I PRECEDENTI STORICI DELL’ISTANZA INDIPENDENTISTA IN CATALOGNA, di Federico Francioni – ULTIME NOTIZIE: La Catalogna vota sì all’indipendenza, il Senato di Madrid approva l’applicazione del 155. La Spagna vota la revoca dell’autonomia. La risposta del parlamento regionale è netta: «la Catalogna sarà una repubblica» .
L’Inquisizione spagnola in Sardegna contro la rivolta dei catalani – La proclamazione della Repubblica catalana nel 1641, nel 1873, nel 1931 e nel 1934 – I diritti insopprimibili dei popoli, compreso quello sardo – Conclusioni.
Il dibattito, che anche in Sardegna si è sviluppato sulle vicende catalane (mi riferisco in particolare agli articoli comparsi su “La Nuova Sardegna” e su questo stesso sito), ha trascurato, in qualche misura, un più puntuale riferimento ad alcuni passaggi cruciali della storia. Vediamone alcuni.
L’Inquisizione spagnola in Sardegna contro la rivolta dei catalani. Il 10 gennaio 1641 gli inquisitori don Miguel de Cardona Montoya y Gentil e don Juan Espina Velasco, con una lettera spedita dal Castello di Sassari, sede sarda del Sant’Uffizio, informavano il Consiglio supremo dello stesso organismo che aveva sede a Madrid: una cassa di “libri”, così erano definiti, era stata rinvenuta, durante un sopralluogo, da un commissario, un ufficiale incaricato dalla stessa Inquisizione di effettuare i controlli sulle navi arrivate a Porto Torres. Si tenga presente che gli uomini del “Santo” Tribunale avevano diritto ad accedere per primi sul naviglio approdato. Da Sassari i giudici precisavano che il materiale era stato inviato da Barcellona al mercante sassarese Andrea Nuseo, il quale avrebbe dovuto smistarlo ad esponenti di spicco della nobiltà sarda, ai vertici delle gerarchie ecclesiastiche, a città e comunità dell’isola. Insomma, dalla Catalogna provenivano preziose informazioni e, in fondo, anche un appello ai ceti dirigenti locali ed agli Stamenti, l’antico Parlamento isolano.
La proclamazione della Repubblica catalana nel 1641, nel 1873, nel 1931 e nel 1934. Il titolo del testo, finito nel mirino e nei sospetti degli inquisitori spagnoli della Sardegna, era: Justificación en conciencia y proclamación a la catholica y real magestad de Phelipe IV el grande; in proposito il consistente volume del compianto Angelo Rundine, su Inquisizione spagnola, censura e libri proibiti in Sardegna, ha contribuito a smantellare lo stolto paradigma di un’isola costantemente tagliata fuori dalle grandi correnti culturali e politiche d’Europa. Al di là delle parole altisonanti rivolte al sovrano, in effetti la situazione catalana era marcata dalla rivolta dei segadors (mietitori), all’interno della più generale lotta contro il rapace fiscalismo, la politica espansionista e l’esasperato centralismo di Gaspar de Guzmán, conte-duca d’Olivares, favorito e ministro dello stesso Filippo IV. Il conflitto era destinato a sfociare in scontro armato. Contro Madrid, i vertici catalani si allearono con il re di Francia Luigi XIII. Il 1641 è l’anno cruciale in cui l’ecclesiastico Pau Claris proclama la Repubblica catalana.
Lo Stato catalano inoltre fu dichiarato nel 1873 da Baldomer Lostau. Nel 1931 Francesc Maciá fu protagonista dello stesso atto, così come fece nel 1934 Lluis Companys. Quest’ultimo, finito in esilio in Francia, venne arrestato con la collaborazione della Gestapo, tradotto in Spagna e condannato alla fucilazione. Si tenga presente che in questi tre casi ci si batteva per uno Stato catalano all’interno di una Repubblica Federale iberica.
Gianfranco ed Alberto Contu, Vanni Lobrano e Giuseppe Usai hanno più volte egregiamente chiarito differenze e distanze tra le vie che conducono all’autonomia, allo Stato federale, a quello indipendente e sovrano, nonché alla Confederazione: tuttavia queste indispensabili precisazioni non devono indurci a sminuire la valenza di rottura radicale costituita da quelle storiche decisioni.
Ho ricordato le date cruciali del 1641, del 1873, del 1931 e del 1934 per ribadire che la richiesta, sostanziale, di indipendenza della Catalogna affonda le sue radici in un passato anche lontano.
I diritti insopprimibili dei popoli, compreso quello sardo. Non ci stiamo muovendo solo sul terreno di un giusnaturalismo ripensato e sviluppato dall’illuminismo. L’autodeterminazione, il dret a decidir, è un diritto insopprimibile dei popoli. In particolare, il giovane politologo Carlo Pala (autore di uno stimolante ed informato volume sull’indipendentismo sardo) e Paolo Fois, docente emerito di Diritto internazionale nell’Università di Sassari (quest’ultimo con la sua consueta, invidiabile chiarezza espositiva), hanno avuto il merito di distinguere la dimensione della legalità da quella della legittimità di determinate rivendicazioni; di ricordarci inoltre che il diritto dei popoli a decidere sul proprio destino è riconosciuto dalle Nazioni Unite.
Ripensando a quanto Bachisio Bandinu ha opportunamente scritto in questo sito, viene da chiedersi: come mai l’Unione europea ha riconosciuto, da una parte, l’indipendenza della Slovenia (in un baleno, si può dire), mentre, dall’altra, l’ha negata alla Catalogna? La risposta non è difficile: ce l’hanno fornita da tempo gli amici scozzesi, irlandesi e baschi. L’Unione europea dell’austerity, del liberismo selvaggio e della distruzione del Welfare State si è mossa in piena sintonia con i poteri internazionali, economici e finanziari “forti”, interessati a smantellare la Federazione jugoslava ed a mantenere in soggezione la Catalogna.
Conclusioni. Su “La Nuova Sardegna” e su questo sito si è esplicitata, fra l’altro, la posizione di quanti hanno sottolineato che i catalani furono i colonizzatori della nostra terra (si veda al riguardo la lunga citazione, virgolettata, contenuta nell’ultimo articolo di Salvatore Cubeddu). Bene, la domanda è questa: Lluis Companys, fucilato dopo il trionfo del franchismo, è un erede del monarca catalano-aragonese Pietro IV il Cerimonioso e degli altri sovrani iberici colonizzatori? Mettendo sullo stesso piano Pietro IV, Companys e coloro che attualmente si battono per l’indipendenza catalana non significa forse fare d’ogni erba un fascio? Non dimostra tutto ciò l’incapacità di distinguere fra Stati e nazioni, fra dirigenti e diretti, come diceva Antonio Gramsci, fra classi dominanti e popoli? Non palesa forse una più o meno smaccata trascuratezza della storia?