I cento giorni di Fabio Pisacane, già scugnizzo, professore per chiara fama, di Gianfranco Murtas
«“Vieni ché andiamo a vincere”… Non ci ho pensato su due volte, ed eccomi sull’Isola dei sogni.
«Nel 2015-2016 stravincemmo il campionato cadetto, facendo ritornare entusiasmo e voglia di calcio al popolo rossoblù, quasi come ai tempi del mitico Gigi Riva. Una cavalcata trionfale con emozioni fortissime sia a livello personale che collettivo. Con grandi sacrifici, in quanto c’era una rosa di alto livello con almeno due elementi per ruolo, conquistai la maglia da titolare… Un rullo compressore specialmente tra le mura amiche, dove spesso vincevamo anche con punteggi larghi e puntualmente al triplice fischio finale si scatenava la festa della gente e si viveva per una settimana in un’atmosfera bellissima.
«Incancellabile nella mia mente il volto dipinto di gioia vera di centinaia di tifosi che ci attesero al ritorno dalla trasferta di Bari, dove vincemmo per 3-0 e conquistammo matematicamente la promozione in A. Festeggiamenti infiniti, anche perché indossare la maglia del Cagliari è come rappresentare un’intera regione, di un popolo forte, orgoglioso, puro, ricco di storia e grande dignità. Bisogna vivere qui a Cagliari e indossare la casacca rossoblù per capire esattamente quello che si prova. Sentii e avvertii che ci fossero cose che vanno al di là della competizione sportiva. Vincere in Sardegna e per la sua gente ha un sapore inimitabile, unico.
«2016-2017: la mia vittoria. Ma non solo, anche di tutti quelli che, come me, non si sono mai arresi alle ingiustizie, alla sfortuna, alle avversità e ci hanno sempre creduto… 18 settembre 2016: la A. Finalmente. Debuttai a trent’anni nella massima serie contro l’Atalanta e vincemmo 3-0. Quando realizzai che potevo debuttare allo stadio Sant’Elia davanti ai miei tifosi trascorsi diverse notti insonni, in cui mi sono passati davanti in continuazione tutti i momenti più brutti. E il destino ha riassunto in quella gara anche la mia storia di una vita… La mia “favola calcistica” non si conclude, ma inizia in quella domenica di lacrime e gioia irrefrenabile». Parola di Fabio Pisacane.
La puoi prendere da molte parti e in molti modi una riflessione postlettura di questo bellissimo volumetto – La favol…A di Fabio Pisacane – curato da Antonio Martone per i tipi della napoletana grauseditore (collana “Personaggi”) e destinato alle scuole-calcio della Campania –, ma tutti ti porterebbero alla centralità umana di un atleta di gran pregio che porta sulla maglia del Cagliari lo scudetto della Sardegna, i nostri quattro mori tante volte centenari e rinobilitati nel faticoso Novecento di guerra e di pace.
La puoi prendere dall’esordio isolano del «gladiatore» (come l’hanno chiamato qui in alternanza ad «eroe per caso»), la puoi prendere dal racconto della sua malattia drammaticamente vissuta all’età di soli quattordici anni, la puoi prendere dagli squarci gustosissimi di un’autobiografia tutta partenopea, sugli scenari dei quartieri spagnoli di quella meravigliosa capitale che è stata ed ancora è Napoli. La puoi prendere dalla sua famiglia – padre venditore ambulante da padre carrozziere, madre casalinga a crescere quattro figli (con Fabio anche Dino, Rosanna e infine Gianluca). La puoi prendere dall’amore tenero di una vita, Maria Rosaria, conosciuta negli stessi vicoli della città popolare, ispiratrice preziosa di «serenità ed equilibrio». La puoi prendere dalla prima scuola-calcio, la Celeste, e dal campo periferico di Chiaiano. La puoi prendere dalla cromatura sociale dei mini scatenati alla Paratina: ragazzini senza padre perché in carcere o “regolati” dalla camorra, ragazzini figli del fornaio in piedi già dal buio lungo del primo mattino, insomma ragazzini fatti adulti anzitempo, qualcuno chiamato a lavorare nei bar, nei negozi. La puoi prendere proprio dai discorsi fra loro, fra i ragazzini di dieci o dodici anni, durante il tragitto con il pulmino fino al campo: «si commentava il morto ammazzato di quel giorno, si raccontava di avere una pistola a casa, ci si lamentava che il prezzo delle sigarette di contrabbando fosse diminuito per mancanza di clienti, della polizia che la sera prima avesse perquisito la casa, dell’arresto del papà o di uno zio o di un fratello, ma anche dei gol di Pruzzo, Battistuta. Un mix completo». La puoi prendere da Genny l’amico del cuore che giocava da portiere: bastava una saracinesca, in una strada qualsiasi, perché l’orologio fosse dimenticato ed a casa si tornasse anche ad ora improbabile, con punizione garantita. La puoi prendere dalle videocassette con le giocate di Maradona e le partite del Boca Juniors. La puoi prendere dalla sequenza impressionante dei passaggi societari – presidenti e direttori sportivi – del suo cartellino e dunque anche dalla sequenza delle squadre in cui per quindici anni Fabio ha dato tutto se stesso per dimostrare il proprio talento, ad iniziare dalle giovanili del Genoa.
Funziona così con Fabio Pisacane: la sua vita avventurosa di spunti te ne può dare mille. Puoi partire dalle rappresentazioni che di ciascuna di quelle esperienze egli formula con spirito positivo e critico, intelligente, scoprendo di ciascuna i pro e i contro, proprio così come nella vita. Puoi ancora partire dalla vicenda famosa dei 50mila euro offertigli per avvelenare la sportività e subito rifiutati. Puoi scegliere di puntare interamente sul privato, come ho detto, e partire dalla grazia della paternità conquistata, conquistata da lui figlio di un gran padre: da Andrea ad Andrea passando per Fabio, che ritmo bello e spontaneo di natura… Aggiornando puoi metterci anche Francesco, Francesco Pisacane, l’ultimo arrivato che forse non chiude ancora il cerchio. Se vuoi scherzarci, puoi partire dai 28 tatuaggi, pedaggio pagato allo spirito del tempo, anche se nessuno di quei piccoli – piccoli sì, ma tanti da far massa! – pare voluto per un capriccio (ce n’è anche per Padre Pio e per Modesto-Giorgio il volontario ospedaliero savonese, «un angelo caduto dal cielo»). A impegnarti di più, fuori dell’aneddotica o della cronaca, puoi partire dalle sue zoomate di riflessione sulla condizione di vita personale di tanti giovani atleti che, nelle categorie basse (e talvolta anche di mezzo), vivono di calcio ma anche della frequente precarietà delle finanze societarie, e subiscono i prezzi degli azzardi e dell’irresponsabilità di tanti dirigenti pronti a promettere e allettare, prima di fallire e scappare senza aver onorato gli impegni. O dalle analisi di… struttura dello spogliatoio «come un tetto di una casa dove vive un famiglia» (per dire del necessario trionfo del «noi»), o ancora dalle tentazioni che, ancor più per la giovane età, possono risultare inimicamente vincenti: «C’era il miraggio del divertimento facile, grazie alla semipopolarità che hai quando vai a giocare in qualche squadra di una città non grande, dove c’è sempre una parte di persone pronta a circuirti, proporsi per la serata brillante, la cena, la ballata, perché vive nel mito del calciatore».
Giocando con le assonanze, per tornare al tema
Quando vuoi tu giocare coi nomi (e anche i cognomi) cercando ogni possibile motivo di collegamento con il soggetto di cui vuoi scrivere o raccontare non sei obbligato a rispondere ad alcun codice che non sia l’inventiva personale: e allora Fabio Pisacane – napoletano di nascita e con noi a Cagliari, e al Cagliari, da due stagioni – lo puoi associare benissimo, di primo acchito, al nostro villacidrese Fabio Aru campionissimo, per il santo patrono del rispettivo battesimo – quel san Fabio che fu coevo e anche coetaneo, oltre che corregionale e, per di più, ideale condiscepolo del nostro sant’Efisio; lo puoi invece associare, per il patronimico, tanto più se ammiri Mazzini e ti affascina l’epopea risorgimentale, a Carlo Pisacane che, guarda caso, volse alla missione di Ponza e poi di Sapri a bordo del “Cagliari”, piroscafo sequestrato per la sperata (e mancata) rivolta antiborbonica – «Eran trecento – eran giovani e forti – e sono morti…» – e comandato dal nostro Antioco Sitzia, destinato a lunga inumana prigione prima di tornare in vita come artiere della garibaldina Libertà e Progresso…
Non dal mare, forse, ma con l’aereo, a Cagliari è venuto in salute e idee positive, con il nome bello del giovane santo idealista ed il cognome del martire risorgimentale, centosessant’anni dopo Sapri, il nostro campione Fabio Pisacane, e la città, non soltanto lo sport della città (e della regione), s’è arricchita della sua testimonianza umana e civica, in sovrappiù delle sue doti generose.
Napoli ha poi un gemellaggio ideale con Cagliari: a mettere in fila i nomi dei grandi, perdonino i piccoli, non si saprebbe quando finire, da Efisio Marini il pietrificatore nostro a Napoli in pieno esercizio (pietrificatore anche del cardinale arcivescovo Sanfelice), come Carlo Fadda il rettore dell’università, a Edoardo Scarfoglio prossimo direttore de Il Mattino, nell’Isola per la visita con d’Annunzio ventenne…, a il Banco di Napoli istituto leader in Sardegna dal 1890 e per un secolo ed oltre. Per non dire degli operatori nella sanità pubblica anche d’oggi, all’università e nelle logge, nell’arte e nella letteratura e nei commerci, nelle amministrazioni e in teatro, anche nella chiesa e nelle forze armate… Anche nel calcio, si sa, quanti e quanti giocatori campani-partenopei da noi, con i colori rossoblù, quanti all’incontrario, se non molti certo di qualità verticale, nostri con i colori azzurri… può bastare il nome di Gianfranco Zola? possono bastare le sue cento e passa partite al San Paolo, le sue decine di reti? Mi viene anche da pensare a Matteo Villa, sardo naturalizzato per sempre, signore di gran classe, che dopo tante e tante stagioni giocate da noi, per la regola di base del professionismo che parla di libertà e di mercato, passò proprio al Napoli…
Fabio Pisacane è dentro queste nuvole di memorie e di suggestioni, di addizioni sportive o parasportive, civili e storiche, tutte rimbalzate sempre nella logica della fraternità tirrena (Tirreno, il nome segreto di Emilio Lussu!), fra Napoli e Cagliari, fra Cagliari e Napoli. Nonostante le incomprensioni. E che importa se sono stati i napoletani a non applaudirci contro il Piacenza quella volta lì, giusto vent’anni fa. Nello sport, che è molto più del tifo, l’importante è non essere stati sgarbati noi. E rappacificarci non dovrebbe essere impresa complicata… Sarà bene, una volta, organizzare una bella amichevole, in campo i nostri e i loro combinati per una volta con gli ex di una parte e dell’altra, a ricordare che il mare unisce e non divide!
Le confidenze di Fabio è stato bravo Antonio Martone a raccoglierle ed ordinarle per metterle su carta e consentire a noi di arricchirci della conoscenza non soltanto di uno sportivo amato da subito dal pubblico, per intuito e per riconoscimento di merito, ma di un personaggio, anzi di una personalità che molto può dare alla città (e alla regione) oltre che allo stadio.
Quel nome ostico di Guillain-Barré
Sono appena sessantuno, ma scritte fitte fitte, e scorrono rapide, le pagine di un libro che i professori di educazione fisica e lettere, o magari anche di matematica – come per la biografia di Daniele Conti il capitano – dovrebbero consigliare ai ragazzi delle loro classi. Lettura individuale, rilettura collettiva, incontro a scuola con il protagonista, restituzione della visita al protagonista nello stadio, magari nel prossimo Sardegna Arena. Affare dunque non soltanto di scuole-calcio, cioè di ragazzini che si divertono e insieme anche misurano le loro potenzialità, le propensioni ora tecniche ora agonistiche che possono accompagnarne lo sviluppo naturale. Perché c’è tutto, nel racconto, a cominciare proprio dal Fabio adolescente, coetaneo virtuale degli studenti delle terze medie e delle superiori: il Fabio classe 1986, che per tre mesi e oltre, cento giorni tondi – dal 9 settembre al 18 dicembre 2001 – un morbo non granché conosciuto (quello detto di Guillain-Barré) ha cercato di escludere anche più che dallo sport, togliendo forza a braccia e gambe, minacciando una prossima piena paralisi.
Professor Pisacane si racconta nella verità della sua persona, faccia a faccia con Antonio Martone (che è bravissimo interprete e megafono). Ed inizia molto bene, spedito, dall’avventura, anzi dall’«incubo» – come giustamente qualifica i suoi cento giorni che ne valgono centomila o centomilioni – che è sembrato prendere tinte dure e nemiche quando alloggiava nel convitto salesiano di Sampierdarena, in fraternità i ragazzi della Samp e quelli del Genoa. Le braccia in perdita totale di forze, la fatica anomala e inimmaginabile d’ogni movimento («Ero impaurito, continuavo ad avere sintomi sanissimi, non riuscivo nemmeno a togliere il pigiama»), il papà che avvertito prende il treno notturno e arrivando a Genova neppure riconosce suo figlio. L’interesse di Claudio Onofri, ora opinionista di Sky, la diagnosi vuota di un primo medico sportivo, quella più competente di un secondo: nome Marco Stellatelli.
L’ospedale imposto ad un ragazzo di quattordici anni sembra la più cruda delle ingiustizie: «I muscoli erano atrofizzati, non avevo forza, erano i postumi del terribile virus che aveva lasciato illesi solo i nervi ottici», ricorda Fabio tornando, per un confronto, ai momenti più drammatici di quella stagione di vita.
Prelievo di liquido cerebrospinale, terza diagnosi certa di un neurologo specialista: nome Carlo Tomasina: «Sei affetto dalla sindrome di Guillain-Barré, chiamata a volte paralisi di Landry». Il rischio di paralisi completa del corpo si allunga a una settimana, non di più, e anche la voce si perde in gola. Plasmaferesi, due ore al giorno da una macchina tanto rumorosa da far uscire anch’essa di testa, poi fortunatamente “coperta” da cuffie ad erogazione di musica. L’alternanza di speranza e di paura. Salgono da Napoli la madre e altri congiunti, vengono i compagni di squadra del Genoa, tutti insieme con l’allenatore, non si schioda un paterno effettivo dei Volontari Ospedalieri – Modesto Agosti – che chiama a cena, a casa sua, papà Andrea: fra belle persone l’intesa è matematica. Quando possibile, papà Andrea, patrono tuttofare, mette il figlio su una sedia a rotelle, gli fa fare il giro del reparto, e il ragazzo diventa il figlio di tutti, la mascotte necessaria. Complicazioni, un ascesso polmonare, altri prelievi e altre aggiuntive terapie, il trasporto in rianimazione, scene di morte tutt’attorno, il sonno che addormenta le paure del sovrappiù, papà Andrea che riesce a rimanere per una notte intera in quegli spazi interdetti a tutti e riesce anche a procurarsi un piccolo televisore per il figlio: ed Alessandro Del Piero che sconfigge il Porto di Champions conta quanto e più dei farmaci nella sacca della flebo. Altre dure scelte mediche, data l’insufficienza della plasmaferesi: una terapia sperimentale e invasiva oppure il cortisone. L’avvio di un lento ma progressivo miglioramento… La risurrezione.
E, dopo la malattia, il rilancio, l’Italia, le regioni, le cento città, le altrettante squadre, e maglie, e tifoserie.
A maggio, anno 2002, l’OK del Centro di Medicina Sportiva del CONI, dopo i quotidiani appuntamenti alla riabilitazione nel Centro Ester a Barra, ed i mensili controlli all’ospedale più bello del mondo, il savonese San Paolo di Valledoria. Da lì, appunto, di nuovo con i compagni delle giovanili del Genoa, in campo all’internazionale di Dusseldorf – torneo pur riservato alla classe 1984 – e il premio di «miglior giocatore della manifestazione»: una partita e un premio da dedicare idealmente ai vecchi colleghi di malattia, ancora in corsia alle prese con i loro problemi irrisolti.
Squadre, città, regioni… è l’Italia
Inquadrato nella rosa degli allievi nazionali del Genoa, partecipa al torneo di Viareggio (ancora scalando il limite anagrafico, lui del 1986 con/contro gli altri del 1985), ma inciampa di nuovo in un guaio, stavolta è l’epatite virale. Si riprende, nuovamente è in campo, a Viareggio, nell’occasione del carnevale: è notato da Serse Cosmi e da… Stefano Capozucca, futuro direttore sportivo del Cagliari. Promosso in prima squadra, si allena con i grandi, debutta in B – partita Genoa-Catanzaro – al Marassi, profeta di bene mister Cosmi: 36 minuti ben giocati, la celebrazione del suo nome agitato all’unisono dalle voci della nord: «Pisacane-Pisacane-Pisacane». E’ la stagione 2004-2005, il campione ha 19 anni.
Va in prestito per un anno al Ravenna in serie C1 – un’esperienza forse non bella ma comunque istruttiva, con le umiliazioni patite dalla supponenza o dall’indole nonnista di qualche senatore non cresciuto («Terroncello, datti una calmata…») –, passa poi alla Cremonese, sempre in C, in una C impegnativa, allenatori Corrado Verdelli e Giorgio Roselli, 21 partite giocate, quindi alla Virtus Lanciano di direttor Gigi Pavarese e… a dir di Cagliari ancora, con Checco Moriero mister (54 partite e quattro gol segnati con i rossoblù nella doppia stagione 1992-1994) : «La società del Lanciano fallì, ma noi, fra mille difficoltà, disputammo un ottimo torneo, pur non avendo nemmeno il campo dove allenarci durante la settimana… Proprio Moriero spesso si faceva carico delle spese per le trasferte o nelle soste all’autogrill quando, dopo le partite, eravamo come dei lupi affamati e la società non provvedeva nemmeno al cestino da viaggio». Grande Moriero!
«I pochi soldi che avevamo erano destinati alla ricarica telefonica. Non avevamo un centesimo, molti compagni di squadra che avevano moglie e figli erano costretti ad appoggiarsi presso i rispettivi genitori. A me arrivava qualche vaglia postale da Napoli, anche se io mi limitavo tantissimo. Alcuni titolari di bar, conoscendo la nostra situazione, spesso non ci facevano pagare. Se la domenica vincevamo, diversi esercenti-tifosi durante la settimana ci facevano super sconti o ci facevano mangiare gratuitamente. Questa è l’altra faccia del calcio: quella che dalla terza serie in giù racconta storie di sopravvivenza e di stenti». Pisacane reporter e sociologo: flash di realismo documentato, lo direi per far vergognare i Donnaruma diciottenne di cui si parla in questi giorni e il suo procuratore angelo del surreale perdente e miserabile a molti zeri.
Così dopo la Liguria e la Romagna, e dopo la Lombardia e l’Abruzzo tocca adesso di nuovo alla Lombardia, al bresciano Lumezzane – maglia rossoblù!! e recentissimo ritorno in C1–, accogliere e divertirsi, o palpitare, con Fabio: mister Leonardo Menichini, «ex secondo storico di Carletto Mazzone», un nome una garanzia (a Cagliari stagioni multiple, con pausa, 1991-1997). «Disputai – ricorda Fabio – un campionato di altissimo livello, ero tra i migliori in assoluto nella categoria nel mio ruolo, collezionando 32 partite e 3 gol perché i miei trascorsi giovanili da attaccante delle scuole calcio non li ho dimenticati, anzi spesso mi piace puntare verso la porta, l’istinto dell’infanzia è intatto…». Saluti provvisori all’ottimo Lumezzane – dove un giorno arriverà anche Gianluca Festa – e il nuovo tempo, regista sempre il Chievo Verona (proprietario del cartellino sportivo), è da giocare nelle Marche: l’Ancona è, nel campionato 2009-2010, in B, e può essere questa una gran bella tappa in vista della A sempre sognata, sognata prima della cattività in ospedale, e sognata ancora lì inchiodato al letto, e in ulteriore nella ripresa sperata e conquistata. 22 partite: «Ci salvammo e fino a febbraio disputammo un campionato pregevole. Poi scoppiò uno dei primi scandali legato alle scommesse… Durante l’estate la dirigenza marchigiana aveva deciso di puntare su di me, confermandomi, e quindi rinnovò la comproprietà. Accadde, però, che dopo sessanta interminabili giorni di attesa, parole e vane promesse, mi ritrovai senza squadra perché l’Ancora fallì, scomparve dal panorama del calcio professionistico, costretto a ripartire con una nuova società, addirittura dal campionato di eccellenza… Mi crollò l’intero mondo addosso. Tutti quegli anni quasi buttati al vento. E ancora una volta una stagione trascorsa incassando a stento i soldi per pagare le spese di vitto e alloggio, in quanto avevo un credito cospicuo per non aver percepito quasi mai lo stipendio. Era difficile sistemarmi perché avevo avuto un infortunio al menisco, la mia solita sfortuna…».
Ancora promesse, parole al vento e la volontà di rimettersi alla prova dell’umiltà e ripartire daccapo in Lega Pro, di nuovo col Lumezzane: 29 partite, quattro gol tutti su azione. Ma, nel mezzo del campionato, nella primavera 2011, la vergogna della combine, almeno della combine tentata: «Il 14 aprile, l’allora direttore sportivo del Ravenna, Giorgio Buffone… mi telefonò offrendomi 50.000 euro in contanti. In cambio avrei dovuto far vincere il Ravenna, che la domenica successiva doveva affrontare proprio il Lumezzane. Rifiutai immediatamente e, appena si concluse il colloquio telefonico, senza pensarci su nemmeno un secondo, rivelai l’accaduto alla mia società, che si mise prontamente in contatto con la Procura Federale, alla quale raccontai l’accaduto». Confessa Fabio: «Non nascondo che quel periodo l’ho vissuto con ansia… è innegabile che vieni forzatamente catapultato in un’altra dimensione quando tu vorresti pensare solo al gol, all’avversario da marcare, alla partita, all’allenamento. Ti ritrovi nelle aule giudiziarie, in prima pagina sui giornali, nei telegiornali. Pensi anche che gli omertosi ti possano additare…, innegabilmente, quando fai parte di un mondo, sei indirettamente coinvolto in usi e costumi. E’ innegabile che, quando sei testimone e accusatore, non vivi normalmente…». Però attenzione: «La tentazione del guadagno facile, del gruzzoletto da mettere da parte, non mi ha mai sfiorato, nemmeno minimamente… Ho dei principi morali sin dall’infanzia, da quando facevamo le gare dei tiri in porta a piazzetta Montecalvario, ai Quartieri Spagnoli. Quelli di calcio vero, pulito, senza compromessi, fatto di sudore, privazioni, sacrifici, corsa e gol».
Questa, in proposito, la battuta-capolavoro: «io mi considero uno che è stato “salvato” dal calcio. Per quel mio rifiuto mi considerano un esempio, soprattutto quelli che mi hanno visto crescere. Nascere poveri non vuol dire nascere delinquenti… se avessi accettato quei soldi, dei quali avevo bisogno, avrei rinnegato anche la mia famiglia oltre che i miei valori… la mia vita è stata difficile, ma è nelle difficoltà che si cresce e si impara a dare valore alle piccole cose. E soprattutto si acquista una dignità che non ha prezzo. Ecco, noi Pisacane siamo ricchi sotto questo aspetto».
Verranno i riconoscimenti di moralità sportiva, anche internazionali.
Nel 2011 dal Lumezzane alla Ternana, è l’Umbria la nuova regione della trottola italiana: 32 partite e tre gol, con finale promozione in B. Dal municipio del capoluogo provinciale perfino la cittadinanza onoraria. Una gigantografia fuori dallo stadio Liberati. E una convocazione da Prandelli, con l’Italia che si prepara agli Europei. E’ molto più delle tre presenze collezionate con la nazionale under 20. Fabio è cresciuto, è un uomo fatto, ormai ne ha compiuto 25.
Con mister Rastelli, da Avellino a Cagliari
Ottiene il rinnovo del contratto (biennale), ma un infortunio al ginocchio – quello del menisco poveretto, del menisco che ha rischiato d’essere quello stesso di Marco Iovine amico-fratello sfortunato, nazionale per una volta – e stop obbligato per sette mesi per rottura dei legamenti. Ripensando al peggio trascorso, ai cento giorni passati in quell’ospedale risanatore, ospedale di famiglia e santo, spes contra spem, è l’ottimismo della volontà a vincere un’altra volta ancora. E la nuova chiamata arriva adesso dalla sua Campania, da Avellino, nel 2013. La squadra è stata appena promossa in B, saranno 86 le partite disputate con la maglia biancoverde secondo le istruzioni di un signor allenatore signor: Massimo Rastelli è un signore spontaneo e, insieme, da manuale di educazione: «Una persona che immediatamente mi ha colpito per la meticolosità nella cura dei particolari sul lavoro, e inoltre per il suo modo gentilissimo e da vera persona per bene, nel rivolgersi e interloquire con noi calciatori… Il nostro rapporto – confida Fabio – si è fortificato nel tempo, soprattutto per il fatto che non mi ha mai dato vantaggi».
Da Cagliari, o dal Cagliari appena retrocesso in B viene, per i buoni uffici appunto del nuovo mister Rastelli – proprio lui! – la chiamata in Sardegna. Rastelli un po’ come Ranieri, signori si nasce, certi impazienti cagliaritani dovrebbero meditarci. L’Isola mancava nella grande avanzata del «gladiatore» verso la A. Ma qui siamo ormai alla cronaca. Perché Fabio da noi se ne viene senza promesse imbroglione, avrà quel che merita, e il merito è tanto, mix di lealtà e talento, la maggior dote dei migliori. Viene con i ricordi delle esperienze che si sono materializzati, metabolizzati nella tecnica e più ancora nel carattere: sono perfino i ricordi della Damiano Promotion – aveva dieci anni allora l’«eroe per caso» –, i ricordi del Savoia, quelli della finale a Montepulciano, quelli degli juniores napoletani, poi ancora della Dinamo prima della felice selezione con i grifoni del Genoa: «Vivevo per il campo. A scuola suonava la campanella e correvo a prendere l’autobus e poi la metropolitana per l’allenamento dall’altra parte di Napoli, portando sulle spalle un borsone più grande di me. Tornavo a casa quando era già buio, con la sola voglia di buttarmi a letto, spesso senza nemmeno mangiare. In quel periodo papà non poteva accompagnami perché impegnato in alcuni lavoretti per sbarcare il lunario».
La «favol…A di Fabio Pisacane», come giustamente la chiama Martone facendone il titolo del suo libro con copertina tutta cagliaritana, ci fa partecipi. Conosciamo anche noi, tutti quanti, per gli accidenti della vita, le emergenze di salute ed i ricoveri d’ospedale, conosciamo le tentazioni e male azioni che vengono a confonderci la mente, conosciamo forse infedeltà e conosciamo delusioni e frustrazioni, ma conosciamo anche mani amiche e rilanci, lenti e contraddittori ma pur reali e capaci d’effetto. Entriamo da coprotagonisti virtuali nella rappresentazione che, del suo, Fabio Pisacane, professore per chiara fama di pedagogia del quotidiano, delinea sapendo magnificamente dar spessore alla nostra prossimità.