L’infinita guerra catalana per recuperare l’antica libertà, di Salvatore Cubeddu
L’EDITORIALE DELLE DOMENICA, della FONDAZIONE.
Continuiamo a seguire con passione, nei giornali e nei siti spagnoli e italiani, il procedere dello scontro tra le istituzioni e le società catalane e spagnole interrogandoci e confrontando quello con le altre situazioni similari, tipo la nostra, di sardi scontenti della nostra autonomia. Limitiamoci, in questo editoriale, a svolgere solo alcune osservazioni visto che lezioni più approfondite per le nostre riflessioni matureranno meglio in corso d’opera (opera “loro”).
Che sia in atto una guerra è chiaro ed è nelle cose, in questa forma, che non prevede lo scorrimento di sangue e si esprime attraverso il rispetto formale delle leggi. Leggi differenti, quelle scritte nella costituzione e nell’ordinamento dello stato spagnolo, e quelle ‘naturali’, espresse solo a partire dai secoli della modernità e che non ha trovato ancora un suo sicuro tribunale, quello dell’autodeterminazione dei popoli. Tutto si svolgerà avendo presenti le reazioni delle opinioni pubbliche democratiche e quindi attraverso ‘la propaganda’ verso l’esterno ed il compattamento al proprio interno, dei catalani indipendentisti tra loro e degli ‘altri’ intorno allo stato, che mira a mobilitare una volta per tutte le opinioni non indipendentiste del territorio ‘ribelle’.
Non c’è da aspettarsi di più, tipo organizzazioni paramilitari, attentati, lotta armata e tutti quegli strumenti che, fino a non molto tempo fa, venivano utilizzati dai movimenti di liberazione nazionale. A meno che non si tratti di provocazioni, più probabili da parte dello stato spagnolo. Non bastasse l’esempio dell’Irlanda del Nord, a dimostrare l’impossibilità in Europa, da parte di settori armati delle società, di vincere militarmente contro un stato, l’ancora recente rinuncia alla lotta armata nei Paesi Baschi rappresenta la dimostrazione lampante di una tesi mai praticata in una Catalogna pianeggiante ed industriosamente mercantile. Infatti lo stesso stato spagnolo ha dovuto scusarsi per le modalità di intervento della Guardia Civil nella sua azione per impedire il referendum, nel corso del quale non risulta che nessuno delle centinaia di feriti sia arrivato alla morte. Fatto che offre la misura della qualità (fenomenologicamente nuova) dello scontro in atto, avendo pure presente che taluni capi di quei poliziotti sono gli eredi della polizia della dittatura franchista e di quanto sia altresì facile arrivare al morto nelle piazze e nelle strade degli stati delle ‘società aperte’.
Con la decisione di intraprendere la punizione istituzionale dell’indipendentismo catalano attraverso il commissariamento della Generalitat continua il programma che già ha previsto e messo in atto il terrorismo economico ed il dispiegamento della disponibilità dei grandi media contro la dirigenza catalana, verso la quale inizia a procedere la magistratura ordinaria. Ma pure questo è messo nel conto: il responsabile militare dei Mossos d’Esqudra va al processo quasi fosse a capo di un esercito nazionale catalano solo provvisoriamente sconfitto, nel mentre i due leader intellettuali si incamminano verso la prigionia salutando come antichi martiri cristiani, sicuri ed in attesa del paradiso promesso: la Catalogna,libera anche attraverso le proprie sofferenze.
E’ chiaro, che sta tutta qui la forza di questo popolo, nel suo interno rapportarsi e nella qualità della sua leadership, nella propria coscienza storica e nella comune solidarietà verso la causa. E, quindi, in questa straordinari saggezza politica, in questo fair play collettivo di chi conosce il nemico e sa rispondere ai suoi comportamenti.
Ma, purtroppo, già si intravvedono lo sbocco e la fase finale della questione presente: le elezioni per il rinnovo del parlamento dopo il prevedibile suo scioglimento, i cui risultati saranno risolutivi di questo emozionante conflitto di fronte al mondo. Già prima del referendum l’indipendenza era data ad una percentuale di consenso nelle urne di poco più del 40%. La spaccatura della società catalana e l’azione a largo raggio delle forze politiche ed istituzionali spagnole posseggono chances ben più favorevoli nel rafforzare l’isolamento catalano da parte degli stati europei e quindi nel negargli ogni e qualsiasi etero-riconoscimento. Per ora, almeno.
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Una seconda osservazione riguarda noi sardi osservatori. Risulta acuto quanto mi ha proposto il messaggio di un caro amico. Trascrivo e poi rispondo attraverso questo articolo.
Curiosa questa unanime solidarietà dei sardi, dai vertici istituzionali della Regione sino all’ultimo dei commentatori su facebook, con l’indipendentismo catalano. Curiosa e piuttosto ambigua, con aspetti di delega di responsabilità e di vita altrui sognata e immaginata come se fosse la propria. Un’attitudine psicologica in cui siamo maestri. Con la memoria storica messa tranquillamente in soffitta. Perché di tutte le dominazioni che i sardi ebbero a subire nella storia, quella dei catalani fu senz’altro una delle peggiori. Tanto che, a un secolo dal loro arrivo nell’isola, nel 1410, i sardi furono costretti a stipulare la pace di san Martino a Oristano perché “la nazione sarda è arrivata sull’orlo dell’estinzione”. I sardi, guidati dalla casata degli Arborea, combatterono una guerra di resistenza di 150 anni da cui uscirono sconfitti rovinosamente, privati di ruolo storico, di lingua, cultura, controllo del loro territorio, condannati a una condizione di totale subalternità. C’è bisogno di ricordare l’espulsione dei sardi dalle cittadelle delle città dominate dai catalani, quelle di Cagliari e di Alghero? Quest’ultima città, i cui abitanti sardi (vedere i loro cognomi) si considerano catalani, conservano solo la lingua degli antichi dominatori, perché la popolazione catalana venne decimata dalle pestilenze del Seicento o decise di tornarsene in patria. Alghero fu ripopolata da sardi che adottarono la lingua dei loro padroni, come sono soliti fare. A confronto con i catalani i piemontesi, di cui si ricorda la cacciata il giorno di Sa Die de sa Sardigna, si possono considerare in effetti dei benefattori del popolo sardo. Cosa ne pensi?
In un’intervista a L’Unione Sarda di domenica scorsa Gavino Sale riferiva che i suoi amici indipendentisti catalani considerano i 150 anni della guerra nazionale dei sardi guidati dagli Arborea come il loro Vietnam. Risulta anche a me e la frustrazione della classe dirigente catalana di allora è presentissima nei quattro romanzi che hanno come centro proprio la storia di Barcellona, scritta con enorme successo da Ildefonso Falcones de Sierra. L’ultimo re della dinastia che riconoscono autoctona, Martino il Giovane, è sepolto nella cattedrale di Cagliari (prima o poi ce ne richiederanno le spoglie).
Con i Catalani ed i loro competitors spagnoli la Sardegna ha conosciuto un feudalesimo che ci ha fatto arretrare nella storia. Ma spagnolo era anche il regno di Napoli, la Sicilia, Milano. Nella loro considerazione, però, non avevano pagato prezzi così grossi nella conquista. In Sardegna avevano versato per decenni il sangue dei loro migliori soldati e cavalieri.
Negli ultimi cento anni il sardismo ha avuto quattro incontri alla pari ed in termini di (soprattutto nostra) generosità: con il primo sardismo, faro di libertà dei popoli nel primo dopoguerra (vedi “la lettera ai fratelli di Catalogna”); nella guerra di Spagna, con il battaglione sardista e la sua bandiera; negli anni ’60, con la rappresentanza internazionale dei Catalani in clandestinità affidata ad Antonio Simon Mossa; nel 1978, quando una delegazione che doveva ricostruire le istituzioni post franchiste venne in Sardegna per confrontarsi con le nostre istituzioni autonomiste.
Da allora i rapporti si intensificano, si stabilizzano, ma si evolvono nel differente mutare delle due società, con la Catalogna che vola verso la ricchezza della prima regione della Spagna e con la Sardegna degli ultimi quarant’anni che precipita verso una condizione di impoverita regione da terzo mondo.
Il fenomeno catalano, che ha ricostruito un’identità forte in tutte le dimensioni (economico, civile, sociale, culturale) vuole fare il salto istituzionale verso l’indipendenza. La liberazione nazionale della Sardegna conserva ancora motivazioni, condizioni e comportamenti da ribellione del tardo neocolonialismo. Lo si vede anche in taluni atteggiamenti di alcune nostre presenze a Barcellona.
Barcellona utilizza come Milano l’argomento della protesta fiscale, leit motiv dei ricchi, che si tratti di territori europei o dei miliardari anglosassoni. La differenza tra le due città è nel fatto che Milano è all’origine dell’unità statale italiana, di cui ha goduto infiniti vantaggi. Barcellona è sempre stata competitiva con Madrid, avendola preceduta in grandezza e potenza. Barcellona ha mantenuto ed aumentato in identità con la modernizzazione. Milano non può vantare un’identità spendibile distinguibile dall’Italia, al cui interno è egemone sotto vari aspetti.
Eppure entrambe lamentano di pagare più di quello che ricevono dai rispettivi stati. Dimenticando quanto da sempre è stato loro offerto.
Ma, in questo, noi siamo fuori gioco, essendo stati (ed essendo) al servizio militare, economico, culturale e sociale dello stato italiano (e non solo).
Come vedi, caro il mio amico, c’è ancora tanto da riflettere e da ragionare. Continuiamo a parlarne.