Per i 300 anni della Massoneria speculativa, un convegno ad Alghero su Cagliostro e dintorni, di Gianfranco Murtas

Sabato 27 maggio si è svolto ad Alghero un convegno sulla massoneria sarda, presenti esponenti di tutte le obbedienze. L’Autore avrebbe dovuto leggere la seguente relazione. Impossibilitato, ha scelto di pubblicarla in questo sito.

Come a dire di filosofia universale… e inquietando i milleseicento massoni sardi (millequattrocento del Grande Oriente d’Italia, gli altri duecento inquadrati in una decina di diverse denominazioni antiche e recenti). Promosso dalla Germans de l’Alguer, presidio algherese della Gran Loggia di Sardegna di Memphis e Misraim, si è tenuto lo scorso sabato 27 maggio, proprio nella città di sei volte centenarie radici catalane e quasi bisecolari memorie massoniche, un incontro finalizzato a più obiettivi: innanzi tutto presentare all’opinione pubblica, attraverso la narrazione dell’esperienza rituale e speculativa della Comunione liberomuratoria più giovane fra quelle oggi operanti nelle Valli isolane (che espressamente si rifà all’esoterismo egizio codificato dal conte Alessandro di Cagliostro a fine Settecento), la tavola valoriale da cui parte, o dovrebbe partire, la pratica ordinaria, intellettuale, spirituale e sociale dei massoni; sviluppare, in secondo luogo, un aperto confronto sia con uomini di Chiesa che con altri effettivi operanti nelle varie Obbedienze attive sul territorio e non di rado in mutuo distacco (se non anche in mutua, ancorché garbata, polemica), nella incapacità insuperata, al momento, di tradurre il principio ecumenico che è proprio della Massoneria (ed è applicato ad intra) in un effettivo incontro collaborativo ad extra. Ciò naturalmente nella commendevole prospettiva di poter offrire un migliore e più qualificato contributo alla società civile, convenzionalmente definita profana, che dalle minoranze ideali, culturali e religiose ha sempre da guadagnare nella lettura dei “segni dei tempi” e nella qualificazione dello spirito pubblico, così come nella concretezza degli interventi solidaristici a pro degli invisibili o marginali.

Aperto da Gisina Siddi Merlini, dignitaria leader della loggia promotrice, la serata ha registrato gli interventi – per il più accompagnati dalla proiezione di grandi slide – di don Francesco Tamponi, direttore dell’Ufficio Beni Culturali e delegato regionale dei Beni Culturali in capo alla CES, nonché direttore del Museo Diocesano di Tempio Ampurias; di Pietro Floris, Gran Maestro della Gran Loggia organizzatrice (e Sostituto Gran Ierofante Mondiale dell’Ordine dei Riti Uniti di Memphis e Misraim); di Maurizio Corona, medico e saggista (figlio minore del compianto Armandino Corona, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia fra il 1982 e il 1990); di Tommaso De Chirico e Franco De Pascale che hanno, ciascuno con un proprio taglio, riferito della biografia pubblica ed iniziatica del conte di Cagliostro (da non confondere con il Giuseppe Balsamo, bizzarro e spregiudicato palermitano noto alle non migliori cronache del suo tempo): proprio dal patrimonio sapienziale del Cagliostro – come detto – trae ispirazione la Comunione massonica definita dei Riti Uniti di Memphis e Misraim.

Le somiglianze inaspettate con gli ordinamenti religiosi (e perfino cattolici)

Di rilievo le interlocuzioni del pubblico, il confronto fra la tribuna e la platea – ben oltre i duecento convenuti anche da Cagliari, Sassari, Olbia, Tempio, La Maddalena ecc. Senza cadute (quasi sempre) né nella retorica trionfalistica o solipsistica né nella sussiegosa opinione avversaria o, peggio, nel dileggio pregiudiziale – per dire dei pro e dei contro –, è l’atmosfera di cordialità critica, intelligente, che mi pare si sia affermata, consentendo all’uno di spiegarsi all’altro, talvolta convincendo tal’ltra no. Forse qualche questione è rimasta inconclusa, chissà se per volontà oppure per una sospensione di prontezza dialettica. Come quando don Tamponi ha posto il problema della compatibilità fra la condizione del massone e quella del credente interno ad una religione positiva, ad una comunione religiosa o direttamente ad una chiesa come la cattolica, asserendo che, nello specifico, l’identità del cristiano è nel suo cammino verso la verità che è Verità – la Via Verità e Vita che sono i nomi del Cristo maestro morto e risorto – mentre quella del massone, quale si deduce dalla tradizione esoterica, consiste in un relativismo e soggettivismo senza posa e senza soddisfazione, dunque irrisolto. Perché forse si sarebbe potuto rispondere al relatore, efficacissimo e godibile nella sua comunicativa, con i versi del Kipling il quale nella sua celeberrima “loggia madre”, allusiva a quella del Punjab in cui fu iniziato, ricordava i tanti partecipanti nell’uguaglianza e nella libera fraternità, ebrei e musulmani, sikh e cattolici romani: assente ogni interesse proselitistico, assente ancor prima ogni voglia di misurare e pesare i dogmi di coscienza di ciascuno. Restando ciascuno quel che era prima di metter piede nel Tempio ecumenico, e piuttosto arricchito da ogni diversità, e tanto più arricchito da ogni maggiore diversità. Approccio non dottrinario e invece minimalista, questo, ma certo – a mio parere – gratificante e forse concludente. E ancora si sarebbe potuto ricordare a don Tamponi di come, nelle logge inglesi, le funzioni di Oratore (o Cappellano) proprie del rituale massonico, siano di norma svolte da vescovi e arcivescovi, decani o capitolari delle cattedrali, i quali dicono messa, consacrano l’ostia e benedicono tutti e, nel Tempio ecumenico, vestono le sciarpe o i grembiuli della Libera Muratoria. E dunque?

Impegnativa, anche se non sufficientemente sviluppata nel dibattito algherese, la questione della compresenza nelle logge di uomini e donne, il che – dico la compresenza – continua ad essere cosa non ammessa, nella galassia nazionale della Libera Muratoria, dal prevalente Grande Oriente d’Italia. Perché una tale questione – sospesa fra i perché di dottrina e i perché di tradizione – potrebbe essere condivisa anche da altri luoghi ideali e religiosi, appunto dalla Chiesa cattolica o dalla complessa autocefalia ortodossa che, a differenza di altre comunità religiose cristiane – in primis le riformate, luterane, episcopaliane, metodiste-valdesi, anglicane, ecc. –, non ammettono al sacerdozio, e tanto meno all’episcopato, le donne. E anche qui, appunto non approfondito quanto pure poteva essere, il dibattito avrebbe potuto investire, più che la teoria, la esperienza pratica ove disponibile a porsi al giudizio problematico. E anche perché, così come in ambito ecclesiale, che rimanda ad un’assemblea di risorse talentuose, ognuna con un suo specifico, umano e spirituale, conferitosi volontariamente al bene comunitario e comunionale – sicché il sacerdozio costituisce una espressione fra le altre, non necessariamente l’apicale, dei carismi in sinergia –, si potrebbero benissimo considerare utili, in campo massonico, corporazioni distinte ed autonome ma capaci di dialogo e lavoro comune per gli obiettivi condivisi. Insomma, come nella Chiesa di Roma considerare il sacerdozio femminile potrebbe anche significare la stagnazione in un pensiero arretrato, perché si vorrebbe clericizzare la bellezza della libertà laicale (lo dice anche papa Bergoglio!), così nei Templi della ritualità liberomuratoria puntare “per dogma” alla compresenza potrebbe significare non evolvere ma imprigionare in un pensiero povero una grande questione identitaria e di libertà.

Sottotraccia, accennata ma insoluta sul piano della analisi, è rimasta altresì la questione dei nessi reali, non soltanto potenziali o teorici, fra la fatica del “lavorare su se stessi dando risultato”, la fatica insomma del cosiddetto “perfezionarsi” (o almeno del tendere a migliorarsi come individui sul piano delle virtù private), e quella della traduzione sociale di tanto impegno, riassunta nella classica espressione del “lavorare al bene e al progresso dell’umanità”. Evidentemente partendo dalle quote sociali confinate nella nostra stessa città, dai periferici irrilevanti e, appunto, invisibili dalle cui sconfitte comunque un qualche lamento giunge alle orecchie non distratte di tutti noi.

Carità come partecipazione alla sorte dell’indifeso

Avrebbe potuto prendere la parola, in proposito, perché presente in sala, un massone ferrato come Aldo Meloni – un quartese iniziato in una loggia di Oristano, residente a Sassari e con un passato di Venerabile nella loggia di Alghero, per dire della sua… piena sardità – che nel capoluogo turritano ha avviato ora è più di un decennio, un servizio di soccorso plenario a favore dei bisognosi (la Casa della Fraterna Solidarietà, nel logo sociale una squadra e i tre gradini dell’ascesa): con 300/400 buste alimentari al giorno; con forniture copiose di abiti per uomini e donne e minori, carrozzine per bambini e protesi dentarie (più di settecento fino ad oggi!) per anziani e malconci; con un magazzino di  charity shop, spazi attrezzati per la creatività artistica ed artigianale degli afasici, la sezione territoriale di ALICe, l’associazione per la lotta all’ictus cerebrale (emergenza soltanto parzialmente protetta dalla sanità pubblica sassarese); con un gruppo di volontari, nel gruppo donne straordinariamente generose e festose e ragazzi delle scuole superiori che sognano e realizzano il bello e il buono.

Resta presente una tale questione, nelle domande dei cosiddetti profani così come nelle inquietudini dei massoni che ci credono davvero, e non traducono la loro esperienza rituale soltanto nell’accademia o nella convivialità, pur esse necessarie e vitali…

Ad ogni modo, ciascuno degli interventi dalla tribuna – particolarmente dotto e gustoso, perfino esaltante per i riferimenti frequenti a Dante e ai trecenteschi suoi “fedeli d’amore”, quello di Franco De Pascale (“L’iniziazione ermetica del conte di Cagliostro”) – ha mosso e commosso la sala, offrendo spunti di nuova conoscenza circa una materia all’apparenza piuttosto lontana dai prevalenti interessi anche culturali del nostro tempo.

Festeggiato con generosi riconoscimenti ai tanti miei lavori dati alle stampe negli ultimi trent’anni e riferiti naturalmente alla storia della Massoneria sarda, e personalmente anche con una specifica attribuzione rituale “ad honorem”, cioè extra associazioni formali non richiestemi – segnatamente dalla cagliostrana loggia Giordano Bruno all’Oriente di Cagliari –, avrei dovuto anche io prendere la parola ed illustrare, sia pure per sommi capi, le trascorse vicende delle maggiori Obbedienze attive nell’Isola. Questioni organizzative l’hanno poi impedito e però, come promesso ai convegnisti stessi, presento qui ora il testo predisposto con il seguente titolo: “Le tre stagioni storiche della Massoneria sarda: all’indomani dell’unità d’Italia, nella belle époque giolittiana, nell’immediato secondo dopoguerra”.

Naturalmente il periodo preso in esame dà spazio soltanto alle Comunioni storiche del Grande Oriente d’Italia (dal 1901 detto di Palazzo Giustiniani) e di Piazza del Gesù (dal 1908, detto ALAM dal 1953), nonché nel secondo dopoguerra anche di Palazzo Brancaccio (o, dal 1953, di Via Panisperna in denominazione scozzese AALLAAAMM, con Sovrano il sardo Federico Farina).

L’Obbedienza cagliostrana della tradizione egizia rettificata fu forse attiva per breve tempo in Sardegna soltanto fra la fine degli anni ’70 e i primi del decennio successivo nel XIX secolo. Si trattò della cagliaritana loggia Giuseppe Mazzini, facente capo a Bonaventura Ciotti, un laziale perseguitato dai tribunali pontifici dopo la caduta della Repubblica Romana, già dignitario leader della loggia simbolica Libertà e Progresso gemmante anche la iglesiente Ugolino prima formazione. Egli fu un imprenditore minerario di vaglia, dotto conoscitore della materia anche come studioso e autore di vari saggi.

Anche di questa personalità presento, a seguire, una scheda biografica che potrebbe evidentemente essere arricchita da un prosieguo di ricerche, con ricadute d’interesse in campi assai più larghi di quelli massonici, investendo la storia dell’economia mineraria sarda nell’Ottocento e le relazioni fra la Sardegna e il nord Africa, relazioni politico-industriali in cui originarono e si materializzarono, purtroppo, gli enormi guai che portarono agli immobilizzi di Gebel Ressas e al fallimento (con esiziale effetto domino) delle banche isolane, a cominciare dal Credito Agricolo Industriale Sardo del Ghiani-Mameli.

Compendio d’una storia in chiaroscuro: i primi cento anni

1.1 – Il corso delle tre stagioni storiche della Libera Muratoria sarda di cui vorrei dar conto s’avvia press’a poco mille giorni dopo che – prima ancora che si compia formalmente l’unità del regno d’Italia – prende corpo la loggia Ausonia e, di seguito, il Grande Oriente Italiano: 8 ottobre/13 dicembre 1859 a Torino, 3-4 dicembre 1861 a Cagliari.

Ai tre tempi storici cui mi riferisco con la presente relazione se ne può anteporre un altro, verso la metà del ‘700, non sufficientemente documentato però, e riguardante esperienze massoniche a Cagliari presso il consolato inglese, con le funzioni di Venerabile attribuite allo stesso console Francis William Magnon, la sede della loggia nel quartiere di Castello e il coinvolgimento più probabile sia del personale consolare che di taluni operatori economici, stranieri più che locali. E alla vigilia quasi della grande Rivoluzione, con triangolazione fra i consoli inglese e francese (Richardson e Guys, quest’ultimo in rapporti con l’Angioy) e il viceré Savoia Valperga conte di Masino, già ambasciatore a Madrid e Lisbona.

Nel dopoRivoluzione, e cioè nel tempo della permanenza della corte Savoia a Cagliari, la loggia in capo al consolato inglese sarebbe divenuta il centro di interessi antifrancesi o antinapoleonici, incrociando successivamente rapporti con una loggia, pure cagliaritana, costituita da militari svizzeri, mercenari, di fede massonica francese, inseriti nella guarnigione a protezione del re Savoia.

Ad altro poi porterebbe, perché non a organizzazioni ma semmai a relazioni personali, il richiamo del nome di Joseph de Maistre, ambasciatore in Russia e ministro Gran Cancelliere dei Savoia a Cagliari nel primo Ottocento, piuttosto reazionario ed ultramontano, nativo di Chambery – dove fu fucilato, perché scoperto mazziniano, il nostro Efisio Tola nel 1833.

I tre tempi storici sui quali propongo un focus particolare e d’insieme sono a noi più prossimi e databili come segue:

1861-1881, vent’anni: si tratta del primo insediamento e della prima diffusione territoriale, espressivo di una certa originalità dei lavori in termini 1) di nazionalitarismo sardo (in chiave pro-italiana però) e 2) di impegno civile progressivo in connessione con il rafforzamento dell’ordinamento nazionale unitario; le logge operanti in Sardegna di rito simbolico o prevalentemente di rito scozzese sono, a partire dalla cagliaritana Vittoria, 21;

1889-1925, trentasette anni: è il più lungo periodo di rilancio e più maturo radicamento, dopo un appannamento di circa un decennio, sulla scia ideologica del brunismo che ha il suo più alto episodio sulla scena nazionale nello scoprimento del monumento romano di Campo dei Fiori e si esprime anche nell’associazionismo del libero pensiero (si pensi al congresso regionale di Tempio del 1908); è l’arco temporale che si spande nella cosiddetta belle époque, e del giolittismo sul piano politico generale, includente anche le vicende della grande guerra e i prodromi della dittatura fascista; le logge operanti in Sardegna di rito simbolico o prevalentemente di rito scozzese sono 14, taluna – come la cagliaritana Sigismondo Arquer, la sassarese Gio.Maria Angioy e la maddalenina Giuseppe Garibaldi – di durata più che trentennale nel range giustinianeo, mentre dal 1910-11 e lungo un intero decennio, fino all’alt fascista, si costituiscono in più Orienti una dozzina di officine scozzesi all’obbedienza della Ser.ma Gran Loggia d’Italia di Via Ulpiano, poi Piazza del Gesù;

1944-1958, quindici anni: si compendiano qui la ripresa postbellica e un nuovo radicamento che più che sul piano territoriale pare significativo sotto il profilo delle complessità e criticità all’interno dei due prevalenti filoni del Grande Oriente d’Italia e dello scozzesismo, quest’ultimo articolato in Sardegna nelle Comunioni di Piazza del Gesù e di Palazzo Brancaccio, poi rispettivamente ALAM e AALLAAMM, fino alla estinzione di entrambe tali Comunioni, ed alla autonoma confluenza di entrambe nel circuito giustinianeo – salvo una presenza/persistenza solitaria e puramente testimoniale a Guspini (del Fr. Bruno Murgia); si tratta complessivamente di un’altra decina di logge.

1.2 – Se si volesse cercare in tale complesso quadro uno specifico del Rito Egiziano comunque declinato, se ne potrebbe trovare una traccia, però labilissima e riterrei anche eterodossa o magari soltanto sperimentale, sul finire del primo step temporale: tra la fine degli anni ’70 dell’Ottocento e i primi del decennio successivo. Si tratta della loggia cagliaritana intitolata a Giuseppe Mazzini, il cui Venerabile fu Bonaventura Ciotti, industriale minerario (ed esule politico proveniente dallo Stato Pontificio, in Sardegna dagli anni ’50, dunque dopo la caduta della Repubblica Romana e prima dell’unità d’Italia, così come anche fu per il più noto Enrico Serpieri): egli era stato Venerabile-fondatore della loggia simbolica (non scozzese) Libertà e Progresso all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia.

Fu, o volle essere, o cercò di essere, quella loggia, un ponte di interessi eminentemente economici fra la Sardegna e la Tunisia allora piuttosto cospicui soprattutto in ambito minerario.

All’insegna di un nazionalitarismo sardo-italiano

2.1 – Il primo tempo dunque registrò l’affermazione del fenomeno liberomuratorio nell’Isola a partire dalla loggia Vittoria all’Oriente di Cagliari, costituita ad iniziativa del Venerabile Pietro Francesco de Lachenal, magistrato assegnato alla Corte d’appello di Cagliari, con competenza regionale, il quale – originario della Savoia – fu iniziato a Torino proprio in vista della sua discesa nell’Isola, alla fine del 1861.

Cavour era morto da sei mesi soltanto (a giugno) dopo aver ottenuto dal Parlamento subalpino (il 17 marzo) la consacrazione della unità d’Italia e il passaggio del titolo monarchico da “re di Sardegna” a “re d’Italia”. Dieci giorni dopo (il 27 marzo) lo stesso Parlamento aveva votato Roma quale capitale d’Italia, lasciando alla storia di stabilire data e modalità, il che sarebbe avvenuto il fatidico 20 settembre 1870.

La fondazione della loggia Vittoria si pose nel solco della Massoneria politica piemontese. L’Obbedienza massonica fu infatti, già dal 1859, uno strumento che il Cavour e il suo “partito” prescelsero, di lato alla Società Nazionale affidata al Fr. Giuseppe La Farina, per servire la causa della unità. Aggregando nelle maggiori città del regno gli opinion leader dell’accademia, della stampa, della imprenditoria, delle professioni ecc., di orientamento liberal-moderato, si puntava a togliere a Garibaldi e al suo movimento la primazia della iniziativa patriottica, che il governo sabaudista di Torino intendeva tener per sé.

La Comunione nazionale, che recuperava anche le energie massoniche sparse per la penisola, clandestine ma di prevalente riferimento francese, fin dagli anni bui della restaurazione si qualificava “politica” e risentiva dell’influsso francese, non soltanto per le storiche relazioni fra i territori finitimi di Piemonte o Savoia e Francia, ma anche per le contingenze che suggerivano al governo di Torino di fare affidamento sull’appoggio francese nello sforzo insieme politico, diplomatico e militare volto all’unità d’Italia in capo al re Savoia.

Per questo il rito massonico praticato dalla Ausonia e dalle sue prime logge sorelle, e quindi dal Grande Oriente Italiano, non soltanto nei formulari ma anche e soprattutto nell’ordinamento, era quello francese o simbolico.

Il rito scozzese, che pur era stato caratterizzante l’esperienza napoleonica, sarebbe venuto subito dopo, con la loggia, pure torinese, Dante Alighieri e – meglio caratterizzandosi anche per una sensibilità tendenzialmente progressista sul piano politico e sociale (ad esempio nel settore della promozione delle società mutualistiche) – si sarebbe espanso, col tempo, lungo le direttrici territoriali della penisola: ciò fino a diventare maggioritario, e condizionante il governo centrale della Obbedienza nel 1865, al tempo di Firenze capitale e della celebrazione della costituente massonica allora svoltasi sulle rive dell’Arno. Tutti i gran maestri, con la maggioranza degli organi collegiali di governo della Obbedienza, furono da allora scozzesi, pur permanendo nell’ordinamento la libertà di costituzione nell’ambito di un rito o dell’altro, cioè del simbolico a tre gradi o dello scozzese a 33.

Le bolle di fondazione delle logge furono, fino allo spirare del corso giunto al 1925, doppie per ciascuna loggia: accanto a quella a firma del Gran Maestro ve ne era una a firma del Sovrano Gran Commendatore o del Presidente simbolico. (Questo ovviamente riguarda la maggior Obbedienza nazionale, dal 1901 detta di Palazzo Giustiniani; diverso il discorso per l’Obbedienza monorituale scozzese costituitasi nel 1910).

Sarà interessante rilevare che la stessa loggia cagliaritana Vittoria, sorta fra il 1861 e il 1862 come simbolica si convertì nel 1867 in loggia scozzese e scozzesi furono anche le logge costituitesi nello stesso periodo – 1867 in prevalenza – ad Oristano, a Nuoro ed a Sassari: rispettivamente la Mariano IV d’Arborea, la Eleonora, la Goffredo Mameli.

Già prima di questa conversione rituale, che si accompagnò alla sua gemmazione della loggia Fedeltà – con la quale successivamente si riunirà dando vita alla loggia Vittoria Fedeltà – la loggia madre si era caratterizzata sotto il profilo ideologico-culturale che fu allora e dopo condiviso anche dalla Mariano IV oristanese, dalla Eleonora nuorese, dalla Gialeto cagliaritana: vale a dire il nazionalitarismo sardo vissuto però non in chiave di chiusura regionale ma come proposta di modello patriottico alle popolazioni del continente italiano ancora impegnate negli aggiustamenti (e anche nelle guerre) dell’indipendenza. In sostanza: se noi sardi, con la casa di Arborea, abbiamo lottato contro l’invasore catalano-aragonese nel XIV-XV secolo, così voi veneti lottate contro gli Asburgo per l’associazione delle vostre province al regno d’Italia ormai riconosciuto dalle diplomazie internazionali da un lustro pieno.

La cagliaritana loggia Vittoria ha sviluppato questa linea, che è sentimentale oltre che politica, sia orientando i lavori interni al Tempio, sia pubblicando, e pubblicizzando, questi lavori – si tratta in particolare delle tavole sulle “Nazionalità” (ecco appunto il nazionalitarismo sardo suggerito dai falsi d’Arborea) e sulla “Patria”. La loggia pubblicherà poi – nel fatidico 1867 –, e diffonderà, anche altre due tavole: sull’ “Eguaglianza civile” e sui “Fratelli passati all’Oriente eterno”.

Ma essa ha fatto di più: ha partecipato intensamente alle manifestazioni eleonoriane, che puntano alla erezione del monumento a Eleonora d’Arborea, il che avverrà nel 1881 (quando la loggia avrà già abbattuto le sue Colonne ormai da qualche anno). Le manifestazioni sono state molteplici, e fra esse si sono segnalate sia le lotterie per la raccolta di fondi sia anche le kermesse prettamente culturali, come quella del 1865 al teatro Civico di Castello, che hanno visto sfilare numerosi Fratelli della loggia, chi con poemi chi con discorsi storici. Così i FF. Gavino Scano, Francesco Tanda, Filippo Vivanet, Pietro Mossa, Angelo Arboit, Felice Uda…

Le maggiori cronache sull’evento come di tutte le attività che hanno a protagonisti i Fratelli e la stessa loggia come corporazione, appaiono sul “Corriere di Sardegna”, organo paramassonico di cui sono editori i FF. Gavino Scano (professore di diritto e prossimo rettore dell’università di Cagliari e infine anche senatore), Enrico Serpieri (mazziniano ex deputato alla Costituente romana, esule politico inseguito dalla condanna a morte dei tribunali pontifici, industriale minerario e banchiere, fondatore della Camera di commercio di Cagliari) e Antonio Giuseppe Satta Musio (magistrato ed ex deputato subalpino).

E’ molto probabile che la sede fosse allora a palazzo Villamarina – d’altra parte Salvatore Pes di Villamarina, ministro di Stato e prefetto di Milano fino al 1968, era un massone –, a un passo dalla cattedrale di Cagliari. Ed è da dire che la composizione della loggia era abbastanza conosciuta: i famosi “Goccius de is framassonis”, forse del 1865, e dovuti probabilmente alla mano di un clericale nobile decaduto, e antiborghese, ne individuarono numerosi, irridendoli per le attività professionali di ciascuno, con nomignoli che andavano per assonanze: “unu certu Luscenau… Bainzu Tricchitracchi… professore Zanzittu… Strunzixeddu e Marragu… Fura Piccioni… Baciccia Fura Mustera… conte Tanche…  Zerpedderi” e così via.

Ma nello stesso tempo circolò a Cagliari anche un foglio che riferendosi alla “loggia massonica degli amici di Cagliari” – considerata “una vera camorra” –, li rielencava, i Fratelli, partitamente, e forse esattamente, anche con le funzioni rituali segnalate in francese (per dire della iniziale obbedienza al rito francese, non ancora allo scozzese), quando il Venerabile era già il dottor Smeraldo Scannerini, medico militare subentrato al magistrato de Lachenal rientrato intanto in continente.

E’ questo un momento direi piuttosto rilevante della vita della Massoneria sarda che al momento è ancora soltanto cagliaritana. Direi piuttosto rilevante anche quando gli obiettivi non si raggiungono, ma comunque resta, per la storia, l’evidenza di un pensare in grande e colto, dentro uno spirito sia patriottico che civico.

Fra 1863 e 1864 si era perfino pensato a promuovere un’accademia umanistico-scientifica capace di riunire le migliori intelligenze dell’isola, organizzando fuori dalle strutture chiuse dell’università – cioè della istituzione pubblica – le risorse intellettuali da volgere al progresso della Sardegna e delle sue attività economiche così come della sua vita civile. Medici e chimici, ingegneri e giuristi, filosofi e botanici, archeologi ed economisti, letterati e tecnici di vari settori – similmente a quanto avvenuto in altre province del continente – si sarebbe voluto accogliessero l’invito a partecipare donando il loro talento, mossi dall’amore alla loro terra.

D’altra parte questo era il tempo del positivismo: e non a caso nel 1869 sarà un Fratello della Vittoria Fedeltà – la loggia risultato della unificazione di madre e figlia –, Vincenzo Dessì Magnetti (professionalmente segretario generale dell’università) a farsene apostolo pubblicando per oltre un anno un periodico dal titolo “Il Positivo” (“giornale popolare di cognizioni utili sull’economia, sull’igiene, sull’agricoltura, sulle arti, sul commercio, sulle industrie e sui bisogni della vita in generale”) in cui dà conto di scoperte e invenzioni con ricadute sullo stato delle attività produttive, nelle campagne o nelle fabbriche, oppure della vita cittadina.

In quello stesso 1869 – lo stesso anno di indizione del piino Concilio Vaticano I che si concluderà con la proclamazione del dogma della infallibilità pontificia, ma anche anno di celebrazione a Napoli dell’Anticoncilio, adunanza magna dei razionalisti (cui neppure manca l’adesione sparsa di Fratelli e di logge sarde) – si svolgerà, a proposito di scienza e religione, un curioso ma interessante ping pong dialettico fra il Fr. Francesco Barrago, giovane (trentenne) medico militare aggregato alla facoltà di Medicina (che pure si dichiara cattolico) e il canonico Francesco Miglior, biblista e teologo della metropolitana di Cagliari, poi anche perito al Vaticano I nella squadra del vescovo di Brindisi. L’uno sostiene la tesi darwiniana parlando dalla cattedra universitaria, l’altro risponde dal pergamo della cattedrale di Santa Maria parlando di creazionismo, e poi sono repliche e controrepliche. Disponiamo fortunatamente di tutti i quattro testi, così come della collezione de “Il Positivo” e dei messaggi d’adesione all’Anticoncilio.

Dunque la Vittoria, poi la Vittoria Fedeltà, attenta agli sviluppi scientifici e alla laicità dell’ordinamento. Loggia fattasi scozzese in quanto al circuito rituale, socialmente aperta – sue sono alcune importanti sovvenzioni all’ospizio per vecchi nel convento dei cappuccini che è stato appena espropriato dalle leggi anticlericali del governo – e loggia sensibile alle suggestioni nazionalitarie vissute in chiave patriottica risorgimentale.

A quelle stesse suggestioni – fra storia e mito (il mito della Sardegna felice dell’alto medioevo, fra VIII e XI secolo, prima della quadripartizione giudicale cioè) – si rifanno anche le logge di Oristano, al cui contributo (e a quello del Fr. Salvatore Parpaglia, sindaco e futuro deputato e senatore) si deve la fondazione della società mutualistica operaia, e di Nuoro, che vive proprio all’indomani della sua costituzione tutto il travaglio paesano dei moti di su connottu, del quale sarebbe stato ispiratore il vescovo Salvator Angelo Demartis – un carmelitano intimo di Pio IX e altrettanto inviso al Fr. Giorgio Asproni, consigliere dell’Ordine iniziato a Firenze nel 1867 – in odio al municipio che sarebbe stato allora controllato dai massoni patrocinatori della divisione delle terre.

Anche questa nuorese è una storia interessantissima, se si pensa ai nomi dei FF. Giuseppe Cottone, medico garibaldino siciliano di origini che faticò a Nuoro in occasione della epidemia colerosa del 1855 e utilizzò la casa di Asproni come ospedale, e Gavino Gallisai – il don Minosse de “Il giorno del giudizio” di Salvatore Satta – che fu comandante della milizia antibanditesca in convenzione col governo dopo la riduzione della forza dei carabinieri in Barbagia. Di entrambi è ripetuta menzione nelle lettere del vescovo Demartis al papa. Ma nell’economia della loggia entra anche ovviamente il Venerabile Salvatore Maria Pirisi Siotto, allora sindaco, poi deputato successore di Asproni nel 1876.

Entra nell’economia di questa loggia, quantomeno indirettamente, anche il sacerdote Francesc’Angelo Satta Musio, rettore di Orune, intimo di Giorgio Asproni, fratello di sangue del già citato Antonio Giuseppe Satta Musio, deputato – referente/ispettore cioè – del Grande Oriente in Sardegna, e già parlamentare del Subalpino. Don Satta – raccontato in molti libri come promotore di una delle migliori aziende modello agrarie sarde della seconda metà dell’Ottocento – fu anche lui un deciso avversario del vescovo Demartis e autore di numerose collaborazioni al giornale paramassonico “Corriere di Sardegna”.

Diversa parrebbe la matrice della loggia sassarese, pure del 1867, scozzese, intitolata a Goffredo Mameli. Essa sarebbe creatura del Venerabile Bartolomeo Ortolani, rettore del convitto nazionale ed ex prete, autore del dramma teatrale “Amsicora”. Giunto a posizioni ateistiche egli propose alla costituente massonica del 1869 la sostituzione della formula iniziatica AGDGADU con quella puramente positivista “Alla Gloria della Patria Universale e del Progresso Indefinito”, ma fu idea bocciata quasi all’unanimità, dopo che per la conservazione della formula classica si spese il filosofo Floriano Del Zio, certamente personalità laicissima, rigorosamente razionalista, che era stato per alcuni anni professore al liceo classico di Cagliari.

Fra il 1868 e il 1869 altre tre logge innalzarono le loro Colonne a Cagliari: la Gialeto, che riprendeva il titolo dalla ispirazioni delle pergamene di Arborea; la Fede e Lavoro, con sede nel quartiere della Marina – nell’albergo La Concordia gestito da tre Fratelli, i germani Castello (il cui padre, massone pure lui, riposa nel cimitero di Bonaria con le insegne della squadra e del compasso) e con una marcata presenza nel piedilista di lavoratori del mare (imbarcati e calafati ecc.) con qualche professionista fra cui il Barrago evoluzionista; la Libertà e Progresso – non scozzese ma simbolica –, che assumerà una leadership nelle Valli isolane lungo gli anni ’70 e da cui verrà, nel 1872, la Ugolino di Iglesias, pure simbolica.

Venerabile della Libertà e Progresso è quel Bonaventura Ciotti, come Serpieri anche lui esule dalle terre pontificie e industriale minerario in Sardegna, il quale a fine carriera dovrà aver patito qualche incomprensione nella Istituzione se lo troviamo, nella seconda parte del decennio, Venerabile della loggia Giuseppe Mazzini, all’obbedienza della Comunione dell’Angherà praticante il rito egiziano rettificato.

Questa sarà – ho già detto – una loggia che si proporrà come testa di ponte verso la comunità sarda in Tunisia, anche per la appartenenza ad essa del Fr. Giovanni De Francesco – giornalista direttore de “L’Avvenire di Sardegna” e di altra stampa in lingua araba (“El Mostakel”) destinata al mercato nord-africano – il quale curerà interessi particolari della nostra colonia attorno a Tunisi, dove l’immobilizzo dei capitali del Credito Agricolo Industriale Sardo del Fr. (e deputato) Pietro Ghiani Mameli porterà nel 1887 al drammatico fallimento della banca.

2.2 – Ma come si sviluppa sul territorio isolano la Libera Muratoria a ridosso dell’evento di Porta Pia del 1870?

Se dal 1861 al 1869 si è completato il corso fondativo nell’Oriente di Cagliari – sei logge: Vittoria, Fedeltà, VittoriaFedeltà unite, Fede e Lavoro, Gialeto, Libertà e Progresso – è invece ancora a metà quello dell’entroterra: s’è avviata e durerà in media, fra alti e bassi, sei-sette anni, l’esperienza latomistica ad Oristano, Nuoro e Sassari, ed in limine (1869) è partita anche quella di Ozieri con la Leone di Caprera, titolo distintivo che evoca il Garibaldi deputato del collegio elettorale di Ozieri del 1867.

Nel 1870, con sviluppi l’anno successivo, tocca ad Alghero: dapprima con la Antro di Nettuno, quindi con la Giuseppe Dolfi, nome che rimanda alle fratellanze operaie mazziniane di Firenze e altrove. E d’altra parte la Massoneria algherese si distinguerà anch’essa per l’accompagnamento che avrà con la società artigiana operativa in città, e godrà anche delle attenzioni vescovili: infatti monsignor Giovanni Maria Filia, già vicario generale e capitolare di Cagliari, fatto vescovo di Alghero, dedicherà alla loggia locale, nel 1872 e nel 1874, precise attenzioni in due sue lettere pastorali (“I due Timori” e “I nemici della Chiesa e della società civile”).

La circostanza riporta, per associazione tematica e personale, a un significativo episodio cagliaritano del 1872, che è anche l’anno della morte di Giuseppe Mazzini. A novembre passò all’Oriente Eterno il Fr. Serpieri e le logge funzionanti a Cagliari ne accompagnarono la salma al monumentale partendo dalla sua abitazione prossima alla via Roma. Esse recarono anche i loro labari e fu la prima ostensione pubblica della Fratellanza nel capoluogo. Ma al corteo partecipava anche il clero collegiato di Sant’Eulalia e ciò, per l’imbarazzo o lo scandalo che ne derivò allo stesso clero, indusse il nuovo arcivescovo Giovanni Antonio Balma (lo stesso che aveva consacrato all’episcopato il Filia) a disporre verifiche previe, e prudenziali, in caso di chiamata di sacerdoti ad analoghi accompagnamenti.

Sulla linea delle logge algheresi e di quella ozierese si pone, nel Sassarese, pressoché nello stesso periodo, la tempiese Spartaco: una officina piuttosto vivace che avrà ripetute occasioni di presenza nella dialettica pubblica e, specificamente, giornalistica del tempo. Va anticipato che si trattò di una ampia semina da parte della loggia, una cui futura derivazione sarà fra gli organizzatori, nel 1908, del primo (e unico) congresso regionale del libero pensiero.

Nella fascia settentrionale dell’Isola, a Porto Torres, fu la volta, nella metà degli anni ’70, della Domenico Alberto Azuni, cui è possibile partecipassero, nel peraltro breve periodo di vita, alcuni provenienti dalla abbattuta Goffredo Mameli. Di qualche rilievo fu però l’iniziativa assunta, nel 1879, volta a fondare una officina a Macomer: la Eroica Macopsissa, cui è probabile aderirono alcuni dei Fratelli che avevano visto progressivamente scemare e cessare l’attività della loggia oristanese.

Nel capo di sotto sono due le presenze di rilievo: quella gemmata ad Iglesias dalla cagliaritana Libertà e Progresso, vale a dire la simbolica Ugolino, che poggiò molto sulle risorse impiegate nelle attività dell’industria estrattiva o nei servizi ad essa; e, a Villasor, la Sivilleri che ebbe diverse caratteristiche degne di approfondimento: un Venerabile che era anche il sindaco del paese – il nobile Michele Vaquer – e Colonne che replicavano quelle del Consiglio comunale; l’uomo forte del collegio elettorale di Nuraminis, cui Villasor faceva capo, era l’onorevole Francesco Salaris, Fratello della cagliaritana Vittoria; diverse delle delibere consiliari coincisero con quelle di loggia, dalla fondazione di una società operaia di mutuo soccorso a quella di un ospizio per vecchi nel territorio; dalla minima loggia sorese partì anche una petizione per l’abolizione della pena di morte che venne affidata, per il deposito alla presidenza della Camera dei deputati, al Fr. Giorgio Asproni.

Attività impegnative sul piano sociale e civile coinvolsero in pieno, naturalmente, anche e soprattutto le meglio organizzate logge cagliaritane: si pensi ai patronati ed anche al personale lavoro di diversi Fratelli nelle società culturali e d’istruzione, oltreché nella filantropia ordinaria e straordinaria (gli appelli a contribuire per le vittime di incendi, alluvioni, terremoti d’Italia e di mezzo mondo erano continui e tutti raccolti): la Società per le biblioteche popolari circolanti nella provincia, gli Amici dell’istruzione, il Comizio milanese per la questione religiosa, ecc.

Nel solco del brunismo, cioè del libero pensiero

3.1 – Lungo quasi un decennio – dal 1881, data degli ultimi provvedimenti di abbattimento delle Colonne, al 1889, quando si riprende ad Ozieri e si gettano le basi per un solidissimo rilancio a Cagliari – non risultano presenze massoniche organizzate in Sardegna.

Può dirsi che la data importante perché originaria della nuova fase sia, nel 1889, quella del 9 giugno, quando a Roma si scopre il monumento di Giordano Bruno a Campo de’ Fiori e Giovanni Bovio legge il suo dotto testo inaugurale. Alla manifestazione partecipa anche una delegazione cagliaritana costituita da quattro studenti – alcuni dei quali prossimi Fratelli – e dal preside di Giurisprudenza e già rettore magnifico, il Fr. Gavino Scano.

E’ proprio il messaggio che la delegazione cittadina di ritorno dalla capitale porta a Cagliari, riferendone nell’aula magna dell’università, a rilanciare l’idea e il programma di un centro massonico molto orientato, stavolta più che sulla questione nazionalitaria, sul libero pensiero e l’anticlericalismo. Dalle battute dei discorsi e dai documenti che li accompagnano sale infatti la proposta di dar vita ad una loggia che, intitolata a Sigismondo Arquer – che è stato bruciato vivo dall’Inquisizione quasi trent’anni prima di Giordano Bruno ed è figura storica di cagliaritano, giurista e teologo accusato di luteranesimo e finito nell’autodafè di Toledo del 1571, lo stesso anno della battaglia di Lepanto –, possa incarnare lo spirito massonico diffuso in Italia e in Europa.

Si tengono conferenze e si scrivono articoli sulla figura dell’Arquer, si lancia anche una sottoscrizione per una lapide in suo onore da affiggere all’università; giunge perfino l’adesione personale del Gran Maestro Lemmi. Infine nell’aprile 1890 si alzano le Colonne della Sigismondo Arquer, che cadranno soltanto 35/36 anni dopo, nel 1925, per volontà della dittatura. La casa massonica – al tempo nella via Barcellona, di lato all’abitazione del Serpieri e prossima allo sbocco nella via Roma – sarà anche invasa dai questurini fascisti e saccheggiata.

La Sigismondo Arquer è una loggia che costituisce casa e puntello della borghesia laica cagliaritana – accademica, militare, professionale, impiegatizia – nel lungo passaggio di secolo: sono circa 400 i Fratelli che nel tempo, attestandosi il piedilista a una media di una cinquantina di effettivi, sviluppano l’esperienza massonica nell’officina, qualificandola molto sul piano sociale e culturale (con la promozione o il sostegno ad esempio di un dormitorio pubblico, della Croce Verde, della Dante Alighieri, della Corda Fratres, ecc.) e marcando significativamente la relazione di Cagliari e della Sardegna con l’Italia peninsulare e viceversa. Tanto più per la copertura degli uffici pubblici, il capoluogo provinciale accoglie infatti pro tempore elementi di vario livello, così sulle cattedre universitarie o alla direzione delle scuole superiori, e gli arrivi costituiscono sempre un arricchimento di esperienze per i locali e anche per la loggia.

Oltreché sul piano sociale – si pensi alla adozione collettiva di un bimbo abbandonato che darà la stura ad una grandiosa fondi per un dormitorio pubblico, che diventerà poi ospedale, tubercolosario, asilo dell’infanzia abbandonata – e su quello culturale (furono rettori di università, nel periodo, i FF. Casagrandi e Binaghi, lo erano già stati Umana, Scano e Zanda), la loggia sarà attiva anche sul piano politico, pur lato sensu, presente con i suoi uomini alle varie tornate amministrative e piazzando suoi uomini in posizioni rilevanti (fu il Venerabile e assessore Pernis a ricevere a nome del Comune, nel 1913, il monumento a Giordano Bruno che egli stesso, con la loggia e con altre associazioni patriottiche e civili aveva promosso). Tanto più sarà presente nelle stagioni prebelliche del radicalismo e dell’Associazione Democratica, sorta di collegamento civico fra il liberalismo del passato e la democrazia del futuro.

La Sigismondo Arquer fu molto prolifica in quanto a gemmazioni: da essa derivarono la Cuore e Carattere, a Carloforte, nel 1891, la sassarese Gio.Maria Angioy (e da questa venne poi la maddalenina Giuseppe Garibaldi) nel 1893, l’iglesiente Ugolino (nuova formazione) nel 1898, la Libertà e Lavoro, ad Oristano, nel 1907, i due Triangoli di Ghilarza e Lanusei rispettivamente all’inizio degli anni ’10 e degli anni ‘20.

Ognuna di queste logge e/o Triangoli ebbe un carattere proprio, molto legato anche alle condizioni socio-ambientali particolari. Degne di speciali attenzioni, da questo punto di vista, la Garibaldi, per la partecipazione massiva di personale impiegato nella Marina Militare, e la Ugolino, piuttosto legata alle compagnie minerarie del territorio; la loggia di Sassari – la Angioy – fu invece specialmente impegnata sul piano politico-amministrativo, in Comune e alla Provincia, con ampia prevalenza dell’elemento democratico-repubblicano e radicale. Ad uno dei Fratelli fondatori della loggia sassarese – Merlo – è intitolato l’ospedale di La Maddalena.

Nei primi anni del secolo ripresero vitalità anche le sopite risorse degli Orienti di Alghero e Tempio Pausania, dove nel 1905 si costituirono rispettivamente la Vincenzo Sulis e la Andrea Leoni. Dipendente dalla Sulis fu un Triangolo di Villanova Monteleone; per parte sua Tempio accolse, per iniziativa della loggia locale e anche delle forze politiche popolari (repubblicani, radicali e socialisti), nel 1908, il già richiamato congresso regionale del libero pensiero, cui partecipò anche il poeta nuorese Sebastiano Satta.

La disgraziata perdita dei verbali di tutte quante le logge impedisce un report dettagliato delle attività delle singole formazioni. Nelle ricostruzioni storiche cui si è potuto lavorare, con integrazione di qualche documento custodito negli archivi del Grande Oriente d’Italia o fortunosamente recuperato in Sardegna, hanno contato molto due elementi: uno di natura tipologica, orientata alle biografie (civili e professionali) dei Fratelli – complessivamente quasi un migliaio – di cui è nota l’identità; un altro relativo alle fonti, tenendo presente che, tanto più nei primi decenni del Novecento, i giornali accoglievano con frequenza notizie riguardanti la vita delle logge, o per iniziative da queste assunte in vari campi (soprattutto nella filantropia ma anche nel civismo e nella testimonianza patriottica, fino al telegramma al generale Sanna – Babbu mannu nella Brigata Sassari – alla fine della grande guerra) o per la partecipazione  di personalità notoriamente massoniche a eventi politici o elettorali.

Furono numerosi i Fratelli che, richiamati dall’Autorità militare, raggiunsero il fronte di guerra dal 1915, e diversi furono i caduti – Della Cà, Romanelli, Cambuli, Sola, Morgante, Anchisi, ecc. – e diverse decine i medagliati.

Altri Fratelli, rimasti nelle rispettive città, si impegnarono attivamente nei comitati della mobilitazione civile. A Cagliari un tale lavoro, tanto più all’interno della Unione Femminile, lo svolsero le donne che proprio nel 1915, con la dottoressa Paola Satta – la prima laureata in medicina della Sardegna –, la Campagnolo ecc.  stavano dando vita a una officina massonica, non interna formalmente al GOI ma destinata ad essere ospite del Tempio giustinianeo. Fu quella una esperienza incompiuta sullo stretto piano massonico, ma certo positiva sul piano della assistenza civile.

La Comunione visse quindi, per cinque-sei anni – dalla smobilitazione alla dittatura – tutto il travaglio che investì la società nazionale, e quella regionale, nel suo complesso. In particolare la sofferenza fu di ordine politico e anche ideologico, perché davanti al montante fascismo, che sfruttava gli umori popolari derivanti dalla frustrazione della “vittoria mutilata” e dalla difficoltà di un appagante reinserimento sociale e professionale patita da molti restituiti, dopo anni di guerra, alla vita civile, si cedette considerando il nuovo ordine quel che necessitava.

Anche nelle logge sarde fu ampio il numero di coloro che, con varie motivazioni, aderirono progressivamente al fascismo e preferirono la volgarità, o al meglio il conformismo, alla massoneria intesa come scuola critica, disertandone i lavori o formalmente escludendosi dalla Comunione. Un libro-matricola della Sigismondo Arquer segnala, fra il 1923 ed il 1924, una ventina di questi passaggi “all’altro campo” così come sono evidenziati dal segretario del tempo.

Invero riterrei, in parte rettificando una mia iniziale impostazione, che converrebbe portarsi con maggiore indulgenza alla questione, con uno sforzo anche di meglio mirata contestualizzazione ed anche della onesta revisione dei giudizi sul passato e il presente o sulle coerenze individuate – e non importa se non condivise – fra i presupposti del proprio liberalismo o radicalismo, o ancora del proprio mazzinianesimo od autonomismo sardista e gli approdi offerti dal partito vincitore presto fattosi regime di dittatura.

Una lettura attenta soprattutto degli scritti nelle riviste culturali che pure non mancarono nel ventennio, a firma di Fratelli massoni di gran livello intellettuale – si pensi soltanto a “Mediterranea” – e, da ritenersi, di onesta coscienza, aiuterebbe in questo approfondimento.

3.2 – Va detto che nel 1908 – lo stesso anno del congresso del libero pensiero cui parteciparono labari o uomini, anche con discorsi dalla tribuna, delle diverse logge sarde – si compì un altro evento importante, sia pure con ricaduta non immediata nell’Isola, nella vicenda massonica isolana:  la scissione di Piazza del Gesù (inizialmente di Via Ulpiano), cioè la frattura all’interno del Supremo Consiglio del Rito Scozzese Antico e Accettato promossa dal Luogotenente Gran Commendatore Saverio Fera, causata (almeno ufficialmente) dalla protesta per una pressione, ritenuta indebita, del Gran Maestro Ettore Ferrari sui Fratelli parlamentari a proposito della legislazione sull’insegnamento religioso nella scuola primaria pubblica.

Le conseguenze in Sardegna si ebbero tre anni dopo, fra 1910 e 1911: anche da una frattura interna alla locale Giuseppe Garibaldi, prese corpo a La Maddalena, obbediente alla Ser.ma Gran Loggia d’Italia, la Leone di Caprera (titolo già presente e copresente ad Ozieri).

Nel 1912 una seconda loggia obbediente allo scozzesismo scissionista, si costituì a Cagliari sotto il titolo di Karales. Tale compagine, forte di personalità eminentissime allora però ancora giovanissime (si pensi al clinico Armando Businco, al filosofo Antioco Zucca, al pittore Mario Delitala), due anni dopo si regolarizzò nel Grande Oriente d’Italia. Peraltro, i Fratelli che rimasero fedeli a Via Ulpiano, con uno sforzo di proselitismo notevole, ripartirono daccapo, con la conseguenza piuttosto bizzarra che lungo il secondo decennio del Novecento a Cagliari operarono due logge Karales, quella neogiustinianea e quella ferana bis.

3.3 – Circa l’obbedienza di Piazza del Gesù, dunque, negli anni fra ’10 e ’20 (per il più nell’immediato primo dopoguerra), le presenze organizzate sono le seguenti:

a Cagliari la Karales ricostituita dopo l’abbandono dei più, e certamente con il suo Capitolo e l’Areopago kadosh;

a Sassari la Aurora, la Discepoli di Sais, la Humanitas e la Caprera (che, nel 1924, farà pubblica professione di fede fascista); nonché il Capitolo R+C 3 Novembre e l’Areopago kadosh Turritano;

a Porto Torres la Domenico Alberto Azuni;

a La Maddalena la citata Leone di Caprera;

a Terranova la Olbia;

ad Ozieri – patria di Vincenzo Soro, giovane ma già qualificatissimo esponente di alto grado del martinismo, poeta (e, da ragazzo, studente a Nuoro, scrivano di fiducia di Sebastiano Satta rimasto colpito da emiparesi) -  la Ora e sempre;

a Nuoro la Barbaricina;

condiviso da Ozieri e Nuoro il Capitolo R+C La Vera Luce;

ad Orani, forse un Triangolo;

a Sarule, forse un Triangolo;

ad Iglesias la Nuraghe (fra gli aderenti, o i neoiniziati, a questa anche alcuni reduci fiumani, rimasti per tutta la vita fedeli al mito dannunziano).

Le notizie su queste logge sono al momento molto parziali e frammentarie. Se saranno condivise fra gli studiosi le matricole fortunosamente rinvenute un decennio fa dall’allora Sovrano Pruneti, si potrà procedere con gli approfondimenti possibili e auspicabili.

Nel secondo dopoguerra e fino ai primi anni ‘60

4.1 – La ripresa massonica nel secondo dopoguerra si presenta piuttosto vivace in tutt’Italia ed anche in Sardegna, tanto più negli anni fra il 1944 ed il 1949. Vive qualche fase di riflusso invece negli anni ’50, benché non manchino gli episodi che farebbero invece credere il contrario.

Occorre anche stavolta bipartire il campo fra i giustinianei e gli scozzesi. E sintetizzando al massimo potrebbe dirsi che se nei secondi anni ’40 per un filone e per l’altro si tratta di una vera e propria esplosione organizzativa, tale da far pensare a importanti successi futuri, negli anni ’50 il riflusso e nell’uno e nell’altro campo determinerà un generale rimescolamento delle carte che avrà una conclusione soltanto: favorevole al Grande Oriente d’Italia e sfavorevole alla galassia scozzese, perché questa finirà per autosoffocarsi liberando risorse che aderiranno, o collettivamente o singolarmente, al GOI di Palazzo Giustiniani. Tanto più ciò avverrà alla fine del decennio e nei primi anni ’60.

Cominciano i giustinianei, a Cagliari – nella città devastata dai bombardamenti dell’anno precedente –, nel novembre 1944, dopo un primo abboccamento ad aprile. Prende vita la loggia Risorgimento, cui partecipano, in quanto fondatori, anche diversi Fratelli già appartenenti, nel prefascismo, alla Karales ferana bis.

Nell’arco dei primi sei-sette anni, passando per il Maglietto dei Venerabili Canepa, Silicani e Salvago, la loggia infoltisce le Colonne e promuove nel 1947 una prima loggia figlia: la Salvatore Parpaglia all’Oriente di Bosa, che con il proprio titolo distintivo onora la memoria di un Fratello illustre, bosano di nascita e oristanese di adozione, residenza, fatica amministrativa (come sindaco) e anche come parlamentare, passato all’Oriente Eterno nel 1916. Si risvegliano alcuni Fratelli bosani attivi nel prefascismo – fra essi è l’artista Melchiorre Melis e pare unificante una certa sensibilità sardista, favorita anche dai rapporti parentali fra diversi degli Artieri in azione in quell’Oriente planargese.

Nel 1945 a Sassari si risveglia la loggia Gio.Maria Angioy, che resta fedele al suo doppio retaggio civile e rituale: civile per la prossimità alle prevalenti idealità mazziniane e repubblicane (tanto da ipotizzare in un primo tempo lo sbarramento all’iniziazione dei monarchici! regola respinta però, in sede di ratifica, dal Grande Oriente), e rituale per la militanza sentimentale nello scozzesismo dei suoi Maestri.

Dalla Angioy risvegliata muoveranno gli stimoli che produrranno, nell’Oriente di La Maddalena, fra 1946 e 1947, il rilancio della Giuseppe Garibaldi che avrà giurisdizione sull’arcipelago e su tutta la Gallura.

Peraltro è da dire che la Garibaldi maddalenina, e pur con maggiore encomiabile resistenza la Parpaglia bosana, si troveranno costrette ad abbattere nel giro di qualche anno le proprie Colonne.

Resiste meglio, pur fra cadute e risurrezioni, la loggia sassarese che nell’estate 1948 ospiterà anche un raduno massonico regionale, presente il Gran Maestro Guido Laj, di radici cagliaritane (padre e madre cagliaritani).

Fra 1949 e 1950 avviene il rilancio anche della oristanese Libertà e Lavoro – altro titolo distintivo che ritorna –, pure essa con risorse tratte dalla stagione prefascista e con nuova linfa ex proselitismo in specie fra professionisti e pubblici impiegati. Forse per difficoltà ambientali, avrà, questa officina, da soffrire fino ad abbattere anch’essa le Colonne pochi anni dopo e rialzarle, con la mediazione della Angioy, dieci anni dopo.

In crescente difficoltà è, già dai primi anni ’50, la loggia Risorgimento a motivo soprattutto di contrasti interni d’ordine politico, per l’affermarsi di orientamenti radicalmente divaricanti fra progressisti e conservatori nostalgici. Ne coglie l’occasione il maggior dignitario e già Venerabile Alberto Silicani per lasciare il campo e spostarsi da Cagliari a Carbonia e qui fondare, con diversi Fratelli a piedilista della officina cagliaritana ma per ragioni di famiglia o di lavoro residenti nel Sulcis, la Giovanni Mori.

Fallito anche un tentativo di articolazione dei ranghi sparsi della Risorgimento in due Triangoli al proprio interno maggiormente coesi (appunto uno di progressisti di sinistra, uno di moderati conservatori), e passato altresì senza utili conseguenze il tentativo di una riflessione sul proprio futuro in occasione di due congressi regionali interloggia svoltisi nel 1953 ad Oristano e nel 1954 a Sassari, con relazioni anche su materie scottanti come la scuola laica, l’officina cagliaritana vivacchia ancora fino al 1958, quando sarà assorbita da un’officina di provenienza scozzese e regolarizzata quell’anno nel GOI. Ne dirò poi.

4.2 – Fra 1945 e 1946 si rilancia anche lo scozzesismo, sempre a Cagliari e poi anche a Sassari e altrove. A Cagliari: dapprima con due logge e una Camera superiore (questo sembra, ma manca il documento decisivo al riguardo), all’obbedienza di Piazza del Gesù. Le officine si intitolano a Furio Romano Avezzana ed a Raoul Vinc. Palermi – il Sovrano Gran Commendatore ferano (in vita, contestato da taluno per l’adesione passata al fascismo) –, la Camera superiore a Ichnusa. Notizie non verificate riportano la sede alla via Manno, di fianco al palazzo Sulis e nei pressi della chiesa di Sant’Antonio abate.

Col tempo riprendono anche gli sforzi a Sassari, dove si ricostituirà la loggia prefascista Aurora, a Nuoro per la Ortobene, ad Alghero per la Giuseppe Garibaldi. Una dopo l’altra si spegneranno negli anni ’50.

Di lato a quella di Piazza del Gesù, ma in piena autonomia in ambito scozzese, si sviluppa – con centrale a Cagliari – l’Obbedienza cosiddetta di Palazzo Brancaccio, che ha per Sovrano Gran Commendatore il siciliano Andrea Finocchiaro Aprile, liberale e antifascista, già sottosegretario con Nitti e già giustinianeo, mentre segretario generale (e vero dominus in collegamento con i comandi alleati americani di stanza a Napoli) è il partenopeo Mario Spasiano.

Questa obbedienza ha il suo top a Cagliari, nel 1948, con la inaugurazione di un Tempio nella via Macomer, a un passo dalla centralissima piazza Garibaldi del capoluogo. Dalla loggia Mazzini Garibaldi – l’apripista – verranno, nello stesso 1948, altre tre, da reputarsi però più nominali che effettive: la Leonardo da Vinci, a Cagliari (con il proposito si riunire Fratelli letterati ed artisti), la Saverio Fera ad Arborea, la Ciro Menotti a Macomer.

Sul continente italiano, ed a Roma in particolare, le obbedienze scozzesi che operano ciascuna rivendicando a sé piena legittimità nella Tradizione sono numerosissime, forse quindici o venti… Le principali fra loro – cioè quelle di Piazza del Gesù e di Palazzo Brancaccio che hanno presenze in Sardegna – tentano una unificazione nel 1951; ma gli scontri interni portano, soltanto due anni dopo, a scindersi nuovamente. Anche se va detto che non tutti quelli che provenivano da una Comunione tornano nella propria d’origine; si tratta di incroci che permangono e derivano, con tutta probabilità, dalla positività delle nuove relazioni nel frattempo instaurate.

Per certo a Cagliari la Comunione post 1953 di Piazza del Gesù, ora denominata ALAM, si ricostituisce con la loggia Pitagora da Samo.

Riguardo agli ex brancacciani ricostituitisi (con qualche aggiunta) in logge AALLAAMM – una per certo denominata Domenico Alberto Azuni, l’altra forse Mazzini (o Mazzini Garibaldi come in precedenza) – va detto che essi formalmente fanno capo alla Comunione che a Roma, a Palazzo Falletti di via Panisperna, ha per Sovrano Gran Commendatore giusto un sardo, il sassarese Federico Farina che prima di queste operazioni di fusione/divisione veniva dalla Obbedienza sorella (ma concorrente) di Piazza del Gesù, ed anzi di questa era il dignitario di maggior rango nell’Isola. Un altro sardo, David Marongiu, gli subentrerà, ancorché non immediatamente, dalla posizione di segretario generale.

Entrambe tali obbedienze scozzesi – quella ALAM e quella AAALLAAMM – sono obbedienze miste; dal 1955 lo scozzesismo italiano – s’intende quello non collegato con Palazzo Giustiniani – apre infatti alle donne e nascono le logge miste, anche se non ne risultano in Sardegna se non dagli anni ’80, quando dopo un oscuramento quasi trentennale riprenderà lo sviluppo obbedienziale.

Alcuni passaggi interni alla galassia scozzese sarda nei tardi anni ’50 non sono, al momento, ancora chiari. Però può dirsi che verso la metà del decennio, dopo il fallimento della unificazione dei due filoni scozzesi ex Piazza del Gesù ed ex Palazzo Brancaccio, da cui sono quindi derivate nuovamente due obbedienze ora denominate ALAM ed AALLAAMM, il panorama massonico isolano comprende – nell’Oriente maggiore di Cagliari – da una parte la Pitagora di Samo; dall’altra una Domenico Alberto Azuni – sede nel viale Regina Margherita – e una Mazzini (o Mazzini Garibaldi), nonché con maggiori e più definite energie una Cavour – sede nella via Portoscalas, a Stampace, forse anche una debole XX Settembre (invero d’incerta obbedienza).

Per certo alcuni dei più significativi Artieri ex Palazzo Brancaccio – come lo scultore Franco d’Aspro 33 – propendono per soluzioni personali che vanno dall’assonnamento a una collocazione elettiva, e si direbbe “per corrispondenza”, in compagini ecumeniche del continente, come il gruppo autonomo di Chieti che edita la rivista “Accademia di Alta Cultura – Voce Fraterna” (qualificatasi “Rassegna Universale mensile in Italia della Massoneria di Rito Scozzese Antico ed Accettato”) pubblicata a Pescara.

La debole documentazione non consente di precisare l’intero percorso che porterà a una conclusione fra il 1958 ed i primissimi anni ’60: e cioè alla scomparsa in Sardegna dello scozzesismo (tranne la personale e testimoniale fedeltà del Fr. Bruno Murgia, che allestirà perfino un Tempio nella sua Guspini) e alla progressiva confluenza di tutti – giustinianei sparsi ex Risorgimento, ex brancacciani AALLAAMM ed infine anche ex ferani ALAM di Piazza del Gesù – nella loggia Cavour (poi Nuova Cavour) ormai però regolarizzatasi nel circuito del Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani.

Si abbattono dapprima – nel 1955 – le Colonne scozzesi della Azuni e la militanza AALLAAMM ancora interessata si divide fra la Cavour e la Mazzini.

Nel 1958, analogamente a quanto avviene a livello nazionale, la Cavour confluisce nel Grande Oriente d’Italia e diventa immediatamente il luogo di coagulo di molte forze massoniche sparse fra logge e obbedienze. Essa infatti assorbe in quello stesso anno sia i resti della Risorgimento che quelli della XX Settembre e della Mazzini.

Nella riformulazione che avrà dal 1959 di Nuova Cavour, essa è la loggia decana del GOI a Cagliari. Nei primi anni ’60 essa accoglie, a titolo individuale, anche diversi Fratelli ALAM che hanno più di altri resistito nella propria officina ed ora conquistano posizioni di responsabilità apicale in campo giustinianeo: si muovono i FF. Delitala Giuseppe e Vincenzo, Loi Puddu, Arba, e altri ancora. Con essi anche d’Aspro.

A proposito di Me-Mi: Ciotti e De Francesco in sodalizio 140 anni fa

«Carissimo M. Antioco Sitzia,

«Quando l’Italia era ancora smembrata e le sue sette Provincie erano ancora sgovernate da sette Monarchi, Voi, degno nipote di Amsicora, foste uno di quei pochi che tentarono in Napoli lo sbarco di un pugno di liberi cittadini che traditi, prima che dentro vi suscitassero il fuoco della rivoluzione, furono con voi catturati a bordo del “Cagliari” dai cagnotti del Governo Borbonico.

«Il 1857 è per Voi una data memoranda.

«Noi non dimenticheremo giammai che in quell’epoca funesta pendeva già sospesa sul Vostro capo la scure del carnefice salariato da Francesco II.

«Un’azione che basta per qualificare un uomo, ed oggi il Governo Italiano, memore dei sagrifizii da Voi durati dalla età di 12 anni, per la santa causa della libertà, volle fregiarvi colla Croce della Corona d’Italia.

«Il Governo del Re nel conferirvi quest’insegna onorifica non ve lo disse apertamente. Noi però che abbiamo imparato a conoscervi prima che il Governo Italiano piantasse in Roma le sue tende, squarciamo il velo che cuopre il mistero, e nel presentarvi in segno di riconoscenza questa Corona, vi diciamo a fronte alta che se la politica ha i suoi segreti, anche Voi Antioco Sitzia avete dei meriti in faccia all’Italia.

«E’ tempo che tutti gl’Italiani lo sappiano».

E’ Bonaventura Ciotti, Maestro Venerabile della Libertà e Progresso eretta all’Oriente di Cagliari «sotto gli auspici del G.O. d’Italia», che il «28.g. X mese, anno 000871 V.L.» – leggi il 28 dicembre 1871 – scrive al Fr. Antioco Sitzia, uno degli Artieri di maggior nome della sua loggia, rendendogli i giusti onori come patriota e democratico che tanti rischi si è assunto nella causa che lo ha associato al generale Garibaldi ed all’intero movimento liberale per l’unità dell’Italia.

Torneranno, in associazione, i due nomi in occasione della commemorazione dei Fratelli defunti, nel Tempio sempre della Libertà e Progresso, il 19 marzo 1873, giusto a un anno di distanza dal transito all’Oriente Eterno di Giuseppe Mazzini. Quando anche si festeggerà il compleanno del Pot.mo Gran Maestro onorario Giuseppe Garibaldi e con la rituale triplice batteria si applaudirà alla nuova bandiera della loggia. Allora, proprio allora, toccherà al Venerabile Ciotti rilevare quell’assenza, e ne riferirà anche nella sua corrispondenza alla “Rivista della Massoneria italiana”: «Un solo inconveniente fu poscia notato da tutti i Fratelli – l’assenza di Antioco Sitzia ai lavori funebri. Quest’onorando vegliardo che conta già 70 anni, durati nella carriera disastrosa del mare, solcava a quell’ora le coste della Sardegna a bordo del piroscafo “Il Tortolì”. Sia pure, anche lontano da noi, non dimenticheremo mai l’uomo che pose a repentaglio la sua vita per veder attuato nel 1857 lo sbarco in Napoli di un pugno di generosi sotto la direzione di Carlo Pisacane».

Di forte personalità, non minore forse di quella potente (e umile insieme) del Fr. Sitzia, il Venerabile Ciotti – 52 anni nel 1873 – domina la scena massonica degli anni ’70 nella Valle del Flumendosa. E’ una fase in cui, a fronte di una certa effervescenza nella germinazione dei Cantieri latomistici registratasi proprio nel passaggio di decennio, non riesce a reggere il passo la vitalità organizzativa e soprattutto operativa delle logge. Non che manchi la volontà, non che manchino le personalità di spicco su cui far speciale affidamento, non che manchino neppure le opportunità d’ambiente e di calendario, eppure…

Ciotti sì, lui regge il passo, è uno dei pochi dignitari a mantenere uno standing anche presenzialistico, e di presa istituzionale, che marca le differenze. E la cosa è particolarmente significativa – ancorché manchi tuttora una spiegazione a livello documentario – se si considera il suo passaggio, verso la fine del decennio, alla Obbedienza Angherà, della quale sarà il maggior rappresentante in Sardegna, Venerabile della loggia Giuseppe Mazzini e Gran Maestro Delegato per la Sardegna e per Malta e Tunisi…

Si tratta di un tema, questo della loggia intitolata all’Apostolo dell’unità italiana, che affrontai nei 2005 in “Professione ideologica e militanza civile degli Artieri del Tempio in Sardegna fra Ottocento e primo Novecento. Tracce di fotostoria massonica e libere tavole d’un pubblicista”. Certo è che la materia merita nuovi approfondimenti il che, in verità, han cominciato a venire in epoca relativamente recente da vari autori (Gianni Marilotti, Giuseppe Continiello e Claudio Ortu, ecc.).

Antipapalino, dalla terra dei papi

Egli nacque il 17 dicembre 1821, due anni dopo la scomparsa di don Paolo Ciotti, già vescovo di Anagni, membro importante di una schiatta che risulta documentata almeno da tre secoli, dal 1579 cioè, sotto il regno di Pio VII – il pontefice che subì l’onta del carcere napoleonico –, e crebbe sotto le tremende, sanguinarie teocrazie di Leone XII e Gregorio XVI (fra i due, Pio VIII regnò soltanto venti mesi).

Bonaventura Ciotti – Dominicus Eustachius Bonaventura nella rubricella baptizatorum della cattedrale di Santa Maria Maggiore in Civita Castellana –  nacque nella cittadina oggi ricompresa nella provincia di Viterbo, allora rilevante centro dello Stato Pontificio. Fu lì, a Civita Castellana, sulla strada che porta alla frazione di Borghetto, e anzi nella stessa “Casa (cascina) Ciotti” – tipico complesso rurale della campagna laziale –, che il 12 settembre 1870 venne firmato l’atto di resa della guarnigione papalina a difesa della rocca, al generale Raffaele Cadorna, suprema guida militare alle truppe liberatrici di Roma. La cronaca dell’avvenimento è in “L’Italia Militare”, che riferisce della «stanza superiore del palazzetto di Casa Ciotti» ed una lapide monumentale ricorda l’evento…».

Mazziniano e garibaldino, carbonaro e massone, si schierò con i rivoluzionari nei mesi caldi della Repubblica Romana – da febbraio a luglio 1849 –, pagandone lo scotto all’indomani del ritorno di papa Mastai Ferretti, dall’autoesilio di Gaeta. Quando, come altri esponenti del movimento democratico delle province papaline (fra gli altri Enrico Serpieri), fu giocoforza espatriare e ricominciare daccapo. Per questo venne anche lui, neppure trentenne, in Sardegna, titolare di concessione mineraria.

Nel vuoto documentario di tratti importanti della sua vicenda, si sa per certo che sposò, a Guspini, Giovannica (o Giovanna) Piras, figlia del notaio Piras, originario ed esercitante a Guspini, di nobile famiglia se fornita di stemma con tanto di pero nel disegno dello scudo. (A Guspini, ancora oggi, vive la memoria di un “magazzino Ciotti”, con ogni probabilità deposito di materiali minerari).

I “Quinque libri” della parrocchiale di San Nicolò conservano alcuni atti che si riferiscono alla famiglia Ciotti-Piras, registrati dal dinamico rettore Antonio Giuseppe Serra Tuveri, che per ben un terzo di secolo – dal 1848 al 1883 – ebbe, ininterrottamente, l’amministrazione piena della chiesa guspinese. Fra essi certamente quelli datati rispettivamente 19 gennaio 1859 e 15 marzo 1861 riguardanti i battesimi di Pietro Giuseppe Carlo e di Virginia Raimonda Leopolda. Padrini, almeno in un caso, altri esponenti della medesima area politica e compagni nella ventura (forse più che sventura) dell’approdo isolano. Qui il riferimento è soprattutto all’avv. Giuseppe Galletti, bolognese classe 1798, coinvolto nei moti del 1831, condannato all’ergastolo da qualche tribunale pontificio ma poi amnistiato da Pio IX; presidente dell’Assemblea costituente della Repubblica Romana fu, col grado di generale dei Carabinieri papali, capo di Stato maggiore nella difesa della capitale dalle truppe francesi; ritiratosi a Genova dopo la caduta repubblicana, nel 1850 ottenne la direzione della miniera di Montevecchio; sarebbe anche stato eletto, nella nona legislatura, alla Camera. (Notizie attinte dall’ing. Carlo, pronipote, attribuiscono alla coppia altri due figli maschi).

In Sardegna, miniere e caffetterie

Memorie familiari riferiscono di un grosso patrimonio immobiliare nel quartiere della Marina (zona di via Barcellona/via Napoli) che sarebbe stato poi disperso dalla cattiva gestione di un segretario di origine siciliana. Di certo è, conservata nelle cartellone dell’Archivio di Stato di Cagliari, una sua richiesta di autorizzazione all’apertura di una caffetteria in città, datata 16 maggio 1874. Il locale doveva essere ospitato presumibilmente appunto in casa Ciotti, al civico 1 della via Barcellona – indirizzo che è rivelato da analoga istanza presentata l’anno prima (il 28 agosto) da Giuseppe Sommaruga, noto assicuratore e amministratore di altri “Caffè e Pasticceria” all’insegna di “Alla bella Venezia” (così nella via Manno al n. 23, e dopo anche nel Corso, alla voce di “Offelleria del Corso”).

Già vicepresidente della Società Operaia di Cagliari, che nell’autunno 1864 si era pronunciato a favore degli accordi di settembre fra lo stato italiano e il governo del papa, nonché per il trasferimento da Torino a Firenze della capitale del nuovo regno d’Italia, il centro dei suoi interessi, fin dal suo arrivo nell’Isola è però costituito dalle attività estrattive e di lavorazione del minerale. Di tale centralità del suo business è prova un documento del 1869 – “Sulla legislazione delle miniere e suoi rapporti coll’industria mineraria in Italia e specialmente in Sardegna. Considerazioni di Bonaventura Ciotti” – che fa il paio, ma sotto altro profilo, con un altro scritto oggi custodito nella Biblioteca universitaria, titolato “Una proposta estemporanea”.

A premessa dei cinque capitoli riguardanti «Il sistema delle concessioni governative e il diritto di proprietà», le «Ragioni economiche del sistema delle concessioni governative», alcune «Considerazioni che suggeriscono in Sardegna il sistema delle concessioni governative», i «Vantaggi della Sardegna nello sviluppo dell’industria mineraria» e «Il progetto Marolda e le sue disposizioni transitorie», nonché del «Quadro statistico delle miniere in esercizio e in esplorazione e officine metallurgiche in Sardegna», il Ciotti rappresenta lo spirito con cui si accinge ad esporre i suoi argomenti: «Io parlo mosso d un grande affetto per la Sardegna, a cui tanti vincoli sacri mi legano. Ed è perché amo la Sardegna, perché oramai sono sardo anch’io, abbenché in questa terra non abbia avuto i natali, che credo dover combattere certe velleità, le quali, tendendo a distruggere ciò che custodisce veramente la libertà dell’industria mineraria, riescono a impedirne lo sviluppo, e quindi a soffocare la fonte di ricchezza e prosperità economica per l’isola». Perché, scrive poco prima, «Nel difendere gl’interessi di questa industria, io credo di difendere una causa ragionevole e giusta, e di promuovere altresì gli interessi veri della Sardegna. Io credo poter dimostrare che la prosperità dell’industria mineraria sia per molti rispetti fonte di prosperità per la Sardegna, di cui può far fiorire l’agricoltura ed il commercio, offrendo a tutti i prodotti e a tutte le derrate un mercato, che senza questa industria non vi sarebbe».

Tutto nasce da una lunga esperienza maturata sul campo: «Dedicato da molti anni all’industria delle miniere, la quale posso dire di aver veduto nascere ed ampiamente svolgersi in Sardegna, mi sento autorizzato a dir qualche parola anch’io sulla questione che oggi preoccupata questa industria e tiene sospeso il suo modo d’esistenza»…

Accanto a questo saggio d’un centinaio di pagine, si pone l’altra testimonianza scritta, piuttosto occasionale, il cui taglio è insieme serio e faceto: serio in quanto alla provocazione che rimanda ad atti amministrativi ufficiali (l’«Atto consolare del Comune di San Gavino Monreale» datato 29 giugno 1869 e sottoscritto dal sindaco Pedroni, dal consigliere anziano Tatti e dal segretario comunale Cirronis, pubblicato nell’albo pretorio il 4 luglio), faceto o sarcasticamente rielaborativo in quanto alle conclusioni. Oggetto di tutto è una controversia fra il Municipio (con la Provincia) e un impresario incaricato di certi lavori di arginamento dei torrenti dell’agro. Per vincere una causa – sostiene con dura ironia l’autore – basta «imporre ai vostri avversari una legge speciale per la causa che si agita, di scegliere una procedura a vostro comodo, e di far nominare i giudici che più vi piacciono». Leggere per credere…

 

In Massoneria, alla “Libertà e Progresso”

E’ in contiguità temporale con la Gialeto – che avrà purtroppo poca fortuna – la Libertà e Progresso, loggia particolarmente dinamica destinata a leadership nel latomismo cagliaritano per circa un decennio, dal 1869 anno di erezione delle sue Colonne, ad iniziativa soprattutto del suo primo Venerabile. Appunto il Fr. Bonaventura Ciotti. A lui, confermato per alcuni anni, succederà, verso la fine del decennio, Pietro Ghiani-Mameli, deputato e banchiere, con un passato di loggia prestigioso (prima nella Vittoria, poi nella Vittoria Fedeltà.

E’ da dire, a tal proposito, che, nel suo piedilista in progress, ed evidentemente per la capacità attrattiva del suo Venerabile-fondatore, la Libertà e Progresso presenterà – chi prima chi dopo – anche numerosi altri esperti Artieri provenienti dalle officine via via demolite, soprattutto dalla Vittoria Fedeltà. Fra essi Antonio Cerruti, Antioco Cadoni, Francesco Salaris il deputato, e, con altri ancora,… Antioco Sitzia il garibaldino che fu con Carlo Pisacane a Sapri, ecc.

Presente o comunque aderente a tutta una serie di assemblee massoniche nazionali – dall’anticoncilio di Napoli del dicembre 1869 alle costituenti fiorentina del 1871 e romane del 1872 e ’74 e di Milano del 1876, fra le prime attività sociali della loggia a presidenza Ciotti è la raccolta di fondi – che saranno cospicui – a favore dei danneggiati dall’alluvione del Tevere dell’autunno 1870. Importante anche il suo contributo finanziario al trasferimento della sede del GOI da Firenze a Roma, dopo Porta Pia. Alla prima assemblea costituente romana – nel maggio 1872 – sarà proprio il Fr. Bonaventura Ciotti a rappresentare l’ensemble cagliaritano, il quale – con lettera formale – aderisce anche al Comizio per la questione religiosa, costituitosi a Milano ad iniziativa di Giuseppe Mussi (per la libertà di coscienza e lo stato laico e dunque l’uguaglianza delle religioni davanti all’ordinamento civile).

Le cronache di stampa rileveranno la sua partecipazione, con bandiera – una novità per Cagliari –, ai pubblici funebri del Fr. Serpieri, nel novembre 1872, mentre il bis del memento, nel marzo 1873, sarà tutto interno al Tempio, per onorare le memorie dei Fratelli passati all’Oriente Eterno e, insieme, battezzare formalmente il labaro.

Indirettamente impegnata nella promozione della Società per le biblioteche popolari circolanti nella provincia di Cagliari e, prima ancora, del sodalizio denominato “Gli amici dell’istruzione”, con lo scopo di alleggerire il tasso di analfabetismo attraverso l’apertura di scuole e la diffusione di biblioteche, della Libertà e Progresso sarà anche da ricordare la polemica di stampa fra il suo Segretario Mereu ed il Sanna-Piga che aveva accusato i massoni di essere fanatici e demagoghi.

Forte, oltre che di Giuseppe Garibaldi come Venerabile onorario, soprattutto di Ulisse Bacci – il Gran Segretario del GOI – come membro d’onore, la Libertà e Progresso godrà della gemmazione, dalle sue Colonne, della Ugolino all’Oriente di Iglesias, fra 1871 e 1872…

Dell’adesione della loggia al “Comizio per la questione religiosa” promosso a Milano dal deputato radicale, e Fratello, Giuseppe Mussi, dà conto la stessa £Rivista massonica” che pubblica – datata 16 dicembre 1872 – la lettera a firma del Venerabile Ciotti a nome della sua officina, di riaffermazione «del santo principio di coscienza, della perfetta uguaglianza di ogni religione rimpetto alle leggi dello Stato, e (del) conseguimento della vera libertà nazionale».

«Il pauroso contegno del ministero di fronte all’ardua questione della soppressione delle Corporazioni religiose e dell’asse ecclesiastico – scrive il Venerabile –, invece di disanimarci ci rende sempre più baldanzosi. Colla infinita sequela de’ suoi errori esso ci fa scuoprire fra le nubi fosche che intorbidano l’orizzonte politico quella benefica stella che l’Italia vagheggia da tanti secoli, e che malgrado il dispetto degli uomini del regresso irradierà presto o tardi l’edificio che va a poco a poco inalzandosi della vera sovranità popolare. Noi combattiamo oggi quelli uomini colla tremenda libertà della parola nelli amichevoli convegni, nel santuario della famiglia, nel seno delle associazioni democratiche e dalla tribuna della stampa, preparati del resto anco a mezzi più efficaci, quali sono consentiti dalla storia e dalle costituzioni della universale Massoneria».

Trasmette quindi l’ordine del giorno votato «ad unanimità» dalla Libertà e Progresso nella seduta straordinaria del 15 dicembre:

«Questa rispettabile Loggia Libertà e Progresso all’Oriente di Cagliari, persuasa che le Corporazioni religiose tuttora esistenti nella Provincia di Roma sono una perenne minaccia per lo Stato che in onta al diritto pubblico interno le ha finora tollerate;

«Persuasa che la religione travisata dalla setta retriva che si agita al Vaticano, non è ad altro ridotta che ad un amalgama di egoismo e di imposture che si presenta agli illusi sotto la maschera del Cristianesimo;

«Persuasa che l’istruzione laica ed obbligatoria tanto vivamente reclamata dai bisogni del popolo e propugnata dalle menti più elevate e più liberali non potrà mai attecchire in Italia fino a che Roma non cessi di essere il centro della reazione e dell’oscurantismo;

«Persuasa che ogni transazione dello Stato con la corte pontifica ricondurrebbe l’Italia ad una schiavitù peggiore della morte, assoggettandola alle vessazioni d’una setta malefica, che cerca da lungo tempo un appoggio per imporsi nuovamente con la forza sulle traviate moltitudini;

«Persuasa che lo spirito che informa la nostra rivoluzione tende ad abbattere anche il potere spirituale dei papi che esercita sulla terra il despotismo delle anime;

«Persuasa che ogni fede religiosa subisce il periodo di infanzia, di maturità e di morte, e che quella proclamata e rappresentata dal Romano Pontefice essendo già vecchia e decrepita, è condannata irremissibilmente a morire sulle rovine della inquisizione;

«Persuasa che il periodo che attualmente attraversa la Massoneria italiana non è periodo di sosta ma di azione coordinata ad un fine, e che la sua inazione in momenti così solenni la esporrebbe alla derisione delle altre Potenze massoniche che vegliano alla tutela dei diritti della umanità;

«Aderisce con lieto animo all’ordine del giorno votato ad unanimità nella tornata del 7 novembre trascorso dalla Associazione Politico-democratica di Milano, delega a rappresentarla nel Comizio, che ivi deve adunarsi, il suo distinto Fratello onorario Ulisse Bacci Direttore della Rivista della Massoneria italiana… ed incarica il Fratello Segretario di trasmettere copia del presente atto di adesione al sullodato Fratello con preghiera d’inserirlo nel periodico da lui diretto e di appoggiarlo col suo valevole patrocinio in modo che il nostro esempio susciti una nobile gara nel seno di tutte le Officine che obbediscono al Grande Oriente d’Italia, e lavorino tutte concordi ed unite in merito alla questione religiosa».

Nel rito egiziano rettificato

Quali ragioni inducano, verso la fine del decennio, il Venerabile Ciotti ad abbandonare il Grande Oriente d’Italia per passare all’Obbedienza del Fr. reverendo Domenico Angherà non sono note. Certo è che egli compare, dal 1878 al vertice della Comunione che ha la sua centrale nella Valle del Sebeto e non più in quella del Tevere, e che la sua lontananza sarà forse causa diretta dell’inaridimento dell’attività della Libertà e Progresso, che andrà incontro all’abbattimento delle sue Colonne nel 1881.

Testimonianza diretta della appartenenza al Rito praticato dall’Angherà è in due lettere, datate entrambe 22 giugno 1879 – a firma Ciotti e a destinazione De Francesco. Riguardano gli interessi italiani in Tunisia ed hanno il carattere di messaggi massonici, o meglio: tra massoni. Giovanni De Francesco è il direttore de “L’Avvenire di Sardegna”, un quotidiano che esce regolarmente a Cagliari ormai da otto anni autodefinendosi «organo della colonia italiana in Tunisia»,  e sarà per qualche anno “gemello” di “El Mostakel”, altra creatura giornalistica dell’eclettico direttore – originario di Torre del Greco, garibaldino in gioventù, spirito scapestrato ma portatore di un forte senso di giustizia per il quale pagherà cari prezzi –, che uscirà, sempre a Cagliari, in lingua araba, destinato evidentemente a quel pubblico di lettori.

Nella prima lettera Ciotti ricorda al suo corrispondente, in quel periodo a Tunisi (e destinato ad entrare in intimità con i Ciotti, se è vero che resterà memoria della loro frequentazione e perfino dei… posacenere domestici con l’insegna de “L’Avvenire”), di esser stato nominato già da più d’un anno – dal 9 aprile 1878 per la precisione – «Gran Maestro Delegato per la Sardegna e per gli affari massonici a Malta ed a Tunisi», e lo invita quindi a tenerlo aggiornato circa i risultati dell’azione spiegata dal «Fratello 33» Braca May volta ad istituire in Tunisi «il Grande Oriente e Supremo Consiglio del nostro Rito». Che è il Rito egiziano riformato, non più quello scozzese praticato un tempo, quando egli era all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia.

Per questo – si legge nella prima delle due lettere – sarebbe utile un collegamento fra «i fratelli massoni di Sardegna… con i fratelli massoni della Tunisia», anche in chiave di opposizione alle «mene reazionarie che serpeggiando ci fanno guerra». E nella seconda, più esplicitamente v’è come il conferimento dell’incarico al Fr. De Francesco di contattare i massoni tunisini, rendendo loro di dovuti rispetti e soprattutto partecipando loro che «noi siamo sempre pronti a sostenerli e difenderli pel lustro e nell’interesse della nostra società».

Lo sfondo politico-economico è quello della Reggenza (il “beycato”) – cioè dell’autorità politica del paese nord-africano – che, pur (o forse perché) debole e corrotta, si vorrebbe collocare in un più stabile rapporto con l’Italia piuttosto che con la Francia. La Tunisia è territorio di significativi insediamenti dell’imprenditoria mineraria sia italiana che transalpina e il nesso fra interessi economici e interessi politici è fortissimo. Sarà una battaglia persa, perché i francesi – inventandosi una invasione di “krumiri” tunisini nel territorio algerino – da tale episodio trarranno pretesto per attaccare militarmente, fra 1881 e 1882, e concludere un trattato-capestro a suo uso e consumo.

Ecco i due testi:

«AGDGADU – Massoneria Universale e Comunione Italiana – Libertà Uguaglianza Fratellanza – Or. di Cagliari g. XXII m. Tramuz. a.v.l. 5879 e dell’E.V. 22 giugno 1879 –

«Illus. Fr. Giovanni De Francesco 3, Tunisi.

«Il Gr. Or. di Napoli del Rito Egiziano Riformato, con l’elezione della Gran Log. Simbolica di Amministrazione “Osiride”, tenutasi in assemblea generale dei rappresentanti la Officina, in data IX Ijar. a.L. 5878 e dell’E.V. 9 aprile 1878 fui nominato Gran Maestro Delegato per la Sardegna e per gli affari massonici in Malta e Tunisi.

«Il Gr. Or. fin dal novembre 1878, che si è messo in relazione con la R. Log. “Antica Cartagine”, assicurando questa di voler professare il Rito Egiziano del Gr. Or. di Napoli; poi si trattava dal Gr. Maestro di voler creare un Gr. Or. in Tunisi, chi ha fatto tutto e che lavora a gonfie vele è il carissimo fr. 33 Braca Mey, perché in Tunisi sia fondato il Grande Oriente, e Supr. Cons. del nostro Rito spero che a quest’ora gli saranno ultimate le opportune operazioni per la fondazione; prego Voi, Cariss. Fr. a volermi tenere informato se h’avuto effetto il desiderio del Cariss. Fr. Braca Mey. E’ bene che i FF. mass. di Sardegna si mettano in stretta relazione con i FF. mass. della Tunisia, mentre noi non dovremo rimanere indietro nei lavori, e nel progresso che oggi più che mai è mestieri sostenere, anzi accrescere di fronte alle mene reazionarie che serpeggiando ci fanno guerra.

«Gradite, Cariss. Fr., pei punti del Triangolo i miei saluti, e vi auguro Salute, Pace e Prosperità, Vostro fraternamente B. Ciotti – Spartaco 33».

E l’altra: «Mass. Ital. – R. L. Giuseppe Mazzini Or. di Cagliari – AGDGADU Massoneria Universale e Comunione Italiana – Libertà Uguaglianza Fratellanza.

«In nome di San Giovanni di Scozia e sotto gli auspici del Gr. Or. di Italia del Rito Scozz. Ant. Ed Acc. Egiziano Sede di Napoli – Oggi XXII g. IV m. a.L. 5879 e dell’E.V. 22 giugno 1879.

«Illus. Fr. Giovanni De Francesco 3. Tunisi.

«Il sottoscritto Venerabile della R. Madre Log. Regionale al titolo distintivo di “Giuseppe Mazzini” all’Or. di Cagliari ha l’onore di incaricarvi a nome di tutti FF. mass. della Madre Log. di rendere i dovuti omaggi all’Illus. FF. mass. della Tunisia ed alle R. Log. Simboliche, e di dichiarare che Noi siamo sempre pronti di sostenerli e difenderli nel lustro e nell’interesse della società.

«Il nostro massonico divisamento è di riconoscere tutti Riti Mass., fraternità reciproca, non facciamo distinzione di Rito, mentre la massoneria è una Società eminentemente Umanitaria, che nasce dal cuore e torna al cuore.

«Abbracciandovi fraternamente vi saluto pei punti del Triangolo e vi auguro Salute Prosperità Unione Vostro fraternamente Il Venerabile B. Ciotti – Spartaco 33».

Una sola osservazione: il riferimento esplicito alla Mazzini come «Loggia Madre» fa intendere quanto meno un programma di espansione, nel circuito a governo Ciotti – sia che si tratti della Sardegna come territorio isolano che del più ampio giro Sardegna-Malta-Tunisia –, attraverso la costituzione di altre officine liberomuratorie, di cui peraltro non si ha notizia.

De Francesco, Mongibello e la perpendicolare

La figura umana, intellettuale e professionale del Fr. Giovanni De Francesco – il destinatario delle due lettere del Gran Maestro Delegato per Sardegna, Malta e Tunisia dell’Obbedienza Angherà, il Pot.mo Bonaventura Ciotti – è stata scandagliata con la sua consueta perizia di ricercatore ed interprete del fenomeno storico dal prof. Lorenzo Del Piano in diversi suoi studi, fra cui in modo particolare si segnala il saggio “Politici, prefetti e giornalisti tra Ottocento e Novecento in Sardegna”, Cagliari, Edizioni della Torre, 1975 (capitoli “Alcune notizie su Giovanni De Francesco”, “Sardegna e Tunisia nel giornale El Mostakel”, “De Francesco tra garibaldini e briganti” e “Giornalista in Sardegna: le elezioni del 1892”, con corredo di ricchissima bibliografia). Con esso, e dello stesso Del Piano, meritano comunque almeno una citazione il contributo ad “Archivio Storico Sardo” …. dal titolo “Figure di imprenditori, marinai e soldati negli scritti di Giovanni De Francesco” ed il bel volume “La penetrazione italiana in Tunisia (1861-1881)”, Padova, CEDAM, 1964, per gli approfondimenti presenti nel capitolo “El Mostakel”. Su tale testata, così significativa nel percorso professionale di De Francesco, e approfonditamente studiata in particolare da Ernesto Concas in “Mediterranea” a. 1 (“Un giornale arabo pubblicato a Cagliari nel 1880”), Del Piano ha pure firmato l’articolo “Da Cagliari verso l’Africa / Dal 28 marzo 1880 al 30 aprile 1881, nella nostra città si stampò un settimanale in lingua araba”, uscito sull’ “Almanacco di Cagliari” 1983. In ultimo, ma per certi versi di speciale interesse, sono, ancora di Del Piano, i riferimenti alla persona ed all’attività pubblica del giornalista e massone presenti in “Giacobini e Massoni in Sardegna fra Settecento e Ottocento”, Sassari, Chiarella, 1982.

Anche Tito Orrù, e anzi lui per primo, apripista, trattò diffusamente l’argomento (mirando specialmente all’esperienza di “El Mostakel”) in “La questione tunisina attraverso la stampa sarda”, in “Ichnusa”, 1958.

Assai pregnante la scheda biografica stesa da Giuseppe Della Maria in capo al regesto de “L’Avvenire di Sardegna”, nel repertorio bibliografico “Stampa periodica in Sardegna” pubblicato dal suo prezioso “Nuovo Bollettino Bibliografico Sardo” (fasc. n. 79).

Bella la scheda stesa da Piera Manca, ancora su “L’Avvenire di Sardegna”, presente in “I giornali sardi dell’Ottocento. Quotidiani, periodici e riviste delle biblioteche della Sardegna. Catalogo (1774-1899)” a cura di Rosario Cecaro (v. in www.sardegnalibrary.it).

Mirate attenzioni, oltre che al protagonista dell’avventura, anche al suo maggior prodotto – appunto “L’Avvenire di Sardegna” («che fondato libero e spregiudicato… finì per sembrare il quotidiano ufficiale del coccortismo») – ha prestato anche Pasquale Marica, con il suo “Stampa e politica in Sardegna 1793/1944”, Cagliari, la Zattera, 1968, e importanti richiami sono contenuti in “Stampa e società in Sardegna dall’Unità all’età giolittiana”, Torino, Guanda, 1977, di Laura Pisano.

Fu anche autore, il De Francesco, di numerose monografie su importanti località isolane, come Villacidro, cui dedicò nel 1902 il saggio “Un paese di montagna”. A lui si devono sempre nuove testate come “Il mazziere” («effemeride illustrativa dell’ambiente cagliaritano»), settimanale uscito, con qualche interruzione, fra il 1904 ed il 1911.

Decano dei giornalisti sardi – lui che sardo non era di nascita, ma soltanto di elezione – verrà ricordato con accenti toccanti, all’indomani del passaggio all’Oriente Eterno avvenuto il 1° maggio 1914, sulle colonne d “L’Unione Sarda”, il giornale che era stato il diretto concorrente del proprio, e che di questo avrebbe successivamente (dopo la condanna in un processo per diffamazione che aveva segnato il trionfo dell’on. Antonio Cao Pinna, comproprietario proprio de “L’Unione”) acquisito le apparecchiature tipografiche.

Originario di Torre del Greco, classe 1836, garibaldino di fede e d’armi (moti siciliani del 1856 e terza guerra d’indipendenza, un po’ combattente un po’ corrispondente di guerra, spedizione delle camicie rosse a Mentana nel 1867), era giunto in Sardegna – dopo soggiorni a Firenze e Torino e l’iniziale apprendistato nel napoletano Italia, del De Sanctis – alla fine degli anni ’60 (esattamente nel 1867) per dirigere (e di fatto scrivere da cima a fondo) il maggior giornale del tempo stampato a Cagliari, vale a dire “Il Corriere di Sardegna” (e ciò dopo aver lanciato e sostenuto, sia pure per breve tempo, altre due testate periodiche, di tono più o meno umoristico: “La bugia” e “La Candela magica”). Dell’organo ufficioso della Massoneria locale, come veniva considerato per l’appartenenza di diversi suoi comproprietari ed amministratori alla loggia Vittoria (da Enrico Serpieri a Gavino Scano) egli aveva tenuto la direzione, in effetti, per breve tempo – un anno circa, fra 1869 e 1870 –, preferendo quindi dar vita, nel 1871, ad una propria testata (con redazione e tipografia al bastione di Santa Croce), che difficilmente si potrebbe incasellare in alcun partito dei tanti sulla piazza nei lunghi decenni dell’uninominale.

Certamente liberale con tendenze democratiche, certamente laico con tendenze giacobine, ancor più certamente specchio di una sensibilità personale poco propensa alla trattativa e alla mediazione: ecco “L’Avvenire di Sardegna”. Inizialmente vicino alle posizioni della sinistra coccortiana, successivamente simpatizzante anche della opposta corrente – che pur si richiamava in sede nazionale ad altri leader della sinistra liberale – da identificarsi in uomini di Francesco Salaris o Antonio Campus Serra, e sempre di esponenti a mezza strada fra garibaldismo militare e garibaldismo… finanziario, come Pietro Ghiani Mameli, il padrone e distruttore del polo bancario costituito dal Credito Agricolo Industriale Sardo, Cassa di Risparmio di Cagliari, Credito Fondiario. (E va ricordato che il Ghiani Mameli – deputato, banchiere e anche dignitario per lunghi anni delle logge cagliaritane – sarà difeso, negli anni del processo e della carcerazione preventiva, dall’amico De Francesco che per lui combatterà a duello di sciabola, rimanendo ferito, contro il giornalista Ferruccio Macola, l’uccisore, sempre in duello, del Cavallotti).

Il giornalismo per lui era «passione, ardore, combattimento», per ripetere le parole dell’anonimo redattore (e, evidentemente, antico allievo) che, nell’epitaffio dell’Unione, lo definisce «il tipo perfetto del giornalista, con tutti i difetti e tutte le doti». La professione per lui era «Pronta percezione dei fatti, acutezza di mente, chiara visione delle cose, conoscenza degli uomini, un tutto accoppiato ad una solida e vasta coltura letteraria, storica, politica. La sua prosa, di carattere tutto personale, impeccabile nella forma, argutamente sarcastica e piena di vivacità e di colorito, formava la delizia del pubblico cagliaritano, che attendeva avidamente l’uscita serale dell’Avvenire di Sardegna».

Si trattava di una testata, “L’Avvenire di Sardegna”, «ragguardevole nella storia del giornalismo isolano», che «imperò per lunghissimi anni nella vita pubblica cittadina», attraverso cui De Francesco «esplicò tutte le eminenti sue qualità di pubblicista e la combattività della sua fibra, appassionando il pubblico a tutte le questioni del giorno, attraendolo a sé colla novità dell’argomento e coll’originalità della discussione, e meravigliandolo spesso colla vibrante audacia della polemica».

«Egli seppe fare del suo giornale un organismo potente, che ebbe vita anche fuori del ristretto cerchio isolano: basterà ricordare che quando le speranze degli italiani si affissavano su Biserta, e si acuivano allo stesso tempo, sulla stessa costa d’Africa, i fortunati appetiti della Francia, l’Avvenire di Sardegna diventò organo della colonia italiana di Tunisia, e per mezzo del suo giornale il De Francesco alimentava in Africa e in Italia il proposito della conquista italiana, combattendo in quel periodo di tempo la sua più bella ma pur troppo sfortunata battaglia». Sarà quella una pagina della storia dei “ponti”, ideali e materiali, lanciati sul mar Mediterraneo dalla Sardegna soprattutto verso la Tunisia: quando di essi si occuperà anche la Massoneria nazionale e sarda, e De Francesco sarà direttamente coinvolto nell’affaire.

E’ da ricordare, in proposito, l’impatto propagandistico di “El Mostakel”, «un giornale scritto e stampato in arabo», per la cui direzione chiamò «un Arabo autentico che, per non venire meno alla tradizione, vendette, secondo che allora si disse, alla Francia, molti importantissimi documenti che erano in sue mani, affidatigli pel giornale».

“L’Avvenire di Sardegna” fu, per molti anni, «palestra aperta ai migliori ingegni isolani: ivi fecero le prime armi molti giovani valorosi: ne furono redattori O. Bacaredda, A. Scano, Felice Uda, lo ressero lungamente Peppino Turco dapprima, Emilio Spagnolo poi, che ebbero, più tardi larga fama giornalistica: la consuetudine che il De Francesco avea coi nostri uomini politici, con artisti, con letterari facea sì che egli attraesse a sé tutte le forze anche le più disparate e le facesse inservire a dar maggiore vitalità, sotto tutte le forme, al suo giornale, cui egli, da sua parte, dava tutto se stesso».

Infine: «Del giornalista egli ebbe la vita avventurosa e movimentata: spesso – dobbiamo pur dirlo – fu impulsivo ed ingiusto; l’irrequietezza del carattere e la sua natura vulcanica – era nato alle falde del Vesuvio! – gli procurarono beghe e fastidi con amici e con avversari: non si contano i duelli che ebbe, i processi che subì. L’ultimo di questi, a querela di un noto uomo politico, fu la sua rovina, perché, per la condanna susseguitane, gli furono aperte le porte del carcere e la sua tipografia fu dispersa. Così finanche il vecchio giornale.

«D’allora in poi l’antico pubblicista visse di espedienti: avea sognato di trasferirsi a Roma e fondare ivi il “Giornale delle Isole”, nella sede del governo e a contatto dei suoi organi diretti, un giornale avrebbe potuto esplicare un’azione efficace dell’interesse della Sardegna e della Sicilia: l’idea era buona: ma per mancanza di mezzi egli non poté attuare questo suo divisamento.

«Visse quindi ancora in mezzo a noi, sfiduciato oramai e stanco, specialmente dopo la morte del suo diletto figlio Ferruccio: tratto tratto vibrava ancora in lui l’impeto dell’antico pubblicista: ne sono prova gli opuscoli su questioni cittadine e isolane che egli – a intermittenza – dava alle stampe ed in cui la ricerca storica spesso davvero mirabile si accoppia ad una squisita perspicuità di forma. Ma erano bagliori dell’antica fiamma».

Il crepuscolo fu penoso. «Negli ultimi tempi – già logoro il cervello – egli strozzava il germe dell’idea negli aspri e quasi spasmodici contorcimenti dello stile: e l’arguzia, il sarcasmo, la satira che un dì uscivano pieni di “attico sale” della sua agile penna, avevano il più delle volte perduto l’aculeo che li rendeva temibili e si avviluppavano in una nebulosità di frasi che parevano fatte per nascondere il pensiero.

«Povero De Francesco! Gli ultimi anni furono ben tristi per lui: egli che avea visto da vicino la ricchezza, ebbe compagna la miseria al suo capezzale di morte. Forse fu colpa sua se egli cadde dall’alto, se non seppe tenere, fino all’ultimo, il posto che egli avea conquistato, lasciandosi trascinare qualche volta nell’avventura pericolosa e non sapendo tenere la giusta misura nei suoi odi e nei suoi amori…».

Ai funerali, quasi nessuno. Un breve corteo: un prete, una corona di fiori, «omaggio di giovani pubblicisti che al vecchio loro decano non erano legati da altro che dal vincolo dell’ammirazione e del rispetto», poi la bara; e di seguito pochi «memori amici», fedeli nel ricordo di un uomo che era stato «il più temuto di Cagliari». Pertinente una osservazione del cronista de “L’Unione Sarda”: «Dei vecchi che furono da lui largamente beneficati, che da lui ottennero favori e protezione in tempi tristissimi, dei giornalisti che con lui lottarono per una comune ideale, nessuno! Ormai il battagliero giornalista, lo scrittore temuto e rispettato non era più che un cadavere: quindi poteva essere totalmente trascurato. La riconoscenza non ha fioriture in tutti gli animi. Al cimitero uno solo fido amico disse di lui. Così si chiuse la nobile esistenza di questo campione del giornalismo isolano, esistenza piena di gioie e di triboli, di soddisfazioni e di umiliazioni, esistenze di un uomo che vide intorno a sé forse il vuoto appena che l’avversa fortuna si abbatté sulla sua casa».

 

 

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