Queste sono le regole per non invecchiare mai, di Emanuele Coen
Stare a contatto con i giovani, scrivere. Viaggiare se si può. Restare curiosi. E non rifiutare la propria età che avanza. Lo psicoanalista Massimo Ammaniti spiega come raggiungere una serena terza e quarta età.
« Gillo Dorfles è una figura interessante: ha avuto interessi poliedrici in campi diversi, che ha sempre coltivato con grande creatività», commenta Massimo Ammaniti, psicoanalista di fama internazionale, professore onorario della Sapienza Università di Roma, che alle virtù della “quarta età” ha dedicato il saggio “La curiosità non invecchia” (Mondadori): raccolta di testimonianze di ottantenni e novantenni (tra gli altri Andrea Camilleri, Luciana Castellina, Raffaele La Capria, Aldo Masullo, Mario Pirani) che raccontano come è cambiato il loro modo di vivere sentimenti ed esperienze.
A riaccendere l’interesse di Ammaniti per Dorfles, qualche tempo fa, è stata la mostra antologica dedicata a quest’ultimo dal museo Macro di Roma. «Fino ad allora lo conoscevo come artista e critico d’arte. La retrospettiva ha rivelato un aspetto per me inedito: si laureò in Medicina specializzandosi in Psichiatria e, negli anni Trenta, dipinse una serie di ritratti di malati mentali».
Professor Ammaniti, si pensa che la vecchiaia coincida con il ripiegamento su di sé e la perdita di interesse per tutto quello che accade intorno. È un destino ineluttabile?
«Niente affatto. Essere a contatto con i propri pensieri, saperli elaborare, è una attività fondamentale che ci accompagna nel corso degli anni. E la vecchiaia è un periodo particolarmente fruttuoso, per riprendere il “De senectute” di Cicerone: la persona ritrova il filo della propria vita, scopre il desiderio che ha mosso la propria esistenza. L’accettazione dell’età che avanza genera riflessi positivi sul piano psicologico e anche sul cervello. Se invece la vecchiaia viene rifiutata si va incontro a un deterioramento generale, e nei neuroni possono depositarsi le placche senili che caratterizzano la malattia di Alzheimer».
Esiste un decalogo per restare giovani?
«Tra gli aspetti decisivi c’è la curiosità. Evitare di chiudersi nelle proprie abitudini e prendersi cura del corpo: mangiare bene, fare sport per quanto possibile, continuare a viaggiare. Ed è cruciale coltivare il rapporto con le nuove generazioni. I club per vecchi vanno bene, ma attraverso i giovani il vecchio resta in contatto con la vita».
In Italia gli over 65 continuano ad aumento, attualmente sono circa il 21 per cento della popolazione, tre punti percentuali in più della media europea. Ha ancora senso definirli anziani?
«Direi di no. A me il termine anziano non è mai piaciuto, troppo politically correct, preferisco vecchio. Oggi il ciclo vitale è cambiato profondamente: Dante, quando inizia “nel mezzo del cammin di nostra vita”, ha circa 35 anni, oggi lo stesso momento può essere collocato tra i 50 e i 60 anni. Negli Stati Uniti, ad esempio, sono state varate diverse leggi per contrastare la discriminazione dei lavoratori ultrasessantacinquenni. Il mio amico Jerome Bruner, tra gli artefici della rivoluzione cognitiva a livello mondiale che negli anni Cinquanta diede avvio all’era dei computer, era stato professore a Harvard e Oxford. A 98 anni insegnava alla School of Law della New York University».
Non a caso, tra le attività in grado di rallentare l’invecchiamento lei menziona la scrittura…
«Scrivere significa far vivere al di fuori di sé i propri ricordi, lasciare un’eredità. Mi viene in mente una frase che Freud disse a una collega che aveva scritto un libro: “Lo faccia uscire, lo pubblichi, lo faccia vivere”. La scrittura mette il nostro mondo a disposizione degli altri».
Giorgio Albertazzi, che lei ha intervistato, affermava che la bellezza era stata il tratto dominante della sua vita. La spinta estetica è garanzia di longevità?
«La ricerca del bello, costruire intorno a sé un ambiente più gradevole, fa vivere meglio e dà armonia interiore. Penso a Franco Zeffirelli: non riesce a muoversi, si sposta in casa con una macchinetta elettrica. Ma ci tiene molto all’aspetto fisico, è molto elegante come le altre persone che ho intervistato, attente alla maniera di porsi per compensare le proprie limitazioni».
L’amore è compatibile con la quarta età?
«Dalla mia esperienza so che nelle comunità per vecchi si creano grandi attrazioni e simpatie. L’amore è molto importante, come del resto l’investimento libidico, che non sfocia necessariamente nel rapporto sessuale ma rende la vita più ricca. Un mio amico, non più giovanissimo, mi ha raccontato un aneddoto: la madre, vedova di 85 anni, un bel giorno gli dice: “Ho conosciuto un signore tre o quattro anni più grande di me. Sai che ci troviamo tanto bene insieme?”. E allora il mio amico le risponde: “Mamma, ma questa è una fortuna, non ti preoccupare di papà”. E lei conclude: “Papà non lo dimenticherò mai”».
Quando ci si avvicina alla fine, la sensazione di vuoto può essere attenuata dalla speranza di una vita ultraterrena. Chi crede in Dio affronta la morte con maggior coraggio?
«Per chi ce l’ha, la fede è davvero un viatico importante. Anche se Andrea Camilleri una volta mi disse una cosa che mi colpì: “La morte in sé è fonte di curiosità, mi chiedo spesso cosa c’è dopo”. In ogni caso, come sostiene Freud, la religione aiuta davanti alla paura del trapasso. Un laico deve lavorare di più per dare un senso terreno alla propria vita».
L’ESPRESSO, 24 maggio 2017