Carl Bernstein, leggendario giornalista del Washington Post che scoperchiò il caso Watergate: “La presidenza Trump più pericolosa del caso Watergate”, di Alain Elkan
la stampa il 08/10/2017
Il motto di Carl Bernstein, leggendario giornalista del Washington Post che negli Anni 70 scoperchiò il caso Watergate, è che un giornalista deve dare la migliore versione disponibile della verità: «Questo è il senso, la missione del giornalismo».
I giornalisti oggi seguono questo principio?
«Non si possono fare generalizzazioni di massa sul giornalismo. Oggi in America c’è un’enorme quantità di ottimo giornalismo, ma si fanno anche cose terribili in suo nome. Le grandi testate giornalistiche tradizionali sono molto meno numerose rispetto a 40 anni fa».
Il loro è un buon giornalismo?
«Le inchieste del Washington Post, New York Times e Wall Street Journal, tre grandi istituzioni giornalistiche, sono molto buone e sono state fenomenali nel seguire la presidenza di Trump. È la rinascita del grande giornalismo di inchiesta, una storia dopo l’altra. Il giornalismo televisivo è invece tutt’altra bestia, anche se c’è stata un’ottima copertura sulla presidenza di Trump in TV, soprattutto sulla TV via cavo, sia con Cnn e Msnbc».
Oggi gli Stati Uniti d’ America hanno un Presidente contro la stampa come mai prima d’ ora?
«È più complicato di così. Trump disdegna e odia una stampa veritiera quando è lui stesso a esserne l’argomento, ma Donald Trump adora la stampa in modo perverso. Ha manipolato la stampa da giovane: oggi non sarebbe niente senza il suo uso personale dei tabloid newyorkesi – il Daily News e il New York Post – negli anni ‘80 e ‘90. Trump capisce la stampa e su di essa ha creato la propria mitologia, promuovendo la propria ascesa e il e proprio ego sulle loro pagine. Trump non sarebbe presidente degli Stati Uniti se non fosse per la stampa. La quantità di spazio televisivo gratuito – che è stato abbastanza intelligente da ottenere e che gli è stato concesso dai telegiornali via cavo per dire così tante cose oltraggiose durante le primarie, rappresenta una vera e propria abdicazione della responsabilità editoriale. Una grave abdicazione. Una componente essenziale della migliore versione della verità che si possa ottenere include che i giornalisti sappiano decidere quale sia la notizia».
Vuole dire che il loro è rapporto di amore/odio?
«Si tratta di fornire un resoconto nei suoi riguardi, di raccontarlo in modo fattuale, veritiero e contestuale. Ciò che emerge è il ritratto di un tiranno ignorante, pericoloso, a volte stupido, a volte astuto come volpe, e a volte folle come volpe. Sono scioccato dal numero impressionante di repubblicani a Washington e fra quelli tra le alte sfere del mondo militare e dell’intelligence che sostengono (di credere) che Trump sia instabile e inidoneo alla Presidenza.
È d’accordo nel ritenerlo molto pericoloso?
«È pericoloso avere un Presidente degli Stati Uniti che sia palesemente disinformato e disinteressato alla verità come lo è questo Presidente. Non conosce la nostra storia. È sorprendentemente disinformato su gran parte di ciò che accade in America, e ancor più sul resto del mondo».
E comunque sembra odiare la stampa.
«Il suo odio è nei confronti di coloro che intralciano il suo cammino. Si comportava allo stesso modo con quelli con cui faceva affari e che mettevano in discussione le sue azioni o lo accusavano di essere un truffatore. A essere precisi, non è possibile accusare la stampa o i media di odiare Donald Trump. Stanno davvero cercando di documentare una presidenza e un presidente caotici, e di contestualizzarli. Trump sta cercando di nascondere, compromettere e impedire un’indagine legittima su quali furono i suoi legami e operazioni commerciali, e quelli di altri, con la Russia durante la campagna elettorale. Le grandi testate giornalistiche – e alcune di quelle non proprio tradizionali – stanno facendo un ottimo lavoro. Ciò è particolarmente vero se si considera che questo presidente degli Stati Uniti mente quasi di riflesso, e senza apparente rimorso, e istruisce coloro che lo rappresentano a fare lo stesso».
Come tutti i demagoghi non può essere contraddetto?
«Come ho detto, è tirannico. E sulla questione del razzismo, a prescindere che sia razzista o meno, ha certamente avuto una parte fondamentale nella sua strategia, l’incitare e incoraggiare il razzismo. Egli stesso ha un passato razzista nel mondo degli affari, quando non affittava i suoi appartamenti agli afro-americani, al punto che il Dipartimento di Giustizia ha dovuto intervenire».
Le persone che hanno votato per lui sono razziste?
«Il 90 per cento delle persone che si autodefiniscono repubblicane in questo paese ha votato per lui. Non credo che si possa dare del razzista a tutti i repubblicani».
Chi ha votato per lui ora se ne rammarica?
«Una delle cose davvero inquietante delle persone che si autodefiniscono repubblicane di principio, è la lentezza impiegata per dissociarsi dai suoi più palesi oltraggi. Sono disposti a rendere possibile e non a condannare moltissimo di ciò che fa Trump».
Anche se non è stato fedele alle sue promesse di campagna elettorale?
«È vero che non è stato in grado di mantenere le sue promesse delle primarie, ma ha fatto un sacco di deregolamentazioni importanti e di impatto tramite personali provvedimenti legislativi. Ora è molto agitato, in parte perché non è stato in grado di ottenere alcune delle cose principali che voleva e in parte perché non è competente».
Ma sicuramente era competente prima, nella sua carriera e nel reality TV show, l’apprendista?
«Ho parlato con molti dei maggiori produttori di The Apprentice prima delle elezioni. Non il produttore principale, che non vuole parlare con nessuno, ma quattro o cinque di quelli sotto di lui. Tutti disprezzano Trump. Tutti dicono che era pigro. Tutti dicono che è stato offensivo. Tutti dicono che si presentava impreparato sul set. Ripresa dopo ripresa, non faceva mai il suo dovere. È La stessa immagine che abbiamo di lui come Presidente. Per lo più agisce di pancia, senza alcun tipo di preparazione ponderata».
E i suoi tweet?
«I tweet non sono totalmente caotici ma una vera e propria mappa della sua mente, di ciò in cui crede e spesso sono spaventosi a riguardo. Ecco come si scopre quello che realmente pensa e quello in cui realmente crede. Quello è il vero Trump. E non quello che ogni tanto legge un discorso preconfezionato».
Chi è il vero Trump?
«Non riesco a pensare a molte personalità pubbliche di impatto in America negli ultimi 30 o 40 anni che nel corso della loro vita abbiano fatto così poche cose mirabili in termini di bene pubblico o di bene comune. La storia di Trump è dominata dall’autocelebrazione, dal proprio arricchimento con qualsiasi mezzo e da discutibili pratiche commerciali».
Ma adesso è il Presidente?
«Non vi sono prove che sia cambiato. Sta agendo in totale coerenza con il modo in cui ha sempre vissuto la propria vita. Inclusi il caos e la rabbia, il vetriolo e l’ignoranza, la vendicatività, e in particolare il disprezzo verso la verità e la sensibilità altrui».
Esiste il problema della Corea del Nord che è molto grave e complesso. Non è molto pericoloso che lui sia il comandante in capo?
«È pericoloso avere un Presidente degli Stati Uniti su cui non vi sia alcun tipo di certezza che analizzi le informazioni, le questioni e la storia in maniera metodica e attenta, nel modo che ci si aspetta da un Presidente. Si può avere un buon istinto di per sé, e lui ti direbbe che ce l’ha. Forse ce l’ha, forse no. Finora le prove sono sconcertanti».
Ha dei buoni consiglieri militari?
«È circondato da militari, McMaster, Mattis, Kelly, che hanno l’enorme fardello di vedere che agisca in modo responsabile perché abbiamo pochissime prove che il suo istinto sia quello di agire responsabilmente. Allo stesso tempo, è una persona che parla molto più di quello che fa. Questo è uno dei motivi che rende la situazione pericolosa».
Fin dall’ inizio della sua carriera lei è stato molto abituato a seguire i presidenti. Avete svolto un ruolo importante nel Watergate impeachment. Avete sempre seguito ciò che è successo?
«Sono sul campo da quando a 16 anni e sono entrato nel mondo del giornalismo a Washington nel 1960. Ho scritto una biografia di Hillary Clinton – non autorizzata, ovviamente – e ho seguito la Presidenza per quasi 50 anni, ma ho avuto anche grandi opportunità di imparare fuori da Washington – in tutta l’America e nel mondo. Ho co-scritto una biografia di Papa Giovanni Paolo II e del suo ruolo nella caduta del comunismo con il grande vaticanista Marco Politi».
La presidenza Trump è molto diversa da qualsiasi altra Presidenza che abbia visto?
«Si tratta di una presidenza unica, con un presidente aberrante. Questo è un fatto senza precedenti. Trump ha assunto il suo attuale incarico in un momento in cui il paese stava vivendo una guerra civile fredda, e la sua vittoria ha portato all’ebollizione la temperatura di quella guerra fredda interna».
Che cosa intende per guerra civile fredda?
«Combattere una guerra fredda, con grande intensità e crescente odio da entrambe le parti, ma senza che la gente combatta per le strade».
Sta dicendo che c’è stata una guerra fredda in America, tra il popolo americano?
«È da un po’ di tempo si sta covando una Guerra Civile Fredda, e le azioni, parole e atteggiamenti di Donald Trump l’hanno esasperata fino al punto di ebollizione, fino a farla quasi esplodere. Non ha fatto nulla per unire il popolo degli Stati Uniti, ma piuttosto li ha divisi ulteriormente, innescando passioni incendiarie. È un demagogo».
Cosa succederà?
«Non c’è modo di sapere. Non è mai stato un vero repubblicano ideologico; ideologicamente, le sue opinioni sono più coerenti con quelle dei repubblicani che con i Democratici; ma chi sa esattamente in cosa crede? Crede a ciò che dice sull’ immigrazione e crede a ciò che dice su molte cose che mostrano tutta la sua rabbia e il suo risentimento e odio, spesso cose che non si fondano sulla realtà o sui fatti».
Ci sarà un impeachment?
«Se si intende lasciare l’incarico a causa del processo di impeachment, allora l’impeachment è solo il primo passo – bisogna essere condannati. Bill Clinton è stato messo in stato d’accusa, ma fu assolto e non condannato dal Senato. Bisogna avere due terzi del voto del Senato per condannare un presidente per alti crimini e reati gravi ed essere rimosso dall’incarico. Si tratta di un processo lungo e faticoso. Nixon sarebbe stato condannato al Senato se non si fosse dimesso prima, ma l’impeachment seguito dalla condanna di un Presidente non è mai accaduto nella nostra storia».
Ma ci sono indagini in corso?
«Sì. Oltre al Consiglio Speciale, il congresso sta conducendo diverse inchieste».
Che cosa hanno trovato?
«E già stato appurato che ci troviamo di fronte a eventi e prove molto gravi e certamente ad un tentativo di occultamento e di una potenziale ostruzione della giustizia da parte del Presidente, e a molti altri indizi e accuse che meritano un’indagine approfondita. Ha licenziato James Comey, direttore dell’FBI. Ha graziato Joe Arpaio, lo sceriffo in Arizona che si era rifiutato di seguire la legge sugli immigrati. La grazia allo sceriffo sembra sia stata fatta in virtù della promessa di concedere la grazia a coloro che sono sotto inchiesta per il caso Russia. L’esempio della grazia concessa allo sceriffo può convincere alcune di queste persone a non parlare. Non sappiamo dove andranno queste indagini, ma sappiamo che sono molto serie e che si stanno stringendo intorno a lui. La questione della “collusione” con la Russia è complicata e riguarda solo una parte delle indagini. Molte aree collegate alla sua campagna e ai suoi affari personali e quelli dei suoi aiutanti e collaboratori ma anche della sua famiglia, sono sotto attento esame. Forse il termine ’collusione’ non è del tutto appropriato. Quello che gli investigatori stanno cercando, in parte, è la prova che Trump e/o quelli più vicini a lui sapessero in anticipo dei tentativi della Russia di intromettersi nelle nostre elezioni, e/o se non abbia fatto nulla per fermarli o se li abbia addirittura incoraggiati».
Sta dicendo che la situazione è molto pericolosa, come durante il Watergate?
«Molto più pericolosa. Soprattutto perché questo presidente sembra determinato a ignorare e contraddire le prove di ciò che la Russia ha fatto per sabotare il processo elettorale americano. Il sistema ha funzionato durante il Watergate. La stampa ha fatto il suo lavoro. La magistratura ha fatto il suo lavoro e il Congresso ha fatto il suo lavoro. Il popolo degli Stati Uniti è giunto a un consenso sul fatto che il nostro presidente era criminale e che dovesse lasciare l’incarico. Alla fine del Watergate il paese non si era nettamente diviso. Può darsi che Nixon fosse un presidente criminale dall’ inizio fino alla fine della sua presidenza, ma era una persona di spessore, con un intelletto considerevole e comprendeva la storia e il paese. Nixon era un politico che ha sempre voluto essere Presidente degli Stati Uniti, e fu demolito per i suoi difetti personali – a tratti tragici – dopo aver raggiunto l’obiettivo. Nixon è stato accusato e era colpevole di gravi abusi di potere e della sua autorità presidenziale, oltre ad aver cospirato per nascondere ciò che aveva fatto. L’ intera equazione di Trump è diversa. Stiamo davvero comparando due persone profondamente diverse fra loro per quanto riguarda Trump e Nixon. Tra le altre considerazioni, non c’ è nulla di tragico su Trump. La somiglianza più evidente è che sia Trump che Nixon hanno cercato di rendere la condotta della stampa la questione, invece che il comportamento del presidente e di coloro che lo circondano. C’è un’altra differenza fondamentale tra la nostra epoca e quella del Watergate: Oggi, sempre meno cittadini sono interessati e aperti alla migliore versione della verità che si possa ottenere. Non ci sono parametri per misurare questo, ma sembra ovvio: da molti anni ormai, sempre più americani cercano notizie e informazioni per rafforzare e sostenere le proprie convinzioni: politiche, culturali, religiose eccetera. Invece di aprirsi alla migliore versione possibile della verità, come accadde durante il Watergate. Quella era più la norma fino a quando le guerre culturali e politiche dell’ultimo quarto di secolo non hanno fatto terra bruciata».
Trump è un dilettante?
«Peggio ancora di un dilettante, ma il fatto che Trump non appartenga alla classe politica e non sia mai stato un politico non è necessariamente il problema. Per la persona giusta – se dovesse emergere – non avere un background politico potrebbe essere un punto di forza per essere presidente. Di recente, il nostro sistema non ha lavorato molto bene con i politici, e uno dei motivi per cui Trump ha vinto è perché ha detto inequivocabilmente che “Il sistema politico è rotto”, e le persone si sono identificate con questo slogan».
È questa una delle ragioni principali per cui Trump ha vinto?
«Nella sua campagna, Trump ha identificato alcune difficoltà di base della condizione americana. Ciò che ha detto a proposito delle cosiddette élite del paese e del fatto che hanno disatteso le nostre aspettative, è vero. Troppe delle nostre istituzioni non funzionano: il nostro sistema educativo non funziona, il nostro sistema politico non funziona e il nostro sistema di assistenza sanitaria non funziona. Le tre istituzioni che davvero continuano a funzionare con brillantezza in questo paese sono l’esercito, l’intrattenimento e la tecnologia. Non voglio semplificare eccessivamente qualcosa che è molto complicato, ma la grande meritocrazia americana del dopoguerra ha smesso di funzionare. Le reali opportunità nel nostro paese sono ingrassate per i bambini dei ricchi e di quelli ben inseriti, a spese di quelli che vengono dalla classe operaia e media. Trump ha a malapena presentato un’analisi coerente della situazione, ma certamente ha toccato alcuni nervi scoperti».
Cosa succederà?
«Siamo ancora un paese con il più grande potenziale sulla terra, ma siamo stati logorati, come mai nella nostra storia moderna, e non solo da Trump. Adesso Trump sta tirando ancora di più quelle corde già logore. Sfrutta le differenze tra americani e persegue una strategia che è l’opposto del tentativo di unire il nostro popolo».
Vuoi dire che non è tutta colpa sua e che lui stesso è una conseguenza della situazione?
«No, lui in parte ne è una conseguenza, ma i nostri problemi di fondo rimangono. Trump ha sottoposto questo paese alla divisione e al pericolo a causa dei suoi difetti personali, della sua disonestà e delle sue menzogne, della sua malevolenza e della sua mancanza di competenza, della sua spettacolare ignoranza e comprensione della nostra storia e del mondo moderno. Si tratta di un pericolo molto diverso da quello che abbiamo mai affrontato».
Perché dice cose che altri politici o diplomatici non hanno mai detto?
«Dice molte cose che la gente voleva sentire e alcune di esse hanno risonanza perché radicate nella legittimità. Alcune. Ma è anche un provocatore e sa di essere un provocatore e quindi vuole provocare. Fa parte di quello che fa».
A cosa è interessato?
«In definitiva, sostanzialmente Trump è interessato a Trump. Davvero. C’è pochissima evidenza che sia interessato agli Stati Uniti d’ America e al popolo americano come entità concettuale coesiva. Dov’ è il desiderio di unire le persone, di fare grandi cose, di articolare quel desiderio e di proporre programmi e dichiarazioni per far sì che ciò accada? Quello che stiamo osservando è un retorico mitragliatore di veleni, e non elevata retorica mirata a fare grandi cose. “Far tornare grande l’America”. Ok. Che cosa vuol dire?».
È neofascista?
«Qualunque sia la caratteristica neofascista che rappresenta è di stampo americano e non in linea con gli esempi europei. Un po’ peronista forse. Ma non dovremmo farci illusioni sui suoi impulsi autoritari, la sua demagogia, la sua volontà di sfruttare il razzismo e il suo disprezzo per lo Stato di diritto e il principio costituzionale come aspetto fondamentale nell’istigare i suoi principali sostenitori».
Lei è un giornalista, ma anche una testimone molto importante della vita americana. Questo paese è cambiato molto da quando era bambino, quando le persone di colore non potevano lavarsi le mani nel vostro stesso lavandino?
«Ho frequentato scuole pubbliche legalmente segregate nella capitale degli Stati Uniti d’ America fino alla prima media, fino a quando la Corte Suprema ha deciso, con la storica sentenza Brown contro Board of Education, che le nostre scuole dovevano essere desegregate. Nel dopoguerra, in questo paese sono successe grandi cose per tutto il popolo americano: ricchi, poveri, classe media, neri, bianchi, bianchi, gay, non-gay, uomini e donne. Gli Stati Uniti hanno guidato il mondo e non solo in termini di sicurezza internazionale, ma anche nel tipo di società che abbiamo costruito. Sì, ci sono stati alcuni grandi errori degli alti e bassi. Vietnam, Iraq – dei disastri. Non abbiamo sempre avuto ragione, ma non c’è mai stato del marcio alla base».
L’America di oggi è in qualche modo marcia?
«Non sono pronto a dire che il marcio abbia raggiunto il nostro cuore. Non credo. Ma abbiamo difficoltà a soddisfare il tipo di continuità di buoni principi che abbiamo avuto fino alla fine del XX secolo. Stiamo avendo problemi interni e stiamo avendo problemi in termini di come ci relazioniamo con il resto del mondo. Siamo sempre stati la cultura più complessa, probabilmente al mondo, anche perché abbiamo un grande mélange di persone e storie».
Le cose sono cambiate dopo la caduta del comunismo in Russia e con l’ascesa della Cina?
«Ci aspettavamo che, nel nostro trionfalismo sulla conclusione della guerra fredda con i sovietici, il dopoguerra sarebbe stato grandioso per gli Stati Uniti e per l’Occidente. Sicuramente l’era del dopoguerra fredda si è rivelata liberatoria per centinaia di milioni di persone, ma anche da incubo in modi che mai avremmo potuto immaginare, sia per gli Stati Uniti che per l’Europa. La caduta del comunismo non ha prodotto la pace meravigliosa che ci aspettavamo, ma ha prodotto grande disordine. E non abbiamo previsto l’era del terrorismo».
C’è un grande squilibrio in America oggi?
«Abbiamo ancora di gran lunga l’economia più stabile del mondo e un futuro economico eccezionalmente brillante in senso macroeconomico, ma allo stesso tempo non abbiamo adempiuto ai nostri obblighi nei confronti delle nostre persone, soprattutto quelle della classe operaia che hanno registrato un calo del reddito reale negli ultimi trent’ anni. E abbiamo creato una plutocrazia moderna. Abbiamo avuto epoche plutocratiche nel nostro passato, ma mai una plutocrazia enorme con decine e centinaia di migliaia di americani – questo cosiddetto “uno per cento” – che vive una vita fatta di agi, privilegi e vantaggi».
Ma l’America non è nota per essere una meritocrazia?
«Quella grande meritocrazia è stata erosa da questa nuova plutocrazia, tanto che è molto più difficile per coloro che dispongono di mezzi modesti, avere successo nel modo in cui le persone della mia generazione – che disponevano degli stessi mezzi sono stati in grado di fare. Oggi, quelli ricchi e ben introdotti hanno la via spianata verso il controllo delle istituzioni della nostra economia e politica; opportunità che la maggior parte delle altre persone in realtà non hanno. Ecco quindi una vera e propria plutocrazia».
Vedete queste divisioni altrove nel mondo?
«Tutte le democrazie, comprese quelle degli ex regimi comunisti d’Oriente e Occidente, hanno diviso paesi e culture. Tutti. In termini estremi, stiamo parlando dell’Ungheria, della Polonia o della Repubblica ceca. Le divisioni che stiamo vedendo sono consistenti, e la tentazione è quella della demagogia, dell’autoritarismo, qualcosa di simile a quello che stiamo vedendo con il Trumpismo. Guardate il sentimento anti-immigranti in tutta Europa, est e ovest. Ma è più complicato di questo. Come lo sono gli impulsi nazionalistici».
In conclusione direbbe che in qualche modo Trump capisce l’America? Che è un prodotto completo dell’America?
«Trump, in tutto il suo miserabile eccesso, è Made in America, è un prodotto delle nostre peculiari forze culturali, compreso l’enorme ruolo che lo spettacolo (entertainment) ha nella nostra identità moderna. Ha condotto una campagna elettorale molto efficace basata in gran parte sui suoi istinti; aveva una reale comprensione di ciò che sta accadendo nella pancia di gran parte dell’America, e tra le persone che si definiscono repubblicani, non solo bianchi della classe operaia. Del resto, ha vinto con il 90 per cento del voto repubblicano – e i repubblicani controllano quasi due terzi dei Governatorati e delle Legislature statali in questo paese. E questa è una parte molto grande dell’equazione. Trump andava bene per gran parte di quell’elettorato repubblicano. Per una grande parte dell’America».
traduzione di Anna Martinelli