Alce Nero parla ma con le parole del Vangelo, di Luigi Grassia

Il mitico libro di Neihardt tagliò apposta la conversione al cattolicesimo. E i Sioux chiedono che sia fatto santo. Alce Nero (1863 – 1950) apparteneva al popolo Oglala tribù della famiglia dei Lakota-Sioux. La traduzione precisa del suo nome sarebbe Cervo Nero. la stampa  29/01/2018

Maneggiare con cautela. Quando un mito viene infranto c’è chi rifiuta anche solo di visionare le prove di come stanno le cose davvero. Da più di ottant’anni Alce Nero (Black Elk), della tribù Lakota Sioux, è un’icona dalla resistenza dei nativi americani all’assimilazione alla società bianca in tutte le sue forme, a partire da quella spirituale; e un libro del poeta John Neihardt, il famoso Alce Nero parla(1932), è stato negli Anni 60 una bibbia della controcultura giovanile in America e in Europa.

Eppure lo stesso Alce Nero così scrisse in una lettera, poco prima di morire: «Chiedo a voi, cari amici, che quel libro venga annullato». Perché Neihardt aveva omesso di riferire un fatto fondamentale, cioè che Black Elk era stato per la maggior parte della vita non solo un convertito al cattolicesimo, ma un suo diacono e missionario. E adesso arriva la notizia che 1600 lakota sioux, fra cui i familiari di Alce Nero e molti discendenti dei nativi da lui convertiti, hanno scritto una petizione alla Chiesa cattolica, per proporre che Black Elk sia canonizzato; e i vescovi americani, riuniti a Baltimora, hanno dato parere favorevole, primo passo per fare di Alce Nero un santo.

Sarà il primo santo sioux, però non un santo della spiritualità sioux, ma di quella cristiana. Perché «la preghiera della Chiesa cattolica è miglior della Danza degli Spiriti» ha scritto a suo tempo Black Elk, per poi incalzare: «Forse ero un buon indiano, ma adesso sono migliore».

Attenzione: il libro di Neihardt non è falso. Ma è parziale. È assolutamente veritiero quando racconta di Alce Nero coinvolto da bambino nella battaglia di Little Big Horn contro Custer, poi nel massacro dei Sioux a Wounded Knee, e in seguito nella resistenza nazionale dei Lakota come popolo titolare di diritti. Alce Nero parla è veritiero anche e soprattutto nel racconto della «visione» di Alce Nero, una summa della cultura nativo-americana, riferita in termini diretti e spontanei, senza mediazioni da antropologi.

Ma lo stesso libro è incompleto, e anzi fuorviante nell’ultimo capitolo, quello in cui il vecchio rimpiange la fine dell’antica religione. Alce Nero aveva concordato espressamente con Neihardt di scrivere tutt’altro, e di menzionare che lo stesso Black Elk aveva rinnegato i valori del passato. «Ma lui non lo fece…» lamentò Black Elk, profondamente amareggiato. Fino a chiedere, appunto, che «quel libro venga annullato».

Questo non succederà. Il volume di Neihardt, per quanto parziale, non è falso ed è troppo affascinante per finire nel cestino. Ma conoscere la storia tutta intera ci insegna che il drammatico adattamento dei nativi americani al mondo moderno è stato più complesso di quanto avessimo immaginato.

I Lakota cominciarono a convertirsi alla Chiesa di Roma non appena il grande capo Nuvola Rossa, vincitore di battaglie contro l’esercito americano, chiese ai gesuiti di fondare una missione nella riserva di Pine Ridge. Alce Nero pur restando un fiero lakota si battezzò in modo né superficiale né formale; nessun sincretismo religioso, nessuna mediazione, lo dicono le drastiche e reiterate dichiarazioni dello stesso Alce Nero. Ma questo non ha suscitato interesse, finché attorno al 1970 lo studioso Michael F. Steltenkamp non ha cominciato a leggere le carte di Black Elk e dei suoi familiari. Per dirla tutta, anche il libro di Steltenkamp Alce Nero, missionario dei Lakota è rimasto quasi sconosciuto: la gente non sembrava interessata a conoscere la verità. Ma prima o poi i fatti si impongono.

I Sioux hanno un curioso e poco noto legame con l’Italia perché il primo a scrivere un dizionario della loro lingua, tuttora stampato in America dalla Lakota Press, è stato un esploratore italiano, Giacomo Costantino Beltrami, che nel 1823 scoprì una delle sorgenti del Mississippi andando allo sbaraglio, da solo, vestito di pelli e armato di schioppi (ma senza uccidere nessuno) in mezzo ai nativi. Beltrami notò già allora l’attività missionaria dei gesuiti al confine col Canada.

 

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