Storia di un uomo libero, di Mario Cubeddu (prima parte)
CONDAGHE 2.0. Condaghe significa essenzialmente raccolta di documenti di vario genere. Con questo articolo vogliamo iniziare a ospitare degli interventi sul passato, il presente e il futuro della Sardegna. Il Condaghe è aperto ai contributi che vorranno essere forniti dai lettori e si ripromette di proporre un intervento diverso ogni settimana. Documento n° 3.
Il 23 aprile 1923 più di cento seneghesi sottoscrivono un documento di protesta contro la sezione “pseudo-fascista” inaugurata una settimana prima. La sua nascita sarebbe stata una turlupinatura. Il Sindaco liberale in carica l’avrebbe organizzata per mantenere il potere, adeguandosi al nuovo regime che comincia a prendere forma dopo che Benito Mussolini ha ricevuto l’incarico di capo del governo. Ai “falsi” fascisti, sostenuti da un sindaco massone, si contrappongono come “veri” fascisti gli ex sardisti comandati da Paolo Pili e Antonio Putzolu che solo pochi mesi prima erano rispettivamente Direttore del Partito Sardo d’Azione e responsabile dell’Associazione Combattenti regionale. Nonostante l’autorevolezza dei due personaggi, nel paese la maggioranza sostiene il Sindaco, abile a conquistarsi il sostegno della popolazione sia con i vecchi sistemi clientelari (non si contano i suoi compari di battesimo e di cresima) sia con i metodi più moderni dell’intraprendenza economica. Il primo cittadino è infatti anche un imprenditore caseario, uno degli uomini che erano stati vicini a Vincenzo Albano, industriale laziale tra i più importanti del settore, morto qualche anno prima. Quando è necessario alzare il tiro nello scontro tra fazioni, non si esita peraltro a ricorrere a intimidazioni e danneggiamenti. La precedente sezione fascista, creata in pochi giorni dal sindaco a Seneghe, aveva vantato più di 230 iscritti e aveva mostrato una formidabile capacità di mobilitazione. E, cosa quasi inaudita in Sardegna, al suo interno esisteva anche una sezione femminile, guidata dalle figlie del sindaco. Dopo la fusione i sardo-fascisti vanno alla riscossa e utilizzano il potere conquistato a Cagliari per avere il sopravvento nel paese. Paolo Pili fa parte del Triumvirato che governa il Partito fascista in Sardegna e sarà presto segretario del partito a Cagliari. Non è tollerabile che nel suo paese il partito rimanga nelle mani degli avversari degli ex-sardisti passati al fascismo.
Tra le firme che accompagnano il documento del 23 aprile 1923, preparato dagli amici di Pili e Putzolu, c’è anche quella di Antonio Feurra di Salvatore. La firma è chiara, la grafia scorrevole, c’è un segno di distinzione sociale e culturale anche nell’anteporre il nome al cognome, cosa che fanno solo altre due persone, un parente di Paolo Pili e il responsabile del Monte Granatico Sebastiano Pinna. Antonio Feurra è nato nel mese di settembre 1893; non ha ancora compiuto trenta anni. Dopo sei anni di servizio militare di cui si parlerà più avanti, congedato nel 1919, è tornato in paese e partecipa attivamente alle attività politiche dei reduci. Antonio Feurra sarà poco più di venti anni dopo una delle prime vittime dell’azione congiunta di fascisti ed SS nella Roma occupata dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943. Il 31 dicembre viene fucilato a Forte Bravetta insieme ad un gruppo di antifascisti suoi amici e conoscenti. Come è avvenuto che, dopo aver fatto parte della sezione sardo-fascista, sino probabilmente al 1926, Antonio Feurra sia diventato una delle poche figure eroiche dello striminzito antifascismo sardo? Una figura poco nota e trascurata, se si pensa che nel Museo della Resistenza di via Tasso il suo cognome figura ancora oggi deformato nella grafia “Ferola” invece di Feurra. La vicenda umana e politica di un uomo si lega alla sua storia personale, al suo carattere, alle sue passioni e alle sue insofferenze. Deve anche confrontarsi con le peculiarità dell’ambiente umano e sociale che lo ha formato, con le interazioni tra gli uomini, con i rapporti specifici di un determinato contesto. Quindi con la vicenda storica sarda dei primi del Novecento, a partire dall’ascesa all’interno dei paesi ad economia agricola e pastorale di figure nuove di mediatori economici e politici della dipendenza. A Seneghe la nuova epoca è rappresentati dal Sindaco di cui abbiamo parlato. E’ già stato trattato dagli storici il rapporto tra la ribellione che cova negli ex combattenti sardi e l’insofferenza manifestata in Italia dai gruppi dei giovani intellettuali radicali che si oppongono alla politica giolittiana, da Salvemini ai ‘vociani’. In Antonio Feurra c’è qualcosa di più e di diverso. Antonio Feurra appartiene a una famiglia che aveva conosciuto tempi migliori a cavallo tra Settecento e Ottocento, con ruoli di rilievo nelle istituzioni comunitarie e nel clero paesano. Il parroco progressista dell’età delle riforme e della rivoluzione, morto nel 1796, si chiamava Sebastiano Feurra. Nel corso dell’Ottocento la guerra per la proprietà scatenata dall’editto delle chiudende seleziona un numero ristretto di famiglie che presto prenderanno il sopravvento, impadronendosi sia delle terre migliori, sia del controllo dell’amministrazione comunale. Gli sconfitti saranno confinati in ruoli economici e sociali marginali, segnati dalla ruggine del risentimento.
Quella di Antonio Feurra è una famiglia di artigiani che, come tutti i seneghesi, posseggono una piccola proprietà terriera che gestiscono in proprio, o affidano ad altri per la coltivazione e il mantenimento di qualche capo di bestiame. Alla visita di leva, il 6 giugno 1913, Antonio Feurra dichiara di non sapere né leggere né scrivere e che la sua professione è quella di muratore. Il settore edilizio si è sviluppato dopo la seconda metà del secolo insieme al crescere della mole imponente della cupola della Parrocchiale e con la ristrutturazione dell’ordito urbano. La creazione dello “stradone” ha portato alla costruzione di una quinta di dignitose palazzine abitate dagli esponenti del nuovo ceto notabilare. Gli artigiani costituiscono il settore più aperto, vivace e intellettualmente irrequieto della popolazione, quello in cui trovano buona accoglienza le idee nuove. E’ il caso di ricordare che gli anni di “formazione” di Antonio Feurra sono anche gli anni della grande emigrazione dei sardi verso l’Argentina. Da lì, insieme a un nuovo abbigliamento, a gesti e parole inedite, portano anche nuove idee sui rapporti sociali e sui diritti dei lavoratori. Appare sorprendente l’analfabetismo dichiarato da Antonio Feurra, da accettare con molte riserve. L’analfabetismo riguarda infatti la pratica della lingua italiana, effettivamente molto limitata. Lingua d’uso e lingua di “cultura” è in effetti quasi esclusivamente il sardo, che si legge e si scrive nei fogli volanti delle canzoni e nei quaderni in cui esse sono trascritte. C’è una forma di snobismo ribellistico in questo rifiuto di essere inclusi tra le persone colte, perché nell’adolescenza e nella prima giovinezza di Antonio Feurra non sono mancati i contatti con una realtà intellettuale diversa, anche se nulla si sa di eventuali letture da lui fatte. Il ricordo sopravvissuto di amici e coetanei della Seneghe di inizio secolo individua una figura di riferimento per i giovani ribelli di allora: Demetrio Bozzoni. Era un giovane studente che leggeva libri e giornali ai compagni coetanei analfabeti. Anch’egli nei primi anni Venti fu amico dei sardo-fascisti Putzolu e Pili, a cui era legato anche dalla parentela. Oggi a Seneghe quasi nessuno lo ricorda, soprattutto perché si trasferì ancora giovane a Pisa, dove completò la formazione universitaria e diventò insegnante e poi preside. Nella provincia di Pisa alla caduta del fascismo fu leader politico importante e rispettato. Luciano della Mea lo definisce insegnante sardo-comunista. In realtà andrebbe definito più propriamente sardo-anarchico, come suggerisce Antonello Satta, perché anarchica era stata la sua formazione giovanile e la sua militanza politica termina con la battaglia per far avere giustizia al giovane anarchico sardo Franco Serantini, ucciso dalla polizia nel 1972. (Antonello Satta: Cronache del sottosuolo. La Barbagia).
L’insofferenza verso ogni tipo di autorità sembra caratterizzare Antonio Feurra nella mitologia paesana e nelle prime testimonianze della sua vita. Nella società locale poteva vedere lo sfruttamento dei braccianti agricoli, dei bambini che trasportavano fascine dal bosco comunale per pochi centesimi. Vi erano poi le donne, doppiamente sfruttate con il misero salario della servitù e con l’abuso sessuale. Lo stesso Bozzoni era figlio di una giovane ostetrica abusata da un notabile di paese che lo aveva allevato da sola grazie anche alla solidarietà di tutto il paese. L’ingiustizia e il sopruso sembravano dominare il mondo. La contestazione di un’autorità ritenuta ingiusta e oppressiva appare con maggiore evidenza durante il lunghissimo servizio militare. Antonio Feurra ha la sfortuna di appartenere alla classe di leva che sta per finire il periodo normale di servizio quando nel 1914 scoppia la guerra in Europa e viene quindi trattenuta in ferma prolungata. Al momento della prima visita egli deve aver colpito in maniera particolare i selezionatori perché, nonostante si dichiari analfabeta, viene assegnato alla sezione specialisti del Genio, quella in cui si sperimentano le nuove armi per una guerra che avrà caratteri assolutamente inediti. Sta muovendo i primi passi l’arma aerea, destinata a dominare il futuro, basata prima sui dirigibili e poi soprattutto sugli aeroplani. Antonio Feurra viene assegnato al Battaglione Dirigibilisti, termine che deve sembrare troppo banale, visto che viene corretto nel più dannunziano Battaglione Aerostieri. Da qui nascerà l’aviazione militare italiana.
Arriva al Forte Trionfale di Roma nel settembre 1913 e il primo anno di servizio militare trascorre senza problemi. La città e la novità dell’ambiente e del lavoro sembrano coinvolgerlo in maniera positiva. Un anno dopo, nel novembre del 1914, si ammala e viene mandato a casa in convalescenza per 90 giorni. Nell’estate è scoppiata la guerra sul fronte francese e si discute l’intervento italiano. Dobbiamo supporre che tutto fosse tranne che un interventista perché, immediatamente dopo il rientro al corpo, comincia la “guerriglia” del soldato Feurra contro l’esercito italiano. Il suo Battaglione è stato inviato a Casarsa del Friuli. Un mese prima che l’Italia entri in guerra, nell’aprile 1915, comincia la registrazione nel suo fascicolo dei giorni di consegna o di rigore che gli vengono inflitte per mancanze riscontrate da caporali, sergenti e ufficiali. La consegna prevede che il soldato non possa andare la sera in libera uscita e rimanga confinato nella camerata, il rigore invece comporta la reclusione nella prigione della caserma. Abbiamo definito guerriglia il confronto che Antonio Feurra ingaggia con le strutture militari e non crediamo di aver esagerato, dal momento che nel corso di un anno e mezzo di servizio militare gli vengono assegnati 80 giorni di arresto di rigore e 63 giorni di consegna. Un giorno su tre gli viene impedito di uscire dalla caserma. L’insofferenza a questa proibizione è uno dei motivi che contribuiscono a gonfiare la valanga di provvedimenti contro di lui; Antonio Feurra esce ugualmente, disposto a subire ulteriori punizioni piuttosto che rinunciare alla propria libertà di movimento. Arriva ad infilarsi di nascosto negli automezzi in uscita, pur di non sottostare alle punizioni. All’origine di tutto vi è però il suo atteggiamento di rifiuto della subordinazione nei confronti dell’autorità. Poca deferenza verso il sergente Ottaviani, contegno poco corretto verso il caporale Dessì, battibecchi con chi lo rimprovera, ritardi nell’alzarsi al suono della sveglia. Tra le punizioni merita una segnalazione particolare quella che gli viene inflitta il 15 maggio 1915, dieci giorni prima dell’entrata in guerra dell’Italia. Viene punito per qualcosa che ha fatto durante la licenza in paese. Si può fare l’ipotesi di una sua partecipazione a proteste contro l’intervento in guerra, contro la retorica bellicista. Quel che si sa di certo è che le autorità comunali intervengono presso il comando, ottenendo che gli venga inflitta la punizione di 15 giorni di cella di rigore. La crescita continua della contrapposizione all’autorità sfocia infine nell’arresto per insubordinazione e nel deferimento al giudizio del Tribunale Militare che opera in zona di guerra. Nella sentenza del 13 marzo 1917 all’origine del rinvio a giudizio vi sarebbe stato uno scontro col caporale Giuseppe Lo Iacono che Antonio Feurra avrebbe insultato come stupido e ignorante, aggiungendo che gli aveva rotto il c…. (così nell’atto). Viene condannato alla reclusione militare per quattro anni. Finire in galera mentre infuria una guerra che sta provocando un’ecatombe è il sogno della maggior parte dei soldati; è comprensibile che la condanna venga sospesa e che egli venga condannato a continuare a fare il soldato, con tutte le probabilità di essere ucciso o ferito che questa condizione comporta. Antonio Feurra viene quindi liberato e assegnato alla compagnia zappatori del genio, quella che prepara la strada in prima linea agli assalti, una delle più esposte ai pericoli. Nei mesi successivi il suo comportamento si “normalizza”, anche perché lo spirito dell’autodifesa, soprattutto dopo Caporetto, coinvolge anche i più ribelli. Viene congedato il 20 settembre 1919, a quasi un anno dalla fine della guerra e a sei anni dall’arruolamento. Ritorna alla vita civile con la qualifica di automobilista. Sa guidare una macchina, qualità più utile in una grande città che non nel paese dove ritorna. Sul documento di congedo c’è la sua firma, tanto disinvolta da confermare i dubbi sul suo reale analfabetismo.
By loi gesuino, 26 dicembre 2017 @ 11:42
Ottimo articolo (c’è un refuso : ” un mese prima che l’Italia entri in guerra, aprile 1915 e non 2015) .