Catalogna pronta allo strappo, Rajoy studia le contromosse, di Omero Ciai
Nelle prossime ore potrebbe arrivare la dichiarazione unilaterale di indipendenza. A Madrid il premier convoca i leader dei principali partiti. Il governo centrale non esclude l’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione, che porterebbe alla sospensione dell’autonomia di Barcellona
la repubblica, 02 ottobre 2017
BARCELLONA – Le prossime sono ore piene di incognite fra Barcellona e Madrid dopo che, ieri notte, alla fine dello scrutinio del referendum (2,3 milioni di votanti e 90% di “Sí”) prima il presidente catalano, Carles Puigdemont, e poi il suo vice, Oriol Junqueras, hanno aperto le porte a una dichiarazione unilaterale di indipendenza della Catalogna. La legge, approvata a maggioranza dal Parlamento della Generalitat qualche settimana fa, dice che, dopo una vittoria dei “Sí”, va proclamata l’indipendenza entro 48 ore. Ieri sia Junqueras che Puigdemont hanno detto che il governo consegnerà al parlamento il risultato del referendum e “rispetteremo quel che dice la legge”. Il ministro della Giustizia dello Stato centrale Rafael Catalá ha però dichiarato: “Useremo tutti i mezzi legali a nostra disposizione per ripristinare l’ordine in Catalogna”.
Un’altra bomba dopo una domenica di passione con oltre 800 persone ferite nei seggi della Catalogna per la decisione di Madrid di fermare a qualsiasi costo il voto affidandone il compito agli agenti della polizia nazionale. Scelta sventurata, di fronte agli oltre due milioni di elettori che si sono recati alle urne, e un pessimo colpo d’immagine per il governo di Mariano Rajoy. La prima reazione alla sfida finale di Barcellona è stata quella di Albert Rivera, capo di Ciudadanos, il giovane partito del centro destra che appoggia Rajoy. Per Rivera lo Stato spagnolo deve reagire immediatamente applicando l’articolo 155 della Costituzione, quello che consente a Madrid di usare il bastone della sospensione dell’autonomia catalana, esautorarne il presidente e chiudere d’imperio il parlamento, trasformando la Catalogna in una regione ribelle in Stato d’assedio.
Da oggi Rajoy a Madrid incontrerà i rappresentanti di tutti i partiti per decidere cosa fare. Ma ormai i suoi margini di manovra sembrano davvero ristretti. I socialisti di Pedro Sanchez, secondo partito più forte alle Cortes, hanno condannato l’uso della polizia e chiesto a Rajoy di aprire una nuova stagione di dialogo con i catalani. Mentre Pablo Iglesias, di Podemos, punta a far saltare il banco. Ieri Iglesias ha chiesto le dimissioni di Rajoy per sostituirlo con un nuovo governo che vorrebbe formare con i socialisti e i nazionalisti catalani e baschi per cambiare la Costituzione spagnola e fondare un nuovo Stato federale. I numeri alle Cortes ci sarebbero anche ma è una prospettiva sulla quale di socialisti sono molto divisi. La piú importante avversaria di Sanchez nel Psoe, leader della compagine più forte, quella andalusa, lo esclude senza riserve.
Per attivare il 155 Rajoy ha bisogno del via libera del Senato, dove il suo partito ha, al contrario della Camera, la maggioranza assoluta dei seggi. Ore drammatiche dove le speranze di una soluzione negoziata sono riposte solo nel buon senso che però non sembra alimentare nessuno dei protagonisti dello scontro. I due milioni abbondanti a favore del “Sí” rappresentano soltanto il 38% di tutti gli elettori della Catalogna. Forse è poco per dichiarare l’indipendenza. La maggioranza sono quelli che non hanno votato.