«C’erano Rundle il capo stazione, / E Beazeley delle Ferrovie, / E Blake il sergente istruttore, / Per due volte fu il nostro Venerabile…». L’interloggia cagliaritana in visita al camposanto di San Michele, di Gianfranco Murtas
Laica nel senso dell’aconfessionalità, religiosa e santamente anticlericale in tempi di clericalismo – quel clericalismo per lungo tempo radicato e invalso da noi, o nella nostra prevalente Chiesa, come virtù necessaria ed eccellente ed invece considerato una vera e propria iattura da papa Bergoglio –, la Libera Muratoria suole commemorare i suoi defunti una volta all’anno. Ciascuno dei suoi, se cristiano e/o per consolidata pratica civile, e dunque con il resto della popolazione, il 2 novembre, ma tutti insieme, come appartenenti al sistema delle logge simboliche, il 10 marzo. Così anche in Sardegna ed a Cagliari.
Mazzini e il 10 marzo, il sardo Canalis
Oltre le ritualità, e combinando i fatti alle memorie evocate dalle date, certo ha avuto un suo significato anche il percorso massonico compiuto ora sono già diverse settimane, il 25 marzo scorso, nel cimitero civico di San Michele del nostro capoluogo, da un cospicuo numero di liberi muratori: all’indomani della data che rimanda all’eccidio delle fosse ardeatine, in cui caddero 20 massoni, fra i quali il sassarese Salvatore Canalis, professore classe 1908, militante del glorioso Partito d’Azione; direi anche a pochi giorni proprio da quel 10 marzo che segnò, nel calendario dell’Italia risorgimentale, la morte del profeta dell’Unità, di Mazzini cioè, che s’addormentò, ancora esule in patria dopo esserlo stato per metà della sua vita all’estero (e prigioniero perfino il fatidico 20 settembre), in casa Rosselli a Pisa. Fu allora, infatti, che una loggia, la genovese Caffaro, deliberò di onorare Mazzini («il massone più benemerito del mondo» lo definì) e tutti i massoni deceduti, in una data particolare, quella appunto anniversaria della morte dell’Apostolo repubblicano: il Gran Maestro Giuseppe Mazzoni, un avvocato pratese il quale governò l’Ordine dal 1869 al 1879, approvò ed estese all’intera compagine nazionale il deliberato, presente all’art. 85 del Regolamento generale del GOI oggi in vigore.
In tempi di rapide dimenticanze di chi ci ha preceduti nei carichi della vita, quale che ne sia stato l’ambito in cui i talenti si siano spesi per migliorare il mondo e lasciare alle generazioni venture maggior benavere e, ancor più, maggior benessere, merita attenzione e considerazione la sensibilità di coloro che invece sanno andare controcorrente. Coloro cioè che sanno materializzare, nei passaggi generazionali, quel certo fluido che dice di continuità morale e svela la gustosa fecondità della testimonianza dei seminatori.
Come sarebbe bello, e come sarebbe recupero di una umanità oggi a rischio di appannamento, ritornare al culto dei morti, alla visita dei camposanti non soltanto individualmente, ma con sentimento e modalità comunitaria. Se le scuole, o le società sportive, i circoli di cultura, i sodalizi professionali, le associazioni religiose, i gruppi politici, ecc. si volessero mettere, una volta all’anno, al ripasso della propria storia combinandola con l’apprezzamento, insieme critico ed ammirato, dei generosi che hanno aperto la via, avviato campi di azione per il bene sociale, nel culto della democrazia, delle libertà e anche, naturalmente, delle responsabilità civiche.
Nei camposanti la memoria civica e quella fraternale
A Cagliari noi raccogliamo le spoglie dei nostri cari nei due camposanti di Bonaria e di San Michele: lì sono, con le nostre memorie personali o familiari, e con i sentimenti più profondi, le memorie collettive e i sentimenti cittadini. Riattraversando il buon operato dei singoli noi possiamo sempre ricostruire più ampi scenari di vita comunitaria ora negli uffici o nelle parrocchie ora nei commerci o nelle associazioni, ora nelle amministrazioni o nell’arte o nella scuola, ora nella politica o nelle professioni o nelle armi o nelle redazioni, e così via.
Proprio seguendo questa ispirazione e secondo un filo rosso che è morale e civico ad un tempo, da molti anni ormai mi è capitato di accompagnare le logge massoniche, in prevalenza giustinianee ma anche di altre obbedienze di più recente insediamento nell’Isola, in percorsi definiti, tanto più nel monumentale: sicché, rivisitando le particolari vicende umane e fraternali, si potesse associarne l’originalità a più estesi quadri sociali della vita cittadina press’a poco dall’unità d’Italia al compimento giolittiano, e, specificamente a Cagliari, coccortiano e bacareddiano, sino alle soglie infelici della dittatura.
I circa quattrocento nomi registrati, fino al 1924, nelle matricole della Sigismondo Arquer e gli altri cinquanta della Nuovo Secolo e della Karales, i precedenti cento delle formazioni in risalita dal 1861 al 1890, vale a dire delle varie Vittoria, Fedeltà, Vittoria-Fedeltà, Fede e Lavoro, Gialeto, Libertà e Progresso, e dei capitoli scozzesi a complemento, aiutano a percepire come realtà non museali ma in continua germinazione gli ambiti frequentati e tante volte diretti dai liberi muratori cagliaritani: all’università e sulle navi, nelle botteghe d’arte e nei magazzini generali, negli scagni portuali e negli ospedali, nei servizi del telegrafo o postali e nelle industrie, nelle caserme o nelle capitanerie e nei tribunali, negli studi professionali di medico o d’avvocato e nella manifattura, nei giornali e nei teatri, nelle rappresentanze comunali, provinciali o camerali e nello sport… Si tratta sempre per me – e qui non ho motivo per negarlo o sottacerlo – di concludere con alcune considerazioni che forse sono elementari, perché riferite a prove provate, ma che pure sembra giusto esternare a chi si è coinvolto nel… viaggio ideale del tempo storico: non siamo giudici, possiamo soltanto, onorando chi non c’è più – e un secolo o un anno non fanno differenza –, visitarne la testimonianza di vita, coglierne anche i limiti e i falli, entrare nelle complessità e nelle contraddizioni della nostra condivisa umanità, e però anche e soprattutto valutare e valorizzare quel tanto di “unico” che è stato ed è nel passo di ciascuno, nel tempo che ci è stato dato, nel luogo in cui la sorte ha voluto facessimo la nostra parte. Nessuna agiografia enfatica, approccio rispettoso ed amico semmai, con intenzione positiva, come per cogliere quanto a noi, generazione nuova fra generazioni nuove, è venuto da quella semina e da quella partecipazione alla storia cittadina.
E una seconda riflessione, valida ieri e, credo, anche oggi, contro ogni semplificazione balorda e ignorante svolta nella logica del complottismo egoista ed affaristico: che gli uomini della Libera Muratoria, lungi dall’essere una cupola, rispondono per quello che sono, tali rimanendo, nel rispetto di ogni individualità e identità religiosa, filosofica o politica e civile, non s’aggregano per cospirare o servire interessi venali ma per sostenersi reciprocamente nel darsi regole di vita di accresciuta dignità, offrendo semmai alla società complessiva il tanto di sapienziale ed esperienziale generato nel moltiplicato o integrato talento fraternale. Sicché proprio nei percorsi per i viali del monumentale di Bonaria paiono inverarsi le donazioni massoniche alla città di Cagliari: dalla Croce Verde alla Corda Fratres, dal Dormitorio Pubblico alla Dante Alighieri… Se così è stato, così dovrà essere. Il che chiama oggi, nei Templi simbolici dell’A.D. 2017, a coerenze ideali rigorose, a nuove responsabilità civiche, a nuovi contributi al costume sociale, contro le sgrammaticature qualunquiste, chiacchierone ed approssimative, tentazioni cui i massoni d’oggi, anche quelli cagliaritani, sono esposti e contro cui debbono battersi.
Echeggiavano, echeggiano sempre i versi suggestivi di Rudyard Kipling, Nobel 1907 (scomparso – passato all’Oriente Eterno – nel 1936): «Avevamo Bola Nath il contabile / E Saul, l’israelita di Aden, / E Din Mohammed disegnatore al Catasto, / C’erano Babu Chuckerbutty, / E Amir Singh, il Sikh, / E Castro delle officine di riparazione, / Il Cattolico Romano! / Non avevamo belle insegne, / E il nostro Tempio era vecchio e spoglio, / Ma conoscevamo gli antichi Landmarks, / E li osservavamo per filo e per segno. / E guardando tutto ciò all’indietro, / Mi colpisce questo fatto, / Che non esiste qualcosa come un infedele, / Eccetto, forse, noi stessi. / Poiché ogni mese, finiti i Lavori, / Ci sedevamo tutti e fumavamo, / (Non osavamo fare banchetti / Per non violare la casta di un Fratello), / E si parlava, uno dopo l’altro, / Di Religione e di altre cose, / Ognuno rifacendosi al Dio che meglio conosceva. / L’uno dopo l’altro si parlava, / E non un solo Fratello si agitava, / Fino a che il mattino svegliava i pappagalli…».
L’Italia e la Sardegna del nostro passato e del nostro presente, è chiaro, non riflettono la diagonale universalista del Punjab indo-pakistano, per così lungo tempo attraversato dagli eserciti e dai traffici coloniali ed imperiali dei britannici. L’Italia e la Sardegna hanno vissuto e vivono, pur con tutte le proprie irriducibili specificità, della cultura cristiana e liberale dell’occidente europeo. L’Isola nostra ha conosciuto i travagli della storia moderna italiana, ne condivide lingua e valori civili, le tradizioni spirituali e le usanze, lo scenario economico ecc. E ciò nonostante le differenze culturali e ideali e sociali sono state e sono, anche al suo interno, un segno che permane e giustifica il bisogno non certo dell’omologazione ma piuttosto della sintesi nei fondamentali. Il senso e l’obiettivo di una corporazione di taglio umanistico quale è la Libera Muratoria, ora al suo trecentesimo compleanno da quel certo 24 giugno londinese, festività di San Giovanni il Battista protettore, si risolvono nel tempo moderno, ed in società economico-civili all’apparenza – soltanto all’apparenza – unificate, ancora in questo: nella ricerca delle sintesi nei fondamentali, per creare energia morale utile al collettivo comunitario, così come potrebbe farlo qualsiasi altra centrale di potenza valoriale: una chiesa o un’altra chiesa, un’agenzia pedagogica…
E’ proprio questo ponte lanciato fra la storia e la cronaca, fra l’ieri e l’oggi, ed il permanente gusto all’associazione delle diversità che ha suggerito già dall’anno scorso di replicare quel… viaggio nel tempo tante volte sperimentato al monumentale di Bonaria e nel necessario omaggio alle memorie rimaste care e calde, visitando un certo numero di tombe di Liberi Muratori cagliaritani moderni presso il civico di San Michele.
Le tappe sono state quest’anno limitate a quattordici, ma per onorare 24 fra Fratelli e Sorelle – termini di consuetudine corporativa, questi ultimi, adoperati dai massoni delle distinte obbedienze sparsi per il mondo, e nel caso nostro, del Grande Oriente d’Italia e della Gran Loggia Femminile d’Italia.
Qui appresso, pertanto, presento in rapida rassegna le sintesi degli interventi che dai partecipanti sono venuti per celebrare il buon ricordo di personalità amate, ognuna portatrice, nella nostra Cagliari, di una sua qualità, di una virtù socializzata.
Se la conduzione, nella esposizione dei testi, è la mia – e la cosa ha valore, credo, perché non derivata o presidiata da alcun vincolo formale di tessera con l’Obbedienza massonica che pur molto stimo e colloco nel bene patriottico e democratico dell’Italia e della Sardegna –, si vedrà come sia frequente l’interlocuzione di questo o quell’esponente di loggia: ciascuno porta il suo contributo e, pare, per una volta, riattualizzarsi quel remoto suggestivo scenario kiplingiano.
Per Hoder Claro, Efrem, Swanyld, Ileana Grassi
Hoder Claro era un commerciante armiere, con negozio nella via Baylle in città, ed era un poeta ed un pittore metafisico protagonista di qualche decina di mostre fra personali e collettive nell’Isola e fuori. Si ricordi la monografia a lui dedicata da Marcello Serra nel 1965, si ricordino le sue cronache e critiche d’arte uscite soprattutto sulle pagine di “Tribuna della Sardegna” (poi “Tribuna dell’Isola”).
Venne iniziato nel 1964 fra le Colonne della Nuova Cavour n. 598 – la loggia decana fra quelle giustinianee cagliaritane – e partecipò alla gemmazione della Hiram n. 657 l’anno successivo. Della Hiram fu il primo Segretario. Fu attivo nella lega massonica degli esperantisti, aveva una ansia di universalità che colpiva. E fu un irregolare, un indipendente ed anticonformista, nonostante questo non gli fosse riconosciuto – e costituì gran pena per lui – dal figlio Efrem, col quale ebbe sempre, e in crescendo, un rapporto burrascoso. Eppure Efrem fu lui stesso iniziato nel 1967, appena pochi mesi prima che il padre migrasse all’Oriente Eterno. Entrò anch’egli, Efrem – nome che rimanda, con spiccata suggestione, alla stagione cristiana del IV secolo, ancora dei Padri, fra Siria, Turchia e Gerusalemme stessa –, nella loggia paterna, quella che per una decina d’anni avrebbe conquistato e consolidato, per il tanto lavoro svolto e prima di altri equilibri, una sorta di leadership nel circuito liberomuratorio cagliaritano. Imparò l’ascolto, imparò il silenzio, meditò introspettivamente le contraddizioni della sua natura istintiva e generosa. La relazione padre-figlio, al di là delle apparenze, era fortissima, e meriterebbe giusto una tavola di loggia: se ne sono offerti i materiali in più occasioni. Efrem, vitalista parà, migrò, poco più che trentenne, all’Oriente Eterno, per un incidente di velocità, pochi anni dopo, nel 1970.
Di Hoder Claro è noto forse il testamento che per lunghi anni venne affisso ai Passi Perduti delle diverse case massoniche, da piazza del Carmine a via Zagabria, forse adesso anche a palazzo Sanjust: «TOMBA io preferirei esser seppellito in piena terra, possibilmente in campagna, oppure nel cimitero di Bonaria di fronte a mio padre, nell’orto delle palme, ma se mia moglie ci tiene potrete acquistare un appezzamento di m. 2×2 e costruirvi un masso di pietra scura, di quella zona di Calasetta o altra trachite scura (due-tre massi grandi che raggiungono l’altezza consentita dal Comune).
«Tutto qui. NIENTE LUTTI. NIENTE MESSE. Dite a Giglio, o chi per esso, di devolvere al primo poveraccio i soldi che dovrebbero regalare all’Unione Sarda».
Così invece il testamento di Efrem, datato 1967, pochi mesi prima della morte del padre odiato-amato/ammirato e pochi mesi prima anche della propria iniziazione massonica: «Stasera, alle ore 19 circa, partirò per Alghero. Ad Alghero ci sarà un lancio di paracadutisti, fra i quali ci sarò anch’io. Dovrebbe andare tutto bene, ma sfortuna non voglia, qualcosa non dovesse andare come previsto, le mie volontà sono queste…». Al centro di tutto è il bambino, piccolo ancora nella culla, al quale vorrebbe garantire una guida sicura: «La cosa più importante: Affido mio figlio Hoder, per ricevere una buona educazione e condurre una vita migliore di quella mia, a mio padre Hoder Claro Grassi». La distanza nel “corrente” da quel padre odiosamente amato, nel contrasto delle sue emozioni profonde, era integralmente assorbita dal riconoscimento di una superiore saviezza e sapienza del genitore.
Una volta mise su carta alcune riflessioni esistenziali, sue personalissime, in forma di versi poetici. Titolo “Lo specchio”:
«Nel silenzio della notte, in attesa che Morfeo mi porti nel suo regno, / il mio sguardo ricade sempre su uno stesso punto, / in quel punto, su quell’oggetto freddo, silenzioso: lo specchio! / un piccolo specchio appeso al muro di fronte a me.
«I miei pensieri corrono, / tanti pensieri, problemi, domande, molte senza risposta. / E lui è là, col suo aspetto ghignante, / come se gioisse delle mie sventure, delle mie tristezze.
«Distolgo lo sguardo da lui, ma poi ecco! / E’ di nuovo davanti ai miei occhi. / Lo guardo a lungo, come per interrogarlo, / come per chiedergli una risposta alle mie domande, / una parola di conforto, no!
«Anche lui mi guarda, sempre col suo aspetto ghignante, / freddo, silenzioso, morto. E non risponde. / Ti odio specchio! Ti odio! E Morfeo ancora non arriva»…
Swanyld Mulas – e ne fu riflesso pieno Ileana, creatura meravigliosa sino alla fine anche nella sua terribile e lunga malattia, quando ancora frequentava le amicizie insieme con il marito, il Fr. Benito Pilloni valente medico ortopedico al Marino – era la signorilità fatta persona, semplice e dolce, protettiva ed accogliente. Partecipò, Swandyld, alle esperienze della loggia femminile, che per anni ospitò nella sua casa di via Peschiera, di spalle alla facoltà di Ingegneria.
Le tessere della sua carriera massonica, nella stagione della loggia Libertà n. 2 danno il conto temporale del suo inoltro fra rituali e simboli, non d’altro che però sentiremo fra breve. Eccoli i suoi tempi: Apprendista nel 1976, Compagna nel 1978, Maestra nel 1986.
Per Francesco, Giuseppe, Bruno, Fides, Anita Bussalai
Dopo il sepolcro familiare così apertamente rappresentativo, con la sua squadra e il compasso, delle idealità abbracciate in vita dai Grassi, eccone un secondo, in questo sito tanto prossimo all’altro: squadra e compasso, i rami dell’acacia segno di rinascita dopo la morte, e i nomi dei protagonisti in queste targhe di bronzo. Protagonisti di una scena umana generosa anch’essa, e fra le migliori: Francesco, Giuseppe – Pino – e Bruno furono Fratelli fondatori o comunque nell’organico della Sigismondo Arquer n. 709, e Francesco padre e Pino figlio anche suoi Venerabili, il primo negli iniziali anni ’70, il secondo giusto un decennio dopo.
Francesco fu partigiano antifascista e comunista – in carcere a Regina Coeli nel 1943, con Saragat e Pertini; fu allora che scrisse anche lui, al tempo trentenne, il proprio testamento, portando il suo pensiero ai piccoli di casa: «Considerino il prossimo come se stessi: rifuggano da ogni forma di sfruttamento… Queste povere creature mi perdonino se non ho potuto lasciare loro di che sostentarsi in mia mancanza. Credano nel mondo nuovo – nella Giustizia – nell’equità – nella fratellanza degli uomini così come ho creduto io. Ricordino che per questi ideali mi sono sacrificato e questo sacrificio mi auguro cancelli qualche mia colpa dovuta, credo, alle circostanze ed all’ambiente corrotto esterno…».
Consigliere regionale nella prima legislatura del 1949, successivamente, e non senza travaglio durato dieci e più anni, passato al socialismo riformista, era un funzionario doganale e competente musicista – aveva frequentato anche un corso triennale all’Accademia di Santa Cecilia. Numerose le esibizioni pubbliche, con una orchestrina di musicisti più o meno autodidatti, in Sardegna e fuori.
Ebbe incarichi politici, negli anni della maturità, per delega del Partito Socialista unificato, all’Istituzione dei concerti Pier Luigi da Palestrina e Teatro lirico, al Comitato per il teatro regionale, così anche all’ESIT, centrale pubblica dell’organizzazione turistica isolana.
Fu lui, nel 1966, ad essere iniziato a Roma dal Gran Maestro Gamberini e inserito nella loggia P2 che dal Gran Maestro direttamente, e storicamente, dipendeva: venne così incaricato di fondare a Cagliari, con altri effettivi anche già in organico nelle logge regolari – Pargentino e Gardu –, una derivazione di quella P2 romana (naturalmente pre-Gelli).
La cosa durò due anni e, al di là del merito specifico delle tornate condotte presso la sede dei partigiani cosiddetti “bianchi” nel primo tratto del corso Vittorio Emanuele – lavori per il più di rilevante spessore intellettuale, di lettura critica della società del tempo, senza ritualità se non per le iniziazioni abbreviate –, non fu gradita dai Venerabili delle logge ordinarie allora attive nella circoscrizione sarda, in primis dal Venerabile Mario Giglio allora a capo della Hiram, che imposero la sua regolarizzazione: nacque così, nel 1969, la nuova Arquer, la Sigismondo Arquer n. 709, e Francesco Bussalai fu il secondo Venerabile della serie, dopo Pargentino; era in carica – associando ad essa quella di Oratore del Collegio dei Venerabili e di Sommo Sacerdote del capitolo dell’Arco Reale/Rito di York – quando per una malattia rapida e brutale passò, dal Centro tumori di Milano, all’Oriente Eterno.
I suoi funerali massonici, celebrati proprio al San Michele dal Venerabile Mario Giglio, intanto divenuto presidente del Collegio circoscrizionale, furono partecipati da decine e decine di Fratelli oltre che da un numero imponente di profani di varia estrazione; l’orazione funebre fu del Fr. Umberto Genovesi, allora esponente di spicco della socialdemocrazia e presidente dell’Ente Autonomo Flumendosa, poi anche deputato.
I suoi figli hanno onorato l’Istituzione liberomuratoria nell’imitazione del padre, o nel consapevole impegno alla sequela paterna, ciascuno però con un proprio stile: così Pino – il secondo –, in forza all’Ufficio tecnico del Comune di Cagliari, spirito compagnone e costruttivo sempre, forse disincantato eppure sempre impegnato, in prima fila nel lavoro; così Bruno – del gruppo dei minori di casa –, capitano di lungo corso, con un velo delicato di malinconia, discreto e pensoso sempre, gentile. Esiste un bel video di un’ora – omaggio di Fratelli massoni della sua loggia – che documenta la sua ultima traversata oceanica prima del decesso. «Uomo libero, tu amerai sempre il mare! / Il mare è il tuo specchio; contempli la tua anima / Nello svolgersi infinito della sua onda, / E il tuo spirito non è un abisso meno amaro…»: i versi di Charles Baudelaire funzionano come ideale colonna sonora…
Insieme con quella di Francesco e quelle di Pino e Bruno, la militanza liberomuratoria coinvolse a Cagliari anche il versante femminile della famiglia Bussalai: dapprima nei ranghi del capitolo Sandalyon della Stella d’Oriente – dal 1971 al 1975-76 –, successivamente in quello della loggia Libertà. Protagoniste sempre associate, Fides ed Anita, madre e figlia.
Fides fu la Venerabile fondatrice della prima loggia femminile all’Oriente di Cagliari, nel 1976. S’era tentato già nel 1915 di impiantarne una, ad iniziativa dell’allora Saggissimo del capitolo del RSAA, il Fr. Oddo Casagrandi il microbiologo e rettore dell’università di Cagliari: loggia senza formali riconoscimenti ma con un riconoscimento di fatto, e l’ospitalità nei propri spazi rituali da parte della Sigismondo Arquer, in città; l’esperimento in boccio era saltato poi per l’entrata in guerra dell’Italia, circostanza che aveva cambiato le priorità delle SS. Paola Satta – la prima laureata in medicina della Sardegna –, Antonietta Campagnolo, delle altre già in elenco, facendone delle effettive nelle formazioni di assistenza civile, nelle iniziative dell’Unione Femminile, mentre il Saggissimo e rettore Casagrandi si metteva a disposizione per guidare i tram in città, nella città che entrava, pur lei periferica, nella emergenza bellica… Giusto sessanta, sessantun’anni dopo si ripartiva con la loggia femminile.
Personalità decisa, Fides Pilo, capace di ogni sacrificio, aveva patito anche il carcere, con il marito, quando, comunista anche lei, lottò per le terre abbandonate rivendicate dai braccianti nel nord isolano. Era rientrata in Sardegna con i cinque figli, tutti ancora bambini, aveva visto il bombardamento, nel 1943, di Livorno, dove per qualche anno la famiglia aveva preso residenza per il lavoro di Francesco, alla dogana, e dove ogni bene materiale era stato sbriciolato dalle esplosioni: in clandestinità, da antifascista, s’era data già allora a sobillare il malcontento popolare, tanto più nell’area portuale, nelle file delle donne per gli approvvigionamenti al mercato, contro il regime insopportabile e quasi in agonia. Con i figli, di stazione in stazione, per salvare la pelle: da Livorno a Sora nel Lazio, ad Orani in Sardegna, a Porto Torres dopo ancora. Responsabile femminile del Partito Comunista Italiano in provincia di Sassari, nei primi anni della repubblica… Avrebbe vissuto e condiviso tutto il travaglio ideale e ideologico e politico che sarà di Francesco, volgendosi lungo gli anni verso il socialismo gradualista.
Se nel capitolo Sandalyon aveva svolto le funzioni rituali di Ruth e, sotto la nuova presidenza di Anna Maria Fanni, andata in avvicendamento della Worthy Matron Luisa Loi Antico, come Associate Matron, certo più a suo agio si trovò dando vita alla loggia Libertà, fra le apripista della nuova Obbedienza progettata insieme con la Gran Maestra Marisa Bettoja: la Gran Loggia Femminile d’Italia.
Elisabetta e Maria Luisa, Manuela e Rita, Mariella e Marina, Lidia e Lia, Giovanna e Laura, Rina e Tata, Lucia e Gianna, Teresa e Rosalba, Swanyld e Gabriella, Emilia, Patrizia e Silvana… e quante altre, negli anni, avrebbero consegnato il loro nome al libro delle presenze delle tornate rituali.
Segretaria e poi Venerabile Anita Bussalai vedova Ramo, che nel capitolo Sandalyon aveva coperto più spesso il ruolo rituale di Adah, anche questo ovviamente di rimando veterotestamentario… Una vita professionale negli uffici amministrativi della scuola, uno stile personale asciutto e concreto. L’abbiamo persa di recente.
Per Aldo Fossataro
Nel recente libro “Il dovere e il lavoro, per l’umanità”, stampato dalla loggia Alberto Silicani nel 40° della sua fondazione, si è avuto modo di ricordare il Fr. Aldo Fossataro, che qui onoriamo.
Eccone il cenno biografico: fu un incidente d’auto lungo la strada non distante dallo stabilimento SARAS a causare la morte del Fr. Fossataro, al tempo incardinato nel piedilista della Nuova Cavour. Di lui, calabrese di nascita ma a Cagliari residente, con la famiglia, già da piccolo (dal 1921), restò a lungo una gradita memoria dello spirito creativo che lo distingueva.
Nel 1974 era stato proprio lui a raccogliere la richiesta del Fr. Filippo Pasquini – a Cagliari, allora, da lunghi anni, impegnato nell’ufficio di direttore generale dell’Ente Autonomo del Flumendosa – di riunire in volume le tavole dallo stesso tracciate, in quanto Oratore della Hiram, dandosene motivo l’iniziazione di un profano o l’aumento di paga di un Fratello. Perché editore di razza, anticipatore di tutti…, fu, con suo fratello Guido, Aldo Fossataro. Dopo la prolungata prigionia subita negli anni del secondo conflitto mondiale, rientrato a Cagliari qui impiantò la sua libreria divenuta presto casa stampatrice di libri (oltre cinquecento i titoli in catalogo) nonché di riviste e periodici vari, presto conquistando una riconosciuta leadership regionale.
Il libro cui ho fatto cenno, dal titolo “Tavole architettoniche tracciate dal Fr. Oratore nella R. L. Hiram all’Oriente di Cagliari”, contiene oltre ai testi di benvenuto ai neofiti o ai promossi al 2° e al 3° grado, anche due tavole d’altro argomento: una sulla libertà, un’altra sul concetto di Dio.
Da chi ne ha miglior titolo oggi, Venerabile della loggia Alberto Silicani nel recente biennio 2012-2013, ascoltiamo adesso le ultime righe di quel lavoro:
«La massoneria dell’ottocento predispose gli animi al culto dei fatti sociali… L’odierna massoneria sente ancor più il culto del fenomeno sociale ma si propone di essere più vicina all’individuo chiunque esso sia purché uomo libero e di buoni costumi, respingendo il concetto di una aristocrazia di pensatori.
«Bisogna scendere tra gli uomini, sentire quello che pulsa entro di loro, partecipare al loro continuo rinnovarsi, bisogna fare questo non come uomini portatori della Verità, bensì come ricercatori della Verità.
«La massoneria sprezzante del dogma, indipendente dalle Religioni, ma avvolta nel suo segreto iniziatico sostituisce al Mistero della Divinità, la divinità del Mistero…
«L’immagine del mondo è quello che la scienza ci fornisce, un mondo di tempo e di estensione, che si estende per milioni di anni luce, facendo apparire meschini gli interessi degli uomini.
«Questa visione così immensa provoca timore e ammirazione di fronte alla grandezza dell’Universo e forse questa ampiezza incommensurabile dei fatti cosmici, pur regolata da leggi fisiche immutabili e preesistenti alla nostra intelligenza ci porta a pensare a qualche cosa che sta contemporaneamente entro e al di fuori di noi; a questo Dio che è nella nostra coscienza ma che pensiamo anche quale Essere supremo energia irradiante, al quale volgiamo lo sguardo perché ci indirizzi sempre nella via della saggezza per il progresso dell’umana famiglia affratellata da sentimenti di pace e di amore».
Per Alberto Silicani
Il Pot.mo Sovrano Grande Ispettore Generale – questa la qualifica formale del suo 33° grado scozzese – fu iniziato 22enne, nel 1916, nella loggia Karales, nata scozzese all’obbedienza di Piazza del Gesù ma da due anni regolarizzatasi nel GOI.
Socialista e segretario della Camera del lavoro di Cagliari quand’era appena ventenne sostenne, due anni prima della iniziazione, la compatibilità delle militanze socialista e massonica, che Mussolini – allora direttore del quotidiano “Avanti!” – aveva negato, raccogliendo la maggioranza dei consensi al congresso di Ancona, ed anche nei quadri sardi.
Svolse molti mestieri. Dopo la grande guerra per alcuni anni lavorò a “L’Unione Sarda” – fu lui a firmare la cronaca della scissione comunista del 1921 a Livorno –, ma lasciò il giornale quando esso divenne fascista duro e puro. Patì l’ostracismo della dittatura, patì la colpa di essere uomo dalla libera coscienza, la patì con il precariato professionale – era agronomo di formazione – che durò vent’anni.
Sviluppò la sua carriera massonica nel secondo dopoguerra come il vero rifondatore della Obbedienza giustinianea nelle Valli isolane, raccogliendo adesioni anche da diversi degli Artieri ferani dell’era prefascista: Segretario e poi Venerabile della prima loggia Risorgimento n. 354, dal 1944 cioè, fondò nel 1953 la loggia Giovanni Mori n. 533 all’Oriente di Carbonia, negli anni ’60 riprese in pieno la militanza cagliaritana alla Nuova Cavour.
Fu consigliere dell’Ordine Ispettore e, come detto, grado apicale – 33 – del Rito Scozzese Antico e Accettato.
Passò all’Oriente Eterno nel 1974, con il servizio funebre resogli dalla comunità evangelico-battista di Cagliari. Alcuni versetti biblici – e dentro la Bibbia di casa nascose frammenti delle carte di loggia, proteggendole dalle periodiche perquisizioni dei questurini fascisti – sono stati riportati, per volontà della moglie Angela Graniero, sulla sua lapide. Su questa stessa, per volontà della loggia a lui intitolata, sono stati apposti, una quindicina d’anni fa, i simboli della squadra e compasso.
Interviene adesso il Venerabile in carica della loggia Alberto Silicani n. 936, che farà memoria della statura morale del titolare della sua officina, dandoci lettura di alcuni stralci dei due testamenti morali, di contenuto massonico, stesi dal Fr. Silicani nel 1964 e nel 1969. A lui la parola:
«Oggi 13 Aprile 1964, dispongo: i miei funerali dovranno svolgersi in forma modestissima.
«Sono sempre stato, sono attualmente, e lo sarò finché vivrò, un sincero credente nella esistenza di Dio, al quale affido la mia anima, fiducioso nella Sua misericordia e nel Suo perdono.
«Anche se non aderisco ufficialmente a nessuna Denominazione ecclesiastica, prego caldamente il Ministro Evangelico di volere accompagnare le mie mortali spoglie all’ultima dimora.
«Chiedo a tutti perdono del male che posso aver commesso durante la vita, e tutti perdono per i torti assai spesso ricevuti.
«Un affettuosissimo abbraccio alla mia diletta Angela.
«Che l’anima mia possa trovare riposo nella Casa del Padre».
E poi, il 1° dicembre 1969: «Ai Fratelli della Libera Muratoria.
«Giunto al termine del mio terreno pellegrinaggio, sento imperioso il bisogno e il dovere di rivolgere un caro saluto ai Fratelli tutti della Libera Muratoria e del Rito Scozzese A.A. per le tante attenzioni cui sono stato fatto segno durante oltre mezzo secolo di milizia massonica, e del fraterno aiuto ricevuto, con tanta spontaneità, nei momenti più difficili della mia travagliata esistenza.
«Voglia il GADU illuminare del continuo i loro Lavori, renderli saggi, fedeli ai principi professati ed ai giuramenti prestati. La pace di Dio, GADU, regni sempre nei loro cuori e nel seno delle loro famiglie.
«A tutti i miei cari Fratelli sia gradito il mio estremo, triplice, tenerissimo abbraccio».
Per Armando Corona
Originario di Villaputzu classe 1921, medico laureato nel 1947, specializzato in ginecologia, ebbe le condotte di Senis e, dal 1955, di Ales. Nei primi anni ’60 si trasferì a Cagliari, dirigendo alcune case di cura. In particolare Villa Verde fino al 1976.
Fu anche uomo politico: dirigente provinciale del Partito Sardo d’Azione, si segnalò fra i maggiori esponenti che lasciarono il partito, nel 1968, contestandone la linea tendenzialmente indipendentista. Aderì al Partito Repubblicano divenendone consigliere regionale per tre legislature, dal 1969 al 1984; fu assessore alla fine dal 1977 e presidente del Consiglio regionale dal 1979 al 1981. In ambito politico arrivò a ricoprire alti incarichi nazionali, sia come presidente dei probiviri sia come membro di segreteria al tempo della presidenza del Consiglio da parte del sen. Spadolini.
Iniziato nel 1969 nella loggia carboniese Giovanni Mori, passato nel 1971 alla Hiram cagliaritana, di questa divenne il Venerabile nel 1976, assumendo anche la presidenza del Collegio circoscrizionale. Da allora vennero diversi incarichi di prestigio nella Comunione: presidente della Commissione elettorale nazionale nel 1978 (quando fu eletto Gran Maestro Ennio Battelli), primo presidente della Corte centrale fino al 1982, Gran Maestro per due mandati dal 1982 al 1990.
Per gli automatismi concordati nel 1994 dal Gran Maestro Gaito (succeduto a Di Bernardo, fuoriuscito l’anno prima) con il capo della polizia Parisi, circa la sospensione di qualsiasi “iscritto” al GOI avesse ricevuto anche soltanto un avviso di garanzia, dovette assonnarsi nel 1995 per non subire l’onta della immeritata sospensione d’ufficio. La cosa fu concordata con Gaito, ma naturalmente e giustamente venne presentata come del tutto slegata alla vicenda giudiziaria. Così la ricevette e, soffrendo, dovette accettarla, il nuovo Venerabile della sua loggia, il Fr. Walter Angioi. Ve n’è pubblica prova.
Negli anni in cui si ritrasse dall’attività di prima linea nella Fratellanza giustinianea si concesse ancora a conferenze e iniziative culturali. Poi, per l’indebolimento della salute psico-fisica, venne purtroppo “catturato” da una Obbedienza spuria, arrivando a dire, ancorché indirettamente, quasi tutto il contrario di quel che aveva sempre sostenuto (così sul rapporto fra Ordine e Rito e perfino, sia pure indirettamente, sulla regolarità di Licio Gelli e della P2). Fu cosa molto dolorosa, e sarebbe ingiusto – molto ingiusto – dargliene colpa. Anzi, nella Libera Muratoria giustinianea, tanto più nei suoi ranghi sardi, si dovrebbe rinforzare un moto di generosa comprensione per lui, che di molti è stato Maestro vero ed indimenticato.
Bene fecero i giustinianei cagliaritani d’intesa con la famiglia, ad accoglierne e onorarne la salma in una camera ardente allestita, nell’aprile 2009, a palazzo Sanjust, e ad accompagnarlo nei funerali religiosi celebrati dal padre Morittu nella solenne basilica della Vergine di Bonaria.
Alla Gran Loggia di Montecatini nel 1983 – lì convocata per onorare la memoria del Fr. Giovanni Amendola morto a seguito delle ripetute percosse subite dalla marmaglia fascista –, Gran Loggia che fu la sua prima dopo la elezione alla dignità apicale dell’Obbedienza, egli tenne una allocuzione un cui breve brano ci è proposto dal Venerabile in carica della loggia Francesco Ciusa, a lui lungamente legato da speciali vincoli di amicizia e solidarietà. Ascoltiamolo.
«“Senza un lavoro di rimeditazione e di vigilanza rischiamo di farla decadere [la fratellanza] a commensalismo e dimestichezza mentre essa è principio pregnante di una realtà ben diversa.
«“Racconta Sant’Agostino che i torrenti impetuosi che si formavano a seguito delle piogge torrenziali che solevano cadere dal nordAfrica travolgevano i cerbiatti smarriti di fronte a tanta furia. Egli racconta ancora, con commozione, di aver osservato che i cervi adulti, a rischio della propria vita, incrociavano le proprie corna nodose e ramificate con quelle lisce e lineari dei giovani cervi per traghettarli salvandoli da sicura morte. In questo racconto c’è l’immagine più reale, più fresca e più poetica della Fratellanza massonica”.
«Aggiunse subito un riferimento, che sarebbe stato costante nella sua “lectio” – anche negli incontri a Cagliari e negli altri Orienti sardi –, alla consacrazione del Tempio simbolico affidata ai Fratelli che ivi si riuniscono in catena. “Noi siamo in grado di rendere sacro qualunque luogo in cui si tenga la Loggia. A differenza dei Templi exoterici delle Religioni, che sono tali sempre, oserei dire ‘in sé’, il nostro è un Tempio che si crea ogni qualvolta i Fratelli ‘aprono i Lavori’ e scompare alla chiusura dei medesimi. Sono i Fratelli di Loggia che erigono e consacrano il Tempio ogni volta: in realtà essi sono il Tempio. Senza di loro esso è, e resterà, un luogo qualsiasi.
«“E’ ben noto che nei tempi antichi si usava ‘tener Loggia’ in locali pubblici – taverne, birrerie e persino campi di battaglia – ogni volta creando, sacralizzando, cancellando alla fine, il Tempio stesso. Questa è la prima prerogativa operativa dei Liberi Muratori: essi possono, riunendosi secondo certe regole, creare uno spazio sacro. Questo spazio sarà allora, per il periodo in cui esiste, affatto separato dal mondo profano – noi diciamo che è coperto – assumendo le caratteristiche che lo qualificano per essere un Tempio iniziatico, caratteristiche cui si riferiscono, e che esprimono in concreto, i Simboli fisici con cui lo adorniamo.
«“A Oriente il Triangolo del GADU sovrasta l’immagine della Sapienza, per ricordarci che non vi è vera saggezza che non sia spirituale e che non discenda dall’alto. Poiché però non siamo dei mistici sperduti in qualche estasi trascendente, a Occidente ed a Mezzogiorno la Bellezza e la Forza ci rammentano che tutte e tre le componenti del macro e microcosmo debbono concorrere all’opera del Maestro.
«“Ancora ad Oriente, sull’Altare, gli Strumenti dell’Arte poggiano sul Libro della Legge Sacra. Poiché il Massone riconosce ed accetta la legge naturale e si impegna a seguirla nell’utilizzo dei suoi Strumenti.
«“Infine il pavimento a scacchi bianchi e neri si fa manifestazione ordinata di quella stessa legge, che non rifiuta un colore per l’altro, ma nella sua prima norma vuole il binario rappresentato nel mondo, con la sua alternanza di vita e di morte, di piacere e dolore, di gioia e sofferenza, regolata in un equilibrio di pace.
«“Il Maestro sta lavorando. Il suo compito è equilibrare, organizzare, mettere ordine, perché nell’Universo intero, infine diventato tutto sacro, tutto Tempio, tutto grande armonia, cioè macrocosmo, tutto sia ‘serietà, senno, benefizio e giubilo’. Il Maestro compie il suo Lavoro in silenzio, con pazienza, con amore, ‘per il Bene ed il progresso dell’Umanità’”».
Per Piero Zedda e Lidia Congiu
Questa tappa ci porta ad una coppia che visse in comunione, oltreché nella famiglia degli affetti stretti, anche per le idealità della Libera Muratoria, bene espresse dalla squadra e il compasso incisi nella lastra di marmo che porta i loro nomi e la loro fotografia. Siamo presso il sepolcro del Fr. Piero Zedda e della sua compagna di vita Sor. Lidia Congiu.
Piero fu iniziato nel 1950, essendo M.V. Domenico Salvago, che succedette per compiuto triennio al Venerabile Silicani, fra le Colonne della loggia Risorgimento n. 354. Il rito si compì nel nuovo ma precario Tempio che l’officina si era data di fianco a S’Ecca Manna, quel punto del corso Vittorio Emanuele, giusto dirimpetto alla via Caprera, che porta alla via Carbonazzi ed a Palabanda.
La loggia, che fino ad allora aveva svolto i propri lavori nelle abitazioni di questo o quel Fratello – più spesso da Silicani nella via Verdi, o da Campagnolo (che da poco aveva smesso l’ufficio di assessore comunale, per parte liberale, della giunta Dessì Deliperi a nomina prefettizia) nel viale Trento, o da Papò (il sovrintendente bibliografico) nella via Farina, ecc. – aveva acquisito quel locale per trasferirsi però pochi anni dopo, nel 1958, in via Portoscalas, nel Tempio portato in dote dalla loggia Camillo Cavour n. 574, una formazione postbrancacciana allora regolarizzatasi nel Grande Oriente d’Italia e rigeneratasi, dopo appena un anno, nella Nuova Cavour n. 598, la quale aveva riassorbito i ranghi sparsi della Risorgimento andata in crisi ed altresì di altri modesti ensemble (dalla XX Settembre alla Mazzini).
Insegnante di ruolo all’Agrario, aveva già la cattedra quando fu iniziato 34enne: professore all’Avviamento di Dolianova. Si estraniò per qualche tempo dalla vita della loggia, riprendendo da Compagno d’arte nel 1960, accolto dal Venerabile Mario De Gioannis (al tempo direttore dei cimiteri civici): ne fu spinto dal Fr. Ennio Fanni (amico di tutta una vita, e già dall’infanzia, e nelle società di nuoto e canottieri). Nel nuovo Tempio di palazzo Chapelle, Piero ricevette la Maestria nel 1964, dal Venerabile Giovanni Gardu.
Sua moglie Lidia Congiu sarebbe stata fra le fondatrici del capitolo Sandalyon UD n. 4 dell’Ordine della Stella d’Oriente che operò a Cagliari dal 1971 e per un quinquennio, avendo per Worthy Matron Luisa Loi Antico e per Worthy Patron Vincenzo Delitala, infine avvicendati da Anna Maria Fanni e Luciano Rodriguez.
Il capitolo – se ne sono accennate prima alcune sue proprietà rituali – teneva le proprie tornate a palazzo Chapelle. Lidia era la Associate Matron, e successivamente la Conductress, Piero fungeva da Sentinel. Insieme con molti Fratelli – fra cui ricorderei, come i più assidui, anche Franco Marchi, Gianni Ferrara, ecc. – lavoravano le SS. Fides Pilo Bussalai, Anna Maria Fanni, la Massenti, la Ferrara, la Botticini, la Marchi, la Grasso, la Bianchi Multineddu, e ancora le Biggio, le Galardi, le Melis, ecc. Tutte personalità di gran lignaggio intellettuale e disciplinata presenza associativa.
Era il tempo dell’impegno civile pro-legislazione divorzista e, in campo massonico, pro LIDU, la Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo. Alla presidenza del Collegio sedevano allora, in successione, i FF. Tiberio Pintor e Luciano Rodriguez. Le logge in tutta la Sardegna erano dieci, cinque a Cagliari, cinque diffuse sul territorio regionale.
Per Luigi Faà
Il 4 marzo 1988 venne recuperato in un dirupo presso Capo Ferrato, nel litorale di Castiadas, il cadavere del Fr. Gigi Faà, a piedilista della Risorgimento n. 770 ma in procinto di passare nell’organico della nuova costituita Lando Conti n. 1056.
Se ne sono riportati i tratti biografici più significativi nel dvd “Liberi Muratori” di alcuni anni fa, distribuito in un migliaio di copie, ricordandolo empatico e sincero, tribolato spesso negli affetti, amante della natura fra WWF e gruppo speleo-archeologico.
Adesso la sua personalità ci sarà resa dalla testimonianza, che immagino vivida, di uno dei suoi amici più cari, già Maestro Venerabile della loggia Risorgimento, alle cui cure anche dobbiamo il bellissimo volume ricapitolativo del primo quarto di secolo della officina:
«Sì, Gigi era nato il 10 Novembre del 1950, ed è morto il 29 Febbraio del 1988, aveva 37 anni! Ci ha lasciato troppo presto!
«Ci conoscevamo molto prima che entrasse in Massoneria, più grande di me di tre anni, unico del nostro gruppo ad essere sposato e, conseguentemente, unico ad avere una casa dove poterci ritrovare, soprattutto la sera, organizzare una cena con poco, e stare insieme per poter parlare, parlare di tutto, del sociale, del mondo, idealizzare i nostri sogni, sognare di renderci utili all’umanità.
«Quanti discorsi, quante nottate, quante ore rubate al sonno e poi l’indomani al lavoro.
«Ricordo la felicità quando mi raggiunse all’interno della loggia Risorgimento.
«All’interno della nostra istituzione ha prodotto diverse tavole sia sul simbolismo che sull’esoterismo, ma anche su problematiche più legate alla vita quotidiana come sulle ricerche paleontologiche in Sardegna nella valle del Lanaitto nella grotta Corbeddu, o sul suo viaggio in India.
«Viaggio intrapreso non come una moda tipica di quegli anni, ma alla ricerca di una spiritualità diversa, ed al ritorno non enfatizzava l’India e quella cultura, ma sapeva con occhio vigile e critico evidenziare sia i lati positivi che quelli negativi.
«Di animo buono, spirito semplice ma profondo, sempre pronto a prendere le difese dei deboli, anche a rischio della propria incolumità personale.
«Aveva lasciato il posto fisso in banca per un lavoro precario, che però gli permetteva di avere più tempo per sé e per gli altri, ma soprattutto un lavoro meno alienante e, come diceva sempre su questo argomento, “mi sono liberato dalla schiavitù, ho rotto le catene”…
«Non stava mai fermo ma doveva sempre avere qualcosa di cui occuparsi, meglio se diverse cose contemporaneamente, sempre alla ricerca dell’uomo, dell’essere, del suo io interiore, dentro se stesso e nell’incontro con gli altri.
«Avevo lo spirito di quegli anni, quella insoddisfazione che avevamo tutti… poi noi, grazie alla frequentazione in loggia, siamo cresciuti, abbiamo ritrovato serenità e ponderatezza pur non rinunciando a quegli ideali… Lui no, purtroppo non ha potuto averne il tempo…Ci ha lasciato troppo presto.
«Dove la mente non conosce paura
e la testa è tenuta ben alta;
dove il sapere è libero;
dove il mondo non è stato dimenticato
entro anguste mura domestiche;
dove le parole sgorgano
dal profondo della verità;
dove lo sforzo incessante tende le braccia
verso la perfezione;
dove il limpido fiume della ragione non ha smarrito la via
nell’arida sabbia del deserto delle morte abitudini;
dove tu guidi innanzi la ragione
verso pensieri e azioni sempre più ampi;
in quel cielo di libertà, Padre,
fa che il mio paese si desti».
Per Ghigo Galardi e Lia Rapezzi
Ghigo Galardi, iniziato nel 1968 nella loggia Giovanni Mori n. 533 all’Or. di Carbonia, di cui fu il Venerabile nel triennio 1974-1977, è stato anche vice presidente del Collegio in anni in cui quella sarda era la Massoneria dei 300 Fratelli, duecento a Cagliari, gli altri sparsi fra Carbonia, Oristano, Sassari, Costa gallurese e Nuoro (oggi i numeri sono 1.400 e 900).
Nel 1971 fu anche tra i fondatori del capitolo Ichnusa n. 13 del Rito di York, cui partecipavano in prevalenza effettivi incardinati a Carbonia e nelle cagliaritane logge Sigismondo Arquer e Risorgimento (la prima costituitasi nel 1969, l‘altra proprio nel 1972): nel Rito ricoperse, anche a livello nazionale, varie dignità.
Fu anche, con la moglie Lia Rapezzi e le figlie Estella ed Annalisa, uno dei protagonisti del capitolo Sandalyon dell’Ordine della Stella d’Oriente.
Perito minerario nativo di Massa Marittima, in Sardegna giunse ventenne, prima della guerra e vi tornò dopo per lavorare alla Carbosarda, infine assorbita dall’ENEL.
Era, come molti maremmani e come suo padre Giuseppe, un ardente mazziniano e militante repubblicano, piuttosto anticomunista – per reazione alle pressioni rosse che gli parve di subire nella Carbonia del dopoguerra e negli anni successivi. L’essere minoranza non gli pesò mai, ne ebbe anzi orgoglio.
Andato in pensione si trasferì a Cagliari, dove massonicamente si appoggiò alla Sigismondo Arquer, e con altri Fratelli nel 1980 fondò la SoCrem, la società per la cremazione, insistendo con il Comune per la dotazione dei forni allora mancanti in città.
All’inizio del 1986 promosse la gemmazione della Giorgio Asproni n. 1055, di cui fu il Venerabile per un triennio. Fu successivamente Maestro di casa di palazzo Sanjust, talvolta aspro e anche brontolone, certamente sempre al servizio della Comunione. Allora il palazzo, giunto alla Famiglia cagliaritana dei liberi muratori dalla prodigalità del Fr. Vincenzo Racugno, oggi Gran Maestro onorario del GOI, era soltanto un cantiere, ma un cantiere popolato e vissuto fin da subito: il suo lavoro, appunto come Maestro di casa, fu improbo.
Sofferse molto – molto molto –, negli ultimi suoi anni di vita, e i crescenti malanni di salute acuirono anche qualche ruvidità data e ricevuta, il che lo portò a ritrarsi dalla vita attiva nella Istituzione, ferme restando sempre le sue idealità.
Lia Rapezzi, coetanea e originaria anche lei di Massa Marittima, precedette, nelle sofferenze e nella morte, di un mese soltanto Ghigo. Il loro era stato un sodalizio di vita robusto: le carte valoriali – spirituali e civili – ne avevano cementato, lungo sessant’anni, l’intesa coniugale condividendo reciprocamente, essi, i giri di amicizie dapprima a Carbonia, e in generale nel Sulcis, poi a Cagliari. In città, Lia abitava, con Ghigo, in uno stabile che alla fine degli anni ’50 era stato costruito, in pieno centro, proprio là dove era stata la casa che aveva ospitato, a fine Ottocento, nientemeno che Grazia Deledda. E proprio quel precedente a Lia, che ammirava le suffraggette che nell’Italia remota erano tutte di scuola democratica e mazziniana, destava belle suggestioni: anche la Deledda era stata un’innovatrice, nel suo tempo aveva portato – presentando il proprio esempio – una novità modernizzatrice circa il riconoscimento civile del talento femminile.
Nel Sandalyon il ruolo prevalente assegnato a Lia fu quello di Warder. Quando Fides Pilo Bussalai lanciò l’idea, nel 1976, di trasformare l’esperienza del capitolo in una loggia femminile, autonoma ancorché vicina al GOI, e sorsero le Colonne della Libertà, ella fu una delle prime ad aderire.
Per Paolo Spissu
Paolo Spissu fu incardinato per quasi vent’anni fra le Colonne della Alberto Silicani, fu poi fra i fondatori, nel 2004, della gemmata loggia Giordano Bruno n. 1217, pure cagliaritana.
Ricorderei che il 15 novembre 2004, all’installazione delle dignità e degli uffici, parlò da Oratore: «Abbiamo scelto Giordano Bruno come emblema della nostra loggia non per fare un processo alla storia trascorsa, ma per affermare ciò che la storia con Giordano Bruno ci ha lasciato: difendiamo la libertà nostra e di tutti gli uomini perché vale quanto la vita medesima».
Della loggia fu il Maestro Venerabile nel 2006. Di quell’anno si ricorda fra l’altro – segno della sua contagiosa generosità e della fedeltà alle antiche amicizie, lui che aveva studiato teologia nella Compagnia di Gesù – l’impegno a favore della missione del gesuita-medico cagliaritano Vittorio Papoff, per la dotazione di una condotta idrica di 20 chilometri in Madagascar che fu donata, con tutta riservatezza, dal Collegio sardo.
Alla commemorazione dei Fratelli defunti svoltasi nell’Oriente nel 1999, il Fr. Paolo Spissu, al tempo Oratore della loggia madre, aveva tracciato una brevissima tavola.
Ci offre un breve stralcio di tale lavoro il Fr. Tesoriere della loggia Giordano Bruno:
«La terra vive gli ultimi giorni di sonno della sua stagione invernale e presto la primavera prenderà prepotentemente il posto risvegliando il ciclo della vita.
«E’ questo il periodo che la Massoneria ha scelto per ricordare i fratelli che hanno restituito alla terra il loro corpo. Il pensiero della morte vogliamo che sia portatore di serenità perché questo rappresenta solo il primo momento di un movimento più complesso che porta al risveglio e alla vita: solo morendo nella terra il seme genera la pianta e produce i frutti. Tutta la vita è un continuo ciclo di sacrificio-dolore-morte che porta alla ricchezza-gioia-vita.
«Oggi dobbiamo un particolare ricordo per tutti quei fratelli che hanno lavorato massonicamente prima di noi in questo Tempio e in tutti i Templi del mondo: la ricerca della verità sempre al primo posto, la accettazione di tutti gli uomini come fratelli, la dedizione del proprio tempo perché il mondo diventi più simile al progetto del GADU sono le virtù che ci sono state trasmesse quali luci da tenere accese perché siano consegnate a chi ci seguirà.
«Il ricordo dei fratelli defunti non deve essere un momento di dolore ma di serena gioia: è con tutti questi fratelli certamente presenti tra le nostre colonne che oggi creiamo una forte catena d’unione solida d’affetto, una catena d’amore».
Per Gianfranco e Giorgio Cusino
Siamo ora presso la sede del riposo terreno dei FF. Gianfranco e Giorgio Cusino, fratelli di sangue e fratelli di elezione muratoria.
Ce li ricordanno rispettivamente il Primo Diacono della loggia Lando Conti, e lo stesso Sergio Cusino, figlio di Giorgio, Secondo Sorvegliante della loggia Europa.
«Il Fr. Gianfranco Cusino, nato a Sanluri il 6 novembre 1930, fu avvicinato con la proposta della iniziazione, nel 1964, dal Fr. Ovidio Addis, e fu effettivamente accolto fra le Colonne il 13 giugno del 1967, purtroppo dopo il passaggio all’Oriente Eterno dello stesso Fr Addis. Venne promosso Compagno il 9 maggio 1968, e Maestro il 5 Marzo 1969, tutto ciò tra le Colonne della Hiram. Fu poi tra i fondatori, cinque anni dopo la sua iniziazione e tre anni dopo la conquista della Maestria, della Ovidio Addis n. 769 e della Risorgimento n. 770, la prima all’Oriente di Oristano e la seconda all’Oriente di Cagliari, nonché della mia loggia, la Lando Conti n. 1056, nel 1986, ed ancora della Vittoria (presto purtroppo abbattuta), nel 1993 e, sia pure indirettamente, della Europa n. 1165, nel 2000. Ma, aggiungerei, moralmente a lui dobbiamo anche l’Agugliastra n. 1502 all’Oriente di Tortolì, le cui Colonne sono state innalzate soltanto nel 2016.
«Fu tra coloro che rilanciarono, fra il 1984 e il 1985, la oristanese Ovidio Addis, che aveva subito una fase di crisi. Era onnipresente: egli sentiva delle urgenze morali per intervenire, per dare il suo contributo di pensiero e di esperienza. Ovidio, padre del nostro Fratello Gabriele, era morto nel 1966 ed era stato amico personale di Gianfranco al tempo della sua residenza a Seneghe, quando egli aveva ricoperto l’ufficio di cancelliere della pretura.
«Fu ancora, il Fr. Cusino, ripetutamente ufficiale, dignitario e Venerabile di diverse delle officine che aveva contribuito ad immettere sulla scena sarda del Grande Oriente d’Italia; fu anche consigliere dell’Ordine ed Ispettore, nonché segretario e presidente del Collegio circoscrizionale, in ciò favorito anche dai rapporti personali, sempre cordiali e fattivi, intrattenuti anche con la Fratellanza organizzata nelle logge degli Orienti del capo di sopra.
«Negli anni Novanta, da consigliere di amministrazione dell’URBS, lavorò con vigore perché si potesse effettuare l’attuale ristrutturazione della casa massonica nel quartiere di Castello; fece parte attiva della Commissione Solidarietà, e in campo profano fu tra i fondatori della Misericordia di Cagliari e della soc. SOCREM (società per la cremazione): nelle due iniziative coinvolse, come al solito, diversi Fratelli.
«Fu altresì istituente del Rito Noachita nell’Isola, rivestendo la carica di Venerabile Patriarca per la Sardegna.
«In generale, direi che si prestò a collaborare in ogni ruolo, da Esperto o Terribile a Oratore, in ogni loggia che glielo avesse chiesto, tanto più in occasione di iniziazioni. Di iniziazioni ne promosse in numero abbondantemente superiore a cento: quella pareva essere la sua vocazione e nei suoi 35 anni di fedele, ma mai tranquilla militanza, partecipò a circa duemila tornate, forse un record. Tracciò almeno cento tavole tematiche, sia di ritualistica o simbologia, sia di storia dell’istituzione, o di argomento civile e d’attualità.
«Uomo di studi giuridici – lavorò in uno studio legale (quello dell’avv. Flavio Lai) fino alla fine –, riversò esperienza e competenza nei contesti nei quali esperienza e competenza si richiedevano per un migliore e regolare sviluppo delle attività intraprese.
«Molto consultandosi informalmente – data anche la confidenza personale – con il Gran Maestro Corona, si concentrò – e qui mi riferisco all’anno 1986 – nel suo progetto di promuovere la nascita di una nuova loggia all’Oriente di Cagliari da intitolare al Fr. Lando Conti, già sindaco di Firenze, caduto sotto i colpi dei terroristi rossi – e fu la n. 1056, la quale innalzò le sue Colonne proprio in quel 1986, terza loggia entrata in funzione in quell’anno, dopo la Francesco Ciusa e la Giorgio Asproni, che infatti portano i numeri 1054 e 1055.
«La Lando Conti, istallatasi il 2 luglio di quell’anno, vide il Fr. Gianfranco Cusino Oratore, essendo M.V. Giuseppe Solinas, Sorveglianti e Tesoriere i FF. Baldussi, Marongiu e Biggio. Forse mai come in questa iniziativa da lui promossa il Fr. Gianfranco – del quale ricordiamo in queste settimane, con commozione, il cinquantenario della iniziazione – immise tanta energia d’entusiasmo, organizzazione e istruzione.
«Accennerei infine e di nuovo, anche perché siamo ormai in prossimità del suo primo “compleanno”, alla Agugliastra: l’impegno quasi ventennale, sistematico e testardo, del Fr. Gianfranco fu teso a favorire la nascita di una loggia ogliastrina, in una logica anche di riequilibrio fra i territori, cioè fra le Valli sarde. Ecco così la Agugliastra n. 1502 all’Oriente di Tortolì: una officina che mi è particolarmente cara e che frequento ogni volta che posso, anche nel ricordo grato e affettuoso di Gianfranco Cusino.
«Il 31 marzo, giorno di Pasqua 2002, egli passò, dopo tanto soffrire in prolungati ricoveri ospedalieri, all’Oriente Eterno».
«Ringrazio per le parole dette su mio zio Gianfranco. Prendo la parola adesso io per ricordare mio padre Giorgio.
«Nato il 4 agosto 1933 a Sanluri, egli è stato per 30 anni stenografo in Consiglio regionale (lavorando, tra gli altri, al fianco del nostro ex Gran Maestro Armando Corona). Dopo la pensione ha lavorato come resocontista per la Provincia di Cagliari e i Comuni di Cagliari, Quartu S. Elena e Selargius.
«Militante sardista nel periodo postbellico, passò al Partito radicale negli anni ’70, diventandone uno dei protagonisti più attivi soprattutto nell’ambito delle iniziative referendarie e del CORA (Comitato radicale antiproibizionista). Ci ha lasciato dopo una breve malattia il 19 gennaio 2015 e le sue ceneri sono tumulate assieme a quelle del suo fratello di sangue e fratello massone Gianfranco Cusino.
«Iniziato in Massoneria nella loggia Silicani nel 1987 (M.V. il carissimo e indimenticabile Alessandro Bucarelli), passò Compagno un anno dopo e Maestro nel 1990. Dopo circa un quarto di secolo passò alla loggia Asproni e finalmente (suo grande desiderio), nei suoi ultimi anni di vita, alla loggia Europa, officina fortemente voluta da Gianfranco Cusino e nella quale lavorava e lavora tutt’oggi suo figlio Sergio, Cusino nel sangue e nel DNA.
«Umiltà, generosità e disponibilità accompagnate da coerenza, libertà da qualsiasi vincolo e predisposizione verso il prossimo, un vero massone e non un semplice iscritto, un uomo che credeva nei valori fondanti dell’Istituzione facendone ragione di vita. Tollerante ma intransigente quando erano in gioco il rispetto e l’osservanza dei valori e principi massonici come anche del rituale e del regolamento.
«Era noto e conosciuto in tutta la circoscrizione sarda per il suo ruolo di Fratello “fotografo”. Dapprima con un certo timore poi con grande piacere veniva accolto a immortalare le fasi più salienti di numerose tornate le cui immagini fotografiche raccoglieva in CD che donava, felice, a tutti Fratelli. Era il 2° Sorvegliante ideale per l’amore, l’attenzione e la considerazione che ha sempre prestato agli Apprendisti, sempre prodigo di abbracci, consigli, affetto e insegnamenti per la loro crescita e formazione.
«Non passa giornata in cui non pensi a Lui, non passa tornata in cui non lo senta al mio fianco. E’ stato un onore e un privilegio lavorare in Loggia con lui. Era mio padre, era mio amico era mio fratello. Ho detto, AGDGADU».
Per Paolo Carleo
Qui, scorgendo la squadra e il compasso incisi sulla lapide marmorea della sua tomba, celebriamo il Fr. Paolo Carleo, economista di origini napoletane ma che il più della sua vita lo visse in Sardegna dove, negli anni ’60, fece famiglia.
Era stato funzionario del Centro di programmazione regionale e professore di economia agraria presso la facoltà di Economia e Commercio; impegnato in politica, fu dirigente socialdemocratico, poi socialista, sostenitore convinto, allora, della unificazione socialista.
Iniziato fra le Colonne della loggia Hiram nel 1967 e tra i fondatori della loggia Risorgimento nel 1972, Venerabile di questa officina oltre che a lungo Oratore, fu consigliere dell’Ordine ed Ispettore, giudice della Corte centrale che tanto contribuì a ripulire il GOI dall’inquinamento gelliano.
Ce ne parlerà adesso il Venerabile in carica della loggia Risorgimento n. 770. Premetto alle sue una sola parola, ma speciale, di saluto cordiale e affettuoso a Guglielmo Carleo, figlio di Paolo, che ha accolto l’invito a partecipare a questa nostra sobria celebrazione. Con lui saluto e ringrazio per la presenza, certo di interpretare il sentimento diffuso, tutti i congiunti degli Artieri, uomini e donne, che qui stiamo onorando, i quali hanno voluto condividere il meglio di cui siamo stati capaci in questo momento.
«Riuscire a parlare di Paolo Carleo in qualche minuto è impresa se non impossibile, sicuramente difficoltosa.
«Lo conobbi qualche anno prima di riconoscerne la voce quando, bendato, feci il mio primo ingresso nel tempio dei Liberi Muratori. Non fu colui che mi presentò, ma colui che provvide alla mia iniziazione. Lui il mio primo M. V. e ancora lui il mio punto di riferimento per tanti anni.
«Punto di riferimento per tutti i Fratelli della allora neonata Loggia Risorgimento all’Oriente di Cagliari di cui era uno dei fondatori. Uno di quei pilastri portanti di quell’Officina dove, ancora oggi, chi lo conobbe e chi no ne percepisce la presenza nella natura stessa della Loggia, nell’eredità che ha saputo lasciare ai Fratelli, nel patrimonio genetico della Risorgimento che, se oggi è considerata di vecchie e genuine tradizioni, è per un debito che abbiamo anche nei suoi confronti.
«Il suo essere Libero Muratore quale “uomo giusto” ha contribuito all’evoluzione della Massoneria di questo Oriente, della circoscrizione Sardegna e dell’intera Istituzione Nazionale. Nel periodo in cui il Fr. Armando Corona era il Presidente della Corte Centrale (organo nazionale della giustizia massonica) fu il giudice della Corte Centrale Paolo Carleo ad essere nominato a presiedere quel tribunale che avrebbe processato e giudicato Gelli. A lui si deve se, per nulla intimorito dal potere che allora rappresentava Licio Gelli, senza tentennamenti lo condannò e lo espulse dal Grande Oriente d’Italia. Era il 1981.
«Ancora due parole tratte da quell’Orazione Funebre che il Fr. Carletto Mascia (altro pilastro della nostra Loggia passato all’Oriente Eterno) volle dedicargli in occasione della sua morte:
«“Sia nel mondo profano che all’interno dell’Ordine Massonico aveva l’arte di affrontare i problemi ripescando dallo spirito Partenopeo, che non lo aveva mai abbandonato, la battuta tra il serio ed il faceto che, stemperando la tensione o l’eccitazione degli animi, apriva la porta alla soluzione che il caso richiedeva.
«“E di problemi in entrambi gli ambienti ne ha affrontato parecchi, soprattutto in quello profano, esponendosi senza riserve ogni volta per la causa che reputava giusta ed applicando sempre il principio ‘non fare del bene se non hai l’animo disposto a subire l’ingratitudine’.
«“Di ingratitudini ne ha subito ma è sempre andato avanti sostenuto dai suoi principi e dalla volontà di operare per il bene degli altri avendo sempre come oasi di pace costruttiva le due famiglie: quella di sangue, e quindi degli affetti più intimi, e quella dei cultori del ‘libero pensiero’…
«“Questo in maniera un po’ imprecisa era Paolo Carleo al quale non diciamo addio perché lui continua a stare con noi per quanto ha fatto e per come lo ha fatto, avendo creato nelle nostre menti e nei nostri cuori il suo Paradiso; gli diciamo solo grazie di essere stato con noi, fra di noi, uno di noi”».
Per Salvatore Loi
Nel settembre 2003 s’involò il Fr. Salvatore (Toto) Loi, un generoso uomo di concordia che ben a diritto fu il primo Venerabile della loggia così denominata, appunto Concordia, dal 1993.
Fu insegnante dei corsi scolastici elementari al carcere, terribile per tanti aspetti, sulla sommità della più alta collina di Cagliari.
Cagliaritano, collaboratore-fiduciario del Fr. Franz Bianchi nella FranzMobili di Quartu Sant’Elena, era stato iniziato fra le Colonne della Hiram, partecipando attivamente, nei primi anni di militanza, alle sorti anche della Risorgimento n. 757 sulcitana (allora affidata al Maglietto del Venerabile Bianchi), e svolgendo ripetutamente, negli anni ’80, le funzioni di Segretario e/o Tesoriere del Collegio.
Ce ne parlerà l’illustre Ispettore regionale emerito del Rito Scozzese, del novero dei fondatori della loggia Concordia ed ancora oggi attivo nel suo organico:
«Salvatore Loi nacque a Cagliari il 27 ottobre 1930. La sua vita profana fu caratterizzata, in età giovanile, dal periodo degli studi che si conclusero con il conseguimento del diploma e dell’abilitazione magistrale. Poi, come Maestro Elementare, svolse la sua attività in Cagliari insegnando per molti anni presso le carceri di Buoncammino.
«Successivamente, conseguito il raggiungimento della pensione, proseguì la sua attività lavorativa in campo amministrativo nel settore della produzione dei mobili.
«Fu sposo affettuosissimo e padre esemplare di tre figli nati dal matrimonio.
«Contestualmente all’attività lavorativa svolse anche quella di giornalista pubblicista collaborando, con alcune testate editoriali, nell’informazione sportiva, particolarmente quella sul calcio di cui era appassionato tifoso.
«In Massoneria fu iniziato il 24 ottobre 1975 nella R.L. Hiram n. 657 all’Oriente di Cagliari dove meritò i successivi gradi di Compagno e di Maestro. Successivamente, dal 4 aprile 1992, fu al piè di lista della R.L. Concordia n. 1124 all’Oriente di Cagliari costituitasi per gemmazione dalla R.L. Hiram.
«Nel corso della sua attività massonica svolse sempre con puntualità e precisione gli incarichi che gli furono affidati. Segnatamente quelli di Secondo Sorvegliante, di Maestro Venerabile della R. L. Concordia (dal 10 gennaio 1993 al 15 gennaio 1995), di Tesoriere del Collegio dei Maestri Venerabili della Sardegna e di Giudice Supplente nello stesso. Significativa fu la sua attività in Loggia, sia per il rapporto costruttivo con i Fratelli che per la loro guida nel periodo del suo Venerabilato.
«Il suo tratto personale era quello di una notevole padronanza di sé, di un “aplomb”, proprio come uno dei simboli della nostra Istituzione. Mai fuori dalle righe, ma sempre incisivamente presente in tutte le attività muratorie. Di carattere socievole e sempre disposto al dialogo ed all’appianamento dei dissidi, fu uno degli ispiratori della denominazione “Concordia” della nuova Loggia.
«Stante la sua passione per il giornalismo produsse un “giornalino” di Loggia, il “Concordia Notizie” o il “Concordia News”, attraverso il quale riversava sui Fratelli i suoi profondi convincimenti degli ideali massonici. Ed è proprio attraverso alcune parole di tanti suoi articoli che preferisco ricordarlo.
«Sulla esigenza di conforto solidale ai problemi di un Fratello gravemente malato:
«“Di questi uno in particolare ci ha investito e ci investe di straziante dolore, che però non può essere da noi catalogato come irrisolvibile, di impossibile mutamento del suo decorso, da accettare come semplice fatalismo.
«“La sorte impietosa che si è abbattuta con immenso furore sulla vita del Fr. Gianfranco Porcu, sottoponendo ad una condanna atroce la sua esistenza, deve farci reagire in differente modo.
«“Io sono forse il primo, ma non certo il solo, a capeggiare la lista di coloro che hanno fatto assai poco per il caso del Fr. Gianfranco Porcu e vivo, di conseguenza, con l’animo continuamente tormentato da questo mio riprovevole e condannabile atteggiamento fraterno.
«“Dalle colonne di questo scritto rivolgo a Gianfranco Porcu la mia supplica perché mi conceda il suo perdono”.
«E sull’invito ai Fratelli a praticare l’esoterismo:
«“E’ vero che l’esoterismo è un mezzo, non un fine, perché il vero fine resta l’uomo.
«“L’esoterismo è uno strumento di indagine introspettiva che, praticato con alquanta serietà, può consentire approfondimenti nel senso di una ‘coscienza delle cose’ maggiore di quanto si ottenga usando le procedure comuni.
«“Basta pensare, infatti, alla importanza che nella conoscenza del mondo acquistano le immagini composte dalla nostra mente sulla base dei rapporti sensibili col mondo. Con quelle immagini si costruiscono le varie forme di linguaggio, i concetti, le idee, in una parola il pensiero.
«“E’ perciò importante curarle, le immagini intendo dire, e tentare di interpretarle.
«“La chiave esoterica può risultare di grande aiuto e, del resto, vi sono domande che riguardano la zona della nostra anima nelle quali né la scienza, né la logica hanno molte possibilità di fornire soddisfacenti risposte”.
«Toto morì di grave malattia il 26 settembre 2003. Ma per i Fratelli di Loggia non è mai morto e sopravvive, ancor più che nel ricordo, negli insegnamenti che ci ha lasciato con i suoi scritti e con la sua statura di vero Maestro Muratore».
Per Giulio Lecca
Il Fr. Giulio Lecca, nativo di Alghero, passò all’Oriente Eterno, dopo dura malattia, a fine agosto 2005. Ne onorò la memoria, in una speciale tornata tenutasi il successivo sabato 5 novembre, la sua loggia Europa. A ricordarne il profilo umano e massonico fu lo stesso M.V. Leo Ambrosio.
Egli fu a lungo funzionario della Camera di Commercio di Cagliari, responsabile dell’Eurosportello della stessa e direttore generale del Centro Servizi, nonché consigliere comunale democristiano. Per qualche tempo, alla fine degli anni ’90, fu altresì presidente dell’ISOLA, l’ente regionale di promozione dell’artigianato.
Partecipò alla sfortunata esperienza della De Molay. Ricoprì il grado 31. del Rito Scozzese Antico e Accettato e la qualifica di Milites Templi dell’Ordo Militiae Templi/Grande Priorato di Calcedonia.
Vediamo oggi la lastra della sua tomba, col suo nome, con i dati elementari dell’anagrafe, con la squadra e il compasso anche. Ce ne parlerà il Garante d’Amicizia del GOI presso il Sinaloa (Messico), incardinato nella stessa loggia Europa:
«Caro Giulio, ci siamo conosciuti nel 1983 quando sei stato accolto dai Fratelli liberi muratori: era giugno, sei stato iniziato nella Libera Muratoria Universale all’Obbedienza del Grande Oriente d’Italia nella R. L. Risorgimento n. 770 all’Oriente di Cagliari, sì proprio nella mia Loggia Madre. Io allora frequentavo in doppia affiliazione la loggia di Oristano in quanto rischiava di essere demolita per insufficiente numero di Fratelli. Tu nella mia Loggia Madre n. 770, io nella loggia intitolata a mio padre la R.L. Ovidio Addis n. 769. Sarà stato un caso, ma così è.
«Nel 1985, come risultato del tuo impegno nello sgrossare la pietra grezza e renderla perfettamente cubica, a febbraio sei stato promosso Compagno d’Arte. I Fratelli, a febbraio del 1986, riconoscendo il tuo impegno e le tue doti di vero massone, sempre pronto e disponibile ad aiutare, non solo a parole e non solo i Fratelli, ma chiunque si trovasse in difficoltà, promossero la tua elevazione al grado di Maestro.
«Con un gruppo di Fratelli sei stato promotore della fondazione di una nuova Officina. Sei stato il Fratello che più di tutti aspirava a diventare l’artefice di una nuova ed esaltante esperienza, per un tuo maggiore arricchimento interiore e comunque sempre per il bene e il progresso dell’umanità.
«Era il 1991 quando vide la luce la tua nuova Officina, la R. L. De Molay all’Oriente di Cagliari. Ebbe vita breve e, per diverse ragioni, un percorso non poco travagliato.
«Così nel 1995, con mio sommo piacere, mi hai chiesto di lavorare insieme nella R. L. Vittoria sempre all’Oriente di Cagliari.
«Tutti siamo stati felici che abbia voluto continuare, con noi, il tuo camino iniziatico. E così, nel 2000, sempre insieme siamo stati tra i fondatori della R.L. Europa che ci ha dato anni splendidi di fecondo lavoro.
«Ricordo con nostalgia una delle ultime tue tavole architettoniche: “I Misteri Eleusini”, che terminava così: “Allora una felicità sconosciuta, una pace sovrumana scendeva nel cuore degli Iniziati, la vita sembrava vinta, l’anima liberata, il terribile cerchio dell’esistenza compiuto: tutti si trovavano, con una gioia serena e una certezza ineffabile, nel puro etere dell’anima universale”.
«Questo è il tuo pensiero, il tuo essere. Con la tua intelligenza e la tua sensibilità hai scoperto il segreto della vita e le cose veramente importanti e degne che portano l’uomo alla felicità e a una gioia serena.
«Caro Giulio, sei stato, sei e sarai sempre mio fratello. Un triplice fraterno abbraccio dai tuoi Fratelli dell’Europa, la tua Loggia».
Per Roberto Durzu
Nel maggio 2008 s’involò, nelle condizioni più tragiche del mare, il Fr. Roberto Durzu, 52enne medico odontoiatra e sportivo, quartese di origini.
Iniziato alla sassarese Gio.Maria Angioy, si era poi trasferito alla cagliaritana Lando Conti già all’atto della sua costituzione e da qui, ancora impegnandosi nelle fatiche di una doppia gemmazione, nei ranghi prima della Vittoria e poi della Europa, che da quella proveniva.
Ce ne parlerà chi lo ebbe fra i suoi più cari, il Venerabile emerito della loggia Europa cui va anche il merito, condiviso con altri, dell’inserimento, molti anni fa, della sua officina nel circuito internazionale delle compagini simboliche portanti lo stesso titolo distintivo:
«E’ davvero difficile parlare del carissimo Roberto scomparso quasi dieci anni or sono, parlarne in una occasione come questa. Sembra di imbalsamarne il ricordo, di trasformarlo in un manifesto da esporre in un museo, per trasferirlo ai presenti, molti dei quali lo hanno conosciuto e lo ricordano, altri lo ricordano per il vuoto lasciato.
«Una vena malinconica, a ricordarne la sua figura, ci attraversa tutti in questa nuvolosa mattina di Marzo e si mescola alla soddisfazione per il tributo che ci accingiamo a rendergli.
«E’ pur vero che in situazioni come queste si ha sempre la sensazione che le parole siano vuote e che non possano esprimere appieno la persona che vogliamo qui ricordare, il carissimo Roberto, con la nostra presenza, con il nostro immutato amore nei suoi confronti. Vorrei che, aldilà delle parole, questo fosse il momento di raccoglimento, della riflessione, della meditazione e, per chi crede, della preghiera.
«Roberto fu un uomo che ha creduto nella famiglia, e me lo consentite, in due famiglie: quella anagrafica e quella esoterico-iniziatica, ha creduto nell’amicizia… e, aggiungo, nella vita! La vita nell’accezione più ampia del termine. Lo stargli vicino e frequentarlo trasmetteva questa sensazione: voglia di vivere assaporando momento per momento il continuo divenire delle cose, foss’anche rinunciando alle formalità che rendono tutto piatto e senza gusto. Bisognava invece dare sapore alle cose, diceva, usando un linguaggio schietto, senza mezzi termini.
«Ecco proprio per questa immagine che serbo di Roberto, dall’infausto giorno dell’incidente molti cuori dei presenti, di chi lo conobbe e lo frequentò e di chi solo ha conosciuto la sua personalità per sentito dire, molti cuori sono crollati ed io, come voi, faccio ancora fatica a crederci; sono arrabbiato oggi come quel fatidico 17 Maggio di quasi 10 anni fa. Riecheggiano nella mia mente frasi come “non è giusto” o come “Lui non se lo meritava davvero! o ancora “da Fratelli avremmo potuto impedirlo?”.
«A quest’ultima domanda dirò subito: no. L’amore per la sfida, per mettersi alla prova, per tentare il limite delle proprie capacità (fisiche e mentali), per ripercorrere il ricordo di una sensazione vissuta con sforzo e sacrificio, e raccontarla o trasmetterla – bastava solo guardarlo negli occhi – sono tutte cose che avrebbero reso vano ogni tentativo fatto da chi gli voleva bene, e cercasse di farlo desistere, rinunciare.
«Parlo, nella fattispecie, a quanto mi riferì, in quella circostanza ma a posteriori, la sua amata Simonetta; lei aveva tentato, vista la giornata grigia, fredda, tormentata da un vento impetuoso, di convincerlo a lasciar perdere la scorribanda in mare, su un guscio insicuro, da governare con forza e determinazione. Questo perché c’era già stata un’avvisaglia di una situazione della sua salute da sorvegliare, evitando i rischi. Ma c’era un gruppo di amici da seguire, altri compagni di avventura, di imprese da effettuare al limite delle possibilità, il tutto da fare con allegria, risate, sforzi fisici e battute ironiche.
«Domande, quelle che ho elencato, che ci siamo poste dopo l’incidente, pensieri che abbiamo avuto tutti: non semplici esternazioni ma domande e dubbi profondamente sentiti.
«Lui non se lo meritava davvero, e non l’avrebbe voluto per noi un pomeriggio d’ansia come quello, con tutti lì, sulla costa, con gli occhi sbarrati, increduli, ancora pieni di speranza che tutto si risolva al meglio, a incoraggiare Simonetta e i suoi piccoli, genitori e tanti visi sconosciuti, che scrutano l’orizzonte alla vana ricerca di un segno, un colore, un qualcosa che ci faccia sperare che forse c’è una speranza: troppo in gamba Roberto per arrendersi alle difficoltà di una mattinata che si è fatta difficile.
«Forse questi pensieri non li ho avuti solo io, forse sono pensieri che abbiamo avuto tutti.
«Lui non se lo meritava davvero, lui era semplice e buono, sempre pronto ad aiutarti e a incoraggiarti, con l’indomita forza di sopportare fatiche e pesi di ogni genere.
«Potrei citare decine di aneddoti, ma forse lui avrebbe preferito raccontarli a voce senza un testo preparato, così se vorrete saper di lui non dovrete far altro che chiedere a chi l’ha conosciuto.
«Se fosse stato “in qualche modo” possibile impedire l’incidente ora lui sarebbe vivo, ma, purtroppo, di fatto solo il destino avrebbe potuto evitargli la morte; ma in qualche modo è sopravvissuto. Si è parlato di lui due giorni fa in officina ed i toni erano, come sempre, commossi. Che sia sopravvissuto lo vedo negli occhi dei suoi figli, nei modi e negli atteggiamenti di chi l’ha conosciuto; tutti noi abbiamo qualcosa di lui, noi “siamo” lui.
«Non è facile ma potremmo cominciare tra di noi a intraprendere un percorso che per Roberto era scontato: sosteneva l’importanza della famiglia, il valore degli amici e dei Fratelli (nelle sue conversazioni la parola Fratello era frequentissima); ci ha insegnato a sostenerci l’un l’altro, a credere nelle nostre forze e a lottare per chi si ama, il tutto con l’allegria, l’ironia e l’apparente spensieratezza che gli erano congeniali… prendiamo esempio».
La testimonianza della loggia femminile Libertà
La Prima Sorvegliante della loggia femminile Libertà, attivamente presente al percorso, ha voluto fissare nel diario di memoria della sua officina ed in quello della gemmata Fides Bussalai alcune righe che ricordassero ai posteri il senso della sua partecipazione. Ecco il suo breve testo:
«Il 25 marzo 2017 E.: V.: in occasione della commemorazione dei Fratelli di Cagliari passati all’O.: E.: alla quale sono stata invita, ho potuto rendere omaggio anche alle mogli, alle madri, alle figlie di taluni di loro, che hanno fatto parte della Massoneria.
«Con l’omaggio ai Fratelli Bussalai, è stata ricordata Fides Pilo, loro moglie e madre. Donna forte e volitiva che dalla fine degli anni 70 e fino al 2004 – anno in cui ha lasciato la compagnia dei viventi – ha tenuto il maglietto di M.: V.: nella Loggia Libertà all’O.: di Cagliari, costituita con il n. 2, giusto decreto della G.: M.: Marisa Bettoia, fondatrice della Gran Loggia Femminile d’Italia, eretta dal Gran Maestro Augusto Castaldi il 15 gennaio 1971. Donna carismatica che ha lasciato un bel segno nella Massoneria Femminile; a Lei e’ intitolata la seconda Loggia di Cagliari, gemmata dalla prima nell’ottobre 2012.
«L’omaggio è stato esteso a sua figlia Anita che ha militato nella Massoneria al fianco della madre, sin dalle origini, passata recentemente all’O:. E.: ricoprendo la carica di Gran Maestra.
«Nel sepolcro di pietra antistante è stata ricordata, oltre ai Fratelli Grassi, un’altra Sorella: Swanyd Mulas che, negli anni 80, ha messo a disposizione delle Sorelle parte della propria abitazione per la realizzazione del Tempio, nel quale, per tanti anni, si sono svolti i lavori della Loggia Libertà.
«Sono state commemorate: Anna Maria Fanni, Lia Galardi, Lidia Zedda, tutte Sorelle di grande profilo, con grandi doti umane e massoniche. Tutte compagne di vita di grandi Fratelli.
«Frequentavano sempre, aspettavano la tornata dei lavori per caricarsi di energia positiva da diffondere. Solo le malattie hanno fatto loro da freno, ma non per tutte.
«Lidia Congiu, moglie del Fratello Piero Zedda, è stata un esempio di forza e di coraggio fino all’ultimo. Nonostante la malattia che la costringeva alla dialisi a giorni alterni, non mancava mai ai lavori; posso dire che proprio nel Tempio la lasciato le sue ultime forze fisiche, essendo passata all’O.: E.: al termine di una tornata di lavori con iniziazione di una Sorella che aveva tegolato. Esempio di integrità, di levatura morale, una massone di grande spessore, una donna esemplare della quale i figli, che militano nella Massoneria, possono andare fieri.
«Le donne a cui è stato reso omaggio hanno perseguito, per le loro doti e per il percorso massonico fatto, le finalità dell’istituzione di perfezionamento e ricerca della Luce.
«La celebrazione delle Sorelle defunte ha significato, per me, sentirle presenti tra i vivi, sentire la continuità della vita, nonostante la morte fisica. La morte non è che l’iniziazione ai misteri di un’ altra vita.
«La morte non è “niente” scrive Henry Holland Scott nei suoi versi, semplici e rassicuranti: “la nostra vita (anche dopo la morte) conserva tutto il significato che ha sempre avuto, è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza”».
La Sardegna fra mazzinianesimo e Massoneria nella storia delle Ardeatine
Di molte, forse di tutte le personalità nostre cagliaritane evocate nel commosso rimpianto della comunità liberomuratoria datasi convegno al camposanto civico di San Michele, porto anch’io una affettuosa memoria personale. Avverto il senso della relazione spezzata, nell’attesa segreta dei ricongiungimenti.
Ma credo giusto, onorando tutti, qui concludere la rassegna allargando il range degli spazi geografici, delle missioni di vita e degli specifici testimoniali, integrando nella dimensione chiamala sentimentale un altro massone, sardo non cagliaritano, di cui in questi giorni nuovamente è stato richiamato il nome riportandolo alla drammaticità dei giorni che posero fine alla sua esistenza: mi riferisco a Salvatore Canalis, che io stesso ho, in apertura di questo articolo, menzionato.
Sono gli affinamenti della ricerca ancora in corso circa le biografie delle 335 vittime dei burgundi violenti nella Roma occupata del 1943 e 1944, che stanno consentendo di mettere meglio a fuoco la presenza, fra quegli innocenti, di liberi muratori: 14 ne segnalò il Pruneti nei suoi “Annales” usciti nel 2013, 18 riuscì ad elencarne l’ufficio archivistico del GOI lo scorso anno, 20 sono quelli accertati oggi, quattro delle forze armate (aviazione, artiglieria, fanteria, carabinieri), quattro delle libere professioni (avvocati e medici), quattro degli impieghi, sei del commercio, un musicista, un professore. Il professore era nostro, sardo di Tula, appunto Salvatore (Rino) Canalis, 36enne in quel tragico 1944.
Iniziato nella Comunione di Piazza del Gesù, come altri sette – gli ulteriori dodici appartenevano alla Famiglia di Palazzo Giustiniani – Canalis era un intellettuale di grande e precoce cultura umanistica classica. Negli ultimi anni attendeva alla traduzione delle opere di Archimede dal greco dorico – così da informazioni certe pervenute a “Riscossa”, il settimanale sassarese che aveva iniziato ad uscire dal luglio 1944 con il meglio delle firme antifasciste, moderate o progressiste non importa, dell’Isola. Il giornale ne scrisse nel suo numero del 21 agosto 1944, neppure cinque mesi dopo il tremendo eccidio e dopo averne dato preannuncio in un numero di luglio.
V’è, su di lui, un pro-memoria del Comando alleato di Roma. Aggiungerei che nello sforzo di biografarlo sono impegnati, in Sardegna, alcuni validissimi studiosi, a cominciare da Martino Contu e Manuela Garau, dai quali attendiamo più complete ed organiche schede, poiché alla materia della strage nazista hanno già dedicato lavori importanti e specificamente su Canalis hanno anche già raccolto una significativa bibliografia.
Di Salvatore Canalis si sa che insegnava greco e latino alla Scuola militare della capitale, una scuola-caserma frequentata anche da altri sardi (militari o civili militarizzati) del distaccamento del battaglione “Giovanni Maria Angioy”, segretamente impegnati anch’essi nella rischiosa lotta partigiana. Laureatosi in lettere classiche alla Sapienza, insegnò da subito (lettere greche e latine) in alcuni licei romani, distinguendosi anche come collaboratore di “Roma. Rivista di Studi e di Vita Romana”, edita dall’omonimo istituto. Nel 1938 pubblicò in volume un commento alla “Quarta filippica” di Cicerone.
Sposatosi con una giovane fiamminga, conosciuta in occasione di una missione di studio (da precettore privato) in Belgio – quel Belgio che sarebbe stato fra i primi paesi occupati dalle armate di Hitler sul fronte occidentale, nella primavera 1940 –, e padre di due figli, aderì fra i primi al glorioso Partito d’Azione, erede delle migliori tradizioni della democrazia mazziniana e risorgimentale: collaborò, contribuendo anche a finanziarne la stampa, ad un giornale clandestino antifascista. Nella propria abitazione riceveva i compagni politici. Fra essi fu anche un infiltrato, il Giuda traditore quale si sarebbe rivelato in breve tempo.
Respinse ogni pressione giuntagli per aderire alla Repubblica di Salò (sono documentate le sue risposte: «meglio la morte!»), fu attenzionato e interrogato dalla polizia fascista come “badogliano”; precariamente coperto dalle patenti di “guardia palatina” vaticana, venne arrestato nella notte del 14 marzo 1944 dalla cosiddetta “banda Koch” (micidiale reparto speciale della RSI operante soprattutto nella Roma occupata) e trasferito in più sedi di prigionia e tortura. In ultimo al San Gregorio al Celio ed a Regina Coeli da dove fu deportato alle Fosse Ardeatine: la moglie lo vide nella macchina che lo portava al mattatoio.