A proposito del Piano di Rinascita del 1962. Quando la politica sarda sapeva, nonostante tutto, volare alto, di Giuseppe Serra
Pubblichiamo un articolo di Giuseppe Serra, studioso dei movimenti politici della Sardegna, che presenta “ Pianificare la modernizzazione. Istituzioni e classe politica in Sardegna (1959/1969”), pubblicato da Franco Angeli, recente saggio di Salvatore Mura, giovane storico dell’Università di Sassari.
Pubblichiamo un articolo di Giuseppe Serra, apprezzato studioso dei movimenti politici della Sardegna, in particolare delle aree di destra: suoi sono, fra gli altri, Le origini della destra in Sardegna. Il partito dell’uomo qualunque (1945-1956), prefato da Giuseppe Parlato, uscito per i tipi della Doramarkus nel 2010 e, con importanti integrazioni e parziale rielaborazione dei testi, rilanciato nel 2016 con il titolo Le origini del qualunquismo in Sardegna. Il Fronte dell’uomo qualunque 1945-1956, dal bresciano Cavinato editore International; nonché Neofascisti. Le origini del movimento sociale italiano in Sardegna 1943-1949, pubblicato (anch’esso con prefazione di Giuseppe Parlato) dal varesino Pietro Macchione Editore nello stesso 2016, cofirmato con Angelo Abis (a sua volta prolifico e documentatissimo studioso e saggista nonché instancabile promotore di cultura, dibattiti e convegni storici).
In questo articolo Serra propone una lettura interessante del recente lavoro di Salvatore Mura sulla Rinascita sarda: quella stagione politica – l’intero decennio 1959-1969 – è vista da un osservatorio politico che fu d’opposizione, ma inserita in un quadro largo di riferimenti politico-istituzionali, e in particolare delle istituzioni dell’autonomia (fino alle politiche contestative delle giunte Dettori e Del Rio), che costituisce da solo un contributo originale e rilevante alla conoscenza della storia del Novecento isolano. (gf. m.)
I giovani turchi e gli altri
Pianificare la modernizzazione. Istituzioni e classe politica in Sardegna (1959/1969), pubblicato da Franco Angeli, è un recente saggio di Salvatore Mura, un giovane storico dell’Università di Sassari che si è proposto di indagare la genesi e lo sviluppo del Piano di Rinascita in Sardegna. Lo studio di Mura, scrive Francesco Soddu nella prefazione, ha colmato una carenza della «storiografia sarda verso le istituzioni politiche dell’autonomia regionale e verso i protagonisti delle vicende che ne segnarono lo sviluppo», dato che, quelle stesse istituzioni politiche non ebbero un ruolo marginale «storicamente poco rilevante», ma ebbero invece un ruolo propulsivo e attivo. È un concetto, questo, che lo stesso autore sottolinea nella sua introduzione quando afferma che «la storiografia, in particolare quella economica, ha guardato soprattutto ai frutti dell’azione della classe politica, senza preoccuparsi di indagare abbastanza sulle radici delle scelte. Si è concentrata sui limiti e gli errori (sicuramente non pochi), ma non si è sforzata di comprendere, di spiegare l’origine di certe decisioni. È mancata un’indagine profonda sul contesto dell’epoca».
Si parlava del Piano di Rinascita, che trovò applicazione con la legge 588, dell’11 giugno 1962, approvata dal governo Fanfani. Erano misure legislative speciali, indirizzate al finanziamento dell’industrializzazione della Sardegna, al fine di porre un argine alle gravi tensioni sociali che si erano presentate già dopo le prime elezioni regionali del 1949. La necessità di un massiccio intervento esterno per promuovere nell’isola un processo di sviluppo sembrò a molti la soluzione più idonea per riuscire a strappare la Sardegna dalla sua condizione di povertà strutturale. Il dibattito coinvolse il mondo politico ed economico fino al punto che, a partire dalla fine degli anni ’50, due organismi, la Commissione di studio prima, il Gruppo di lavoro, operarono in modo da preparare il terreno alla legge nazionale dell’11 giugno 1962 n. 588 che prevedeva un consistente stanziamento di fondi (400 miliardi) per attivare il processo di sviluppo di cui si parlava.
A gestire questo delicatissimo momento della storia della Sardegna, avverte Mura, fu una nuova generazione di politici sassaresi, soprannominati dalla giornalista Egle Monti “giovani turchi”, i cui personaggi più noti erano Francesco Cossiga, Pietro Soddu, Paolo Dettori e il giovanissimo Beppe Pisanu, che nel marzo del 1956 riuscirono a conquistare la segreteria provinciale della Democrazia cristiana. I “giovani turchi”, pur giungendo a sintesi originali, erano influenzati dalla lezione di Dossetti e ritenevano che il liberalismo puro e la sua impostazione individualistica fossero lontani dai valori cristiani della solidarietà e della carità reciproca, nonché dalla concezione cattolica, secondo cui è dovere dello stato assistere i ceti più poveri e più deboli. Nel concepire una tale opera riformatrice, i “giovani turchi” fecero riferimento, nel campo economico, alla lezione di Keynes, concependo una crescita che avesse come cardini sia l’intervento pubblico, sia l’iniziativa privata. Dotati, indubbiamente, di grandi capacità politiche e culturali, questi giovani politici riuscirono a scalare i vertici della Dc isolana e ad occupare posizioni istituzionali sempre più importanti, fino ad arrivare a gestire direttamente il Piano di Rinascita.
Il 23 ottobre 1958, la giunta Brotzu, una giunta moderata, rassegnò le dimissioni, il suo successore Efisio Corrias aprì a sinistra e favorì l’ingresso di un rappresentante dei “giovani turchi”, Paolo Dettori, che assunse la guida dell’Assessorato al Lavoro e Pubblica Istruzione. L’ingresso di Dettori rappresentò una svolta, soprattutto dal punto di vista culturale, dato che diventarono più forti i richiami all’antifascismo e le destre (monarchici e missini) che fino a quel momento avevano lavorato nel pieno rispetto delle procedure democratiche, si videro precludere, scrive Mura, un futuro ingresso in giunta. La novità più importante di questa legislatura, sottolinea l’autore, fu però l’istituzione di un assessorato alla Rinascita, affidato a un esponente di spicco della Dc sassarese, Francesco Deriu, non coinvolto direttamente, nel gruppo storico dei “giovani turchi”, ma molto attento alla dottrina sociale della Chiesa. Il nuovo assessore, ricoprì l’incarico fino al 1963, ed ebbe il merito di accendere il dibattito sul Piano di Rinascita, riuscendo a coinvolgere il mondo politico, gli intellettuali e gli imprenditori. Fu un momento importante, e Mura lo ribadisce, di forte coesione, talmente forte da portare, nel 1959, anche i missini e i monarchici ad attuare un patto di desistenza nei confronti delle sinistre e della Dc. Un clima collaborativo che durò fino al 1960 quando, all’interno della Dc, divampò la lotta fra le correnti fautrici dell’apertura a sinistra, fortemente voluta da Aldo Moro, e quelle contrarie.
Il secondo governo Segni, dunque, un governo moderato che godeva dell’appoggio esterno dei liberali, dei monarchici e dei missini, entrò in crisi. Il 24 febbraio 1960, il futuro Presidente della Repubblica rassegnava le dimissioni e consegnava il paese a una delle crisi più complicate del dopoguerra, le cui ripercussioni si fecero sentire anche in ambito regionale, allentando la tensione positiva che aveva caratterizzato il 1959. La crisi in ambito nazionale veniva seguita con attenzione dalle sinistre che avvertivano la possibilità di poter conquistare una posizione privilegiata all’interno del movimento della Rinascita, egemonizzato dagli uomini della Dc. Il Pci, in particolare, per bocca del consigliere Ignazio Pirastu, intuendo il pericolo di un isolamento, per il graduale ma sempre più netto distacco dei socialisti, faceva un passo in avanti e, con una mozione, assumeva posizioni autonomistiche, richiamando all’unità di tutto il Consiglio fino ad includere il Movimento sociale italiano. Una mozione che causò non pochi imbarazzi al Msi, il quale però, nella sostanza, accettò la proposta del Pci tanto che, Alfredo Pazzaglia, uomo di punta del partito, rivendicò la libertà d’azione del Consiglio nei confronti di un Governo centrale che oramai interveniva su ogni singolo aspetto del Piano. Le destre, in definitiva, non si schierarono contro le linee guida della politica economica proposta dall’esecutivo regionale e lo dimostra l’intervento del consigliere missino Gavino Pinna che manifestava, nel 1960, la soddisfazione e l’orgoglio del gruppo consiliare del Movimento sociale italiano per la tappa raggiunta in vista del traguardo finale, ovvero lo sviluppo economico e sociale dell’isola. Va anche detto, però, che dall’intervento di Pinna trapelava il pragmatismo che avrebbe sempre contraddistinto la sua azione politica: la sfida, affermava il consigliere, sarebbe stata difficile a causa della sproporzione fra gli obiettivi, grandiosi, e i mezzi, limitati, di cui la Regione disponeva. Fu una voce attenta, scrive Mura, quella di Pinna, «ma non sufficiente a placare l’euforia generale diffusa fra i sardi».
Il 18 e 19 giugno 1961 si tennero le elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale che segnarono la vittoria della Democrazia cristiana e la disfatta dei monarchici che risentirono sia della crisi del partito a livello nazionale sia dell’assenza di un’organizzazione capillare a livello regionale. La sensibile diminuzione del numero dei consiglieri regionali di destra spinse la Dc a riprendere con più forza il dialogo con il Partito socialista che, l’8 e il 9 dicembre 1961, tenne a Cagliari la sua conferenza regionale. Per il Psi sardo la posta in gioco era alta: la partecipazione “organica” al governo della Regione o l’opposizione. I socialisti, intuendo il pericolo di una frattura interna, preferirono assumere una posizione d’attesa. Nei tre anni successivi, gli eventi politici nazionali (alla fine del 1963 si formava un governo organico di centrosinistra, presieduto da Aldo Moro) indussero i socialisti a riconsiderare il loro ruolo politico, ma questo passo non fu senza conseguenze dato che, anche nell’isola, si verificò la scissione del Partito socialista di unità proletaria, nato nei primi mesi del 1964. Fu per questo che il Partito socialista, preoccupato per la coesione interna, fu molto cauto nell’accettare le profferte della Democrazia cristiana. L’esperienza del centro-sinistra organico nell’isola arrivò in ritardo e soltanto dopo le elezioni regionali del 1965.
Pietro Soddu, che dirigeva l’assessorato alla Rinascita dal dicembre del 1963, avrebbe voluto un immediato ingresso dei socialisti in giunta, anche per riprendere il dialogo col governo centrale da una posizione di forza, con un nuovo alleato che avrebbe potuto far sentire la sua voce a livello nazionale. Durante la seduta consiliare del 15 luglio 1964, Soddu dichiarava che i poteri della Regione erano insufficienti. Proprio il 1964, viene individuato da Mura come l’anno del disincanto, l’anno in cui una parte della classe politica sarda intravide il concreto pericolo di non riuscire a dominare il fenomeno della Rinascita.
In queste condizioni di crisi dell’azione politica, aggravate dalla disoccupazione e dall’emigrazione, si arrivò alle elezioni regionali del 1965 che videro lo spostamento dei socialisti verso il centro. Le elezioni segnarono la sconfitta del Psiup, l’affermazione della Dc, e una parziale vittoria del Psi che aumentava il numero dei consiglieri. Le elezioni del 1965, dunque, spianarono la strada al centrosinistra ed emarginarono ancora di più le forze politiche di destra, l’attacco di Alfredo Pazzaglia, i cui interventi, fino a quel momento, si erano sempre distinti per il lucido pragmatismo, fu durissimo, tanto che il centrosinistra fu definito un patto clerico-marxista. Le elezioni dell’aprile 1966 portarono alla presidenza della Regione Paolo Dettori, esponente di spicco dei “giovani turchi”. Fu un momento difficilissimo: il banditismo e i sequestri di persona proiettarono all’esterno l’immagine di una Sardegna come di un’isola di banditi, si ebbe l’impressione che il processo di sviluppo si fosse all’improvviso bloccato, e che la Sardegna stesse mostrando, ancora una volta, il suo tradizionale volto antimoderno e “barbarico”. Dettori, animato dalla speranza che i mutamenti di natura economico-sociale innescati dal Piano di Rinascita avrebbero scardinato la piaga del banditismo, si fece promotore di una politica di aperta contestazione nei confronti di Roma e della stessa classe politica sarda che, presente nel Parlamento nazionale, veniva accusata di non fare quanto era possibile per gli interessi dell’isola e, anzi, di favorire i progetti e i comportamenti del Governo che mortificavano le istanze di autogoverno dei sardi. Le destre, in questa fase, si distinsero per aver avanzato una serie di proposte interessanti che solo a causa della “pregiudiziale antifascista” non raccolsero l’attenzione delle altre forze politiche. Alfredo Pazzaglia, ad esempio, nella seduta del 28 aprile 1966, proponeva una sua lucida analisi del piano di industrializzazione della Sardegna, un piano che, prevedendo un sviluppo per poli industriali, avrebbe inevitabilmente escluso le altre zone della Sardegna, creando dei pericolosi squilibri.
La giunta Dettori durò fino al febbraio 1967 e si trovò ad operare in una situazione ormai mutata, poiché il Comitato dei ministri per il Mezzogiorno aveva invitato la Regione a predisporre un piano quinquennale (1964-1969) in collegamento con il Piano quinquennale nazionale che era già in fase avanzata di elaborazione. La Regione Sardegna, quindi, dovette fare i conti con un progetto di pianificazione regionale inserito ormai in un contesto generale di attività programmata. Successe a Dettori un altro cattolico di sinistra, Giovanni Del Rio, ma oramai il contesto nazionale e internazionale erano completamente mutati: gli anni ’70 misero il mondo occidentale di fronte alla crisi petrolifera che influenzò pesantemente le sorti dell’economia, facendo impennare il prezzo dell’energia. L’isola non poteva essere esclusa da quei circuiti e pagò il conto di una crisi che delegittimò le scelte di quella classe politica che fu accusata non solo di inefficienza e corruzione, ma anche di aver permesso la devastazione del paesaggio di alcune delle località più suggestive del Mediterraneo. Mura, però, giunge a conclusioni diverse e assolve le scelte di quei politici di allora che, nel bene o nel male, si impegnarono a fondo per migliorare le condizioni materiali di vita delle popolazioni sarde. Fu una classe politica che scelse di «volare alto».
Salvatore Mura, Pianificare la modernizzazione. Istituzioni e classe politica in Sardegna 1959-1969, Franco Angeli, Milano 2015