Luigi Oggiano, il santo del sardismo: grandissimo avvocato, democratico esemplare in tutte le stagioni, di Gianfranco Murtas
Salvatore Cubeddu sta lavorando intensamente a due nuovi volumi documentari che integrino e concludano la serie di Sardisti iniziata nel 1993 e proseguita due anni dopo (cfr. Sardisti. Viaggio nel Partito Sardo d’Azione tra cronaca e storia: documenti, testimonianze, dati e commenti, Sassari, Edes, 1993 e 1995). In tale contesto, focalizzando un certo speciale interesse sulla figura di Luigi Oggiano – una delle più amate anche da me, che lo ricordavo mazziniano negli anni della sua adolescenza e primissima giovinezza, fra Baronia e Barbagia, terre che al repubblicanesimo italiano nelle sue varie anime avevano donato, nel passaggio di secolo e poi, il genio di molti (da Pasquale Dessanay a Giacinto Satta, naturalmente dopo Asproni e con altri spiriti magni nella letteratura e nell’arte come nelle professioni, Giovanni Ciusa Romagna fra gli ultimi!) – ho ricordato la comune partecipazione, di Cubeddu e mia, a un convegno che giusto vent’anni fa, nel dicembre 1996, si celebrò a Posada all’insegna proprio di “Luigi Oggiano. La vita e l’azione politica”.
Fu con noi allora, terzo relatore – il più bravo (Cubeddu ne converrà) – Mario Melis che si spese, in un discorso suggestivo e per me memorabile, ad affacciare il suo personale ricordo «per onorare l’impegno di Luigi Oggiano». Ebbi con me, e quasi solo per me, Mario Melis, più tardi, nel tempo conviviale, a tavola, e m’è rimasta quella lunga conversazione di quattro ore, amabilissima ed affettuosa anche (che si concluse con due assegni del presidente a favore delle iniziative sociali dei miei amici padre Salvatore Morittu e don Ettore Cannavera), come uno dei momenti più godibili di tutto l’intero e complesso corso delle mie frequentazioni con i sardisti. E Mario Melis, con il quale i rapporti erano iniziati – salvo un fuggevole incipit epistolare forse nel 1971 o 1972 – nel quadro dei miei studi (e successive pubblicazioni) sul sardoAzionismo antifascista e sulla partecipazione sardista alla fondazione della Repubblica ed al consolidamento dei suoi liberi ordinamenti, mi dette chiara percezione, attraverso il suo ricco eloquio, della statura di quella certa generazione di esponenti del PSd’A portatori di dottrina ed esperienza, di senso dello Stato e passione civile, che hanno fatto la storia, una bella storia: così Titino e Pietro Melis, così Piero Soggiu, così Camillo Bellieni, così Luigi Battista Puggioni, così Salvatore Sale, così naturalmente Pietro Mastino e Gonario Pinna tanto simili e tanto diversi, così Anselmo Contu, così ancora certamente Luigi Oggiano. Così, con loro, quanti altri, altri cento… (sconcertante e drammatico il confronto con i dirigenti delle più giovani generazioni – quelli che hanno cambiato, scriteriatamente, delittuosamente, carne nervi e pelle a un partito affiancato tanto spesso, negli ultimi vent’anni, alla destra più volgare e parolaia cui è stata rapsodicamente commessa la guida del governo nazionale e di quello regionale: così, dopo le allegre sbandate etniciste e nazionalitarie, in avversione invece che in incontro, il partito di tanti maestri del pensiero politico e di tanti testimoni della causa democratica contro il fascismo e per la repubblica, si è ridotto ad essere stipendificio di consiglieri regionali immeritevoli e dimenticabili).
Mi ripeto, ma lo credo necessario: pur con tutte le sue specificità derivanti dall’ambiente e dalle circostanze storiche che l’hanno originato, il sardismo è stato, nel suo impianto valoriale e fin dall’inizio, figlio di quella cultura democratica italiana risorgimentale che nei nomi di Mazzini e Cattaneo si riassume: si sfoglino La voce dei combattenti (con le varie sottotestate, a partire dal 1919) ed Il Solco per trarne la prova provata. Lo stesso Bellieni – elettore repubblicano sin alla fine dei suoi giorni in quel di Napoli, dove risiedeva – marcava questa discendenza negli stessi anni ’20, quando pure marcava la distinzione combattentista e/o sardista dal Partito Repubblicano come formazione politica e parlamentare.
Ma Oggiano, l’Oggiano del 1922, l’Oggiano direttore regionale del Partito Sardo, che con Dino Giacobbe delegato regionale dei Combattenti sardi denuncia, a Nuoro, le crescenti aggressioni fasciste e le offese al giornale del PSd’A, inquadra nettamente i superiori e permanenti riferimenti ideali e patriottici che egli stesso richiamerà perfettamente trent’anni dopo, in contesto finalmente di democrazia e repubblica: «La devozione all’Italia ed alla Sardegna, come consiglia ad evitare la guerra civile, incita a resistere ai devastatori ed agli assassini. La distruzione del Solco non impedirà che ai fratelli del continente giungano le notizie di questa nostra passione: noi abbiamo fiducia che nell’Isola e nel continente quanti hanno senso di reposabilità si leveranno in piedi ad imporre la fine dell’esaltazione fascistica sarda ed a richiamare lo stesso Governo, del quale fa pure parte un cittadino sardo dimentico del proprio compito [Pietro Lissia, sottosegretario alle Finanze, nda], e che si dice espressione della gloria di Vittorio Venerto, al rispetto di noi che fummo gli artefici celebrati della Vittoria». Così a tutte le sezioni dei Combattenti e del PSd’A, nel calore della lenta eppure confusa smobilitazione.
E nel memorandum a Mussolini, interessato all’assorbimento del combattentismo sardista nel fascismo, sottoscrivendo ancora con Giacobbe e con Raffaele Angius (che avrebbe firmato con il repubblicano Silvio Mastio, nel 1924, il quotidiano Sardegna) e Candido Adami, precisava: «Essi [i Combattenti, nda] possono con orgoglio affermare di essere stati i primi in Sardegna a combattere una lotta di idee in comunione spirituale con la parte migliore dell’Italia. Il loro autonomismo dunque non fu mai concezione di distacco materiale e morale dalla Madre Patria, ma potente richiamo degli assenti per inserirli nel gioco delle forze politiche allo scopo di creare una unità organica e non soltanto meccanica della Nazione. Fu ribellione alla degenerazione democratica, che mentre svuotava lo Stato di ogni contenuto etico, elideva in una grigia uniformità la grande varietà delle ricchezze regionali, nelle quali l’Italia trovò sempre, specie nei momenti più gravi, il serbatoio di inesauribili energie morali ed economiche; fu anche particolarmente per i Sardi difesa di interessi lungamente calpestati ed invocazione di giustizia…».
E ancora: «Dopo l’instaurazione dell’attuale regime il Fascismo locale ha portato nell’Isola metodi di lotta che si risolvono per lo più in una terribile spinta alla guerra civile ed alla vendetta personale… L’appassionato amore per l’Italia e per la Sardegna ci addita il dovere di rappresentare al Governo la realtà della situazione ed i pericoli che ne derivano».
I documenti del 1922 e 1923 relativi ai negoziati, spinti o respinti, fra fascismo e sardismo in vista di trovare, o non trovare, sostanza politica e convergenza di prospettive nella comune base combattentistica, sono numerosi e pressoché tutti già pubblicati. Essi costituiscono, per la parte sardista che non cadde nel tranello degli allettamenti, un motivo di gloria a distanza ormai di quasi un secolo. E la memoria di Oggiano vive interamente, e personalmente, di quella gloria.
Mi permetto di ricordarlo ancora io, repubblicano di suggestioni azioniste, in un altro documento – questo datatato 10 febbraio 1923 – ed apparso su Il Giornale d’Italia che aveva ormai da un decennio una pagina sarda nella edizione nazionale. Ancora si riferisce alle indiscrezioni che danno per fatta l’intesa fra il PSd’A ed il Partito Nazionale Fascista che egli nega: «La mancanza di un giornale nostro (tutti conoscono la fine del fierissimo Solco) ha permesso che le voci più strampalate potessero diffondersi senza la nostra immediata reazione, poiché le smentite inviate alla stampa non hanno avuto la fortuna della necessaria pubblicità. Ricordo di avere affidato alla Stefani una smentita che non è stata comunicata ai giornali, e che per altra via La Voce Repubblicana ed Il Mondo solamente hanno raccolta… E’ assolutamente falso che il Partito Sardo si sia sciolto e siasi fuso col Partito Fascista».
Restano in ulteriore, per dire della prossimità ideale e politica rimasta incorrotta, i frequenti riferimenti alla posizione repubblicana assunta nei confronti del governo De Gasperi in carica dopo le elezioni dell’aprile 1948 – governo cui i sardisti assicurarono la loro astensione tanto alla Camera quanto al Senato – così come espressi, in quello stesso periodo, in alcuni articoli pubblicati sul rinato Il Solco. E così per quanto segue, nella sequenza dei ministeri, tutti a presidenza De Gasperi, in quella prima legislatura repubblicana.
Una curiosità. Le vicende ora affiancate ora sovrapposte ora confliggenti fra il sardismo di Mastino ed Oggiano e quello (ormai scopertamente socialista) di Lussu non impediranno che a Palazzo Madama – dove entrambi, Lussu e Mastino giungono con la qualifica di “senatori di diritto” (a norma dell’art. III delle Disposizioni transitorie della Costituzione per essere essi stati deputati dichiarati decaduti, dal regime fascista, nel novembre 1926) ed Oggiano per elezione nel collegio nuorese, i tre leader siedano, all’inizio almeno, negli stalli del medesimo gruppo parlamentare denominato “Democratico di sinistra”. Con loro altri sette colleghi (di cui quattro avvocati, portando così a sette i membri della corporazione professionale!) con radici politiche chi nel demolaburismo chi nel Fronte democratico popolare. Quando lasceranno il Senato, sia Mastino che Oggiano non mancheranno di notificare alla presidenza la loro rinuncia al vitalizio (al pari di Endrich, allora deputato). Aveva perduto, Oggiano come Mastino (mentre Endrich era trionfante podestà a Cagliari), la pensione di guerra in quanto ufficiale, per un’azione ritenuta ostile al regime ed ai Savoia, giusto in tribunale, mi pare nel 1934, ora perdeva, per pura rinuncia, quest’altro beneficio, ritenendo che la testimonianza ideale valesse più d’un assegno mensile garantito.
Restano documenti significativi negli epistolari privati come il presente che collega il senatore, eletto in quella prima legislatura anche con i voti dei repubblicani nuoresi – pochi ma generosi, erano stati 350 alle urne della Camera quell’anno –, all’allora giovane Raffaello (Lello) Puddu: una volta il 16 settembre 1951, per complimentarsi di un articolo pubblicato sulla figura di Giorgio Asproni: «Bravo! Sulla via segnata da Mazzini e dai Grandi del Risorgimento i nobili spiriti si ritrovano; a mortificazione dei dimentichi, degli scettici, degli improvvisatori, di coloro che giudicano della vita solo dalle utilità e dai beni materiali che ne possono trarre, e meglio ancora se facilmente».
Un’altra il 22 luglio 1953, dopo l’insuccesso elettorale per il mancato scatto del premio maggioritario, cui il Partito Sardo, al pari dei repubblicani e delle altre forze di governo, aveva aderito (e si consideri, un premio di maggioranza che scattava a favore della coalizione che avesse raccolto già da sé la maggioranza dei voti scrutinati!): «A ben riflettere, il risultato di queste elezioni non può essere motivo di sorpresa, deve essere motivo di amarezza: e non per me, naturalmente, per quanto è avvenuto in Sardegna, ma per quello che è il male generale italiano. Da molto tempo si temeva di questa grave scivolata. Se fossimo facili alle variazioni di umore, questa ultima sagra elettorale dovrebbe allontanare definitvamente dalle cose pubbliche molti cittadini, che sono vissuti e continuano (devono continuare) a vivere in coerenza ed in fedeltà – vorrei dire in comunione se non vi fosse peccato di presunzione o di superbia – con i Grandi Spiriti del Risorgimento, e soprattutto con l’incrollabile Mazzini. Forse noi anziani, di una generazione che almeno in parte ha avuto fede e non ha “mollato”, siamo dei “bruciati” o dei superati. Tocca a voi, giovani, e fra essi tocca a te, giovane che giustamente e nobilmente hai scelto un solco non comune e non facile per le tue idee e per la tua fatica, riprendere a tempo opportuno “l’azione”. E intanto per tutti bisogna guardare avanti ed in alto, in purità e – se così è necessario – in sacrificio. La piazza non è nostra, ma può essere nostro, e deve essere, il culto delle cose e delle idee che non danno denaro, come in un sacrificio». (Di nuovo torna a far rabbrividire l’accostare fra loro, per la sola comunanza formale della sigla partitica, Luigi Oggiano ed i sardisti degli ultimi decenni, quelli nazionalitari-indipendentisti del “noi sardi voi italiani”, i quali ignorano quanta fede e quanto sangue sia costata la repubblica come qualificata dalla Costituzione, e quelli dello stipendificio regionale accostati, per inconsapevole gusto della beffa anche nominalistica, ai “Fratelli d’Italia” neofascisti o ai pagani di “Forza Italia”).
Alla figura di Luigi Oggiano ho dedicato, negli anni, vari scritti, tanto più nella collana del sardoAzionismo; fra essi ricordo con particolare emozione la simulazione della intervista con l’avv. Antonietta Garippa, che fu, a Nuoro, una delle allieve predilette del senatore principe del foro non soltanto nuorese.
Ecco dunque, con supplemento (invero non completo) di note, il testo che presentai al convegno posadino del 1996.
Una fondazione onora, da qualche anno, il nome e la memoria di Luigi Oggiano, a Siniscola. Mi auguro che l’iniziativa porti ad incoraggiare nuovi studi, coinvolgendo anche le scuole locali, esplorando il nuovo ed inedito, o meglio, l’antico non ancora emerso nelle ricerche finora svolte. E che si arrivi alla pubblicazione della raccolta tendenzialmente completa degli scritti del senatore nelle diverse sue fasi di vita pubblica.
Alla fabbrica della repubblica e dell’autonomia speciale
Lavorando negli anni fra il 1989 ed il ‘92 alla serie di volumi sul sardo-Azionismo (che hanno collezionato, anche con le due appendici, qualcosa come 2.500 pagine) (1) è stato giocoforza incontrare, sia pure con ruoli assai diversi, Luigi Oggiano e Pietro Mastino (ma nel caso dovrei dire Pietro Mastino e Luigi Oggiano).
Al fenomeno del sardo-Azionismo ho dato una duplice accezione: dei sardi presenti nel movimento azionista italiano, all’interno dei distinti, e talvolta conflittuali, filoni socialista, o liberalsocialista, o socialista liberale dì estrazione gielle – coi Lussu e i Fancello e i Mario Berlinguer per esempio – o democratico, e liberaldemocratico e mazziniano – coi Siglienti e i Fantoni; e nell’Isola – aggiungo limitandomi ai leader provinciali – i Cesare Pintus, i Gonario Pinna, i Salvatore Cottoni, tutti e tre mossi da idealità mazziniane orientate al socialismo.
E poi – seconda accezione – del sardismo stretto nei patto federativo col Partito d’Azione stipulato a Macomer il 15 settembre 1944, auspice Lussu (che avrebbe voluto, in un primo momento, la perfetta ma impossibile confluenza del Partito Sardo nel Partito d’Azione, insomma la rinuncia dei Quattro Mori per la Spada fiammeggiante ed il motto Insorgere-Risorgere di Giustizia e Libertà): patto che definì, in conclusione, l’entrata degli azionisti sardi nel Partito Sardo d’Azione – appunto i Pintus, i Pinna, i Cottoni, diciamo 500 iscritti in tutto, ma soltanto in minima parte pienamente consapevoli dei postulati ideologici del Partito d’Azione e piuttosto lussiani toto corde (e direi, alla gesuitica, perinde ac cadaver, nonostante certi distinguo italianisti di Pintus e Pinna) – e, specularmente, l’intesa federativa fra Partito Sardo e Partito d’Azione, col riconoscimento da parte del primo della linee politiche generali, nazionali ed internazionali, purché non confliggenti con gli interessi preminenti dell’Isola, propugnato dal secondo.
Così, mentre Pintus – che sarà di lì ad un mese sindaco di Cagliari di nomina prefettizia su designazione del CLN provinciale –, e Pinna e Cottoni prenderanno la tessera sardista entrando anche negli organi direttivi, due fra i maggiori esponenti del sardismo organizzato – Puggioni, direttore in carica rieletto a Macomer, e Mastino, leader maximo sempre e comunque al di là degli organigrammi – assumeranno incarichi politici nazionali in quota azionista: il primo, Luigi Battista Puggioni, entrando a far parte della Consulta nazionale insediata nei settembre 1945 dal governo Parri, il secondo, Pietro Mastino, assumendo il sottosegretariato ai Tesoro con delega ai danni di guerra nel governo Parri e nel successivo ministero De Gasperi – quindi per un anno intero, da giugno 1945 a giugno-luglio 1946.
In questa fase politica, dunque, è Mastino a ricoprire, con Lussu (ministro con Parri e per alcuni mesi anche con De Gasperi) un ruolo di primo piano del partito regionale sullo scenario nazionale; ciò che continuerà ad essere all’indomani delle consultazioni del 2 giugno 1946: giacché soltanto essi – Mastino e Lussu – saranno i sardisti eletti alla Costituente, le cui funzioni si protrarranno fino alle elezioni parlamentari dell’aprile 1948.
Assai più defilato, e confinato in quel di Nuoro all’inizio, con l’incarico anche di segretario del CLN provinciale, è il ruolo politico di Luigi Oggiano. E ciò nonostante, dalle carte degli anni 1943-1945 e oltre appare fin troppo chiaro che non è la leadership esclusiva di Mastino, ma è l’asse Mastino-Oggiano a tenere la barra del partito al centro, fra le spinte di quelli che vorrebbero sposare l’azionismo (o l’azionismo socialista dei lussiani) e quelli mossi da irrazionali pulsioni più o meno separatiste, intrinsecamente reazionarie.
Certo è che, in quegli anni, la capitale politica del sardismo è Nuoro e, in qualche modo, lo resterà anche quando Giovanni Battista (Titino) Melis per volontà di Lussu si trasferirà a Cagliari tra la fine del 1945 ed i primi mesi del 1946, assumendo pleno jure le funzioni di direttore del Partito Sardo, e di direttore del Solco, l’organo ufficiale del partito.
Una geografia politica che si confermerà anche dopo l’uscita di Lussu dal Partito Sardo, nel luglio 1948, per la contestuale presenza in parlamento di tre esponenti – tutti e tre nuoresi – dei Partito Sardo: Mastino e 0ggiano al Senato della Repubblica (Mastino come senatore di diritto nella prima legislatura) e Melis alla Camera dei deputati.
Affidata intanto a Titino Melis la leadership operativa – ma aggiungo di attribuire a questa parola un significato largo, che comprende la decisione politica, la proposta e l’attuazione della proposta politica –Mastino ed Oggiano saranno i grandi consiglieri che daranno, almeno fino alla metà degli anni ‘60, il contributo della loro esperienza, il contributo della ponderazione, della misura, della gradualità nell’azione concreta del partito nelle sedi istituzionali (Mastino intanto è divenuto sindaco dì Nuoro). Fino, dicevo, alla metà degli anni ‘60, poco più, quando Melis è nuovamente alla Camera (membro sardista del gruppo parlamentare repubblicano) (2) e nel PSd’A iniziano ad infiltrarsi tentazioni indipendentiste scaturenti da una sempre più accentuata riflessione etnicocentrica e nazionalitaria, quella dei Columbu e più ancora dei Simon Mossa.
E’ in quella fase che qualcosa di sostanziale cambia, a mio parere, nella identità del Partito Sardo d’Azione. Accelerando il processo dello cose all’indomani della scissione del 1968 (con la confluenza dei sardisti autonomisti nel Partito Repubblicano formalizzatasi nel 1971) e dopo la scomparsa nel 1976 di Giovanni Battìsta Melis, il Partito Sardo – nella mia lettura degli eventi – marcherà una sua nuova natura, riscrivendo in sardo, nella lettera, anche, ma prima ancora nello spirito, e cioè di fatto e metaforicamente – i suoi statuti e le sue nozioni, formalizzando una cesura definitiva rispetto ad una storia ideale ed ideologica che io credo veda il sardismo, pur nell’originalità della sua elaborazione, nell’albero della democrazia mazzìniana e cattaneana, cioè dell’anima repubblicana e autonomista/federalista del risorgimento italiano (3).
Compirei, a questo punto, una breve passo all’indietro, prima di ricapitolare tutto, prendendola dall’inizio questa storia parallela di cui ha scritto il compianto Elettrio Corda nel libro, che ormai conosciamo, uscito proprio di recente (4), esattamente sull’argomento di questa mia relazione, che in parte apparirà, pertanto, spuntata.
Il passo indietro è nella Nuoro dei primi anni ’30. Il documento – un rapporto dell’OVRA datato 1933 – è stato pubblicato da Corda in un altro suo libro – Storia di Nuoro (5) –, diversi anni or sono, e fa il paio con altri documenti riportati nell’antologia, a cura di Manlio Brigaglia ed altri, L’antifascismo in Sardegna (6).
L’incipit è questo: «Da due anni e mezzo ho notato che tutti quei sovversivi (sardisti, socialisti, repubblicani, anarchici e comunisti) che negli anni 1922-1923-1924 avevano fatto il bello ed il cattivo tempo a Nuoro, e che solo dopo il 1927 si erano apparentemente ritirati dalla politica, svolgono una cattiva propaganda in ore illecite, tengono il collegamento con gli antifascisti di altri centri, nascondendo l’organizzazione sotto le spoglie di amicizie personali…», e così via. Il documento è interessantissimo, descrivendo le modalità più concrete ed usuali dell’attività di opposizione clandestina, anche se non rende onore a chi l’ha scritto, che si rivela di cultura assai modesta.
A giudizio di Z.I., che sigla il rapporto, l’antifascismo nuorese è articolato in tre gruppi: «intellettuale, giovanile e cattolico».
Interessa qui il primo gruppo, al quale parteciperebbero – è detto – «alcuni professionisti che in altri tempi furono gli esponenti autorevoli e più accaniti delle diverse correnti antifascistiche che tengono quasi sempre i contatti tra di loro. Questi fanno apertamente opera di denigrazione del Regime, criticando apertamente uomini ed attività del Regime, diffondendo dicerie su presunte malefatte di autorità e di gerarchi e divulgando aneddoti e barzellette antifasciste. Questi acidi, questi vili, abusano delle loro amicizie e della onestà di certi fascisti tiepidi, alcuni appartenenti anche alla Milizia per sfogare nelle conversazioni quotidiane, nelle famiglie e crocchi, sempre che possano, tutto il livore contro il fascismo».
Niente di particolarmente eroico, dunque, è addebitato all’antifascismo nuorese «degli intellettuali», che sarà un giorno chiamato «degli avvocati». Ma conferma di un indirizzo morale ed ideale, direi anche politico, mai tradito. L’elenco nominativo che segue comprende dodici personalità: cinque sono sardisti (Pietro Mastino, Dino Giacobbe, Titino Melis, Emilio Sechi e Luigi Oggiano); tre repubblicani (Gonario Pinna, Efisio Caria – che passerà più tardi al Partito Comunista – e Sebastiano Dessanay) (7), un socialista (Filippo Satta-Galfrè) e tre popolari (Salvatore Mannironi, Francesco Murgia e Battista Congiu).
Con Mastino dominus, subendo l’oltraggio di Lussu
Opera, in clandestinità, fra gli altri – sostiene il rapporto di Z.I. –, anche un gruppo di fede sardista della zona di “Pont’e ferru”, di cui fanno parte «antichi sardisti che si riuniscono nella bettola di Zoseppeddu in fondo al Corso; pare che si riuniscano la domenica in case di campagna». Sono segnalati quattro artigiani (un sarto, un calzolaio, un fabbro-ferraio ed un falegname) ed un negoziante.
Credo si debbano qui richiamare i giudizi su Mastino ed Oggiano. Del primo si dice che «fu capo riconosciuto del fronte unico antifascista di questa zona ed oggi ne è il capo spirituale per quanto per la moderazione e la prudenza che ha sempre dimostrata possa sembrare del tutto estraneo alla attività politica». E del secondo: «Uno dei capi del Partito Sardo d’Azione, di cui fu una delle più note e simpatiche figure. Per incomprensione del momento storico impedì la fusione fra il detto partito (sardo) ed il fascismo. E’ solidale spiritualmente con gli altri ma non solito svolgere alcuna attività. E’ da vigilare» (8).
Come per rielaborare questo giudizio – tutto sommato sbiadito – dei due leader, Emilio Lussu, in un momento particolarmente critico della vicenda sardista, all’indomani della scissione del 1948, e precisamente nel suo discorso all’Olympia di Cagliari di domenica 11 luglio (riportato integralmente su Riscossa Sardista, l’organo del Partito Sardo d’Azione Socialista allora sorto, germinato da quella scissione), liquiderà personalità, dottrina e fede di Mastino ed Oggiano, anche guardando agli anni del fascismo, con queste parole: «Che cosa è il Partito Sardo d’Azione di Mastino, Puggioni, Oggiano, Puligheddu, Bartolomeo Sotgiu, Piero Soggiu, Anselmo Contu e famiglia Melis?… il vecchio Partito Sardo d’Azione è un partito di clientele attorno ad avvocati onesti e celebri, prefessionalmente valorosi: è una organizzazione senza tessere e senza elezioni locali e senza direzione. E’ la clientela dell’onorevole Pietro Mastino: 5.000 assoluzioni in Corte d’Assise in 40 anni di professione, lo farebbero riuscire deputato anche da solo. E’ la clientela, più modesta, dell’ottimo Luigi Oggiano…», ecc. «A questo si è ormai ridotto il Partito Sardo d’Azione, che si può chiamare il Partito Sardo d’Azione degli avvocati e potrebbe comodamente tenere le sue riunioni in una sala del Palazzo di giustizia».
E più oltre: «Si ridurrà, piano piano, ad un partito chiuso nel centro della Barbagia di Nuoro e diverrà inevitabilmente il Partito Nuorese di Azione… Mi pare di vederlo Pietro Mastino, cui auguro ancora trent’anni di vita, presiedere, fra vent’anni, la Sagra del Partito a Nuoro, in berritta e mastruca, e Oggiano con le launeddas sotto il braccio, mentre Puligheddu canta il duru-duru» (9).
Ecco, nella sua foga polemica – ma il discorso dell’Olympia è molto bello, come belli, pur nelle loro asprezze rapsodiche, sono tutti o quasi gli altri, di prima e di dopo – Emilio Lussu muove due accuse alla dirigenza del suo partito ritrovato al ritorno nell’Isola e rafforzata dai congressi di Macomer del luglio 1944, di Oristano del marzo 1945, e di Cagliari dell’aprile 1947: di essere prevalentemente composta da avvocati (ma lui stesso lo è) e di essere prevalentemente composta da nuoresi: nuoresi della Barbagia, ma anche della Baronia o dell’Ogliastra…
Mastino ed Oggiano sono completamente dentro questo identikit negativo (tra virgolette). Mastino sarà e resterà «l’oltremodo caro» (10) – come Lussu lo definirà (dopo averlo chiamato borghese e conservatore al pari di Oggiano naturalmente, e di Puggioni, Sale, Bartolomeo Sotgiu, Puligheddu, Piero Soggiu e Contu) nel congresso del marzo 1949, il primo congresso del Partito Sardo d’Azione Socialista, cui è però polemicamente attribuito il numero ordinale di decimo, come a sostenere la continuità fra il sardismo delle origini e quello socialista post-gielle: Mastino che col suo «prestigio professionale» (11) – parole di Lussu – regge come può il sardismo «residuo» a Nuoro; Mastino che trent’anni fa – dice – ha rappresentato l’avanguardia democratica del Nuorese» ed ora «non avverte… tanta decadenza» (12) distrugge la più bella pagina, democratica, repubblicana e laica», andando ad allearsi – così nel 1949 – con il Partito Repubblicano partecipe del ministero De Gasperi, quadripartito di centro e, dice, il più reazionario e clericale che abbia conosciuto l’Italia dall’unità ad oggi, fatta naturalmente eccezione del periodo fascista» (13).
E Oggiano? Raccontando il rientro di Lussu in Sardegna, dopo la lunga emigrazione francese, seguita alla fuga del 1929 da Lipari, Francesco Spanu Satta – un cattolico di breve militanza azionista a Sassari e poi rifluito nella DC e nella conservazione dei democristiani sassaresi – scrive nel suo bel volume Il Dio seduto. Storia e cronaca della Sardegna 1942-1946, e precisamente nel capitolo intitolato “I sardisti ed il Partito Italiano d’Azione”: «Ed affettuoso era stato l’abbraccio con Luigi Oggiano, un compagno fedele dei vecchi tempi. Ma poi ad uno dei vicini aveva detto: “Siniscola-Nuoro, Nuoro-Siniscola, tutta una vita, questo è Luigi Oggiano”. Il piccolo seppur onesto provincialismo con cui il partito affrontava i nuovi tempi – commenta Spanu Satta – era fotografato audacemente. Battute di queste genere non potevano piacere a nessuno» (14).
«Nazionalisti, conservatori, chiusi dentro l’orizzonte breve del villaggio»: questo è, per Giuseppe Fiori che scrive Il cavaliere dei Rossomori, lo scenario umano e politico del sardismo incontrato da Lussu nel luglio 1944 e frequentato, sempre più controvoglia, in seguito (15).
Lussu interrompe più volte (anche se per ridimensionare l’attrito delle incomprensioni) Luigi Oggiane che, parlando a braccio, interviene al nono congresso del Partito Sardo per contestare in radice la fondatezza degli addebiti di conservazione rivolti alla dirigenza (e/o a certa militanza) del partito.
Dice Oggiano: «In che modo dunque, e quando noi abbiamo cambiato e tralignato? Noi abbiamo sempre portato in alto, con somma dignità, la bandiera del partito e non intendiamo abbassarla nel futuro. Se ci si fa l’accusa di non aver fatto la rivoluzione in Sardegna, rispondiamo che ciò è vero […]. Però si può dire che non si poteva farla e che un rimprovero del genere è ingiusto [...]. E che cosa è questo rimprovero di essere rimasti in Sardegna?
«Lussu: – Nessuno, mai!
«Oggiano: No, ci è stato rimproverato proprio da te.
«Lussu: – Se lo avessi detto, sarei stato uno sciocco uomo politico.
«Oggiano: – Può darsi che questo sia stato detto in un momento, nel quale la parola non era meditata e non controllata per uno speciale stato d’animo, ma non si può negare. Tu lo sai, Lussu: io sono un umilissimo sardista, ma servo particolarmente la verità. Fino al 1926 noi eravamo assieme. E perché non si è agito fino al 1926? E’ chiaro, non si poteva», ecc.
Ancora Oggiano: «Ci si può rimproverare, sì, di non essere stati partigiani; ma in terra nostra la guerra non c’è stata; se ci fosse stata, credo che ogni sardo avrebbe fatto il suo dovere, e Lussu potrebbe mettere oggi, accanto a tutti gli eroi purissimi che hanno versato il loro sangue in Italia, i partigiani della Sardegna.
«Lussu: – Certamente.
«Oggiano: – Ma va ricordato che quando voi vi sacrificavate nell’esilio o nelle carceri, in difesa della libertà e per la giustizia, noi vi seguivamo come fratelli affettuosi ed ammirati, inspirandoci al vostro sacrificio, facendoci degni del vostro sacrificio» (16).
Così Lussu verso Mastino ed Oggiano nel momento più acuto della crisi sardista, così Oggiano nella replica doverosa.
Nel 1943 e dopo, sulla questione degli apparentamenti
Ma per entrare maggiormente nel ruolo dei tandem Mastino-Oggiano in quella stagione che si chiude con la scissione lussiaria del 1948 vorrei scendere di alcuni anni, un lustro esatto, al 30 settembre 1943.
Siamo a poche settimane dall’armistizio che ha restituito possibilità di respiro alla catacombale democrazia italiana, attraverso la formazione delle compagini partitiche via via associate nei comitati comunali di concentrazione antifascista, e già dall’inizio provinciali – un coordinamento ci sarà anche a livello regionale – da cui verranno le designazioni per le nuove e provvisorie amministrazioni locali, che sostituiranno l’organo monocratico, podestà o commissario prefettizio.
In campo sardista è Luigi Battista Puggioni – per la sua qualifica di direttore fiduciario – a prendere l’iniziativa inviando ai due dioscuri nuoresi un programma possibile del PSd’A risorto. E Mastino risponde: «Caro Puggioni, Oggiano ed io abbiamo letto con la maggiore attenzione lo schema di programma del partito sardo, da te preparato. Non te lo rimandiamo perché ci è necessario per riesaminarlo e rielaborarlo secondo il nostro modo di vedere e perché pensiamo, d’altra parte, che non solo non sia urgente pubblicarlo o diffonderlo, ma che ciò potrebbe essere, oggi, inopportuno», ecc. (e in questo “ecc.” c’è ribadito il «noi»: «noi pensiamo», «a noi pare», «a nostro avviso», «ci sembra»…).
E’ una lettera molto importante, oltre che interessante per la sua ricca articolazione tematica, questa, che pubblicai nel terzo volume della serie sardo-Azionista (17). Ma porrei l’accento su un alinea, il terzo, del documento: quello in cui si fa riferimento agli apparentamenti, materia che diventerà esplosiva con il rientro di Lussu, cioè di Lussu azionista, nove mesi più tardi.
Scrive Mastino, anche a nome di Oggiano: «Il vecchio partito stabilì patti di alleanza con altri partiti regionali, avviandosi così a diventare partito nazionale. Tale concetto dev’essere riaffermato? A noi pare di sì, e che debba essere precisato come quelle masse, di cui si parla nello schema, sono quelle dei contadini e dei pastori (sempre assenti dalla vita politica italiana), in modo che l’affermazione dei principi antiprotezionisti sia una necessaria premessa e conseguenza ed una delle principali caratteristiche del nostro movimento […]. Abbiamo bisogno [...] di una serie di ragioni che diffusamente possono essere esposte solo a voce, di riallacciare il nostro movimento a quello delle altre regioni, soprattutto se poi desideriamo che la nostra voce, e quella dei nostri eventuali rappresentanti, sia ascoltata ed abbia possibilità di successo» (18).
La corrispondenza a tre fra Puggioni, da Sassari, e Mastino e Oggiano, da Nuoro, continuerà nei mesi successivi, fino ad un incontro che si programma ad Oristano il 12 dicembre 1943 fra le rappresentanze delle diverse sezioni risorte del sardismo sassarese, nuorese e cagliaritano (19).
Secondo momento. A Macomer il 29 e 30 luglio 194 si svolge il sesto congresso del sardismo, il primo del dopoguerra (ma varrà ricordare che sul continente la guerra antiburgunda, partigiana e dell’esercito regolare, imperversa ancora: Roma è stata liberata da meno di due mesi, mentre per il centro-nord ci vorranno ancora nove mesi per arrivare al 25 aprile e alla definitiva liberazione delle grandi città, Genova e Milano in testa). Il governo in carica, costituitosi dopo la liberazione della capitale, è il primo del CLN presieduto da Bonomi. Alle Finanze è il sardo, già sardista, o sempre sardista ma anche gielle e azionista, Stefano Siglienti, reduce anche lui da un martirio, infine vittorioso, anche per merito della moglie Ines Berlinguer che è riuscita a farlo evadere dalla detenzione nazista.
Non c’è ancora Il Solco, che riprenderà le pubblicazioni nel marzo 1945. Le informazioni su quell’assemblea regionale ci vengono dalla testimonianza dei superstiti fra i presenti e dal numero unico Forza Paris!, (20) monografico, interamente dedicato ai lavori congressuali, con direttore responsabile Giovanni Battista Melis. Nel titolo di apertura si parla di «250 Sezioni» riattivate e di «37.000 inscritti» (che Lussu avrebbe arrotondato a 50.000 presentandosi, al congresso azionista di Cosenza del mese successivo, come loro delegato e leader e così accrescendo la potenza del suo carisma anche nel partito nazionale).
L’editoriale che segue un colonnino di Fancello, è di Pietro Mastino. Il grosso della prima pagina e le due successive accolgono la minuziosa cronaca del dibattito, sviluppata con grande perizia da Pietro Melis, segretario del congresso; chiudono pochissimi articoli: uno è di Oggiano (“Regione – Ente Regionale – Federalismo”), uno di Giovanni Battista Melis (“Il Partito Sardo nella nostra Provincia”, cioè a Nuoro), un altro di Anselmo Contu (“Fortuna di un’idea”), uno infine di Luigi Battista Puggioni (“La fine della nostra solitudine”) (21).
Presidente (acclamato) dell’assise è Mastino; parla Siglienti il ministro in carica, poi il fiduciario regionale Puggionì, per la sua “relazione morale”, quindi gli altri. Nella seconda giornata – domenica – anche Fancello, che sostiene, con qualche prudenza formale, visto il clima, la tesi dell’associazione fra sardisti ed azionisti, ed anche Oggiano.
Non manca il gruppo dei separatisti e dunque, fra i “fusionisti” azionisti ed i separatisti, o i puristi del sardismo, ecco la necessità della mediazione, che non significa non voler scegliere ma scegliere una via mediana, anzi “meditata”, che salvi l’unità del partito, nel rispetto della sua identità storica ed ideale (e organizzativa), della sua originalità e peculiarità come elemento di ricchezza propositiva nella politica che torna protagonista nella vita civile dell’Italia.
Vengono presentati due ordini del giorno. Il primo non è, in verità, separatista – lo sottoscrivono anche uomini come Bartolomeo Sotgiu e Piero Soggiu, che, specie il secondo, non possono essere liquidati certo come separatisti –, ma evidenzia comunque il no alle intese con gli azionisti, ritenute premature.
Il secondo documento, quello di mediazione verso la proposta di Fancello (e indirettamente di Lussu, assente alla riunione) reca varie firme, fra cui quelle di Mastino ed Oggiano, il quale Oggiano è chiamato ad illustrare i contenuti, ed anche a diffidare gli amici da taluni irrigidimenti, dice, dalle «assolute astrazioni» e dai «calcoli terra terra»: «Le parole di Lussu e di Fancello – sostiene – sono espressioni della continua fortissima e sempre crescente aspirazione al rinnovamento dell’ordine politico, sociale, morale e giuridico in Italia e fuori, ma particolarmente in Sardegna, certo non con esclusione della Sardegna. Da quella aspirazione, con principi che vengono dichiarati di derivazione dal movimento e dalla esperienza del sardismo, è sorto il loro nuovo partito a base nazionale». Dunque, «Vi è sicuramente, per tale partito e per il nostro, un piano di battaglia comune, una concezione si può dire eguale del nuovo ordinamente statale (autonomia regionale, stato federativo), ed una concezione che, con i necessari ritocchi, può essere eguale circa la nuova struttura sociale».
E infine: «Noi non incitiamo a stringere patti col diavolo, vergognosi ed irrimediabili; noi diciamo che, se vi è un partito come l’italiano di Azione che ci consenta di realizzare senza rinunzie o indegni pattegiamenti, grave errore si commetterebbe nel volerlo ignorare» (22).
Il voto congressuale sarà largamente favorevole a questo indrizzo che porterà, come detto all’inizio, ad un patto federativo, formalizzato nel settembre successivo, fra sardisti ed azionisti, ed in seguito ad esso il Partito d’Azione nell’Isola chiuderà le sue sezioni ed i suoi militanti confluiranno nel Partito Sardo, mentre i sardisti, aderendo alla linea politica generale azionista – o “italianista” –, manderanno Mastino al governo e Puggioni alla Consulta nazionale.
Non ripasserò, momento per momento, la successione degli appuntamenti congressuali del sardismo. Basterà soltanto ricordare che nel marzo 1945, ad Oristano, Mastino è ancora presidente, ed è lui – dopo l’intervento del direttore Puggioni per la relazione morale – a dare la parola a Luigi Oggiano per quella piuttosto politico-programmatica.
Al VII ed VIII congresso regionale
Riprendo dal resoconto de Il Solco del 25 marzo (è il quarto numero della nuova serie del giornale che esce a Sassari, diretto da Puggioni) (23): «Il Presidente dà quindi la parola all’avv. Luigi Oggiano che deve riferire sul programma del Partito. L’oratore afferma che, a suo avviso, la relazione sul programma politico non può essere separata da quella sulla questione sociale e prega perciò l’assemblea di riunire i due argomenti all’ordine del giorno (proteste e interruzioni). L’on. Mastino spiega ai congressisti che l’avv. Oggiano troverà il modo di parlare dell’una e dell’altra questione, salvo poi a discutere separatamente le due relazioni; e a sua volta l’avv. Oggiano soggiunge che non può parlare di una questione senza parlare dell’altra, poiché secondo il suo pensiero, non si puó distinguere un problema dall’altro» (24). Sembra una questione marginale, questa, nell’economia generale del congresso, ma non lo è affatto.
A conclusione del suo lungo discorso, Oggiano presenta i postulati politico-costituzionali, oltre a quelli economico-sociali, del partito. Riprendo un attimo i primi, elencati ai punti 2 e 3: «L’Italía deve avere un reggimento repubblicano federalista sulla base delle Regioni autonome (secondo la libera deliberazione di esse) ed in ogni caso con la Sardegna autonoma avente un governo regionale federato alle Stato Italiano. “L’ordinamento governativo nello Stato e nelle Regioni, in ogni caso nella Sardegna deve essere veramente democratico» (25).
Questa relazione (col connesso ordine del giorno Puggioni) raccoglie oltre 28.000 voti congressuali, 4.000 sono i no e 1.300 le astensioni.
Ma il congresso non si gioca tanto sulle questioni istituzionali quanto piuttosto su quelle economico-sociali (ed è lì il motivo della centestazione procedurale dei lussiani – quelli che protestavano ed interrompevano – all’impostazione Mastino-Oggiano dell’andamento dei lavori). L’ordine del giorno della sezione di Cagliari, in mano ai lussiani, reca un forte contenuto socialista che è respinto dal congresso (è votato però da Puggioni): 11.300 sì contro 20.200 no. Si teme, in seguito al voto, l’uscita di Lussu dal partito (il solo autorizzato alla doppia tessera sardista ed azionista), ma ancora non sono maturi i tempi.
Mastino – al momento deputato (con Lussu) alla Costituente – presiede anche l’VIII congresso, che sì svolge nella primavera 1947 a Cagliari e che si qualifica essenzialmente, direi, per la relazione del consultore regionale Piero Soggiu, che ben integra la relazione d’apertura del nuovo direttore regionale Titino Melis, e per il dibattito che ha avuto ed ha per protagonisti – nell’aula ma anche e forse soprattutto sulla stampa – Lussu o Gonario Pinna circa la rappresentatività sociale del Partito Sardo, se e come partito dei ceti medi, oltre che dei lavoratori (26).
Dirò anche che l’ottavo è pure il congresso in cui si marca ufficialmente una prima frattura fra il gruppo nuorese di Mastino ed Oggiano (e Puligheddu e gli altri, della più lunga tradizione sardista) e quello di Gonario Pinna (di più fresca militanza sardista, dopo le appartenenze repubblicana – storica questa, dagli anni della grande guerra addirittura – e, brevissima ed idealmente del tutto coerente, azionista). Il primo progetto di statuto autonomistico in chiave federalista è state elaborato da Pinna, poi il testo è stato modificato, qualcuno dirà rimaneggiato, da Oggiano e cioè dal partito, al quale Oggiano è, ben più di Pinna, organico (27).
Il sardismo è tutto italiano! E il servizio della buona amministrazione
La conclusione dell’intervento di 0ggiano è in chiave perfettamente patriottica: «Combatteremo ancora. Questo è il nostro destino; questa è anche la forza del Partito Sardo. E da italiani, perché noi abbiamo cominciato venendo giù dalle trincee, dove abbiamo lasciato sangue e carne per la patria e per la Umanità. Non possiamo fermarci e combattiamo sempre contro le stesse cricche, contro gli stessi nemici. Diamo questa consegna ai giovani, e diamo particolarmente questa consegna a voi, che nella Costituente farete del vostro meglio per la difesa della Autonomia di fronte a tanti nemici. Fratello Emilio Lussu!… » (28), ecc.
L’esperienza di costituenti di Lussu e Mastino si conclude, come ho detto, nei primi mesi del 1948.
La scelta repubblicana dei sardisti è stata sostenuta, nel giugno 1946 – quando si è votato per la Costituente oltre che per il referendum istituzionale – da una lista autonoma da quella azionista (non presente nell’Isola): c’è stato un grande dibattito, nei mesi che hanno precedono il voto, su questa scelta ma è stata scelta opportuna, anche per frenare gli ardori polemici, del tutto strumentali, di clericali e democristiani che nella solidarietà fra sardisti ed azionisti hanno visto, o hanno voluto vedere, uno slittamento giacobino, laicista ed irreligioso del sardismo; la scheda sardista per la Costituente ha avuto tre capilista: Lussu, Mastino e Puggioni, e al numero 9 ecco Melis su cui pure si punta. Ma andrà male, non solo per Melis ma anche per Puggioni (consultore nazionale uscente, già dimissionario).
La lista non ha incluso Oggiano – il nome di Mastino copre pienamente anche l’area… di sensibilità che si riconosce in Oggiano, nell’avvocato santo. Invece Oggiano, appena tre mesi prima, ha guidato la lista dei Quattro Mori alle amministrative di Nuoro ed è stato eletto alla grande con altri otto compagni di partito, fra cui ricordo Dino Giacobbe, Gino Satta e, giovanissimo, Michele Columbu. Mastino ha presentato la lista con queste parole: «Sono passati tanti anni: la nobiltà morale, la dedizione senza limiti di sacrificio alle idee di giustizia e di libertà, l’amore per il popolo sono connaturati con la figura di Luigi Oggiano – eroico volontario e combattente della guerra, invalido sacrificato nelle piaghe delle sue ferite, apostolo di ogni giusta causa, esaltazione umana della virtù praticata nella vita di ogni giorno. Oggi, come venticinque anni fa, Luigi Oggiano impugna la bandiera del nostro partito, alfiere purissimo della nostra battaglia».
Dal 1945 Oggiano avrebbe dovuto far parte anche della Consulta regionale, anche per il merito della paternità che avrebbe avuto del progetto sardista, sia pure su una base che era, come ho detto, di Gonario Pinna. Anzi, dai 1944 avrebbe dovuto far parte della giunta consultiva interpartitica, organo consultore dell’Alto Commissario; la nomina da parte del governo sarebbe anche stata formalizzata nel luglio di quell’anno, poi era caduta assieme a quella di tanti altri esponenti dei vari partiti.
Nei primi tabulati predisposti dall’Alto Commissario – come ricorda Maria Rosa Cardia in un bello studio di qualche anno fa, esattamente del 1992, uscito da FrancoAngeli, importantissima casa editrice milanese, su La nascita della Regione Autonoma della Sardegna 1943-1948, che tratta per lo più, con dovizia di particolari per lo spoglio dei documenti ed ottimamente inquadrato nel più largo ambito dei dibattito politico del tempo, dei lavori della Consulta regionale – i nomi di Mastino od Oggiano erano associati, con quelli di altri esponenti, in vista della prima formazione dell’organo che avrebbe dovuto collaborare con l’Alto Commissario Pietro Pinna nel governo effettivo dell’Isola nei mesi, e anzi negli anni antecedenti l’avvento dell’Istituto autonomistico, il cui statuto si attendeva dalla Assemblea Costituente.
Varie spinte fanno cadere Oggiano; quando Mastino entrerà al governo, con Parri – e perciò quasi subito – a subentrargli, nel rispetto della rappresentanza provinciale, sarà Anselmo Contu (gli altri consultori sono Sale per Sassari e Piero Soggiu per Cagliari, o Cagliari-Oristano; si aggiungerà, ma più in là nel tempo, anche Casu).
Le vicende della Consulta regionale si svolgono in costanza di quel tempestoso dibattito politico in seno al PSd’A del quale ho riferito, fra lussiani e centristi, o sardisti “puri” o “tradizionali”, e i cui momenti più alti ed acuti sono quelli congressuali.
Parallela all’attività della Consulta è quella della Costituente, ai cui lavori Mastino dà forse il meglio di sé (ed è dato immaginare, non senza fondamento, il contributo di idee e riflessioni offertogli da Oggiano).
E’ il ciclo storico che si conclude nel luglio 1948, cioè con la scissione lussiana. La corrente social-sardista, o chiamala sardista socialista, a esce sconfitta. La mozione denominata soltanto “sardista”, articolata in 17 alinee, reca come primi firmatari proprio Mastino e Oggiano, con la loro nuova qualifica di senatori della Repubblica.
Qualche focus biografico
Presenterei a queste punto una scheda sintetica, flash, rappresentativa delle biografie gemelle di cui cercherò di cogliere alcune relazioni significative ai fini del discorso che ho svolto, per poi, nella parte conclusiva, focalizzare alcune pagine meglio rappresentative della mutua vicinanza, umana ed ideale, fra Mastino ed Oggiano.
Mastino – Mastinu all’inizio –, nuorese di nascita (ma bosano di ascendenze, figlio di avvocato e sindaco di Nuoro dal 1956 al 1960: sarà lui a ricevere le spoglie della Deledda nel 1959) ha nove anni più di Oggiano (siniscolese, figlio di contadino): l’uno è del 1883, l’altro del 1891, lo stesso anno di Antonio Gramsci, lo stesso anno di Emilio Lussu, direi anche lo stesso anno di Antonio Segni e, in casa repubblicana, di un’eccellenza morale e intellettuale come Michele Saba, sassarese di Ossi.
Ciò significa che quando Mastino si laurea, nel 1905, all’università di Torino, Oggiano è ancora al ginnasio (frequenta l’Azuni di Sassari, ed all’ateneo sassarese si laureerà); e quando l’Italia interviene nella grande guerra, che cambierà i destini di entrambi – nel 1915 dunque – Mastino ha già 32 anni ed è professionista affermato, mentre Ogiano ne conta appena 23 (si è laureato da pochi mesi, nel dicembre 1914).
Se si dovesse guardare ad un eventuale impegno politico, o almeno ad uno schieramento ideologico dei due negli anni che precedono il conflitto, potremmo sbrigarcela dicendo che Mastino è di orientamento radical-liberista, salveminiano, antiprotezionista, con venature socialiste, ma più morali che politiche (nel 1913 è con Deffenu e coi salveminiani Nicolò Fancello e Camillo Bellieni: richiamerei qui un bell’articolo biografico di Aldo Borghesi uscito sul Bollettino Bibliografìco del prof. Tito Orrù nel 1990)!
Oggiano, laico quanto Mastino in quanto a valori di coscienza, propende per un indirizzo democratico-mazziniano, direi un socialismo umanitario con tutte le categorie del mazzinianesimo. Ne fanno fede tanti scritti di cui riferisco Elettrio Corda nella sua antologia biografica più volte richiamata.
Cementate in un humus repubblicano in anni in cui, anche per le ragioni collegate o presto ricollegabili alla guerra, casa Savoia è il perno di tutto l’ordinamento non soltanto costituzionale ma anche politico, entrambe tali posizioni ideali-ideologiche entrano nella rispettiva professione sardista o autonomista che va già prendendo corpo, come elemento di coscienza e non soltanto di cuore o sentimentale, prima ancora che abbia vita il movimento dei combattenti seguito al conflitto mondiale. Il movimento dei combattenti, da cui sortirà il Partito Sardo d’Azione, origina dall’evento bellico, e dunque importa vedere quale sia la partecipazione adesso dei due avvocati.
Mastino appartiene ad una delle classi meno giovani fra quelle richiamate alle armi, e non va al fronte. Nel 1918 risulta in servizio presso il comando di un reparto mitraglieri nei pressi di Torino. E’ impegnato in attività di propaganda presso le truppe e sul fronte interne: «tiene conferenze – scrive Aldo Borghesi – a Torino e Milano in collegamento con le Opere federate per l’assistenza civile e la propaganda interna», un’organizzazione governativa di cui Michele Saba dirige il segretariato provinciale a Sassari (Nuoro non è ancora provincia e ricade, come quinto circondario, nella provincia di Sassari).
Scrive ancora Borghesi: «Questa esperienza lo porta verosimilmente a contatto, se non con la diretta realtà delle trincee, quanto meno con gli ambienti politicamente più avvertiti dell’esercito mobilitato – dato che gli ufficiali per la propaganda venivano spesso reclutati, soprattutto dopo Caporetto, tra quanti erano stati interventisti – e con i fermenti che li percorrevano, attraverso i quali matura proprio nello scorcio della guerra la genesi del movimento combattentistico. Si ritrovano quindi in questa esperienza le premesse dirette dell’impegno politico che porta Mastino, una volta rientrato in Sardegna, a rompere con la corrente democratico-radicale, ad unirsi al movimento dei combattenti sardi o divenirne uno dei leader, ed infine a dar vita al Partito Sardo d’Azione».
Per Oggiano è diverso: scuola militare di Modena e, sottotenente eccolo al fronte di guerra. Subisce varie ferite, è più volte operato (ben quattordici volte!), e si tratta anche di degenze prolungate in ospedali, militari prima civili poi. Congedato nel 1918 torna a Nuoro, iscrivendosi all’Ordine degli avvocati e procuratori, e svolgendo la pratica nello studio dell’avv. Ciriaco Offeddu, il grande Offeddu: ma Nuoro è terra tutta di grandi avvocati.
Movimento dei combattenti. Mastino, a differenza di Oggiano, non può far parte dell’ANC, perché non ha combattuto al fronte; quando però, nel novembre 1919, le liste dell’Elmetto si aprono ad elementi esterni che aderiscono al programma dei combattenti, viene scelto per la candidatura politica, assieme a Gavino Gabriel, Efisio Mameli ed Antonio Meloni. Decisiva è, forse, la “spinta” ricevuta, in sede di ANC, proprio da Oggiano.
Ricordo qui quella bellissima pagina di Salvatore Satta nel suo Il Giorno del Giudizio che rappresenta lo scontro verbale e di masse fra il candidato Paolo Masala – alias Pietro Mastino – e Menotti Gallisay , socialista populista.
Un grande successo personale: raccoglie preferenze che sono qualcosa come il 50 per cento dei voti della lista, è terzo dei votati in provincia di Sassari dopo i due ex deputati Pietro Satta Branca e Francesco Dore, cattolico di area radicale. Varca il portone di Montecitorio quando ha quasi 36 anni, insieme con Paolo Orano e Mauro Angioni eletti nel collegio di Cagliari. Sostiene l’autonomia regionale «voluta – dice – soprattutto da Carlo Cattaneo, non solo nella sua concezione generale dell’organamento della Nazione Italiana, ma specialmente negli articoli che con parola aperta e commossa scrisse per l’Isola di Sardegna. Nessuno vorrà accusare Cattaneo, Bovio, Ferrari di antipatriottismo… ».
Sono gli anni in cui si tenta di dar corpo al partito cosiddetto del “rinnovamento”, come emanazione, quanto meno ufficiosa, dell’Associazione Nazionale Combattenti. Non se ne farà niente.
Sarà rieletto nel 1921 (insieme con Lussu, Orano e Cao, essendo il più votato: 14mila preferenze contro le 10mila di Lussu al suo esordio parlamentare) e nel 1924 (insieme con Lussu: 7mila preferenze contro le 6mila di Lussu), rafforzando di continuo il suo ascendente politico nell’Isola. Ma non rifarò la storia parlamentare di quegli anni.
Luigi Oggiano è spuntato nei 1919 al primo congresso regionale dei combattenti che si svolge a Nuoro. E’ lui che, come presidente della sezione mutilati e invalidi di Nuoro, dirige i lavori ed è infine eletto a far parte della commissione che dovrà valutare come promuovere una federazione regionale dei Combattenti, d’intesa con i cagliaritani.
Il terzo congresso, quello dell’agosto 1920 che si svolge a Macomer – ed è il più noto ed importante – lo elegge nella giunta esecutiva del Movimento.
Ma intanto, d’intesa con Mastino – nel frattempo (ottobre 1920) divenuto presidente del Consiglio provinciale di Sassari, dove i sardisti contano 21 seggi sui 40 del plenum, e Salvatore Sale presiede la Deputazione – spinge per la nascita del Partito Sardo d’Azione. Lo fa anche in occasione del secondo convegno circondariale della cooperazione che si svolge nel novembre 1920 a Nuoro, presso la Scuola Normale. E’ lui a tenere la relazione introduttiva, come membro della giunta esecutiva della ormai costituita Federazione regionale dei combattenti, nonché consigliere provinciale eletto nel mandamento di Siniscola.
E’ fra quelli che si sentono di più al primo congresso sardista, celebratosi ad Oristano il 16 e 17 aprile 1921. Qui ricorda le riserve dei delegati nuoresi al programma di Macomer e sostiene le posizioni di Bellieni contro quelle dei cagliaritani di taglio piuttosto sindacale. Viene infine eletto nel direttorio regionale del neocostituito Partito Sardo, con Bellieni direttore.
In dialettica con lui si pone al secondo congresso, quello pure oristanese del gennaio 1922, a proposito dell’incidenza maggiore o minore della componente combattentistica nel massimo organo dirigente del partito: Oggiano è per una maggiore presenza. (Si tratta del congresso che si concluderà con l’elezione di Paolo Pili alla carica di direttore regionale).
Il terzo congresso, svoltosi a Nuoro nei giorni della marcia su Roma, subisce il condizionamento del dibattito in corso nel paese e degli stati d’animo e delle tensioni che la marcia fascista desta in tutti.
Presidente dell’assemblea congressuale è Mastino. Oggiano viene eletto direttore regionale. Ad assise ormai chiusa si continua a casa Mastino: sono presenti in dodici, compreso il padrone di casa, compreso Lussu, compreso Puggioni, compresi Bellieni e Sale e Giacobbe ecc. Ed anche Oggiano naturalmente. (C’è su questo la testimonianza di Dino Giacobbe).
Anche il quarto congresso – a Macomer, marzo 1923 – è presieduto da Mastino. Bellieni ha mandato una lettera di appoggio alla linea di «fede, fermezza e fierezza» di Oggiano direttore del partito. Il quale espone, nella sua relazione, i termini dell’emergenza che vive il sardismo organizzato e l’intera democrazia, sul versante nazionale italiano e su quello regionale sardo, dopo l’assunzione del potere da parte di Mussolini. Incombe la questione della confluenza o meno del PSd’A nel Partito Nazionale Fascista.
Per acclamazione la relazione Oggiano è approvata dai congressisti. Mastino conclude i lavori con queste parole: «E come nella Camera dei deputati ho avuto l’onore e l’orgoglio di dichiarare che rifiutavamo di aggiogarci al carro del trionfatore, così oggi dichiariamo che sapremo apprezzare quanto in favore della nostra Isola sarà fatto».
Al quinto ed ultimo congresso prefascista del Partito Sardo d’Azione – a Macomer, nel settembre 1925, con Sale delegato regionale uscente – è naturalmente ancora Mastino (aventiniano dopo il delitto Matteotti) il presidente, mentre Oggiano è alla Verifica poteri. Egli interveniene per sostenere l’esigenza che il PSd’A esca dal suo isolamento: «Si può e si deve continuare nell’intesa degli spiriti oppositori, per poter rendere più facile e più feconda la lotta contro il fascismo».
Note:
1) Si tratta di Cesare Pintus e l’Azionismo lussiano, Cagliari, Alternos, 1990; Sardismo e Azionismo negli anni del CLN, Cagliari, Alternos, 1990; Bastianina, il sardoAzionisnio/ Saba, Berlinguer e Mastino, Cagliari, EIDOS, 1991; Titino Melis, il PSd’A mazziniano / Fancello, Siglienti, i gielle, Cagliari, EIDOS, 1992; con le due appendici Alla fabbrica della Repubblica e dell’Autonomia, Cagliari, EIDOS, rispettivamente del 1992 e del 1993. In epoca più recente, fra 1998 e 1999, d’intesa con la sezione cagliaritana dell’ANPPIA, una certa parte di questi lavori è stata rieditata in quattro più agili volumi della “Biblioteca del sardo-Azionismo”: Ines Berlinguer/Stefano Siglienti, Francesco Fancello, Cesare Pintus e Michele Saba.
2) Cf. al riguardo «Con cuore di sardo e d’italiano…». Giovanni Battista Melis deputato alla I e IV legislatura repubblicana, Cagliari, EIDOS, 1993, da me stesso curato. Il volume raccoglie tutti gli interventi parlamentari di Melis ed una selezione di quelli svolti al Consiglio regionale della Sardegna ed a quello comunale di Cagliari, nonché una rassegna di articoli di stampa da lui pubblicati a partire dai 1950 e, infine, il testo del suo discorso dell’11 novembre 1973 per il cinquantenario del “programma di Macomer” del Partito Sardo d’Azione. Il volume è introdotto dai contributi di studio e/o di testimonianza, oltre che del curatore, di Gianni Filippini, Lello Puddu, Maurizio Battelli ed Elio Masala, Marco Piredda, Massimiliano Rais ed Elena Melis.
3) La letteratura sul neo-sardismo è ormai vasta. Richiamo qui, per il più stretto rapporto con le vicende del Partito Sardo, un mio studio relativamente recente, comprensivo anche di riferimenti bibliografici utili ad eventuali ulteriori e mirate ricerche: “La seconda scissione sardista (1967-1968)”, in Quaderni bolotanesi n. 20 del 1994.
4) Elettrio Corda, Due storie parallele. Pietro Mastino, Luigi Oggiano, avvocati, senatori, galantuomini, Nuoro, Edizioni Devilla, 1996.
5) Elettrio Corda, Storia di Nuoro. 1830-1950, Milano, Rusconi, 1987.
6) L’antifascismo in Sardegna, a cura di Manlio Brigaglia, Francesco Manconi, Antonello Mattone e Guido Melis, Cagliari, Edizioni della Torre, 1986 (si tratta di due tomi della collana Documenti e memorie dell’antifascismo in Sardegna).
7) Sulla giovanile militanza repubblicana di Gonario Pinna, Efisio Caria e Sebastiano Dessanay – intellettuali nuoresi che avrebbero successivamente aderito, con grande e qualificato merito, ad altre formazioni politiche (Pinna al Pd’A, PSd’A ed infine PSI; Caria ai PCI e Dessanay prima ai PCI e quindi al PSI) – cf. fra l’altre due miei contributi di ricerca: “Io, discepolo di Mazzini e di Cattaneo”, in Sardismo e Azionismo negli anni dei CLN, op. cit., pagg. 361 segg. e “L’edera, la memoria e il progetto”, in Bastianina, il sardoAzionismo/ Saba, Berlinguer e Mastino, op. cit., pagg. 27 segg.
Elettrio Corda, Storia di Nuoro. 1830-1950, op. cit., pagg. 270 segg.
9) Riscossa Sardista, n.u. del luglio 1948. Il discorso del leader social-sardista è presentato col titolo “ideologico”, a caratteri di scatola: “Noi abbiamo combattuto e combattiamo per una società di uomini liberi ed eguali, in cui cessi lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo!”. Esso è riproposto nell’ottavo volume Sardegna Democratica, Riscossa Sardista, a cura di Antonello Mattone, della collana Stampa periodica in Sardegna 1943/1949, Cagliari, EDES, 1975, pagg. 279 segg.
10) In Riscossa Sardista, n.u. del 25 marzo 1949. Anche queste discorso è riprodotto nell’antologia curata da Antonello Mattone all’interno della collana Stampa periodica di Sardegna 1943/1949, op. cit.; la battuta richiamata è alla pag. 369.
Con evidente gusto del paradosso, Lussu, riferendosi alle lacerazioni ed alla rottura di nove mesi avanti, dice: «La scissione era un dovere. Coloro che pensano come me, non parlano come hanno parlato altri. Vorrei dire a qualche compagno che ci rimprovera di non essere rimasti fino alla fine del Congresso del luglio scorso per ottenere la maggioranza, che avremmo avuto in modo certo, che noi abbiamo fatto bene ad agire così: io a non parlare e tutti noi ad uscire ed abbandonare il Congresso. Non abbiamo voluto la maggioranza, perché il giorno dopo avremmo dovuto espellere dal Partito tutti gli esponenti borghesi o conservatori: Puggioni, Sale, Bartolomeo Sotgiu, Dore, 0ggiano, Puligheddu, Piero Soggiu, Anselmo Centu e persino l’oltremodo caro Pietro Mastino. Ed in blocco tutta la famiglia Melis. Li avremmo dovuti espellere tutti perché erano gli onesti rappresentanti della borghesia nostrana. Ma il Partito, se avessimo preso questo provvedimento, non ci avrebbe capito. Meglio dunque così: casa nuova vita nuova. I proprietari coi proprietari, i proletari con i proletari».
11) Riscossa Sardista, n.u. del 5 maggio 1949, editoriale “La fine di un simbolo”, senza firma ma attribuibile senz’altro a Lussu. L’articolo esce alla vigilia delle prime consultazioni regionali della Sardegna e risente chiaramente del clima di accesa conflittualità e concorrenza elettorale fra PSd’A e PSd’AS lussiano.
La contestazione mossa al Partito Sardo investe sì, ora e sempre, la sua ideologia interclassista, ma si associa alla irrisione dello stato organizzativo attuale e delle liste presentate al giudizio popolare: «Nelle campagne, gli esponenti sono i più grossi proprietari contro cui i contadini e pastori si trovano in conflitto permanente. Nelle città: a Cagliari, non sono neppure in grado di fare una riunione in locale chiuso; a Nuoro, vivono attorno al prestigio professionale di Pietro Mastino; a Sassari, detto tutto, quando si ricordi che il capo lista è il dott. Azzena, il più grande industriale locale, che non ha mai avuto niente a che fare col vecchio PSd’A».
Nella ripresa del testo in Stampa periodica in Sardegna 1943/1949, op. cit. , è a pag. 399.
12) Riscossa Sardista, n.u. del 24 maggio 1949, editoriale di Emilio Lussu “Dopo le elezioni”. L’articolo si conclude con queste parole: «E’ mai possibile che Pietro Mastino, che trent’anni fa ha rappresentato l’avanguardia democratica nel Nuorese non avverta tanta decadenza? E’ mai possibile? Per quel sentimento di dignità e di onore che non gli è mai venuto meno, neppure negli anni più difficili, io non le credo». E’ a pag. 404 nella ripresa dell’articolo nell’antologia Stampa periodica in Sardegna 1943/1949, op. cit.
13) Nell’articolo, già citato, “La fine di un simbolo”. «E dunque, i sardisti conservatori difendono con entusiasmo il Patto Atlantico, il patto della reazione clerico-capitalista nazionale. Si sono persino alleati ufficialmente, in tutte e tre le provincie, con il Partito Repubblicano Italiano, essi che quando parlavano del nostro “collegamento”, si mettevano inorriditi le mani sugli occhi, per non vedere il nostro peccato mortale! Col Partito Repubblicano, che è diventato storico-governativo… Sicché il PSd’A è diventato anche governativo: governativo durante un governo che è il più reazionario e clericale che abbia conosciuto l’Italia dall’unità ad oggi, fatta naturalmente eccezione del periodo fascista». Nella ripresa antologica di Stampa periodica in Sardegna 1943/1949, op cit. è a pagg. 399-400.
14) Il Dio seduto. Storia e cronaca della Sardegna 1942-1946, Sassari, Chiarella, 1978. Il passo è a pag. 266. Riprese da Giuseppe Fiori in Il cavaliere dei Rossomori. Vita di Emilio Lussu, Torino, Einaudi, 1985, pag. 370.
1) Cf. particolarmente il paragrafo “L’autonomista” in Il cavaliere de Rossomori. Vita di Emilio Lussu, op. cit., alle pagg. 366-375.
16) Il Solco, 19 luglio 1948. L’intervento di Luigi Oggiano è ad illustrazione della mozione “sardista” che si oppone direttamente a quella lussiana e trova invece varie convergenze di tesi sostenute nelle mozioni di Gonario Pinna (d’impronta azionista o liberal-socialista) e dei fratelli Fadda (moderata). E’ alle pagg. 672-675 dell’undicesimo volume (Il Solco, a cura di Maria Rosa Cardia) della collana Stampa periodica in Sardegna 1943/1949, op.cit.
17) Alle pagg. 436-438 di Bastianina, il sardoAzionismo / Saba, Berlinguer e Mastino, op. cit. Il documento reca la data del 30 settembre 1943.
18) il passo è di estrema importanza in quanto speculare alla impostazione che, muovendo da altre premesse, è sostenuta da Gonario Pinna – altro big della democrazia autonomista nuorese – in quello stesso periodo. Pinna, in particolare, in occasione delle trattative per un eventuale accordo fra Partito Sardo e Partito d’Azione nel 1944, sosterrà che in un quadro di oranizzazione territoriale regionale del Partito d’Azione, il PSd’A rappresenti, con la preservata autonomia delle sue strutture, la “quota” politica azionista nell’Isola. Nel settembre 1944, in occasione appunto dei contatti con la dirigenza sardista a ciò autorizzata dal deliberato dei congresso di Macomer del luglio precedente e in vista di «addivenire all’unione delle due organizzazioni sotto la denominazione del Partito Sardo d’Azione», Pinna sottoscrive, con gli altr due leader provinciali dell’azionismo sardo (Pintus per Cagliari e Cottoni per Sassari) un documento in cui si afferma di considerare come dato acquisito «la sostanziale adesione del Partito Sardo ai lineamenti programmatici del Partito Italiano d’Azione» e di auspicare «l’organizzazione del Partito d’Azione su base federale regionale». Cf. “Io, discepolo di Mazzini e di Cattaneo”, in Sardismo e Azionismo negli anni del CLN, op. cit., e segnatamente pag. 570.
19) Cf. la lettera di Puggioni a Mastino dei 7 dicembre 1943, in Bastianina, il sardoAzionismo / Saba, Berlinguer e Mastino, op. cit., pag. 438.
Sulla ripresa post-fascista del Partito Sardo d’Azione cfr. anche Salvatore Cubeddu, Sardisti. Viaggio nel Partito Sardo d’Azione tra cronaca o storia, collana della Fondazione Sardinia, vol. I, Sassari, EDES, 1993.
20) Anche i testi di questo primo foglio del sardismo risorto sono stati meritoriamente ripubblicati in un volume – il secondo (Periodici democratici e numeri unici a cura di Virgilio Lai) – della collana Stampa periodica in Sardegna 1943/1949, op. cit.
21) Dei diversi articoli pubblicati a commento del congresso di Macomer ecco alcune delle più significative espressioni di consenso all’intesa con gli azionisti e, in generale, di apprezzamento per una linea politica tendente al superamento del “partito territoriale”:
«… il partito [sardo]… esce rafforzato idealmente perché, riconoscendo come propri i punti programmatici del partito italiano d’azione, ha riconfermato le proprie origini ideali e riconsacrata, diremmo, la propria giovinezza. Le decisioni di Macomer dovrebbero poi giovare alla Sardegna perché alla soluzione dei suoi problemi rimarrebbe anche impegnata tutta l’opera del partito italiano. Ciò nondimeno i pudibondi, preoccupati della nostra verginità-politica, grideranno allo scandalo […].
«Noi continueremo la nostra strada, la continueremo in cordiale accordo con i nuovi amici politici che lealmente verranno e lealmente accoglieremo nelle nostre file, animati tutti dalla speranza che la Sardegna, con tutte le altre regioni italiane – e cioè la patria – sorga, dopo tanto sangue, ad una vita che sia veramente di libertà e di giustizia sociale per tutti». Così Mastino.
E Puggioni: «Oggi l’Italia ci ha finalmente compreso, l’idea è divenuta nazionale ed europea, il più vivace partito politico italiano, quello d’azione, intende ricostruire il nuovo stato secondo i nostri concetti politici e sociali. Noi sardi, autonomisti, abbiamo il legittimo e sovrumano orgoglio di sentire e dl sapere che furono gli uomini della nostra piccola patria a concepire le idee che saranno le pietre angolari della ricostruzione della vita politica e sociale del nostre paese. Il voto di Macomer ha solennemente riconosciuto che la nostra idea è ormai, di fatto, operante sul piano nazionale, che l’opera nostra dove svolgersi parallela e concorde con quella di altre regioni, con moltiplicato vigore».
Orientata sulle concrete modalità istituzionali/costituzionali dell’ autonomia federalista è la riflessione, estremamente interessante, anche per gli aspetti di radicalità che presenta, di Oggiano: «… in caso di raccordo generale delle Regionì o gruppi di Regioni (la Sardegna farebbe sempre parte per se stessa) si avrebbe lo Stato Federativo per eccellenza; in quello di raccordo della sola Isola nostra, essa sola sarebbe federata allo Stato Italiano».
22) Nella ripresa del testo in Periodici democratici e numeri unici, op. cit. è a pagg. 109-112.
23) La sede dell’organo sardista (che può contare sul notevole contributo del redattore-capo Bartolomeo Sotgiu) è quella stessa del direttore del partito chiamato a reggere, come responsabile, il giornale. Lungo tutto il 1945 tale doppio ruolo è ricoperto da Luigi Battista Puggioni. Dopo l’assunzione, da parte di questi, della carica di consultore nazionale, alla guida del partito subentra (di fatto dall’autunno) il vicario Giovanni Battista Melis, e lo stesso Melis assumerà anche, dall’inizio del gennaio successivo, le funzioni di direttore responsabile del giornale sardista (cbe seguirà perciò la residenza del nuovo direttore politico).
24) Nella ripresa del volume antologico Il Solco, op. cit. è a pag. 150.
25) Ivi, pag. 154.
26) Il Solco: cf.: 15 febbraio 1946 (Pinna, “Orizzonte politico”), 29 dicembre 1946 (Lussu, “Il partito dei ceti medi”), 1° febbraio 1947 (Pinna, “Ceti medi e funzione del partito”), 8 febbraio 1947 (Lussu, “Sui ceti medi”), 1° e 8 marzo 1947 (Pinna, “Ceti medi” e “Azione politica regionale e nazionale”). Tali interventi entrano in pieno nel dibattito precongressuale del Partito Sardo. Si veda, sull’argomento, il commento di Maurizio Battelli “Per un socialismo liberale”, nel maggior capitolo “L’italianismo di Gonario Pinna”, in Sardismo e Azionismo negli anni del CLN, op. cit.
27) Cf. Il Solco dell’8 maggio 1947: si tratta di un’edizione speciale del giornale sardista che porta qui i numeri di serie 13,14 e 15.
28) Ivi.