A dire delle famiglie venete in quel d’Arborea. Racconta Edilia Bergamin da Castelfranco Veneto, di Alberto Medda Costella
L’intervista fa parte di un lavoro di ricerca sulla memoria che Medda Costella sta portando avanti da qualche anno nell’agro di Arborea, per rendere merito e dare voce ai figli di questa terra che col loro sacrificio hanno contribuito a far crescere questo angolo di Sardegna.
La storia di Edilia e della sua famiglia si discosta completamente da quelle delle altre famiglie di Arborea. Nata a Castelfranco Veneto, «il paese di Tina Anselmi» tiene a sottolineare, ha vissuto fino alla partenza a Vedelago. I Bergamin – famiglia omonima ma non parente di quella della bonifica originaria del Polesine –, risultano tra gli ultimi mezzadri ad essere giunti dal continente. Il loro arrivo è da far risalire al secondo dopoguerra, il giorno di San Martino (11 novembre) del 1946.
Arrivata in Sardegna che aveva vent’anni, Edilia racconta come dal suo letto di casa a Vedelago riusciva a vedere l’orario sul campanile, perché abitava proprio sulla piazza che era al centro del paese. Ben altre le distanze nella nuova residenza! Stando a Pompongias, in chiesa bisognava andare per forza a piedi, fino a Luri o ad Arborea, con gli zoccoli in mano per non sporcarli e cambiarsi tra le fasce frangivento.
È stata sposata per tanti anni con Edoardo Biondo (di Villorba), che ha conosciuto il primo gennaio del ’47, alla stazione di Marrubiu, al suo rientro dalla guerra. Lei aspettava sua sorella (già sposata), in visita in Sardegna per vedere come si erano sistemati i suoi genitori e gli altri della famiglia. Di telefoni ce n’erano allora solamente nei centri colonici e a Pompongias avevano chiamato per dire che alla stazione c’era una Bergamin e un Biondo. Lui, come detto, tornava dalla guerra, e anche dalla prigionia, com’era stato quando ancora combatteva in Sicilia. Così Edilia e la sua futura cognata partirono alla volta della stazione: «Son andà a torlo a Marrubiu in bicicletta”. Come semo arrivai me cugnea iera tutta sporca, de fango, de acqua come mi, perché iera brutto tempo. Son andata a la stassion a saludar me sorea. E poi iera sto signor in piè e go domandà: ‘si tu Biondo? Sì son mi. Tua sorea l’è drio a lavarse perché se ga sporcà con la bicicletta’ Cussì go visto per la prima volta me marìo».
Quando venne ufficializzato l’armistizio, l’8 settembre del 1943, moltissimi militari italiani si ritrovarono allo sbando, senza sapere cosa avrebbero dovuto fare e a chi avrebbero dovuto ubbidire. I tedeschi facevano prigionieri tutti i giovani in età per la guerra, per poi spedirli in treno nelle fabbriche della Germania. «Ga fato disastri i tedeschi», aggiunge Edilia. Attilio Beltrame (di Villorba anche lui) – uno di quei soldati – non fece in tempo a tornare in Sardegna, dove già avevano preso residenza i suoi, e allora la madre di Edilia lo ospitò in casa propria, a Vedelago, per evitare che anche lui venisse fatto prigioniero, riuscendo così a metterlo in salvo.
È da dire, al riguardo, che un Beltrame trasferito ad Arborea già negli anni ’30, aveva sposato una zia paterna di Edilia. Quando i soldati del führer lasciarono il nord Italia, Attilio consigliò al signor Bergamin di spostarsi in Sardegna, perché avrebbe trovato terra e lavoro: «No te digo i pianti che go fato per scampar via che se iera una lacrima ogni cussita iero andada a Casteo n’altra volta. Mi gavevo anca una sorea chi i stava a Carbonia che poi xè partia in Australia, a Sidney. Son sta anca a trovarla diese ani fa».
Oggi si fa fatica a credere a storie del genere, eppure non sono passati moltissimi anni. La Sardegna era (anche) terra di immigrazione! Giovanissima, Edilia, prima di trasferirsi ad Arborea, aveva lavorato per otto anni in filanda a Vedelago, per la filatura della seta. Non era ancora maggiorenne quando arrivò nell’Isola. «Cussì xè sta, sa tu?».
È rimasta la donna semplice che era allora, dopo la guerra, in gamba, ricca di cordiale umanità. Ci saluta sorridente alla porta.