Lo sguardo sul mondo dal nostro campanile, di Salvatore Cubeddu
EDITORIALE DELLA DOMENICA della Fondazione Sardinia.
La via Roma di fronte al Consiglio regionale è già stata liberata per diventare piazza. Ma è difficile da credere che i pochi sindaci in fascia e gli infermieri e i medici in borghese divellino i bastoni dei pochi ombrelloni per dare l’assalto al palazzo del parlamento sardo chiamato a decidere il ridimensionamento dei loro ospedali e presidi sanitari. Qualche mese fa si erano mossi anche i sindacati di categoria: sono infatti in gioco l’adeguatezza dei servizi nelle zone interne, ma pure ruolo, redditi, relazioni sociali, equilibri territoriali in una Sardegna allo sbando da decenni.
E così, alla definitiva agonia della petrolchimica si continua ad offrire ed a chiedere un’assurda ed improponibile ‘chimica verde’; ad un pugno di operai sulcitani non si ha il coraggio di dire la verità sull’inaccettabilità di quegli scarichi industriali; si vanta e veniamo chiamati a godere di un successo turistico di cui non calcoliamo quanto scarse siano le briciole che ricadono sulla nostra mensa. Ciechi, sordi e muti: non c’è prospettiva nel mantenere o consolidare i troppi esiti infausti dei lunghi decenni che ci trasciniamo dietro. E il non dirlo significa che non ci riflettiamo, e quindi non cerchiamo altro, non agiamo per innovare, ci lamentiamo nell’inutilità. Tutto questo deve finire.
Quella di giovedì scorso è con quella dei pastori di agosto l’unica manifestazione con tematiche di massa degli ultimi due anni, nel corso dei quali i più significativi cortei sono stati la celebrazione del clero per la festa del corpus Domini e, non licet l’accostamento, il variopinto percorso dei gay pride. Il fatto che i sindacati non chiamino il popolo a lotte di portata generale segnala soprattutto la sperimentata infruttuosità del metodo vertenziale. La lezione è da apprendere: non chiedere ad altri quello che è tuo compito costruire e decidere, non scaricare fuori da te le tue responsabilità. Il futuro lavorativo ed economico della Sardegna non può non passare attraverso una nuova estensione e l’incoraggiamento del lavoro autonomo, singolo o cooperativo che sia.
Amministratori e cittadini, personale medico ed impiegatizio, abitanti di Cagliari che osservano e niente fanno, il discorso è chiaro: queste persone sono qui perché pensano che, per chi vive al di sopra di Monastir, non c’è niente. A Cagliari si mostra di non capire quando si parla di cagliaricentrismo (seppure deciso con i sassaresi), la discussione non aperta costringe tutti a difendere quello che ha (cosa mi resta se perdo il mio ospedale anche se antieconomico per i parametri di Cagliari e Roma? O la mia fabbrica, che pure inquina anche me insieme al territorio con la mia famiglia? ). Non vogliamo capire che da tempo abbiamo l’esigenza di ridiscutere tutto: istituzioni locali e centrali; ruolo di Cagliari e delle città grandi e piccole; futuro dei paesi; autogestione sarda dei servizi (banche, trasporti, sanità); indirizzi di politica economica ed urbanistica; la cultura e la lingua.
Ri-discutere tutto per ri-costruire. Anche noi siamo chiamati a superare la fase vertenziale. La critica giusta è necessaria, ma non sufficiente. Se da sola, può risultare persino dannosa, se non mira alla ri-costruzione. Ad ogni critica dovrebbe connettersi una proposta. Se vedi che qualcosa va male, interrogati e prova a risponderti: come dovrebbe essere ‘il bene’? Agisci!
La Sardegna è la nostra patria ed il principale nostro campo d’azione. Ma c’è l’Italia, l’Europa, il mondo.
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Il nostro discorso dal mondo procede dall’Occidente nella direzione dell’Europa e dell’Italia.
Continua a far pensare la spensieratezza con la quale i giovani musulmani di Ripoll mostravano di vivere le ore che li avvicinava alla strage di Barcellona e alla loro prevedibile uccisione da parte delle forze dell’ordine. Uno stupore che continua la considerazione dell’eroismo dei loro fratelli che combattono nella terra per loro sacra e nel mondo di noi infedeli per far uscire la loro Umma dal tempo della decadenza e della subalternità ai valori occidentali. Non ho molte certezze, ma la profondità delle loro convinzioni, e l’estremismo feroce dell’impegno per affermarle, mi preoccupano sull’eventuale successo delle loro azioni, almeno sul lungo periodo. A meno che ….
Sui vari “a meno che …” bisognerebbe saperne di più. Perciò andiamo a leggere e a proporre in questo sito i fatti ed i controfatti che descrivono una guerra in atto che ci sta cambiando tutti nella vita (anche quotidiana, si vedano le nuove regole per le manifestazioni pubbliche) e che troverà del tutto diversi chi ci succederà in questa vicenda che probabilmente durerà secoli. Continueremo a pubblicare non solo l’evolversi delle notizie e dei commenti più accessibili ed interessanti, ma pure estratti di saggi capaci di meglio fondare anche le valutazioni e le prospettive. Sappiamo troppo poco dell’Islam, ma quello che andiamo vivendo dice che dovremo parlare molto anche di quello che siamo noi, ora, gli occidentali. Non sembra che una società regga se, insieme al rispetto delle leggi, non si mantenga un tasso accettabile di condivisi valori etici
La decadenza dell’Occidente e dell’uomo bianco è significativamente rappresentata dalla figura umana e politica di Donald Trump, oggi alle prese con la questione nord-coreana, ma esso stesso questione irrisolvibile nel paradosso se non nel dramma. Il concludersi dell’anno elettorale europeo dovrà dirci qualcosa sull’esigenza delle democrazie occidentali di separare il destino di questo continente dalla follia in cui si sono incuneati gli americani.
Ma la crisi delle democrazie troverà la sua descrizione, ancora una volta anticipatrice, nei prossimi mesi italiani: il ritorno di Berlusconi alla guida di un centrodestra potenzialmente vincente; la possibilità che un movimento giovanile, promosso ed educato da un comico e gestito secondo logiche pericolosamente privatistiche, possa improvvisarsi forza capace di governo; infine, il riproporsi nel partito democratico della perenne e irrisolta questione del lascito comunista come storia che mai passa. Potrebbe rivelarsi una situazione deflagrante.
Certo, si dirà: agli islamici ci penseranno le loro donne, Trump è commissariato dai generali, Merkel vincerà e sarà la grande madre dell’Europa in attesa di diventarne la prima presidente eletta dal popolo, lo stellone italiano impedirà la deflagrazione. Staremo a vedere e a commentare.
Nello sguardo più o meno angosciato che andiamo indirizzando ai fatti di questo mondo dal nostro non alto campanile, le cose di casa sarda ci arrivano nella risacca di un vento che tutto spira tranne che ottimismo e libertà.
Non c’è in giro un’idea della Sardegna del futuro, questo è il problema e lo è da troppo tempo. Noi continueremo a lavorarci.
Incapaci o immotivati a valorizzare le nostre risorse naturali-artistiche-culturali, continua la vendita dei gioielli di famiglia: territorio, ambiente, turismo … Continueremo la nostra battaglia insieme ad amici e concittadini per tenerli e valorizzarli a nostro favore.
Tra due anni ci saranno le elezioni regionali e questo che inizia è quello decisivo, per raccogliere quanto seminato e per decidere come continuare. Per la politica regionale “si parrà sua nobilitate”. Nel nostro futuro istituzionale c’è il desiderato realizzarsi di una nuova costituzione dello stato sardo o il rafforzamento dell’aggancio istituzionale ad un impossibile avvicinamento geografico al Continente?
Parleremo ancora in sardo aiutati da una nuova legge o ci metteremo il cuore in pace facendo finta che la cosa non sia fondamentale?
Cabudanne è iniziato, siamo rientrati, la settimana prossima iniziano le scuole. Auguri.
Cagliari, 10 settembre 2017