La Corsica al voto: “Autonomisti ma a modo nostro”. Domenica urne aperte, “nazionalisti” favoriti. “Determinati, però non siamo la Catalogna”, di Anais Ginori
La Francia teme un effetto Catalogna sul voto in Corsica previsto domenica prossima. I 230mila abitanti dell’isola devono infatti eleggere i 63 consiglieri della nuova struttura del governo regionale e la lista unitaria “Pé a Corsica”, composta dai “nazionalisti” che chiedono più autonomia, è data per favorita contro la lista appoggiata dal presidente francese Emmanuel Macron.
Un tiepido sole attraversa le palme del parco affacciato sul lungomare. Nel bel edificio tardo ottocentesco, dove un tempo svernavano i regnanti d’Europa, molte stanze sono vuote. La porta dell’emiciclo è chiusa. Le sedute sono sospese per la campagna elettorale. La nascita dell’Assemblée de Corse, da cui emana il Conseil exécutif, il governo locale, fu una delle prime vittorie dell’isola irredentista, trentacinque anni fa. «Ci ritruvaremu u 2 di ghjinnaghju di u 2018», è il messaggio all’ingresso. Il 2 gennaio si riunirà la nuova Collectivité de Corse, ultima tappa nell’allontanamento dalla capitale, un sogno inseguito da decenni prima con la lotta armata, ora con la battaglia nelle urne. «La fase della clandestinità è finita, ci confrontiamo con l’esercizio del potere». Aria da intellettuale, completo scuro, Jean-Guy Talamoni non ha il piglio del rivoluzionario. Nell’ufficio del presidente dell’Assemblée de Corse è impossibile rintracciare una bandiera francese. Talamoni predilige la lingua corsa che utilizza nei comunicati, nei tweet, e alla quale ha dedicato un erudito dizionario. Alle cerimonie ufficiali non canta la Marsigliese ma si alza in piedi, «per rispetto». Se parla del governo di Parigi, dice «la Francia», Paese straniero seppur «amico», precisa. Lui è «corso, europeo». Per coerenza, aggiunge, non ha mai votato a un’elezione presidenziale. Si definisce cattolico, i suoi comizi finiscono sempre con l’inno dell’isola dedicato alla Vergine Maria, «Dio vi salvi Regina». Ama l’Italia anche se ricorda la data più crudele, il 1768, quando la Repubblica di Genova diede in pegno l’isola per pagare i suoi debiti con la Francia. Qualche mese fa è venuto a Roma per incontrare Papa Francesco. «Ho chiesto al Pontefice di pregare per la Corsica», ci racconta. Dietro le quinte, spera che il Vaticano possa intercedere per i cosiddetti «prigionieri politici». Durante gli Anni di Piombo sull’isola, Talamoni è stato l’avvocato di molti combattenti del Flnc (Front de libération nationale corse). Minacciato da faide rivali, il leader di Corsica Libera ha vissuto sotto scorta. Un pedigree simile a quello del “premier” Gilles Simeoni che, oltre a essere figlio di uno dei fondatori del Flnc, ha difeso in tribunale il militante condannato per aver ucciso un prefetto nel 1998. La vittoria di Simeoni come sindaco di Bastia, nel 2014, ha segnato la svolta politica di quelli che qui si fanno chiamare “nazionalisti”, nulla da spartire con partiti come il Front national. Qualche mese dopo l’exploit a Bastia, il Flnc ha annunciato la fine della lotta armata. Poi c’è stato il successo dell’alleanza tra l’autonomista Simeoni e l’indipendentista Talamoni alle regionali 2015, seguita da quello alle politiche del giugno scorso. La loro lista “Pè a Corsica” è favorita allo scrutinio di domenica. “Un Paese da fà”, si legge sui manifesti. Comizi pieni, i ragazzi intonano canti tradizionali, la bandiera con la Testa Mora è ovunque. Il politologo André Fazi insegna all’università di Corte, dove ogni estate si radunano i movimenti indipendentisti, compresi quelli sardi. Sui muri della città si vedono ancora scritte inneggianti al Flnc, all’Ira, all’Eta. «È una fase conclusa, i nazionalisti si sono istituzionalizzati», osserva il politologo. Abbandonando la clandestinità, «i candidati nazionalisti rappresentano una boccata di aria fresca, sono volti nuovi, hanno una spinta ideale — continua Fazi — in un mondo politico dominato per decenni da una casta corrotta». Anche il partito di Macron, En Marche!, ha difficoltà a sbarcare sull’isola. Il sindaco di Bonifacio, Jean-Charles Orsucci, scelto dal Presidente, dovrebbe ritrovarsi al ballottaggio del 10 dicembre ma condannato alla sconfitta, a meno che la destra divisa non scelga di appoggiarlo. Le strade di Ajaccio sono già addobbate a festa. La probabile vittoria dei nazionalisti non sarà un terremoto né per la Francia, né per l’Europa. Di referendum, secessione, dichiarazione di indipendenza, nessuno parla. Più modestamente, l’obiettivo è un “percorso di autodeterminazione” con proposte come insegnare il corso in tutte le scuole, lottare contro la speculazione immobiliare dei “continentali”, i francesi che comprano ville. La Catalogna è un miraggio. «La Corsica è in una situazione diversa», commenta Talamoni. Se qualcuno lo chiama “Puigdemont corso” storce il naso. Uno è pacifista, l’altro non ha mai rinnegato il conflitto armato contro lo Stato. Uno è a capo di una regione economicamente avanzata, l’altro governa un’isola bellissima, ricca di cultura e Storia, ma che rappresenta solo lo 0,4% del Pil della Francia. Se ci fosse oggi una consultazione popolare per proporre la secessione, la maggioranza degli abitanti risponderebbe di no. «I tempi non sono ancora maturi», ammette Talamoni. Salvo poi aggiungere: «Ho 57 anni. Se Dio vuole, spero di vedere la Corsica libera prima di morire».
La Repubblica, 29 novembre 2017