Storia di un uomo libero, di Mario Cubeddu (seconda parte)
Può sembrare velleitaria l’ambizione di ricostruire la vita di un uomo sulla base di poche testimonianze frammentarie: una firma su un documento, la notizia su un periodico di cui vennero pubblicati pochi numeri, le voci della leggenda paesana. Ma non ci sono alternative. Quello che si può fare è tentare di estrarre dal quasi nulla tutta la verità possibile, mettendo i pochi dati a reagire insieme al molto che invece conosciamo del contesto in cui quella vita si svolse. Antonio Feurra consegna il 20 settembre 1919 il documento di congedo illimitato che attesta che sono finiti per lui i sei anni di servizio militare cominciati il 24 settembre 1913. Lo fa al rientro a Seneghe ed è il sindaco Francesco Pischedda in persona a consegnargli il pacco vestiario e le 250 lire che spettano ai soldati congedati. Possiamo immaginare l’uno di fronte all’altro due persone che incarnano l’antagonismo, il conflitto, proprio di quell’epoca. Da una parte il giovane soldato che ha speso sei anni della sua vita tra noia e sofferenze atroci. La morte in guerra dei cinquanta amici, coetanei e compaesani, viene pagata con medaglie commemorative senza valore e con una giubba, dei calzoni, un paio di scarpe e poche lire . Dall’altra il potente sindaco seneghese non solo non ha corso alcun rischio ma ha salvato dai pericoli del fronte parenti e amici, procurando loro esoneri variamente motivati (Alex Weingrod, Patrons, patronage and political parties, 1968). Su di lui inoltre circolano le voci che parlano dei sussidi che sarebbero dovuti andare alle famiglie e invece verrebbero pagati in ritardo, o decurtati dagli amministratori. I racconti orali sulla vita di Antonio Feurra a Seneghe negli anni successivi al congedo mettono in evidenza soprattutto il contrasto con il potente sindaco. Continua insomma la sua lotta contro un’autorità ritenuta vessatoria e ingiusta. In questo egli non è solo. I giovani soldati, gli ex combattenti, i mutilati, non vogliono solo giustizia, vogliono che la vecchia generazione lasci il potere ai giovani che hanno fatto la guerra. Una rivoluzione politica insomma, insieme a una rivoluzione economica e sociale che elimini i mali della società sarda. E’ un conflitto duro, difficile, sembra impossibile avere la meglio su un sistema di potere che ha messo radici profonde. I giovani reduci seneghesi hanno però dalla loro parte due tra i leader più capaci e stimati del movimento combattentistico: il giovane avvocato Antonio Putzolu e l’agronomo Paolo Pili. Dalla vicina Oristano, dove si sono trasferiti per motivi di lavoro, organizzano le sezioni di reduci che a partire dal 1921 diventeranno sezioni del Partito sardo d’azione. Durante il congresso del gennaio 1922 sono nominati, il primo responsabile regionale dei combattenti, l’altro direttore del Partito. Ma la loro affermazione in paese è duramente contrastata dal partito personale del sindaco che nel 1920 è stato eletto al Consiglio Provinciale di Oristano ed ha dalla sua anche il sostegno della massoneria. Lo scontro arriverà al culmine tra la primavera e l’estate nel 1923. Il contesto è ormai mutato rispetto ai primi anni del dopoguerra: la nomina di Benito Mussolini a capo del governo ha cambiato tutto. Le attese rivoluzionarie hanno prodotto un esito imprevisto: i fascisti sembrano rappresentare l’essenza dello spirito combattentistico e allo stesso tempo contenere nei loro messaggi e nella pratica politica l’esperienza socialista del suo capo e il nazionalismo vittimistico e revanscista della vittoria mutilata. Nella provincia sarda arriva raramente notizia della sopraffazione squadristica a danno degli avversari, per cui il movimento fascista è guardato anche con curiosità e interesse: potrebbe essere comunque meglio dell’arbitrio e dell’ingiustizia da cui sembra impossibile uscire. E’ ben nota la vicenda della conquista della Sardegna operata attraverso l’azione del generale Gandolfo, che riesce a convincere buona parte dei sardisti a entrare nel Partito Nazionale Fascista e a prenderne il comando. In questa operazione troviamo in prima fila i due leader seneghesi: Paolo Pili diventerà segretario della federazione di Cagliari e Antonio Putzolu sarà al suo fianco.
Occorre tenere presente che nello stesso periodo, e giocando in anticipo, il sindaco di Seneghe Pischedda è entrato in competizione con i due giovani leader dei combattenti per ottenere la fiducia del nuovo regime, costituendo una sezione fascista in paese nel marzo 1923 e organizzando il partito e la milizia nell’oristanese. A metà aprile 1923 si conclude però l’accordo tra Mussolini e Gandolfo e gli ex sardisti. Gli avversari politici del sindaco di Seneghe possono tirare su la testa ed agire. Il 23 aprile firmano un documento di accusa contro un uomo e una famiglia che, protetta nel passato dall’autorità tutoria [riferimento al potere dei Prefetti in età giolittiana] avvinta al carro della mala politica, trionfò sempre per mezzo di intimidazione, di promesse, d’alte protezioni e anche di favoreggiamenti nelle elezioni amministrative e politiche. Erario, esattoria, commissioni d’imposte, amministrazioni di confraternite, appalti di beni comunali: tutto è in arbitrio ed a disposizione d’un solo. Il Sindaco attuale –ch’è l’esponente della camarilla funesta- intuito che col governo di Benito Mussolini vi è poco da scherzare e temendo delle sorprese che potrebbero capovolgere il suo edificio fabbricato sulla pusillanimità ed ignoranza di questo popolo buono , ma troppo paziente e credenzone, tentò d’ingannare lo stesso governo col farsi paladino del fascismo…costituendo qui una sezione pseudo-fascista che gli servirebbe per fini inconfessabili di politica locale. Il documento viene fatto firmare da un gruppo che viene presentato come quello dei fascisti “veri”, contrapposti agli opportunisti. In realtà l’esame di questi nomi ci dice invece molto della qualità e della consistenza del movimento dei reduci a Seneghe. E’ un gruppo di giovani che rimane decisamente minoritario. Sono 117 firme che comprendono i due fratelli, il padre e il cognato di Antonio Putzolu, il fratello e il suocero di Paolo Pili e diversi giovani che portano le firme dei fratelli e dei parenti. Qualcuno è giovanissimo: pur non avendo potuto, per l’età, prendere parte alla guerra è al fianco del reduci nella loro lotta. Tra i firmatari c’è anche Antonio Feurra. E c’è in nome di altri artigiani della sinistra seneghese. Il documento avrà una risposta immediata. Il 30 aprile Paolo Pili risponde in questi termini: Provveduto. Fatta fusione e sciolto fascio camorristico creato da appena 15 giorni per salvare la posizione personale del signor Pischedda. Una conferma di quanto sulla fusione sardo-fascista e sull’entrata di Pili e Putzolu nel PNF abbiano avuto un’influenza determinante le vicende del conflitto personale, familiare e politico a Seneghe (Salvatore Lupo, Il fascismo. La politica in un regime totalitario 2005). La vittoria temporanea e apparente dei giovani innovatori seneghesi conoscerà ulteriori sviluppi nelle settimane successive con la sospensione del sindaco, la nomina di un commissario, l’avvio di un’inchiesta amministrativa culminata con l’arresto del sindaco Pischedda l’8 settembre 1923. Il trattamento è duro: verrà tenuto in prigione per 15 mesi in attesa del processo che lo vedrà assolto a gennaio del 1925.
E’ questo il contesto reale in cui Antonio Feurra opera le sue scelte umane e politiche in questi anni. Sono queste le persone che incontra, con cui parla, decide di agire. E’ l’ambito vasto e variegato della sinistra oristanese che va dal riformismo moderato di Felice Porcella al sindacalismo rivoluzionario, che intuiamo dietro la formazione di Antonio Putzolu, al socialismo massimalista di Antonio Fara. Prima ancora però ci sono i rapporti interni alla comunità, i contrasti tra famiglie, la lotta tra fazioni. In questo intreccio di relazioni nascono le scelte. Antonio Feurra partecipa alla lotta dei giovani leader sardofascisti, forse anche esponendosi più degli altri, se abbiamo indovinato gli elementi di generosità e scelte d’impeto e passione del suo carattere. Accanto a lui ci sono giovani come Cicito Ponti, segretario della Latteria Sociale, o Salvatore Mastinu che si arruola nella Guardia di Finanza. Può sembrare paradossale, ma la politica di massa con le regole del gioco democratico arriva in paese con il fascismo. Sono le prime sezioni di partito in cui ci si confronta sul terreno delle idee e dell’ambizione, con un ordine del giorno, votazioni, selezione di personale dirigente. Tutto questo durerà però soltanto per poco più di un anno. La notizia successiva che dovrebbe riguardare Antonio Feurra la troviamo sul foglio della Milizia d’Arborea dell’agosto 1926. Poche parole nello spazio riservato alle promozioni ed esclusioni: Radiazioni per emersi precedenti penali: Feurra Antonio di Seneghe. Nella Milizia si riversano gli esiti dei conflitti interni alle varie anime del fascismo oristanese. Nell’estate del 1926 è ormai esploso il conflitto tra Paolo Pili e Antonio Putzolu che porterà alla sconfitta del primo e alla sua espulsione dal partito. Anche se non è indicato il nome del padre, l’identificazione con il nostro personaggio ha molte probabilità di essere autentica perché non ci risultano altri seneghesi con quel nome in quella situazione. Il conflitto tra Pili e Putzolu produsse gravi conseguenze per i sostenitori del leader sconfitto, per i quali l’aria del paese divenne talmente irrespirabile che furono costretti a lasciarlo. C’è chi va a Oristano, chi a Cagliari. Non è escluso che Antonio Feurra sia stato il primo a farlo e che abbia lasciato la Sardegna per Roma ancor prima di questa espulsione di cui poco conto deve aver fatto. Crediamo inoltre che gli emersi precedenti penali di cui si parla come motivo della radiazione siano quelli relativi alla condanna da lui subita da soldato per insubordinazione, rispolverata in ambienti del Distretto militare per colpire sia lui sia Paolo Pili. Viene a proposito la memoria di un processo oristanese riferito a fatti accaduti nel 1927 che sembra documentare i rapporti di Pili con gli ambienti comunisti oristanesi e l’uso che ne venne fatto per screditarlo. In questo processo compaiono come testimoni due artigiani oristanesi notoriamente comunisti di cui si dice che dopo aver chiesto e ottenuto l’iscrizione alla sezione fascista di Oristano si sono trasferiti a Livorno dove hanno ripreso ad operare come comunisti. Tornati dopo qualche anno ad Oristano, hanno cercato di riprendere la tessera che avevano perso nel frattempo per morosità. Appoggiavano Paolo Pili nella sua lotta contro Antonio Putzolu. Sul fatto che Pili venisse considerato un sardista che cercava di salvare il salvabile del movimento degli ex combattenti sardi dopo la marcia su Roma abbiamo la testimonianza di Antonio Gramsci nella lettera al fratello Carlo del 22 marzo 1929, in cui scrive di ritenere che la sconfitta di Pili sia la sconfitta definitiva del Psd’a che Pili cercava di acclimatare nelle nuove forme politiche che attualmente sono dominanti. Di questa frase interessa qui il giudizio sull’operato di Pili, più che la valutazione del destino del Partito sardo d’azione che, come sappiamo, non fu in effetti di“ sconfitta definitiva”. Era stato Paolo Pili a far assumere Carlo Gramsci presso la federazione delle latterie cooperative da lui fondata. La non belligeranza tra piliani e comunisti in provincia di Oristano è infine documentata dal comportamento dei comunisti in occasione delle elezioni comunali ad Oristano dell’autunno del 1924; mentre tutte le opposizioni si coalizzavano nel clima unitario determinato dalla crisi Matteotti, i comunisti guidati da Antonio Fara formavano una lista i cui pochi voti contribuirono alla sostanziale parità del risultato, impedendo la vittoria chiara degli antifascisti.
Antonio Feurra lascia la Sardegna per Roma probabilmente nel 1926. Nulla si sa dell’arrivo nella capitale: dopo quanto tempo abbia trovato lavoro, quali contatti avesse in città, come si sia inserito nella vita cittadina, sono domande a cui non possiamo dare risposta. Possiamo supporre che abbia mantenuto dei contatti con dei commilitoni, può essersi proposto a un datore di lavoro con la sua patente di automobilista che poteva essergli utile più che a Seneghe. Quel che sappiamo è solo che trovò da lavorare ai mercati generali e si dedicò al commercio di frutta e verdura; veniva chiamato er patataro. Ai viaggi per rifornimento di materia prima possiamo collegare l’altro avvenimento importante nella vita di Antonio Feurra in questi anni: il matrimonio con Lavinia Angelucci. E’ un incontro tra persone mature che si piacciono e decidono di condividere una vita in comune. Lavinia è nata nel 1890 ed ha tre anni in più di Antonio. Lei proviene da Muccia, un paese vicino ai Monti Sibillini, in provincia di Macerata, tra le Marche e il Lazio, centro di scambio per i prodotti agricoli della zona. La vita di Antonio Feurra negli anni sino alla caduta del fascismo sembra essersi svolta nell’ambito del lavoro e della famiglia. Va ad abitare a Montesacro, un quartiere nuovo con villette abitate da famiglie borghesi e un importante agglomerato di popolani trasferiti dal centro storico in seguito agli sventramenti mussoliniani. Qui la famiglia Feurra- Angelucci, che non avrà figli, apre un negozio di frutta e verdura che garantisce un reddito discreto. Si sa che tornava spesso a Seneghe a trovare l’anziana madre e gli altri parenti. I compaesani ammiravano l’eleganza degli abiti cittadini, i nipotini adoravano la dolcezza dei frutti esotici che portava in regalo. Sognavano di poter prima o poi accompagnare lo zio in un viaggio verso la grande città di Roma. Antonio Feurra era legato soprattutto alla sorella maggiore Rosa, rimasta vedova del primo marito con un bambino, Vincenzo Lucchesu. Quest’ultimo sarebbe entrato a lavorare nella Società Elettrica Sarda grazie all’interessamento di Paolo Pili che ne era azionista. Rosa si era poi risposata ed aveva avuto ancora molti figli. Niente si è potuto trovare sino a questo momento riguardo a una attività politica antifascista di Antonio Feurra durante il regime. Non risulta che la sua partenza dalla Sardegna abbia suscitato attenzioni poliziesche e che sia stata segnalata dai carabinieri in Sardegna o dalla polizia fascista all’arrivo a Roma. Non è stata sinora trovata traccia del suo nome negli archivi dei commissariati romani né nel casellario politico centrale, diversamente da quanto avvenne ad esempio per Riziero Fantini, il compagno di Montesacro fucilato con lui a Forte Bravetta.
Cagliari, 30 dicembre 2017