Chie semus e cherimos essere … toccat a nois, di Vito Biolchini
L’EDITORIALE DELLA DOMENICA della FONDAZIONE SARDINIA. Ecco perché è stato bocciato il referendum sull’insularità! E ora torna centrale lo Statuto di Autonomia: che prima modifichiamo, meglio è.
La bocciatura da parte dell’Ufficio Regionale del Referendum del quesito che avrebbe dovuto portare i sardi ad esprimersi il prossimo mese di ottobre sul principio di insularità da inserire all’interno della Costituzione è certamente clamorosa: nessuno la aveva messa minimamente in conto, soprattutto dopo la poderosa campagna di sensibilizzazione che aveva portato addirittura alla raccolta di ben 92 mila firme (ne sarebbero bastate appena diecimila) a sostegno della richiesta.
Al netto delle polemiche e delle valutazioni che possono essere date, bisogna chiedersi intanto perché il referendum è stato giudicato inammissibile. I motivi (ecco la deliberazione ufficiale) sono essenzialmente due.
Il primo: per l’Ufficio, il quesito avrebbe portato i sardi a produrre con il loro voto un atto di indirizzo politico e non un semplice parere, così come previsto dalla legge che istituisce l’istituto del referendum regionale.
Il parametro da tenere in considerazione è fornito in via esclusiva dal tipo di referendum descritto nella legge e, nel caso, quest’ultima non ha genericamente previsto la possibilità̀ di indire una consultazione popolare purchessia, ma ha ammesso soltanto il referendum che abbia a oggetto “un parere”, che non può̀ certo essere confuso con un atto d’indirizzo.
Il secondo motivo però è se vogliamo politicamente più pregnante. Sintetizzando, secondo l’Ufficio Regionale del Referendum le questioni che riguardano la nostra insularità non possono essere disciplinate da “fonti di rango inferiore” al nostro Statuto di Autonomia e il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (richiamato nel testo del referendum proposto dal Comitato) lo è.
Per i giuristi dell’Ufficio del Referendum tutte le modifiche eventualmente richieste
non trovano la loro sede naturale nemmeno nella Costituzione che, come precisato, sotto tale profilo, rinvia proprio agli Statuti speciali.
Il referendum sull’insularità effettivamente buttava la palla in avanti (se non proprio in tribuna), spostando da Cagliari a Roma e a Bruxelles (e dallo Statuto alla Costituzione) il luogo deputato al cambiamento normativo.
Così non è: con questa decisione, lo Statuto di Autonomia torna ad essere centrale. Questa deliberazione parla chiaro: è lo Statuto che va cambiato, non la Costituzione. È lo Statuto che deve far proprie le ragioni dell’insularità. E lo Statuto lo può cambiare semplicemente il Consiglio regionale.
Con questa bocciatura (contrastata, controversa, contestata, forse anche contraddittoria), l’Ufficio del Referendum ci restituisce quindi una realtà che in tanti hanno finto di non vedere: per cambiare la Sardegna bisogna innanzitutto cambiare il nostro Statuto di Autonomia, e questo lo possono fare da subito non gli italiani o gli europei, ma molto più semplicemente i sardi.
Tutti noi: attraverso il nostro Consiglio regionale, in forza dello Statuto vigente; in cooperazione con un’assemblea costituente, in presenza di un accordo tra le forze consiliari e sociali, se si volesse offrire al popolo sardo l’occasione di imprimere quel colpo d’ala necessario per ri-cominciare. In ogni caso è al Consiglio regionale e alle forze politiche in esse attive che rimane il compito irrisolto da quarant’anni: quello di approvare un nuovo Statuto, come gli approfondimenti compiuti negli anni scorsi dalla Fondazione Sardinia hanno chiaramente dimostrato).
È lo Statuto di Autonomia la vera Costituzione da modificare. Subito, senza tante perdite di tempo o scorciatoie. Basta volerlo.
A questo punto, dopo questa clamorosa bocciatura, le forze politiche di centrodestra e di centrosinistra che hanno raccolto le firme per il referendum sull’insularità sono pronte a farlo e a rendere questo tema centrale in vista delle prossime elezioni regionali?
Il tempo delle scorciatoie è finito.