La rivolta dei dimenticati, Mauro: “C’eravamo illusi che la democrazia avesse vinto”, di Katia Riccardi

La crisi di chi non si sente più al sicuro, la rabbia contro un ceto che non riesce più a garantire protezione. L’ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari e l’ex direttore di Repubblica tracciano il disegno di un sistema Occidentale che sta perdendo forza e contorni prima considerati indiscutibili.

Brexit. L’elezione di Trump. Il vento secco che cova rabbia più che ribellione. Che provoca più che invocare e che gira le spalle veloce, in una pericolosa svolta a destra, unica apparente uscita di sicurezza per una popolazione scoperta. Incapace di sentirsi protetta e al sicuro dalle sabbie mobili di un mondo occidentale che si sta spaccando in due senza far rumore. Un deficit di democrazia con fragilissimi accenni di controtendenza. A raccontare i contorni e le origini della fine di un’ellisse sono stati il professor Massimo Cacciari, ex sindaco di Venezia, ed Ezio Mauro, ex direttore di Repubblica.

L’Occidente rischia di diventare un guscio vuoto? “Sta finendo in minoranza” dice Mauro tornato a Bologna a cinque anni dalla prima Repubblica delle Idee, quando il disegno che descriveva aveva un tratto molto diverso. “Siamo nell’era in cui la cancelliera tedesca Angela Merkel dopo il G7 dice ad alta voce che non possiamo più fidarci. E dietro si intravede limpida  la crisi di quei valori che per tanto tempo hanno regolato il nostro mondo. Prima la Russia era il nemico eterno, noi eravamo l’ovest rispetto all’est. Dopo la guerra fredda, caduto il muro, abbiamo pensato che la democrazia avesse vinto. Ne siamo stati così certi, da essere convinti che si potesse esportare”. Sogni che si stanno infrangendo.

“La democrazia” continua Ezio Mauro, “dev’essere armata, lo Stato deve difenderla senza tradirne i dettami. Anche se  poi abbiamo scoperto di essere soltanto una parte del mondo, abbiamo il dovere di testimoniare quei valori”. Ora è tutto in discussione. L’uomo più potente del mondo Occidentale, Donald Trump, “ha messo in crisi un sistema di governo mondiale che si basava sulla condivisione di valori che sembravano eterni. E lui ora attacca l’Europa con l’intento di disgregarla. Con la sua politica sui migranti mina gli stessi valori fondanti degli Stati Uniti, e insieme la Nato, l’accordo di Parigi”. E per noi – conclude Ezio Mauro – “l’Occidente resta ciò che dovremmo difendere. Perché è ciò che siamo, o per lo meno ciò che vorremmo essere”.

Piazza Santo Stefano è in piedi, ascolta, cerca nelle parole dei due testimoni, un senso ai dubbi quotidiani. L’incontro gestito dalla giornalista Simonetta Fiori è come un gioco di ombre, a volte combacianti, altre in antitesi. A Cacciari il compito di dare una definizione al neopopulismo. La parola pigliatutto.

“Sì, ormai è usata ovunque – dice -. Però quando si usano gli ‘ismi’ vuol dire che non si conosce la parola, il suo significato”. Populismo, la parola che cambia colore, mimetica, accondiscendente, doppia. “Una definizione che è stata usata in diverse epoche. Il populismo americano, quello russo, e sono diversi. C’è qualcosa che può unire questi fenomeni però” continua il professore, “noi tendiamo a definirlo come una specie di risentimento popolare contro i ceti che non sono riusciti a proteggere il popolo. Ma ora c’è qualcosa di più negativo. Ora c’è un bisogno diffuso e pressante di protezione, di sicurezza che vengono richieste agli Stati. E vanno garantite, è il ‘patto’: il popolo deve sentirsi al sicuro. Il vero cambiamento epocale è che se prima la richiesta di protezione era di massa (finanche il welfare è nato da questo), ora viene dagli individui. La massa, la società delle masse non c’è più: ci sono tanti ombelichi del mondo. Dobbiamo tornare a essere materialisti storici. Il popolo è complicato, diversificato, la sua domanda di protezione è una domanda di identità, perché il disagio è anche questo. Dove vogliamo andare? Qual è il nostro destino?”. I valori, aggiunge Cacciari, sono tali quando valgono.

“E invece qualcosa è andato storto per la democrazia – rilancia Ezio Mauro. Si è dimostrato che l’Europa ha realizzato degli anticorpi all’ombra e educato generazioni intere all’orrore della guerra” continua a disegnare Mauro. “C’è una sensazione diffusa che il mondo sia fuori controllo. Prima c’era uno scambio, il popolo in cambio di libertà chiedeva sicurezza. Ma la libertà non vale più, oggi nessuno è più interessato alla libertà e il popolo si è frantumato in tanti piccoli pezzi, in individui che si sentono scoperti. Che ritengono non ci sia né possa più esserci una risposta ai suoi problemi individuali”.

L’ex direttore di Repubblica vede un mondo che perde il controllo, nervoso di fronte alla crisi economica più lunga del secolo, atterrito per l’ondata terroristica , spaesato di fronte a problemi che vanno al di là dello Stato nazionale. Ma se – come avviene – le diseguaglianze che diventano esclusioni, la democrazia si spegne. “La democrazia ammortizzava le diversità, le accettava, le giustificava, in qualche modo le tollerava. Ma è un sistema che non può tollerare le esclusioni. Quelle non sono previste.

Visione pessismistica che Cacciari, però, definisce la fine una “fase di disordine inevitabile sorta dalla fine della guerra fredda”. Alla fine della quale “era inevitabile che gli Stati Uniti  pensassero di poter governare il mondo dall’alto del Campidoglio di Washington. Ma qui doveva entrare in gioco l’Europa, e non come alleato. Perché se gli Usa accentrano tutto intorno a loro, sono destinati a essere i futuri perdenti” continua il filosofo. Arriva a vederne le impronte nell’apocalisse della guerra in Iraq. Nei passi falsi, troppo più lunghi di uno sgambetto. “Se chi comanda scambia l’autoritarismo con una più giusta  autorità è un disastro. Abbiamo bisogno di autorità, quella in grado di distribuire il potere, di dividerlo e articolarlo. E questo, solo questo dovrebbe essere lo spirito europeo, la filosofia europea”.

Ora siamo in rotta di collisione, sbruffoni, cadiamo nelle trappole che grandi storici del Novecento avevano individuato e previsto. Cresce la società degli esclusi, e grazie a una logora idea di populismo  ci prepariamo a “una grandiosa uscita a destra”. “Siamo in rotta di collisione e finiremo col naufragare” sostiene Cacciari. Cupa la sua visione, non intacca quella di Mauro che a questo punto, si discosta.

“L’uscita a destra è negli atti. Per lo meno la postura di destra. I mendicanti evocati da Grillo, i Rom, i finti luogotenenti che girano su auto di lusso. La parte più fragile del nostro paese, gli anziani che si trovano il mondo rovesciato nei giardinetti sotto casa dove portano i nipotini. E la frase con cui gli abitanti di Gorino si sono rifiutati di accogliere 12 donne: ‘Qui non c’è niente neanche per noi, che cosa cercano qui’. Ecco la difesa egoista. Ma la sinistra deve proteggere i penultimi, capirli, prima ancora di farlo con gli ultimi. Dovremmo studiarlo Trump, che nel primo discorso non ha ringraziato neanche il partito, chiuso in se stesso, che ce l’ha con tutti, convinto che gli sia stato fatto qualche torto. Il ricco che ha capito di poter fare a meno del povero”.

È la fine della sinistra? Cacciari non vede luce neanche nella vittoria di Emmanuel Macron. “La gente prima di abbandonare terreno conosciuto, ci pensa. E Macron è più rassicurante della signora Le Pen o di Grillo, quindi piano nel dire che è la fine del populismo”.

Eppure Mauro non vede solo buio. “È difficile non essere pessimisti, tuttavia ogni volta che il cittadino di sinistra è stato chiamato a esprimersi con tutte le nasate che ha preso, è uscito e ha votato, c’è una riserva di energia politica, esiste un sentimento, una volontà di sinistra che non ha la spina per connnettersi ma resiste. E io ogni giorno sulla sinistra interrogo due disegni. Uno di Altan e uno di Bucchi, nell’attesa di Ellekappa. Altan disegna un signore e la scritta ‘ma che cosa ho fatto io per dover nascere di sinistra?’. Nell’altro c’è una coppia. Il marito dice: io non ci credo più nella sinistra. E lei risponde: zitto.. che se poi esiste?”.

la repubblica 16 giugno 2017

 

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