In Facoltà Teologica a dibattere sulle ultime fatiche storiografiche di Tonino Cabizzosu, di Gianfranco Murtas
Organizzata dalla facoltà Teologica della Sardegna, intitolata al Sacro Cuore, ora al suo novantesimo anniversario (che la sua istituzione, come superamento dei due collegi teologici di Cagliari e Sassari e della cattedra del seminario diocesano di Oristano, avvenne in combinazione con l’esordio anche del seminario regionale in Cuglieri, giusto nell’autunno 1927) – si è svolta lo scorso 13 ottobre una serata di presentazione degli ultimi due lavori pubblicati da Tonino Cabizzosu.
Ne hanno parlato Luca Lecis e Giorgio Puddu, dell’università di Cagliari, riferendosi rispettivamente a Per una storia del Seminario Regionale di Cuglieri (1927-1971) ed al quarto volume miscellaneo Ricerche socio-religiose sulla Chiesa sarda tra ‘800 e ‘900. A me è stato chiesto di trattare di Alcuni aspetti della produzione storiografica complessiva di don Cabizzosu, che ormai conta oltre cinquanta fra saggi e monografie (per non dire delle migliaia di articoli). Ha moderato il direttore editoriale de L’Unione Sarda, Gianni Filippini. In apertura hanno portato il saluto della facoltà e del seminario rispettivamente il preside Francesco Màceri e il rettore Antonello Mura. Ha concluso il nuovo arcivescovo di Sassari Gian Franco Saba.
Attento e numeroso il pubblico, in larga prevalenza costituito da laici, pur se non sono mancati vescovi – segnatamente Arrigo Miglio e Antioco Piseddu –, presbiteri e seminaristi, professori della facoltà, religiosi e suore di diverse congregazioni.
Qui di seguito riporto il testo del mio contributo.
Formazione di uno storico
Ho il compito di accennare a tanto autore, a lui e alla sua produzione. Lo farò come mi capitava nelle comunità di padre Morittu, venti e passa anni fa, quando dovevo parlare di una qualche personalità già in benedizione o ancora fresca fra noi, e magari ospite da presentare ai ragazzi, tracciando quelle coordinate spaziali e temporali che aiutano sempre, collocando, a capire.
Quali perciò le coordinate personali, intellettuali ed ecclesiali, di don Tonino Cabizzosu che oggi celebriamo per la duplice contemporanea uscita di nuovi titoli della sua produzione: la quarta miscellanea delle ricerche socio-religiose e il primo tomo della trilogia cuglieritana?
Goceanese di Illorai – la Illorai di Damiano Filia, quel vicario generale di Sassari che ha consegnato il suo nome alla Chiesa e alla cultura isolana per i pregevoli volumi da lui pubblicati su “La Sardegna Cristiana”.
Don Tonino è figlio di un territorio anche religiosamente ricco di storia e, imbevuto di tanta storia da ragazzino, non poteva che diventare da adulto lo storico militante che conosciamo, e che alla sua Chiesa locale ha dedicato tanti studi: si pensi alle diocesi medievali di Bisarcio e di Castro, e in questo inevitabile rimando ai tempi remoti ci rimbalza subito il nome di un vescovo titolare – vescovo di Castro –, quello del nostro indimenticato padre Giuseppe Pittau, nostro gesuita villacidrese, per lunghissimi anni rettore della università Sophia di Tokio.
Classe 1950, come a dire figlio –, don Cabizzosu – di un tempo che, chiusa la fatica ricostruttiva e normalizzatrice dell’immediato dopoguerra e ancora pagando alti prezzi alle urgenze della emigrazione, si avviava da noi ad un certo lento sviluppo modernizzatore.
Undicesimo figlio, don Cabizzosu: di Giuseppe Agostino, obriere di San Pietro e anche di San Sebastiano, più volte consigliere comunale, cavaliere di Vittorio Veneto; e di Mattia, donna del grembiule e degli amori verticali e orizzontali, come l’avrebbe definita un altro don Tonino, don Tonino Bello: madre perduta giusto un anno prima della ordinazione del più giovane della sua prole, da lei sognato prete prima ancora della nascita.
Studente, dopo le primarie in paese, presso il collegio vescovile di Brugnato (La Spezia), e poi dai salesiani di Lanusei e del Mandrione nella capitale: negli anni del Concilio e immediatamente successivi al Concilio.
L’adolescente si forma negli anni del Concilio. E’ un imprinting che dà senso e orientamento non soltanto alle fatiche ecclesiali che verranno, di don Cabizzosu, ma alla sua stessa vita di uomo e di cristiano, combinando insieme fattori ciascuno con una sua propria autonomia.
Il liceo a Cuglieri, e anche il primo anno di teologia, gli altri tre a Cagliari: matura così la duplice esperienza di cui avrebbe riferito, rielaborando con la tensione dello storico quella che poteva essere soltanto testimonianza personale. Così in “Percorsi di fede e ricerca scientifica di un presbitero sardo”, il libro di riflessioni dato alle stampe nel suo 25° di messa.
E valga qui il ricordo affettuoso di un presule a molti carissimo, quel don Paolo Carta che, al tempo amministratore apostolico di Ozieri, oltreché metropolita sassarese, impose le mani dell’apostolo sul capo del giovane chierico, spedito poi subito – estate del 1975 – a far da viceparroco per quattro anni a Berchidda: la patria letteraria di don Pedru Casu, figura luminosa nei ponti di collegamento fra Chiesa e cultura civile e popolare.
Il secondo step della sua stagione ancora formativa fu quello, di nuovo romano, della Gregoriana. Chi consente di far specializzare in Storia della Chiesa il giovane viceparroco di Berchidda è il nuovo vescovo di Ozieri, don Giovanni Pisanu. E un altro vescovo nostro ma emigrato nelle diocesi unite di Spoleto e Norcia, don Ottorino Pietro Alberti, entra in partita, assicurando a don Tonino il parrocato domenicale di Poggio Lavarino e Giuncano, frazioni entrambe di Terni, in Valnerina.
Le lezioni alla Gregoriana. I professori i più qualificati, riferimento maggiore il padre Giacomo Martina, amico-guida epistolare dai tempi di Berchidda. Diciotto gli studenti del primo corso: tre italiani e quindici provenienti dai continenti. Per lui licenza nei due anni, dottorato summa cum laude al quarto.
Ma per capire il Tonino Cabizzosu uomo e prete e storico della Chiesa dobbiamo ancora impegnarci in un nuovo focus, di lato a quello dell’ordinamento degli studi nella Gregoriana, nel vivo di quella scuola storiografica che rimanda a don Giuseppe De Luca – alla storia della Chiesa interna alla storia sociale cioè – ed a quella consapevolezza che il Nostro un giorno testimonierà così: “Ho toccato per mano l’importanza della faticosa conquista ora per ora, giorno per giorno della verità parziale e totale, che alla fine è una persona: Gesù Cristo”. Per dire dello storico che è prete, prima di tutto prete.
Quale nuovo focus? Quello della residenza nell’ex studentato sacramentino, aggregato alla parrocchia romana dei Martiri Canadesi: una comunità di sacerdoti, ex religiosi, seminaristi e laici, una dozzina in tutto: “un ambiente umanamente accogliente.., [contro] ogni chiusura clericale. Il clima di universalità che si respirava a Roma, l’apertura mentale di alcuni docenti, gli studi storici che mi hanno insegnato il divenire e il dinamismo della Chiesa e della società, furono fattori concomitanti che contribuirono notevolmente ad aprire la mia mente”.
Il corso di archivistica, con cento colleghi, presso l’Archivio Segreto Vaticano, il corso di biblioteconomia presso la Biblioteca Apostolica Vaticana. La discussione della tesi, presente anche l’arcivescovo Alberti, amico e protettore, ma alla sarda, senza invadenze. La possibilità di restare a Roma, parroco urbano e poi chissà che cosa, e però la scelta, al contrario, di tornare a servire in Sardegna: responsabile della pastorale giovanile di Ozieri, la cattedra alla facoltà teologica del Sacro Cuore, in sua costanza per dieci anni il parrocato a Bottida e nel 1995 il trasferimento a Cagliari per la direzione dell’Archivio Storico Diocesano secondo la fortissima volontà proprio di don Ottorino, in diocesi da noi ormai dal gennaio 1988, ben consapevole del dovere di presidiare con il massimo della competenza quel sito documentario preziosissimo.
Negli ultimi quattro anni: il ritorno ad Ozieri, il parrocato ad Ardara, quello attuale ad Ittireddu, la direzione dei beni culturali fra le memorie diocesane di Bisarcio e Castro e le realtà d’oggi, fra archivio e museo e biblioteca. E sempre l’insegnamento in facoltà teologica. E sempre anche, ad avanzamenti progressivi, la ricerca storica, la produzione saggistica, le pubblicazioni, le conferenze.
La storia come sistema di complessità
Dirò adesso in sintesi estrema – in quattro minuti quattro – dell’articolazione tematica di questa ricerca e di questa produzione che supera ormai la cinquantina di titoli.
Ho creduto di poter classificare l’intera storiografia di Tonino Cabizzosu in quattro filoni fondamentali a sfondo – m’importa dirlo – sempre sardo: per il che può valere un riferimento diretto a don Giuseppe De Luca che s’era confessato appartenente all’Italia “meno italiana che esista… [la Basilicata, per] gran tempo albergo di vari signori, e non casa nostra soltanto, sicché sembriamo, noi, senza volto”;
perché riflette e aggiunge Cabizzosu: così anche noi sardi, “Ma vogliamo sottolineare una differenza di fondo: lo spadroneggiare di varie dominazione nell’isola, nel corso dei secoli, ci ha impoveriti, ci ha frustrati… ma non ci ha privati della nostra identità; il nostro volto è rimasto, l’anima tipicamente sarda ha convissuto… con le più svariate ed arbitrarie imposizioni esterne”. Di tanto è prova la tesi di laurea poi pubblicata con prefazione di padre Martina. Dunque:
—I testimoni/profeti, iniziatori di nuove presenze così in campo caritativo come in campo contemplativo;
—gli uomini del clero e dell’episcopato che, fra luci ed ombre, tanto più lungo il secondo Ottocento ed il primo Novecento, sono arrivati alla stagione del Concilio nel governo di ambiti particolari di responsabilità ecclesiale;
—gli istituti religiosi e soprattutto quelli femminili, al cui interno s’alzano diverse stature esemplari di madri fondatrici e superiore;
—le istituzioni formative del clero, focalizzando il seminario regionale e la facoltà.
Non posso riproporre tutti i titoli, vado per flash ai soggetti.
I testimoni/profeti: ripensiamo a Virgilio Angioni, a Salvatore Vico, a Felice Prinetti, a Giovanni Battista Manzella – gli ultimi due presentati in diverse edizioni;
Presbiteri e vescovi fra Ottocento e Novecento: farei qui riferimento alle monografie su Giuseppe Ruju, su Salvatore Casu, sul diario di Gesuino Mulas, al volume Pastori e intellettuali nella Chiesa del Novecento (si tratta di venticinque profili di ecclesiastici di diversa vocazione e missione ed appartenenti alle varie diocesi sarde), allo spesso contributo (condiviso con me) su Antonio Tedde, ai due tomi su I vescovi sardi al Concilio Vaticano II, rispettivo sottotitolo: Fonti e Protagonisti (e qui si tratta di ventuno precisi focus documentari); aggiungerei le due curatele dei collettanei Studi in onore di Ottorino Pietro Alberti (il presidente del Concilio Plenario Sardo conclusosi nel 2001 e da subito piuttosto rimosso, sembrerebbe, dalle priorità della CES) e in onore del Cardinale Mario Francesco Pompedda; aggiungerei inoltre la curatela (parzialmente condivisa con Francesco Atzeni) dei volumi sull’episcopato sardo (è uscito il Dizionario biografico del Settecento) e sulle pastorali e circolari degli arcivescovi cagliaritani Balestra, Rossi e Piovella;
Famiglie e figure di religiose, lo spazio femminile nella Chiesa: dalla curatela (condivisa ancora con Atzeni) della raccolta sulle Congregazioni Religiose e Istituti Secolari sorti in Sardegna negli ultimi cento anni, ai lavori sugli epistolari di Evaristo Madeddu (fondatore degli Evaristiani) e di Maria Agnese Tribbioli (fondatrice delle Pie Operaie di San Giuseppe), sul diario spirituale di Bianca/Candida Pirisino (figlia di Gesù Crocifisso), su Maria Michela Dui (“trappista barbaricina vittima per i sacerdoti”), sino al miscellaneo Donna, Chiesa e società sarda nel Novecento (cento pagine di inquadramento tematico e nuove biografie, fra esse quelle di Maria Giovanna Dore, di Bruna Maxia, di Beniamina Piredda, di Maddalena Brigaglia, di Edvige Carboni, di Agostina Demuro ecc. ed altri approfondimenti sulle figlie di Maria Ausiliatrice, sulle Figlie della Carità, sulle Missionarie Figlie di Gesù Crocifisso, sulle Piccole Suore di San Filippo Neri, sulle Giuseppine, ecc.);
merita al riguardo evidenziare l’interesse speciale, di lui prete secolare ma cresciuto fra salesiani e gesuiti, alle esperienze congregazionali delle consacrate alla vita religiosa, e, in tale contesto, allo specifico della vocazione femminile che riconosciamo – opinione mia ma credo anche sua – finora mortificata, in quanto a promozioni a responsabilità ecclesiali generali: e speriamo che il prossimo diaconato, se ci sarà, possa costituire non una clericalizzazione, sempre sconveniente a detta di papa Bergoglio, ma una affermazione di status;
a latere di tutto questo, richiamerei i lavori sulle preziosità dell’Archivio Storico Diocesano di Cagliari e sulle classifiche dei Quinque libri dell’archidiocesi, nonché quelli sulla Chiesa diocesana di Ozieri (a partire dalla Divina Disponente Clementia di Pio VII per arrivare ai convegni del bicentenario) ed anche sul periodico Voce del Logudoro, ed altri ancora sulle tradizioni liturgiche e paraliturgiche sarde come S’Iscravamentu goceanino;
a latere anche, ovviamente, le quattro miscellanee socio-religiose che coprono gli anni 1984-2010, un centinaio di contributi in tutto, fra testi di conferenze, introduzioni a lavori d’altro autore, partecipazioni a collettanee ecc.;
—Infine ecco le istituzioni formative del clero sardo: cospicui i contributi rifluiti in Theologica ed Historica, importante il saggio sull’insegnamento teologico cuglieritano presente in Iuventuti docendae ac educandae (“Per gli ottant’anni della Facoltà Teologica della Sardegna”) curato insieme con Luciano Armando, ed ora siamo al volume sui primi quarantaquattro anni di vita del Seminario Regionale.
L’istituzione e la profezia
Da professore don Cabizzosu vive intensamente, e anche con preoccupazione, la problematica della formazione dei nuovi presbiteri in una società aperta e complessa come è l’attuale: bisognosa mille volte di spirito conciliare, partecipativo e sociale, critico, intelligente cioè, e insieme comunionale, non di arretramenti quali sono quelli che, tanto nella liturgia quanto nella ecclesiologia, il professor Melloni chiama “anticaglie”, riferendosi a risorgenti suggestioni lefebvriane, pur tanto presenti (dolentemente e aggressivamente) in Sardegna, che nulla hanno a che fare con la tradizione, che invece è stata la riscoperta piena del Vaticano II – dalle fonti ad oggi, non dal Cinquecento ad oggi! E’ questione grave, questa, e mi piace qui, concludendo, richiamare il nome del caro amico nostro don Efisio Spettu, per lunghi anni rettore del Seminario Regionale, ora in benedizione, e richiamare i suoi appelli documentati e rimasti inascoltati del 2005 e del 2010.
Ho finito. A me sembra che lo spirito conciliare che innerva l’intera produzione storiografica di Tonino Cabizzosu di analisi dei dati di fatto, si riveli, proprio attraverso la valorizzazione di diverse figure e scene sociali, nell’ansia che un giorno l’istituzione e la profezia coincidano e non siano più i termini di una dialettica che troppe volte – ma questa è soprattutto una mia opinione – ha fatto e fa soffrire inutilmente: mi vien da pensare oggi – accanto ai Prinetti, agli Angioni, ai Madeddu, ai Mulas ecc. richiamati da Cabizzosu – a don Milani e a don Mazzolari, ma potrei dire anche a padre Turoldo e a padre Balducci, e aggiungerei Ernesto Buonaiuti; e altre sofferenze ha procurato a chi è nel maggior raggio sociale, dalla famiglia di Welby cui sono stati negati i funerali religiosi (come un tempo – un tempo – avveniva per i suicidi e anche i bimbi senza battesimo sepolti in terra sconsacrata), alla umanità di tante compagini allargate od arcobaleno, per restare nell’etica del fine vita e delle prossimità affettive, perché ogni chiusura è perdita secca per la Chiesa chiamata ad accompagnare e a farsi accompagnare, non a giudicare: per questo uomini controcorrente, anticonvenzionali, anticipatori perché “nella/della sequela”, come il canonico Tommaso Muzzetto, vicario capitolare di Tempio-Ampurias che invita Pio IX a liberarsi lui dal fardello del potere temporale (e, direi, anche della ghigliottina azionata fino alla vigilia di Porta Pia), diventano come una icona, ispiratori della storia liberatrice che se teatro avrà nella società civile, ben può o dovrebbe averlo, e prima ancora, nella società ecclesiale.