Un ebreo americano a Seneghe, di Mario Cubeddu

CONDAGHE 2.0. Condaghe significa essenzialmente raccolta di documenti di vario genere. Con questi articoli del sabato  ospitiamo degli interventi sul passato, il presente e il futuro della Sardegna. Il Condaghe è aperto ai contributi che vorranno essere forniti dai lettori e si ripromette di proporre un intervento diverso ogni settimana. Documento n° 7.

Alex Weingrod era uno magro, alto alto nel ricordo, fatto per impressionare noi sardi di allora.  Gentile e simpatico. Molti anni dopo avrei scoperto che era ebreo; in effetti non c’era niente di diverso da un qualunque intellettuale europeo. Poteva essere il 1964 o il 1965, per me erano gli ultimi anni di Liceo. Qualcuno del centro di prestiti UNLA propose a me e ad altri studenti di aiutare l’antropologo americano che si stava occupando delle vicende del mio paese. Si trattava di spulciare i registri del comune e quelli parrocchiali per registrare i nomi dei testimoni di nozze e dei padrini di battesimo e di cresima. Un lavoro facile facile. Alla fine sarebbe venuta fuori una graduatoria delle persone influenti, quelli a cui i seneghesi ricorrevano più di frequente per garantire ai propri figli una protezione, per rendere più facile il loro rapporto con il mondo. Ci era stato garantito un compenso per il lavoro fatto, ma non eravamo comunque pronti alla somma di denaro che ci venne data, mai vista prima nelle nostre mani di ragazzi spiantati.

Passarono diversi anni prima che venissi a sapere a cosa era servita quella ricerca. In realtà Alex Weingrod ne aveva elaborato e tradotto i risultati subito dopo, in un articolo uscito nel 1968, esattamente cinquanta anni fa,  in una delle più prestigiose riviste di antropologia, storia e sociologia, i “Comparative Studies in Society and History”, pubblicata dalla Cambridge University Press.  Si intitolava Patrons, Patronage and the Political Parties, “Patroni, clienti e partiti politici”.  A Seneghe Weingrod trovò un laboratorio in cui studiare il passaggio dal clientelismo tradizionale a quello che si afferma con l’arrivo del partito politico moderno. Sembrava che si prestasse in modo particolare perché nel 1924 un paese di 2000 abitanti aveva mandato a Roma alla Camera ben due dei dodici deputati espressi dalla Sardegna. Un fatto inaudito, impossibile da ripetere. Come si spiegava e quali ripercussioni avrebbe avuto? La piccola realtà seneghese servì a Weingrod per capire un fenomeno di portata universale. Questo articolo  divenne subito un testo di riferimento per gli studi sul clientelismo nelle realtà del sottosviluppo, soprattutto in rapporto alla politica dei partiti moderni. Nel 1974 una traduzione parziale veniva inclusa nel volume di Luigi Graziano Clientelismo e mutamento politico e anche grazie a quest’opera le tesi di Weingrod avrebbero avuto larga diffusione tra gli studiosi italiani, spagnoli  e sudamericani.

Il suo interesse per la Sardegna non finì con l’analisi del clientelismo politico ma produsse studi ulteriori su ciò che stava avvenendo in quegli anni nella società sarda. Alex Weingrod pubblicò altri due articoli di argomento sardo: Post Peasants: The Character of Contemporary Sardinian Society (Post contadini nella società sarda contemporanea) nel 1971  e Industrial Involution in Sardinia (Involuzione industriale in Sardegna) nel 1979, nella rivista “Sociologia Ruralis”. Quando Alex Weingrod arrivò in Sardegna aveva poco più di trent’anni, ma aveva già insegnato alla Columbia University e a Oxford.  Fu introdotto dal gruppo di intellettuali che ponevano le basi per il “Progetto Sardegna” finanziato dall’OECE. Si sarebbe poi trasferito in Israele per insegnare all’Università di Beersheba e molti dei suoi studi successivi usciti in volume avrebbero riguardato la realtà di quel paese.

A Seneghe il clima socio-culturale a metà anni Sessanta era ancora quello portato dagli intellettuali e dai tecnici del Progetto Sardegna: Barore Sanna, la dottoressa Minuti… Un gran lavoro di studio della realtà locale e di animazione della vita civile e culturale.  C’era naturalmente chi in paese si fermava alle impressioni superficiali: si progettava la rinascita della Sardegna per mezzo di progetti che insegnavano l’italiano alle casalinghe e l’imbottigliamento dell’olio ai contadini! Invece l’argomento dominante di quegli anni, l’unico di cui parlavano tutti e di cui si continuò a parlare negli anni, era Peppino Pes, il bandito studente, costretto alla vendetta e alla latitanza da chissà quale onore. Si diceva che fosse stato ospite dei balli di carnevale, la più importante occasione mondana del paese, invitato e protetto dalla gioventù seneghese che contava. Curiosamente questo elemento è quello che emerge anche nel racconto del primo approccio di Alex Weingrod alla Sardegna, contenuto in un breve articolo pubblicato da “Quaderni bolotanesi” nel 1990.

Le regole che ogni antropologo e sociologo impara per prime impongono di tacere o rendere irriconoscibili i nomi delle guide e delle persone citate nei loro lavori, per cui Weingrod racconta del suo contatto con una persona intelligente di bell’aspetto, avventuroso, scettico…un intellettuale, molto probabilmente Barore Sanna.  Lo chiama semplicemente con l’iniziale B. e si fa portare da lui a vedere la Sardegna in un breve viaggio sino a Sedilo dove si corre l’Ardia e  incontra  qualcuno del paese. Da questo primo approccio all’isola  Weingrod ricava l’impressione del carattere di alcuni intellettuali sardi di allora, idealisti, ingenui e tutto sommato amaramente realisti… Il loro ritornello è: Povera Sardegna. Alex Weingrod faceva parte di quella schiera di clerici vagantes dell’era Kennedy, figli dell’America che aveva vinto il nazismo e ora di trovava con il compito di dominare il mondo. E per dominarlo, doveva prima cercare di capirlo.

In Sardegna ne arrivarono molti: era la terra che era stata salvata dalla malaria grazie agli americani, che si trasformava, cambiava.  Valeva la pena andare a vedere. E qui in conclusione è opportuna una piccola aggiunta che riguarda la storia degli intellettuali sardi.   In quegli anni furono addirittura in numero di 20 gli studiosi stranieri che dedicarono la loro intelligenza e passione allo studio della Sardegna. Alcuni di loro ne ricavarono una svolta importante per l’impostazione dei loro studi. Basterà citare John Day che arrivò a definire la Sardegna un laboratorio di storia coloniale che sarebbe stato utile per capire le dinamiche del colonialismo in tutto il mondo.  E’ naturale che abbiano pensato che il loro contributo intellettuale e umano potesse essere coordinato per una continuità utile non solo alla loro ricerca, ma all’intera vita culturale della Sardegna. Si rivolsero per questo a un accademico sardo, il professor Manlio Brigaglia, che si rese disponibile per la traduzione e la pubblicazione di un “diario” dell’esperienza che avevano vissuto in Sardegna. Purtroppo le promesse non furono mantenute.  Bisognò aspettare “la caduta del Muro di Berlino” e l’ultimatum dato dal professor Bodemann perché un minimo di luce venisse fatto su quegli scritti attraverso la pubblicazione nel numero 16 di Quaderni Bolotanesi. Una rivista importante, certo, ma non lo strumento che sarebbe servito per mettere queste intelligenze a disposizione di tutti coloro, a partire dai sardi stessi, interessati a capire la Sardegna in trasformazione. Questi erano i temi affrontati da quel gruppo di studiosi, nel riassunto che ne fa lo storico sardo: – Diversità e/o somiglianza della Sardegna rispetto all’Italia e ad altre realtà – sviluppo e/o degrado delle comunità sarde  – arcaicità e/o modernità e loro significato nel caso della Sardegna – evoluzione e/o fissazione dei ruoli sessuali sociali, culturali. Come si vede, un bel gruppo di questioni che sarebbe stato interessante far conoscere meglio. Il professor Brigaglia si scusò ripetutamente nella sua introduzione per l’atto mancato, o comunque rimandato oltre misura. L’impressione ricavata da chi scrive è quella di un leggero fastidio nei confronti di questi generosi studiosi internazionali. Solo così si può spiegare la loro assimilazione ai tanti “viaggiatori” giunti in Sardegna con le più varie motivazioni, che sentirono la necessità di scrivere i risultati della loro esperienza .  E così proviamo a capire la sottolineatura dell’uso da parte di questi studiosi stranieri del termine “sardità”, sempre irritante per alcuni intellettuali sardi di allora e di oggi. 

Bibliografia:

Alex Weingrod, Patrosn, patronage and the political parties in Comparative studies in society and history, Cambridge University Press 1968.  Pagg 139-142.

Alex Weingrod, Il viaggio di un antropologo visitando la Sardegna, Quaderni bolotanesi n° 16, 1990.

Luigi Graziano, Clientelismo e mutamento politico, Franco Angeli 1774.

Manlio Brigaglia, Lo sguardo straniero, ricercatori in Sardegna negli anni della “Rinascita” Quaderni boloranesi n° 16 1990, pagg. 13- 16.

 

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