, non negli anni del fascismo, ma quasi un decennio prima… Seppure sia vero che il regime sostenne la bonifica e quel che ne doveva venire dopo…

 

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    2 Comments to “Conversando sull’Arborea della memoria e l’Arborea del presente. Intervista con Paolo Fadda di Alberto Medda Costella”

    1. By loi gesuino, 17 febbraio 2018 @ 09:09

      Buongiorno, prendo dell’intervista e, fuor da ogni polemica, mi sembra che il professor Fadda appartenga ai ” vincitori” che scrivono la storia come a loro fa comodo. Intanto vi è da dire che all’Ing. Dolcetta non passava neanche per la testa di far diventare proprietari gli assegnatari. e per lui, fin dall’inizio, la bonifica era un affare ( lo dice lui stesso in una nota indirizzata a Porcella)
      Professor Fadda avrebbe voluto Arborea moltiplicata per 10 o 20; invece io sostengo che, meno è stata la bonifica solo ad Arborea, perchè in caso contrario i nativi sarebbero scomparsi e utilizzati come manodopera, se a loro fosse andata bene.
      In effetti i locali sono trattati a pesci in faccia dall’ing. Dolcetta e amici.
      Le generazioni stanno passando e anche questa storia verrà assorbita, ma chi era giovane negli anni trenta ha subito dei gravissimi torti che professore Fadda omette di ricordare. Sempre con la docuta stimna ad Alberto e al professore.

    2. By Giuseppe, 16 febbraio 2018 @ 15:37

      Ottimo articolo ben raccontato che riporta la storia di Arborea e poi il Professore Paolo Fadda la conosce molto bene e perciò è una persona attendibile e veritiera.