“Prospettive sull’ambiente, la giustizia sociale e i mass media”. Seminario internazionale a Sassari (con la collaborazione della Fondazione Sardinia), di Federico Francioni

Un sistema ancora dominato dai combustibili fossili – Organizzazione dell’incontro ed enti che hanno collaborato – Le relazioni – Prossimi impegni.

Un sistema ancora dominato dai combustibili fossili. A Sassari, giovedì 15 e venerdì 16 giugno, ha avuto luogo il seminario internazionale interdisciplinare “Prospettive sull’ambiente, la giustizia sociale e i mass-media nell’età dell’Antropocene”. Con Antropocene (che viene dopo l’Olocene, già caratterizzato da un continuo aumento delle temperature) si fa riferimento – lo ha sostenuto il Premio Nobel Paul Crutzen – ad un’età caratterizzata dal dominio dell’uomo sulla natura: contro questo attacco sfrontato si è levata alta e solenne la voce di condanna di papa Francesco, forse l’unico grande leader spirituale dal quale possiamo trarre ispirazione, incitamento e coraggio per sognare ma anche per progettare concretamente un nuovo mondo possibile. Quali rapporti collegano l’ambiente, le crescenti disuguaglianze sociali ed i mezzi di comunicazione di massa? La risposta può essere data dall’esame critico di un sistema dominato da petrolio e carbone, da potenti interessi economici, politici e lobbistici che lasciano intravedere una società disfunzionale rispetto alla collettività ed ai beni comuni.

Nel seminario ha avuto un ruolo di rilievo anche la dialettica globale-locale: numerosi i riferimenti alla Sardegna, all’ambiente, alla flora dell’isola, alle energie rinnovabili, al meccanismo del ricatto occupazionale – esercitato per mantenere strutture industriali altamente inquinanti, letali per la salute ed il benessere delle popolazioni – alle basi militari ed al ruolo della stampa sarda.

 

Organizzazione dell’incontro ed enti che hanno collaborato. L’evento è stato organizzato da “One Humanity-One Planet Research Interest Group” (un collettivo di ricerca che riunisce studiosi americani, italiani e sardi), dall’Università di Sassari, Dipartimento di Scienze umanistiche e sociali, con la collaborazione della Benedictine University di Lisle (Chicago-Illinois), l’Associazione italiana di Sociologia, il Nucleo di ricerca sulla desertificazione dell’Ateneo turritano, la Fondazione Sardinia, l’Associazione sassarese di Filosofia e Scienza, che pubblica la rivista “Mathesis-Dialogo tra saperi”.

Il seminario ha avuto inizio a Sassari la mattina di giovedì 15 giugno nell’Aula magna del palazzo centrale dell’Università, con il saluto di Luca Deidda, delegato del rettore Massimo Carpinelli. Il saluto del Dipartimento di Scienze umanistiche e sociali dell’Ateneo turritano è stato portato dal direttore Aldo Maria Morace. I lavori sono stati introdotti da Maria Lucia Piga, docente di Sociologia nella stessa Università, da Luigi Manca (docente di Communication Art nella Benedictine), da Elizabeth (Betsy) Dobbins (docente di Scienze naturali nella Samford University, Usa) e da Pier Paolo Roggero (docente nel Dipartimento di Agraria) che si è soffermato sull’attività del Nucleo di desertificazione. Tale organismo ha inoltre organizzato un evento teatrale su “La Ragione – Il tribunale della siccità”, con Daniela Cossiga e Sante Maurizi, tenutosi nel cortile di Palazzo ducale a Sassari, cui hanno partecipato anche i relatori del nostro seminario internazionale ed un folto pubblico.

 

Le relazioni. Alla relazione di Roggero ha fatto seguito quella di Ignazio Camarda (Università di Sassari): lo studio scientifico dell’etnobotanica, egli ha sostenuto, permette di risalire dal sapere che i singoli popoli hanno accumulato nei secoli sulle colture agrarie e sulle piante – ovvero dalle nomenclature tradizionali – alla classificazione scientifica operata nel Settecento dallo svedese Carl von Linneo; si è giunti così ad un patrimonio comune dell’umanità, minacciato dalle logiche di privatizzazione, proprie di società multinazionali e di case farmaceutiche, tenaci nello sforzo di appropriarsi, specialmente coi brevetti, dei beni comuni mirando al fine esclusivo del profitto per pochi.

Aide Esu (Università di Cagliari) e Simone Maddanu (École des Hautes Études en Sciences sociales di Parigi, il quale peraltro non ha potuto presenziare) hanno messo in luce la trappola rappresentata dalla presunta modernizzazione e dal mantenimento dei posti di lavoro, invocati a giustificazione delle basi militari in Sardegna, ugualmente minacciate dall’inquinamento, in particolare dall’uranio. I due relatori hanno studiato le ricadute di queste tematiche in particolare nei resoconti de “L’Unione sarda”.

Stimolante anche la relazione di Emanuela Ferreri (Roma, “La sapienza”) che si è soffermata sul diritto alla ricerca come diritto umano, su un sapere scientifico che deve uscire dai laboratori e dalle aule accademiche per diventare un patrimonio di conoscenze il più possibile diffuso, col fine di rendere possibile l’esercizio della cittadinanza attiva.

Nel pomeriggio di giovedì 15, nell’Aula Dostoevskij (in via Roma) è intervenuto Livio Perra (Università di Sassari) che ha richiamato l’attenzione, in particolare, sulle culture tradizionali dei singoli popoli, compresa quella sarda, in grado di configurare una relazione con la natura imperniata il più possibile sull’armonia, non sullo sfruttamento cieco ed incontrollato delle risorse.

Joaquin Montero (della Benedictine), autore di un romanzo su Alessandro il Grande, ha focalizzato quegli aspetti transcontinentali e transculturali, in un certo qual modo pre-globali, che accompagnarono la politica espansionistica propria del sovrano macedone, giunto fino al territorio del fiume Indo.

Allan Dobbins (Università dell’Alabama) – sempre autorevole e propositivo anche nel sollecitare interventi e discussioni – ha affermato che quella attuale, per le minacce incombenti sul clima e sugli ambienti della Terra, si potrebbe configurare come la più breve fra le epoche geologiche nella storia del Pianeta.

Dal suo canto il già ricordato Manca, sassarese emigrato negli Stati Uniti (ha insegnato in diverse Università americane), ha ripreso e sviluppato un concetto a lui caro: quello di Noosfera, nell’accezione e nell’elaborazione di Pierre Teilhard de Chardin, chiamato “il gesuita proibito” per l’anticonformismo e l’originalità delle sue vedute; alla Noosfera, al “pensiero unico” (si ricordi in proposito l’espressione di Ignacio Ramonet, direttore di “Le Monde diplomatique”), imposto dalla globalizzazione, dai corporated interests e dalla stampa internazionale, è indispensabile contrapporre, secondo Manca, una nuova sfera comune del pensiero che potrà crescere e svilupparsi grazie a movimenti di base, ai social network, a strumenti di comunicazione di massa in grado di fornire immagini adeguate della realtà, nel cui ambito i cittadini possano muoversi, agire, manifestare per la difesa dell’ambiente dal degrado, per progettare una società diversa da quella attuale.

Nella mia relazione – dedicata al caro, compianto radiologo Vincenzo Migaleddu, responsabile sardo di Isde-Medici per l’ambiente – ho fatto riferimento ai dibattiti sulla Global History, la cui sfida è accompagnata dall’imperialismo della lingua inglese, collegato al prevalere dei più importanti centri americani ed inglesi della ricerca scientifica. Parlare dei luoghi, delle lingue, delle culture, dei singoli ambienti naturali, come ricchezze e valori unici ed irripetibili, non significa cadere nel fondamentalismo: lo dimostra la sottolineatura della singolarità e dell’insostituibilità dei territori da parte di studiosi tutt’altro che propensi all’essenzialismo. Di fronte alle minacce che incombono sull’ambiente si rende indispensabile una riflessione sulla necessità di uno sciopero generale internazionale il quale affonda le sue radici nelle lotte dei lavoratori contro le multinazionali, nella giornata dell’8 marzo – così come è stata organizzata quest’anno, su richiesta delle donne argentine – nella notevole partecipazione all’Earth Day 2017: in questo scenario le nazioni europee senza Stato, Sardegna compresa, potrebbero svolgere un ruolo di rilievo.

Venerdì 16, al mattino, il seminario ha avuto luogo sempre nell’Aula Dostoevkij ed è proseguito nel pomeriggio. Ha preso la parola Peter Seely (della Benedictine), che ha efficacemente focalizzato quel passaggio storico degli anni Sessanta durante il quale prende corpo una musica dichiaratamente antifascista, antirazzista, radicale, attenta inoltre alla natura ed all’ambiente, destinata ad incidere su comportamenti di singoli artisti, gruppi e movimenti dispiegatisi poi compiutamente negli anni Settanta.

Gianny Loy dell’Università di Cagliari, ha analizzato la transizione storica verso un lavoro sempre più sottoposto ai dettami dell’accumulazione capitalistica, sfruttatrice dell’uomo e della natura. Egli è tornato sul nodo decisivo del ricatto occupazionale cui si tenta di far soggiacere, in Sardegna ed altrove, sia gli operai, sia le comunità, col fine di imporre un lavoro inquinante per i luoghi e le popolazioni.

Badrinath Rao, studioso indiano, docente nell’Università statunitense di Kettering, ha presentato una relazione molto precisa sulle notevoli acquisizioni teoriche e legislative dell’Unione indiana riguardanti la protezione dell’ambiente che peraltro, secondo lo stesso relatore, sono rimaste prevalentemente petizioni di principio, inficiate come sono dalla burocrazia e dalle concrete politiche dei ceti dirigenti.

John Kloos, anch’egli della Benedictine – e già allievo di Mircea Eliade nell’Università di Chicago – ha proposto un approccio filosofico, di carattere fenomenologico, alla morfologia ed alla percezione dei territori, da quello più vicino a noi a quello più lontano; egli ha sottolineato in particolare il carattere in un certo qual modo divino del  paesaggio, dove alberga quel sublime, quella sacralità che ognuno di noi deve impegnarsi a cercare, nell’ambito di un nostro rigenerato e rimeditato rapporto con la Terra.

Paola Rizzi (Università dell’Aquila), con il dottorando thailandese Pongpint Huyakorn (impossibilitato a partecipare), ha preso in esame il contesto della Thailandia, fra i primi 15 paesi al mondo come destinazione di migranti ed in ogni caso al primo posto nei flussi migratori tra i membri della Comunità economica delle nazioni del Sud Est asiatico. Fra le 176 azioni prospettate nell’agenda di tale organismo non si parla di integrazione di migranti. La ricerca condotta ha invece indicato uno scenario di superdiversità, prospettato da numerosi studenti interpellati sulle interazioni positive: per esempio, centri culturali, la scoperta dei luoghi e, fra l’altro, i giochi di simulazione. In tale ambito un ruolo di rilievo può svolgere Chiang Mai, la seconda città più grande della Thailandia ed allo stesso tempo il maggiore hub per migranti in arrivo.

Maria Lucia Piga ha affrontato la connessione tra degrado ambientale e acuirsi delle disuguaglianze sociali, perché i due fenomeni sono correlati. Gli stessi paesi che inquinano spesso non sono in condizioni di affrontarne le conseguenze, né riescono ad invertire la rotta di un’economia lineare, tanto più che i singoli Stati vanno perdendo la loro autonomia finanziaria. Si può pensare in alternativa ad un presente ed un futuro diversi (al di là della green economy che perpetua l’approccio neoliberista), soprattutto se si guarda al lavoro come ad una “seconda opportunità”: come esempio è stato delineato quello delle cooperative di tipo B impegnate in agricoltura biologica, gestione di aziende agricole abbandonate, riciclo e “seconda vita” dei materiali. Queste possono favorire, senza perpetuare passività ed assistenzialismi, anche coloro che sono stati esclusi dal mercato del lavoro. Nella dialettica locale-globale va inserita la disamina del ruolo svolto dalle scienze sociali e dai media per analizzare e documentare l’esclusione sociale, promuovere la globalizzazione dei diritti contro quella finanziaria, volta a perpetuare le scellerate politiche di austerity.

Massimo Dell’Utri, docente di Filosofia del linguaggio nell’Ateneo turritano, ha esaminato la posizione assunta sul problema della verità dal postmodernismo, secondo il quale non esisterebbero più i fatti ma solo le interpretazioni. Dell’Utri ha sostenuto che il rifiuto di verità assolute non può eliminare la ricerca di un fondamento credibile della verità stessa, in relazione ai contesti più diversi. Nel dibattito filosofico, d’altra parte, scetticismo e fallibilismo ci possono aiutare non solo nel rigetto di verità più o meno artificiosamente precostituite ma anche nell’investigazione critica verso le cosiddette “postverità” in grado di nascondere menzogne come quelle, in buona sostanza, costruite dai negazionisti dei cambiamenti climatici.

Su questo nesso – ma con l’attenzione prevalentemente rivolta al contesto statunitense della presidenza di Donald Trump, al ruolo della scienza verso una sorta di ritorno al tribalismo e verso quella che si potrebbe configurare come “era controfattuale” – è autorevolmente intervenuta anche Betsy Dobbins, che ha svolto un ruolo insostituibile sia nell’organizzazione del seminario, sia in sede di gestione del dibattito. È stato effettuato anche un collegamento via Skype con gli Stati Uniti: coordinati da Chris Birks, della Benedictine, hanno dialogato con gli studiosi riuniti a Sassari i docenti americani Anne Marie Smith, Marian Mesrobian MacCurdy, Steve Macek e Jean-Marie Kauth.

Maria Laura Ruiu (Università di Northumbria, Newcastle), ha delineato con molta chiarezza i modelli teorici e metodologici adatti a studiare la ricaduta di determinati fenomeni sui mass media, per identificare quegli elementi che potrebbero classificare o meno i cambiamenti climatici come esempio di panico morale collettivo.

Maria Grazia Cugusi (Università di Cagliari), che non ha potuto essere presente, avrebbe dovuto tenere una relazione sui conflitti fra le grosse società che costruiscono impianti per lo sfruttamento  delle energie rinnovabili e quelle popolazioni della nostra isola che vanno variamente e vivacemente organizzandosi per rispondere all’occupazione di terreni votati soprattutto all’agricoltura.

 

Prossimi impegni. I partecipanti al seminario hanno infine convenuto di rafforzare, in vista di nuovi sviluppi ed articolazioni delle indagini, l’organismo di ricerca che si è costituito prima dell’incontro sassarese e di raccoglierne le relazioni per procedere alla pubblicazione di un libro che sarà curato da Dobbins e Piga: quest’ultima, unitamente a Seely, è stata nominata chair del suddetto gruppo di ricerca. Tutto ciò costituisce una spinta per il proseguimento degli studi e del dibattito già intrapreso ed anche per mettere  a punto le basi di un’alternativa risoluta alla gamma di meccanismi e processi che minacciano la vita dei singoli luoghi e dell’intero Pianeta.

 

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