Quella lettera-testimonianza di Luigi Oggiano sui rapporti PSd’A-Fascismo nel 1922. di Gianfranco Murtas
Di recente si sono recuperati dalle memorie magne della democrazia sarda, degni – per il pregio morale e d’umanità e la finezza della cultura democratica – di quelli di un Tuveri o di un Asproni, e anche di un Lussu, il nome, la testimonianza e il magistero di Luigi Oggiano, uno dei fondatori del Partito Sardo d’Azione, ora sono più di novant’anni.
Di formazione mazziniana – così come di formazione democratica nel vasto e vario arco di quanto la cultura progressista italiana ha prodotto e proposto nei lunghi decenni fra Ottocento e Novecento, fra Cattaneo e Salvemini, l’antiprotezionismo e il “socialismo contadino” maturato poi nel tentativo, nato e spentosi fra 1921 e 1922 (per le infedeltà molisane), del Partito Italiano d’Azione – Oggiano fu segretario del PSd’A ed in tale veste, unitamente al direttore dei Combattenti, Dino Giacobbe, ebbe parte in certe interlocuzioni con Mussolini. Non per cedere a Mussolini, al contrario, per notificargli il no assoluto dell’anima democratica del sardismo ad ogni progetto di unificazione, anzi di confluenza nel Partito Nazionale Fascista.
La Nuova Sardegna trattò la materia in una serie di articoli a firma di Arnaldo Satta Branca, usciti in cinque puntate il 4, 5, 6, 7 e 8 novembre 1969. Essi erano, a loro volta, in risposta critica o avversaria a quanto sostenuto a più riprese da Luigi Nieddu, il quale tendeva a ridimensionare la caratura antifascista di Emilio Lussu nelle settimane e nei mesi nei quali, dopo l’andata del duce al governo, si cercò l’approccio “combattentistico” fra fascisti e sardisti (così ne aveva scritto lo storico sassarese in una lettera a Frumentario il 5 agosto 1969 e ne avrebbe ancora scritto in una “lettera al direttore” il 1° novembre dello stesso anno). Nel dibattito era intervenuto Manlio Brigaglia il 7 luglio raccogliendo gli utili spunti forniti dallo stesso Satta-Branca nella sua prima esternazione del 23 giugno, ed era intervenuto, da Roma, Emilio Lussu con una lettera pubblicata l’8 settembre 1969. A quanto riferito dal direttore della Nuova – galantuomo e democratico inattaccabile anche lui, intimo di quel Michele Saba che fu forse l’anima più nobile, perché politicamente più sola, dell’antifascismo sassarese – Oggiano ritenne di dover fornire qualche rettifica o precisazione, indirizzando una lettera-testimonianza uscita sul giornale del 9 novembre.
Ho piacere di donare al documento rinnovata attualità perché esso, anche esso, restituisce luce di dignità piena al sardismo delle origini, al sardismo consapevolmente figlio della cultura democratica italiana e suo maggior interprete nella realtà nostra isolana, fuori dal socialismo e fuori dal liberalismo: così in quei complessi e tremendi primi anni ’20 antedittatura, come sarebbe stato – con Oggiano stesso fra i protagonisti – nei decenni seguenti, contro il regime e per la repubblica, per le nuove istituzioni repubblicane e la politica di Rinascita e della programmazione concertata (avvenne al tempo del primo centro-sinistra, quando Giovanni Battista Melis svolgeva – con competenza, dedizione e grande dignità – le sue funzioni di deputato da sardista nel gruppo repubblicano, fianco a fianco di Ugo La Malfa).
D’altra parte non è difficile rintracciare il filo diretto fra la democrazia italiana e il Partito Sardo d’Azione costituitosi nel 1921 sol che si abbiano chiare che linee-forza della cultura democratica distinte da quelle del socialismo e del liberalismo, cioè delle correnti ideali e politiche che dal secondo Ottocento giunsero a noi plasmando interamente il Novecento: e quelle linee-forza sono nella prevalenza, come centro di libertà, del civile ed istituzionale sull’economico. Quello che il socialismo e il liberalismo ponevano nelle categorie l’uno dell’unità di classe, magari della dittatura del proletariato e comunque nella pubblicizzazione dei mezzi di produzione, l’altro della libera iniziativa e del mercato aperto, la democrazia lo poneva nella istanza istituzionale del suffragio universale – l’emancipazionismo femminile e il fenomeno delle suffraggette sono di marca democratica in Europa e in Italia! –, della repubblica, delle autonomie territoriali.
Queste erano le dottrine e il sardismo nato all’indomani della grande guerra, che fu – per l’Italia – la quarta guerra d’indipendenza perché portò nei confini della patria gli italiani fino ad allora “imprigionati” negli status austro-ungarici (sudditi non cittadini), derivò dai padri – da Mazzini il comunalista e da Cattaneo il federalista – i riferimenti orientatori della sua battaglia autonomistica. «La devozione all’Italia ed alla Sardegna…», l’impegno per un «destino migliore della Sardegna in seno all’Italia una ma rinnovata» – parole di Oggiano del 1922 come del 1969 – segnalano questa permanente cornice valoriale, ideale, teorica e politica. La cosa valse nella fatica dell’antifascismo, anche dell’antifascismo testimoniale “degli avvocati” in quel di Nuoro, che fu nobilissimo (quale che ne sia stato poi il giudizio tranchant e ingeneroso di Lussu), valse nella fatica della Costituente del 1946-1947.
Sento questa materia che attiene alla storia del sardismo sempre pervasa di attualità, a fronte purtroppo del nulla elaborativo del PSd’A di oggi e degli ultimi quarant’anni, altro che con gli slogan dell’effimero facile: lo è per il dibattito che spesso si cerca di rilanciare sul regionalismo come nella costituzione è statuito e come la politica vorrebbe rideclinarlo, considerando il nuovo quadro europeo, la crisi degli stati nazionali, le relazioni necessarie che le regioni territorialmente marginali – com’è stato proprio di recente per la Sardegna con la Corsica e le isole Baleari – possono e debbono avviare, nei raccordi generali ma con autonoma e autorevole forza propositiva, in materia di trasporti, ma certamente non soltanto di trasporti. Sempre accompagnando, si badi bene, la qualità del disegno innovatore con quella di una classe dirigente e operativa animata da un senso morale.
«La devozione all’Italia ed alla Sardegna incita a resistere ai devastatori ed agli assassini»
Caro Direttore, dall’accenno fatto nel tuo articolo nella «Nuova Sardegna» n. 255: «La verità sulla iniziativa di Lussu per la pacificazione in Sardegna nel 1923», potrebbe sembrare che la lettera indirizzata da Mussolini a me fosse in relazione a miei passi per trattative di fusione del Partito Sardo d’Azione col Fascismo. Ad evitare che tale impressione si abbia e, comunque, per correggerla sono costretto (malgrado le mie non buone condizioni di salute) ad intervenire per smentire e precisare. Io ero direttore del Partito mentre Dino Giacobbe era direttore regionale dei Combattenti Sardi che agivano, nella loro organizzazione, in pieno accordo col Partito Sardo; del resto non poteva essere diversamente perché organizzazione combattentistica sarda e partito sardo erano si può dire la stessa cosa.
Sono note le aggressioni e addirittura le spedizioni così dette punitive dei fascisti di quel periodo (novembre – dicembre 1922). Il Partito Sardo coi Combattenti si era preparato a ben difendersi ed aveva cercato di far pervenire alle sezioni (tra quali difficoltà e con quali risultati è facile immaginare) la seguente lettera-circolare. Se a distanza di tanti anni non si può stabilire se ed a quanti sardisti e combattenti la lettera sia arrivata, essa però ha importanza assai notevole in relazione ai passi successivi fatti presso il governo.
«Federazione Regionale Combattenti Sardi – Partito Sardo d’Azione – A tutte le Sezioni dei Combattenti – A tutte le Sezioni del partito Sardo d’Azione – Nuoro, 22 dicembre 1922.
«Fratelli! Mai come ora ci siamo sentiti oppressi dal peso delle sciagure dell’Isola. Al delittuoso abbandono di governanti e di partiti si è aggiunto il delitto sistematico studiato organizzato consumato contro le persone e gli averi dai mestieranti delle armi rassicurati dalla vigile protezione del governo. Il nostro Partito, il quale conserva intatte nelle sue file le anime pure di mutilati invalidi combattenti cittadini tra i più valorosi e devoti alle fortune d’Italia, è fatto oggetto di rappresaglie e di persecuzioni che richiamano per il paragone i tempi più tristi delle dominazioni straniere. A molti dei nostri fratelli non resta che la scelta tra il sacrificio supremo e lo abbandono della casa che quattro anni di guerra in nome della Patria della giustizia e della libertà umane credevano avessero resa sicura da ogni violazione.
«Nell’Iglesiente una ubriacatura di violenze ha reso impossibile da vari giorni lo svolgimento della vita del paese, già così meraviglioso per conquiste e per promesse di civile progresso; a Cagliari il 20 ed il 21 dicembre si sono ripetute le scene di terrore del 26 novembre e si è andati anche più in là: il “Solco”, il giornale che fieramente bandiva per l’isola tutta ed oltre mare la nostra parola di liberi e fedeli preparatori di un destino migliore della Sardegna in seno all’Italia una ma rinnovata, è stato distrutto; le sedi dell’Associazione dei Combattenti, del Partito Sardo, del Circolo Giovanile Sardegna e Universitario Autonomistico, e persino dell’Ufficio Provinciale di assistenza ai Combattenti dipendente dall’Opera Nazionale, occupate; lo studio dell’on. Lussu, in sua assenza, spogliato di oggetti a lui cari; l’on. Cao costretto a recarsi nella sede del fascio e per essersi ribellato a qualunque coartazione del suo pensiero cinicamente minacciato; cittadini di onestà intemerata sottoposti alle più umilianti sevizie. Tutto ciò con il concorso delle autorità e dei militi da esse dipendenti.
«La Sardegna tutta è minacciata nella sua esistenza: in diversi paesi si vedono terribili, per opera dei cosiddetti fascisti, i segni della distruzione. Fratelli nostri, schiavi di un disegno che tende a dividerci per indebolirci e dominarci, levano le armi contro di noi. Fratelli! Noi avremmo bene nel cuore e nelle mani la forza e la costanza di respingere tutte le forme di violenza e, ripetendo le prove di abnegazione date in ogni tempo dalla razza, potremmo far pagare loro dappertutto ogni insano tentativo. Abbiamo presenti però i nuovi più grandi dolori che graverebbero sull’Isola che finirebbe, sola, per essere vittima della più spietata rappresaglia di governo, e pensiamo che per essa e per l’Italia sia necessario raccogliere le parole del comandante d’Annunzio ai suoi legionari: “troncare ogni occasione ogni pretesto che comunque renda possibili urti dolorosi tra fratelli”.
«Ma ovunque questa nostra disposizione sia soprafatta dal proposito avversario di offendere ad ogni costo, devono ogni socio del Partito, ogni combattente sentire l’obbligo della difesa per la dignità per l’onore per la sicurezza personale e dei cari.
«La devozione all’Italia ed alla Sardegna, come consiglia ad evitare la guerra civile, incita a resistere ai devastatori ed agli assassini. La distruzione del “Solco” non impedirà che ai fratelli del Continente giungano le notizie di questa nostra passione: noi abbiamo fiducia che nell’Isola e nel Continente quanti hanno senso di responsabilità si leveranno in piedi ad imporre la fine della esaltazione fascista sarda ed a richiamare lo stesso governo, del quale fa pure parte un cittadino sardo dimentico del proprio compito, e che si dice espressione della gloria di Vittorio Veneto, al rispetto di noi che fummo artefici celebrati della Vittoria. Nuoro 22 dicembre 1922».
Subito dopo ciò, il doveroso proposito di fare ogni tentativo per evitare lo spargimento di sangue fraterno in Sardegna, con lo scatenarsi di una guerra civile che sarebbe stata – data la preparazione – assai terribile e gravida cli conseguenze per lunga serie di anni, consigliò di chiedere un abboccamento col capo del governo. Fu così che io – quale direttore del Partito Sardo – e Giacobbe – quale direttore regionale dei Combattenti Sardi, accompagnati da amici delle due direzioni, partimmo per Roma ed ebbimo l’incontro con Mussolini.
Non si trattò affatto di fusione e l’argomento fu quello delle violenze e del pericolo della guerra civile. Mussolini in risposta alla nostra esposizione, mostrandosi sdegnato di quanto era avvenuto e poteva accadere ad opera dei fascisti e assicurando che questi ultimi avrebbero cessato senz’altro le loro aggressioni, dette assicurazioni che la violenza sarebbe cessata; aggiunse che proprio per mettere a posto le cose intendeva mandare in Sardegna il generale Gandolfo, noto per il suo valore in guerra ed ammiratore – diceva Mussolini – dei Combattenti Sardi. Al quale proposito ci chiese se volevamo incontrarci cori lui; noi rispondemmo di no e che preferivamo far pervenire a lui (Mussolini) una lettera promemoria. Così – almeno per allora – le aggressioni e le spedizioni cessarono (non è male ricordare che persino una squadraccia di Civitavecchia una mattina era sbarcata di buon mattino, col postale di linea, ad Olbia, ed aveva sottoposto a sevizie l’avv. Antonio Sotgiu ed Alessandro Nanni, ed era ripartita subito dopo, ben protetta).
Alla nostra lettera, preparata a Roma anche col concorso costante di Francesco Fancelio, credette di rispondere Mussolini con la sua del 19 gennaio 1923 e che riproduco per intero.
«All’avv. Luigi Oggiano – Nuoro. Dopo 18 giorni da quello in cui mi avete rimesso la Vostra lettera, mi appare quasi superflua una risposta in vista delle pratiche che il gen. Gandolio sta, secondo quanto mi annunzia, facendo per unificare il movimento sardista col movimento fascista. Come capo del Governo e del Fascismo vedrei molto volentieri questa unificazione che potrebbe avvenire sulla base di una rivalutazione regionale di tutti i problemi che travagliano la vostra isola e che stanno vivamente a cuore al Governo. Posso dire soltanto che non appena vi saranno delle disponibilità finanziarie, molte delle questioni che attendono una soluzione l’avranno. Saluti – Mussolini».
Ancora ripeto che né io né altri che erano in mia compagnia a Roma, né a Roma né altrove, avevamo parlato, e neppure fatto il minimo cenno, di fusione o di unificazione del movimento sardista col movimento fascista. Il gen. Gandolfo lavorava a Cagliari e trattava con gli elementi di Cagliari che poi ritennero di potere collaborare, e in seguito collaborarono, con lui.
Tutto ciò è documentato nei numeri del “Popolo Sardo” che con grande sacrificio si riuscì a pubblicare (ricordo, a proposito, l’aiuto e il sacrificio personale dell’ing. Rodolfo Prunas di Sassari, che io sempre ho tenuto e tengo presente con affetto per la sua devota dedizione al Partito Sardo); e mi pare sia opportuno rimandare alla lettura di quel giornale quanti abbiano desiderio di accertarsi e di approfondire. Quei numeri contengono, fra l’altro, una completa e non breve mia relazione su quel viaggio e sugli avvenimenti successivi.
A proposito dell’opera che svolgeva il gen. Gandolfo devo dire che, mentre il Partito Sardo non cedette ed è falso che io abbia preso parte a trattative di alcun genere o firmato appelli od altre dichiarazioni che avrebbero significato il tramonto del Partito, molti (me compreso) erano disposti a ritirarsi dalla vita politica e mettersi in un angolo ed in ombra, ove avesse prevalso la tendenza ad una intesa che avesse portato realmente alla soluzione dei secolari problemi della Sardegna ed assicurarle l’avvenire di progresso, per cui si erano mossi i combattenti sardi e si era formato il Partito Sardo.
Tengo ancora a dichiarare che – anche per le condizioni in cui sono venuto a trovarmi per le ferite e per il lavoro che solo mi dà da vivere – ho tenuto sempre ad osservare il necessario riserbo su avvenimenti che da chi non li ha vissuti possono essere erroneamente interpretati, valutati e riferiti. Ma non devo trascurare dl rilevare che il Partito Sardo nelle circostanze su accennate ha tenuto la sua onesta e generosa linea con assoluta coerenza, con rettitudine, e con indiscussa inspirazione ai più alti e nobili ideali, anche dal punto di vista etico.