All’università di Sassari, un convegno di testimonianze biografiche su Armandino Corona, di Gianfranco Murtas
Nel pomeriggio del prossimo sabato 16 dicembre si terrà, nell’aula magna dell’università di Sassari, con spirito di liberalità concessa dal rettore dell’università, un incontro a più voci sulla figura umana, professionale, politica ed istituzionale, nonché massonica, di Armando Corona (Villaputzu 1921 – Cagliari 2009). Questo il titolo: “Armando Corona: l’Uomo, il Politico, il Gran Maestro”.
Contestando in particolare la location sono intervenuti finora, sugli organi di stampa locali o nella rete, il giornalista e scrittore Vindice Lecis, la federazione sassarese del Partito Comunista Italiano e un lettore della Nuova Sardegna (Giorgio Simula) al quale ha risposto – offrendo una valutazione opposta – il professor Manlio Brigaglia, storico fra quelli che io di più amo per studi ma anche per vissuto di democratico (fra le sue molte stagioni lo ricordo anche autorevole direttore del settimanale Il lunedì – redatto ma non firmato dai giornalisti del quotidiano sassarese alla ricerca, allora, di terra franca dal dominio petrolchimico di Rovelli – e civilmente impegnato con certa intellettualità cattolica per il no alla abrogazione della legge sul divorzio nello stesso 1974).
Io sono stato richiesto di essere il relatore biografico, dunque il relatore di base chiamato a riepilogare, ordinandoli e interpretandoli, gli elementi centrali della vicenda umana e pubblica di una personalità fra le più significative della politica sarda del Novecento oltreché gran maestro di Palazzo Giustiniani dopo la buriana e le compromissioni della P2 di Licio Gelli.
Personalmente avrei preferito una sede altra rispetto a quella dell’ateneo, proprio per evitare malintesi sgradevoli, restando ancora estranea a un sentire generale la Massoneria. Lo spirito liberale del professor Carpinelli e, evidentemente, dei competenti organi della storica e magnifica università di Sassari – che fu anche quella di Francesco Cossiga, ripetutamente difensore dal palazzo del Quirinale del Grande Oriente d’Italia, bersagliato da innumerevoli e (a mio parere) immotivati j’accuse – ha deciso altrimenti e v’è soltanto da prenderne atto. Si tratterà pertanto soltanto di vedere se il convegno programmato sia, nelle intenzioni e in fatto, un atto collettivo di deferenza agiografica verso la memoria di Armando Corona, o sia un passaggio critico – nel senso migliore e più compiuto del termine – di un vissuto che ha attraversato, nell’Isola nostra, i campi vasti del servizio medico pubblico, della politica partitica (regionale e nazionale), delle istituzioni dell’autonomia, ed anche la Massoneria. Dico: la Massoneria regolare come luogo di incontro umanistico, oltreché umanitario, fra i protagonisti dell’intero arco professionale, culturale e civile in cui si declina la nostra vita sociale.
Sono stato amico, mai ubbidiente e sempre leale, di Corona, che incontrai – allora io ancora adolescente e iscritto alla Federazione Giovanile Repubblicana – nelle stanze cagliaritane del Partito Repubblicano Italiano che giusto quel giorno, il 21 marzo 1971, presente l’on. Ugo La Malfa, accoglieva nelle sue fila il Movimento Sardista Autonomista, scissionista dal PSd’A (antico alleato ma ormai condizionato da una crescente anima indipendentista e nazionalitaria), che in Corona godeva di uno dei suoi leader più attivi e intraprendenti.
Con alterne intensità il rapporto durò quasi quarant’anni, e sia nei momenti di prossimità che in quelli di distacco gli elementi costitutivi delle sue esperienze pubbliche mi sono stati presenti, o apposta partecipati, tanto da poterne concludere, senza falsa modestia, di essere io in grado di dire di lui con abbondante cognizione di causa, ben oltre gli aspetti privati, sia su questioni politiche (regionali e generali) e/o istituzionali, sia su questioni massoniche.
Ci unì l’amore ad Asproni e quello alla democrazia repubblicana che assorbiva, nel concreto, e pur con tutti i suoi limiti, anche l’esperienza sardista (fino al 1968), ci unì la consapevolezza che la Massoneria fosse una società laica di discussione, una società umanitaria e idealista con forte vocazione libertaria e di responsabilità sociale; ci separò nel tempo della cosiddetta “seconda Repubblica” il giudizio sulle nuove formazioni in campo, come Forza Italia e la scempia comunità dei suoi alleati irridenti al tricolore, ci separò anche una differente sensibilità circa… quanto dovesse sembrare quel che doveva essere: intendo il messaggio “al popolo” (chiamalo meno romanticamente “pubblica opinione”) di una azione politica franca da interessi partigiani, come fu degli uomini migliori dell’azionismo, del repubblicanesimo, del sardismo.
In ordine alla Massoneria – pur non avendo io vincolo di tessera e dunque alcuna autorità di interlocuzione “interna” – ci divise nell’ultima stagione, quella anche della sua malattia, il suo crescente distanziamento dal Grande Oriente d’Italia e l’accostamento, assolutamente improprio, a una sigla senza storia e anzi coacervo di pulsioni, umori e mentalità all’opposto di quelle che avevano animato, e accreditato anche a livello internazionale, il Corona lucido Gran Maestro fra il 1982 e il 1990, così come prima il presidente della Corte Centrale e, in Sardegna, il Venerabile della loggia Hiram e il presidente del Collegio regionale dei magistra liberi muratori.
Nessuna agiografia darebbe onore a una personalità complessa – tanto ricca quanto complessa – come è stata quella di Armando Corona. La sua memoria vive nella considerazione che ogni uomo si rivela nelle sue contraddizioni, e come appare giusto siano pesate e misurate (sempre con misericordia) le sue cadute, altrettanto deve accadere, in positivo, per le sue illuminazioni e per le scelte oneste e giuste effettuate nelle circostanze più diverse e per il bene generale.
Mi auguro che dal complesso delle testimonianze, e fra esse singolarmente da quella che sarà portata dall’on. Pietrino Soddu – presidente della giunta regionale che, nella stagione dell’unità autonomistica (con l’on. Raggio alla presidenza del Consiglio), vide per la prima volta Armando Corona nel ruolo di assessore – possano recuperarsi e lumeggiarsi le intuizioni e le fatiche di quel che egli (e associati a lui ricorderei almeno Nino Ruiu e Lello Puddu) rappresentava sulla scena politica: la minoranza repubblicana, erede di una grande scuola di pensiero patriottico e democratico.
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Bisognerebbe andare con aggiornamenti ad horas. Ho visto una pagina intera, oggi giovedì 14, sulla Nuova: “La polemica. La massoneria in aula magna? E’ bufera”, con un aggiuntivo taglio basso: “Lobby e potere: è solo leggenda. Aldo Meloni: Sono adepto da una vita. Miglioriamo la società, io lo sto facendo”. E s’aggiungono altri elementi di informazione e di giudizio, e per tutto e per tutti c’è spazio.
Mi sono ricordato in queste ore che la prima scomunica ai massoni venne perché la loggia (clandestina) romana, al tempo dello Stato Pontificio e della ghigliottina che fu azionata per l’ultima volta dal beato Pio IX nel 1868, e allora per sempre fermata da una geniale campagna nazionale organizzata dal massone e repubblicano Giorgio Asproni, derivò alla fin fine perché nel Tempio solevano riunirsi insieme, senza gerarchie etniche o religiose, protestanti inglesi, ebrei romani e diversi cattolici troppo anticipatori dell’ecumenismo di Giovanni XXIII e Paolo VI, e anche degli ultimi papi.
Mi sono ricordato, a proposito di Sassari, che giusto settant’anni fa, nel 1947, il gran maestro Guido Laj – subsindaco di Roma liberata e già funzionario della Pubblica Istruzione di radici tutte cagliaritane e cultura e passione e testimonianza tutte antifasciste – venne proprio nella “Valle del Turritano e del Bunnari” per un incontro con la Fratellanza sarda. Qualcuno salì da Cagliari e dall’Oristanese, qualcuno arrivò dalla Gallura, i sassaresi erano in numero orgogliosi di non aver abbattuto, nel 1925, le Colonne ed aver continuato a riunirsi segretamente, onde schivare l’occhio della polizia di regime, nel retrofarmacia di Vittore Simon. Partecipava anche il dignitario leader del Rito Scozzese, Giovanni Mori, pure lui di specchiata moralità e fede antifascista social-radicale.
E, ancora a proposito di Sassari, mi sono ricordato anche di un’altra circostanza, della partecipazione cioè di grandi figure della cultura e insieme della democrazia dell’Isola alle tornate della loggia Gio.Maria Angioy (dal 1893) e prima ancora (dal 1867) della Goffredo Mameli. La città – quella che in gergo muratorio si chiama “Oriente” – aveva zampillato molte belle personalità dell’accademia e delle professioni, della politica e della pubblicistica, alcune le aveva generate, altre le aveva accolte e adottate e condivise magari con le altre compagini locali, la Efisio Tola e la Roma.
Da Sassari, che aveva dato i natali al Fratello Giovanni Antonio Sanna – esiste ancora il museo Sanna nel capoluogo? – e dato spazio alle attività del Vergara (così prossimo ai versi kiplinghiani della “loggia madre”) e dell’Ortolani (il rettore convittiano autore, nel 1865, del magari ingenuo e datato ma non disprezzabile dramma storico titolato “Amsicora”), era venuta su tutta una fioritura di ingegni – così bisogna chiamarli –che meriterebbero una rassegna biografica, con collocazione nei campi rispettivi di attività e nell’intreccio della vita civica.
Degni dell’università, degni de La Nuova Sardegna, certamente non indegni del Partito Comunista Italiano firmatario di un recente comunicato, ecc. potrebbero essere Pasquale Umana, medico rettore dell’università di Cagliari e deputato e magari Salvatore Delogu, braccio destro del ministro (massone) Coppino, nell’impianto della laica prima riforma scolastica postunitaria? Potrebbero essere Gavino Soro Pirino, patrono della società mutualistica operaia e coscienza nobile di Sassari tanto da raccogliere attorno a sé il foro intero della città (compresa la quota monarchica) quando fu processato per vilipendio al re, oppure Pompeo Calvia, il poeta padre dei versi di “Tattari Mannu”? O Paolo Merlo il medico – c’è un ospedale intitolato così, come a Cagliari il Binaghi e il Businco? – e, a proposito di arti sanitarie, Agostino Cossu Rocca e Antonio Zanfarino (il nonno di Cossiga)? O i Clemente e i Vincentelli? O magari Angelo Roth, che fu pure rettore e sottosegretario, accademico come Claudio Fermi igienista e microbiologo? O ancora Luigi Falchi, letterato e critico letterario, ed Antonio Mocci, storico e archeologo come l’Ettore Pais? O l’industriale Francesco Sisini, e magari – bersagliato dai fascisti (sfogliare per prova le ultime annate de La Nuova Sardegna, e anche del fasciomoro Il Giornale di Sardegna) – uno psichiatra come Annibale Rovasio, sardista e repubblicano, o un artista come Attilio Nigra, o Mario Berlinguer l’amendoliano?
Coraggio. Gli spazi di ricerca per collegare l’oggi al passato remoto e recente, per studiare prima di giudicare, per indagare il nero e il bianco, la virtù e i limiti o le contraddizioni dell’umano, ci sono tutti.
Armando Corona ha vissuto il suo tempo, con le sue contraddizioni come è per ciascuno di noi. Da uomo pubblico era tenuto a un di più di virtù: ma a dire delle sue cadute bisognerebbe essere documentati, e non accontentarsi delle scorse ai titoli di giornale, e del replay stanco e conformista di quelli che gli argomenti-contro li colgono, come ammonisce Bertold Brecht, con “gli orecchi della spia”, paghi di sapere tutto: “Sono coloro che non riflettono, a non dubitare mai. / Splendida è la loro digestione, infallibile il loro giudizio. / Non credono ai fatti, credono solo a se stessi. / Se occorre, tanto peggio per i fatti. / La pazienza che han con se stessi è sconfinata. / Gli argomenti li odono con gli orecchi della spia”.
Di Corona politico dovrò parlare, perché a tanto invitato, così come del Corona gran maestro. La storia di ciascuno, per quel che si è fatto e scritto lungo tutta una vita, darà o negherà conforto alla dichiarata indipendenza nel giudizio storico, se storia noi possiamo definire oggi, a soltanto otto anni dalla scomparsa del protagonista, quanto sarà il ripasso delle vicende in agenda.
Nella biografia umana, personale e pubblica, di Armando Corona io credo esistano stagioni molto diverse fra di loro, e il contributo che vorrei portare è un contributo non soltanto di testimonianza ma anche di giudizio in rapporto o confronto alle tavole valoriali affermate nel presidio delle scelte e delle azioni compiute nel tempo, nella politica non meno che nella massoneria. Vedremo se saremo, e se sarò, all’altezza. Ma certamente – e mi riferisco qui ai massoni in primo luogo (verso cui ho consentaneità ideale pur senza vincolo di tessera) – sarà necessario da parte di tutti uno sforzo di tendenziale compiutezza nella ricostruzione di episodi-chiave e, ancor più, di un habitus comportamentale più spesso sostenuto con gli osanna degli acritici o affrontato con il dileggio degli ipersapienti, che conosciuto nella sua realtà autentica.