Primo Pantoli: una matita che ha raccontato 60 anni della nostra storia, Carlo Arthemalle
La Fondazione Enrico Berlinguer ha acquisito i testi originale dei manifesti che Primo Pantoli ha elaborato in oltre sessanta anni di lavoro. L’acquisizione è stata possibile grazie alla donazione che l’artista ha voluto attivare; la Fondazione, da parte sua, ha raccolto le opere in un elegante catalogo e ha riprodotto i testi originali su un supporto rigido, adatto a essere trasportato ed esposto nelle varie zone della Sardegna. La prima di queste esposizioni si terrà a Cagliari Venerdì 30 giugno, con inizio alle 17, nel Salone della Fondazione, in via Emilia 39.
Questi manifesti rappresentano innanzitutto la testimonianza di una vita spesa bene. Quei grandi fogli di carta pieni di caratteri, di figure e di colori ci raccontano, come in controluce, un pezzo importante della nostra storia e illustrano, nello stesso tempo, la vicenda di un uomo immerso fino al collo nelle battaglie civili e culturali che si combattevano nella sua città. Primo non offriva la sua matita al miglior offerente ma era sempre disponibile per quanti, come lui, credevano fosse possibile mettere in piedi una società di liberi e di uguali, dove fosse garantito a tutti non solo il pane, il lavoro e la tutela della salute ma anche il diritto di accedere ad ogni grado del sapere e quello di farsi strada nella vita indipendentemente dal censo dei propri familiari.
Oggi, le emozioni che Pantoli riusciva a comunicare con la sua matita sembrano far parte di un altro mondo. Non sono passati molti anni dalla creazione dell’ultimo manifesto presente in catalogo ma il tempo trascorso è stato sufficiente ad ospitare la crisi economica mondiale più devastante dei tempi moderni, i feroci conflitti diffusi su tutto il globo, l’esodo di milioni di disperati che si rovesciano sull’Europa, il cambio degli equilibri con la Cina e l’India che si candidano ad assumere la leadership mondiale, l’emergenza ambientale che fa sorgere il dubbio sulla stessa possibilità di sopravivenza dell’umanità. In confronto con quanto succede in altre parti del mondo l’Italia può ancora classificarsi come un luogo tranquillo e felice. Qui, in fondo, abbiamo da preoccuparci “soltanto” per i barconi cha arrivano dall’Africa, per un debito pubblico che si mangia la gran parte delle risorse che produciamo, per una disoccupazione che resta al disopra del dieci per cento e per altre bagatelle dello stesso peso.
Le cause della differenza tra l’Italia di oggi e quella descritta dai manifesti di Primo Pantoli sono difficili da individuare; anche i decenni della seconda metà del secolo scorso erano attraversati da drammi e da conflitti terrificanti ma l’Italia si presentava come un Paese vitale, capace di organizzarsi e di reagire mentre oggi si respira soprattutto rassegnazione e lamentela e il massimo dell’iniziativa si consuma con i ricorsi al TAR. Qualcuno avanza l’ipotesi che tutto dipenda dal fatto che l’avvicendarsi delle generazioni ci ha regalato una classe dirigente composta in maggioranza da mezze calzette, ma forse l’indagine ha bisogno di ulteriori approfondimenti. C’è da chiedersi infatti quanto conti, nella situazione generale, il fatto che il ceto medio abbia sostituito come termometro dell’umore del Paese la classe degli operai e dei lavoratori manuali in genere. Le tute blu e i braccianti agricoli non erano soltanto i protagonisti dei manifesti di Primo; erano, soprattutto, la coscienza e la spina dorsale del Paese, la risorsa alla quale si ricorreva quando il gioco si faceva veramente duro. Oggi Primo Pantoli veleggia verso i novanta anni; le gambe non rispondono più come una volta ma il cervello funziona ancora. Dalla sua bella casa, in cima alla collina, guarda gli alberi e il mare lontano. E’ tranquillo perché sa di aver fatto la sua parte e non ha perso la speranza che nel futuro possa realizzarsi quella società di liberi e di eguali per la quale ha combattuto. Per esperienza e per cultura sa bene che altri artificieri verranno dopo di noi.