Gli intellettuali di ieri e di oggi, e del futuro, in Sardegna, di Enrico Lobina

EDITORIALE DELLA DOMENICA.

 

Se è vero che “il sardo è il primo idioma neolatino che sia diventato lingua ufficiale di uno Stato: tra il 1070 ed il 1080 d.C. Il Giudice Torchitorio di Cagliari promulgò una Carta in volgare, con la quale si donavano all’arcivescovado di Cagliari alcune terre con numerosi privilegi…” è altrettanto vero che la perdita della sovranità giudicale ha portato, in un rapporto dialettico, nel corso dei secoli, al netto e repressivo esercizio del potere da parte degli intellettuali pronti ad accettare  priorità esterne alla Sardegna.

Da questo punto di vista, sarebbe interessante rivalutare, nella storia della letteratura in lingua sarda, sia il contenuto rivoluzionario di tanta letteratura, sia il fatto che molti autori di rilievo sono stati sacerdoti vicini al popolo, i quali spesso sono stati messi ai margini della gerarchia ecclesiastica.

Il tema degli intellettuali e del rapporto con la Sardegna arriva sino ai giorni nostri, passando per l’unità d’Italia e la scolarizzazione di massa.

Quale articolazione per la produzione intellettuale negli ultimi secoli ed in età contemporanea? Come si sviluppa la riproduzione delle correnti intellettuali in Sardegna?

Le Università italiane in Sardegna hanno raramente permesso che fiorisse al loro interno una intellettualità sarda capace di guardare da sardi al mondo ed alla conoscenza. Avrebbero innanzitutto dovuto parlare sardo!

Le Università sarde, e gli altri vettori di formazione degli intellettuali, sono state, più che in altre parti, incubatori di intellettuali organici all’Italia, che della Sardegna conoscevano e conoscono poco.

Gli intellettuali sardi del novecento, se a quel secolo ci vogliamo fermare, sono stati prevalentemente intellettuali rurali. Spesso emigrati, quasi sempre inurbati, hanno mantenuto forti legami con gli ambienti e la cultura appresa nell’infanzia ed in adolescenza. L’Italia, Cagliari ed il cagliaritano, Sassari ed il sassarese, li hanno accolti, ma il centro del loro discorso è stato altro.

L’esperienza popolare, di conoscenza e vicinanza col popolo, si è dissolta nel momento in cui, alla soglia dell’età adulta o in età adulta, si è raggiunta la città o l’emigrazione. Là è cominciato il rapporto con le élite.

La città. Cagliari. Cagliari città sarda. Il rapporto tra città e campagna. Una relazione che nasce da un grande equivoco: che la cultura e la storia sarda siano una cultura ed una storia rurale, di paesi. L’equivoco che la città, in Sardegna, non esista. Come se Barumini, la Barumini nuragica, o Santu Antine, non fossero città. Come se, per arrivare all’età moderna e contemporanea, la cacciata dei piemontesi del 1794 o la rivolta del 1906 non avessero avuto l’epicentro a Cagliari.

 

La storia dei popoli, dei subalterni, non può essere raccontata da chi vede la storia come un susseguirsi di élite. Paolo Fadda, in “Da Karel a Cagliari – due millenni di storia della città”, non scrive una riga sulla rivolta del 1906[1]. Altri avrebbero dovuto scriverne, ed avrebbero dovuto imporsi.

Cagliari, e l’insieme dell’area metropolitana, nel novecento non ha avuto intellettuali che abbiano avuto la volontà e la tenacia per imporre la storia dei subalterni. Gli intellettuali non organici all’egemonia dominante (Università et similia) sono stati intellettuali rurali che hanno rifiutato la città, anche se hanno vissuto più in città che nel loro paese. “Genti chi at pensau e fueddau in logudoresu e chi at biviu e papau in campidanesu”.

La mancanza di contatto col popolo ha impedito passaggi storici che avrebbero favorito Cagliari e la Sardegna, in maniera probabilmente determinante. Una persona è del posto in cui vive, non del posto in cui ha vissuto in gioventù: altrimenti si rischia lo sradicamento.

Un intellettuale (sui generis) che comprese la questione urbana è stato Sergio Atzeni. Sul tema, da ultimo segnalo la tesi di Vito Biolchini, che prima o poi dovrà essere pubblicata.

Il XXI secolo, in tutto il mondo ed anche in Sardegna, è il secolo delle aree urbane, cioè aree con continuità di costruito. Insieme alle nuove modalità di creazione e stabilizzazione di reti sociali, non più geograficamente localizzate, è uno dei grandi mutamenti del contemporaneo.

Il XXI secolo sardo ha bisogno di intellettuali, urbani ma anche rurali, in grado di leggere e raccontare la società a partire dai subalterni, di città e di campagna. Le agenzie di formazione italiane degli intellettuali non lo permettono, per cui l’impegno è più improbo che in altre parti dell’Europa. Bisogna sacrificarsi, ma a differenza di altri che hanno rischiato la vita, oggi mettiamo in gioco “solamente” la nostra intelligenza, entusiasmo e sacrificio.


[1]
Paolo Fadda, Da karel a Cagliari – due millenni di storia della città, Carlo Delfino, Sassari 2013.

 

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