Agricoltura urbana, iniziative dal basso, una vera transizione, di Enrico Lobina
EDITORIALE DELLA DOMENICA.
Selargius è un comune dell’area metropolitana di Cagliari di poco più di 30.000 abitanti. E’ il sesto od il settimo comune più popoloso della Sardegna, con una solida tradizione ed un riconosciuto blasone nel settore primario (si pensi al cappero selargino).
Selargius, così come tutta l’area metropolitana, ha un numero enorme di disoccupati, di tutte le età, ai quali bisogna aggiungere i giovani che non lavorano e non studiano (NEET nell’acronimo inglese).
L’associazione S’Agiudu torrau è un’associazione selargina il cui scopo è evidente sin dal nome: promuovere pratiche e politiche mutualistiche e di comunità, sostenibili e sovrane.
Angelo Pedditzi, che di S’Agiudu Torrau è uno degli artefici, è un uomo conosciuto e rispettato, che grazie alla sua attività imprenditoriale, ormai non più esistente, ha acquisito credibilità. Conosce tutta Selargius.
Per promuovere la comunità sta guidando, dal basso, un progetto semplice: far lavorare le terre incolte ai disoccupati del territorio, bianchi o neri, giovani o anziani, donne o uomini.
Ha dato l’esempio, mettendo a disposizione in comodato d’uso (in cambio di una cassetta di prodotti alla settimana) i propri terreni. Ogni persona ha mezzo ettaro di terreno, deve coltivare biologico, non si hanno grandi trattori o grandi macchine. Qualche impianto di irrigazione e qualche attrezzo, quello si.
La coltivazione è rigorosamente biologica.
Se un buon cristiano a Selargius ha terreni incolti, e non li mette a disposizione, Angelo fa un casino in parrocchia. Ha ragione, e pare che funzioni.
Un consiglio: i nostri studiosi di sviluppo locale (che per ora non hanno risolto molto) ed i nostri politici si concentrino sull’importanza del “capitale sociale”.
L’esperimento funziona. Sono decine le persone che, ora, hanno da mangiare ed i soldi per le bollette e per l’affitto. Non è molto, ma è meglio che chiedere i soldi ai genitori di 80 ani.
L’esperimento è completamente nato dal basso, ma l’agricoltura urbana ormai è il futuro, ma anche il presente. “La terza edizione di “Seeds&Chips. The Global Food Innovation Summit” ha affrontato il tema della produzione agricola urbana e non, focalizzandosi sulle crescenti necessità di trovare soluzioni per la città autosufficiente: le urban vertical farm”[1].
L’esperimento di Selargius non è agricoltura verticale. L’enorme presenza di terre comuni e di terre incolte in tutta la Sardegna permette che rinasca l’agricoltura orizzontale. Bisogna ripensarla in forma “comunitaria” e di sussistenza, senza far morire altre agricolture (la specializzata, quella orientata all’esportazione, in alcuni casi l’agricoltura e l’allevamento intensivi). Ai sistemi complessi non bisogna opporre soluzioni semplici, perché non sono soluzioni che funzionano. Ai sistemi complessi bisogna rispondere con soluzioni complesse.
Il fenomeno descritto è un fiume carsico, che fuoriesce in diversi luoghi e diversi modi. E’ sui giornali di questa settimana che Terralba e Macomer stanno mettendo a disposizione della popolazione le loro terre.
Agricoltura ed area metropolitana. Ma cosa è questa area metropolitana? E’ una realtà enorme, per i numeri della Sardegna, ed ignorarla non si può.
Dal punto di vista produttivo, negli ultimi 40 anni, stringi stringi, questi 470.000 sardi si sono basati su due figure lavorative: il dipendente pubblico (nel senso più largo del termine) ed il lavoratore dell’edilizia.
Oggi i due settori sono in crisi. Pensare che debbano morire è un’idiozia. Il presente ed il futuro di questa terra martoriata è una transizione, una trasformazione veloce e profonda di queste due categorie, che garantisca lavoro e futuro a chi in quei settori ci lavora ed agli altri.
Abbiamo bisogno di mantenere reddito e far si che essi (lavoratori pubblici e dell’edilizia) siano volano per una attività di diversificazione.
Il dibattito economico-politico, nell’area metropolitana, sta a zero. Il sindaco di Cagliari, sindaco dell’area metropolitana, ha vinto le elezioni coi lavori pubblici, nella costante tradizione cagliaritana, ma questo non è (quasi) nulla, dal punto di vista di medio periodo. Lo dicono i numeri.
Non che il resto della Sardegna stia meglio. Il rapporto CreNoS certifica che nel 2016 le esportazioni di armi e munizioni dalla Sardegna verso l’estero valgono 60,2 milioni di euro, mentre le esportazioni di prodotti lattiero-caseari 123.
[1] http://www.sardegnasoprattutto.com/archives/14217