Schäuble: così Francia e Germania cambieranno la Ue, di Tonia Mastrobuoni
Intervista con il ministro delle Finanze tedesco. “L’Italia non sarà esclusa, ma faccia le riforme”. “I Trattatti non si modificano ma va rafforzata l’eurozona”
BERLINO – Se fosse un quadro, quello che si vede dalle finestre del sobrio ufficio di Wolfgang Schäuble si potrebbe intitolare “il secolo breve”. Si intravedono un pezzo del Muro di Berlino, l’ingresso dei sotterranei della Gestapo e le scintillanti vetrine di Friedrichstrasse. E il ministro delle Finanze tedesco ha scelto di concedere a Repubblica quest’intervista in esclusiva in un “momento fatale” per il futuro dell’Europa, come lo avrebbe chiamato Stefan Zweig. L’elezione di Emmanuel Macron all’Eliseo non è un passaggio qualsiasi. Il politico cristianodemocratico 75enne, che fu protagonista di almeno due momenti chiave della storia tedesca, ministro dell’Interno di Kohl quando cadde il Muro e ministro delle Finanze di Merkel nelle fasi più acute della crisi, spiega nei dettagli come immagina, partendo dalla ripartenza franco-tedesca, il futuro dell’Euro.
Emmanuel Macron è stato eletto domenica presidente francese…
“…e Sebastian Vettel è in testa ai mondiali della Formula uno con la Ferrari! Il che dimostra che la collaborazione italo-tedesca, quando funziona, è imbattibile (ride, ndr)”.
…E il pericolo di un Le Pen all’Eliseo è scongiurato di nuovo. Ministro, il sollievo universale potrebbe significare che si torna a ‘più Europa’?
“Anzitutto siamo tutti contenti che Emmanuel Macron sia diventato presidente. E ‘più Europa’ è da un tempo la posizione del governo tedesco. In Germania pensiamo da molto tempo che l’Unione monetaria vada rafforzata. Il problema è noto: abbiamo una politica monetaria comune senza una convergenza adeguata delle politiche economiche e finanziarie. Ci sono molte iniziative per compensare questo difetto: il piano Juncker, piani bilaterali. Ora si tratta di migliorare, intanto, nei Paesi dove mancano le riforme strutturali e la competitività. Il piano Juncker è stato rafforzato a 500 miliardi di euro. Ora bisogna creare le condizioni per investire. Ci stiamo lavorando: siamo disponibili a piani di cooperazione franco-tedeschi – ma anche con altri paesi. Le condizioni, però, vanno create nei singoli Paesi”.
Cosa vuol dire?
“La strettoia, spesso, è dovuta non alla mancanza di fondi, ma alla mancanza di di presupposti per gli investimenti – anche in Germania. Un problema enorme sono le procedure per le autorizzazioni: infinitamente lunghe e farraginose. Il progetto dell’aeroporto di Berlino non sta fallendo per la mancanza di soldi, esattamente come la costruzione di strade nello Schleswig-Holstein o da altre parti. I mezzi non mancano, mancano le condizioni giuste”.
Macron ha espresso, come lei, il desiderio di rafforzare l’area dell’euro.
“Ne abbiamo parlato spesso, io e lui. Se legge mie vecchie interviste e articoli troverà molti punti in comune”.
Ma il suo Ministro delle Finanze comune ha altre caratteristiche, no? Lei vorrebbe che avesse possibilità di intervento sui bilanci.
“Sì, altrimenti non ha senso. E Macron e io la pensiamo esattamente allo stesso modo. Però bisognerebbe cambiare i Trattati europei”.
…E non si può fare? Neanche dopo le elezioni tedesche?
“Non è certo un problema della Germania. Il trasferimento di pezzi di sovranità nazionali all’Europa non è mai fallito per colpa della Germania o l’Italia, ma piuttosto della Francia. Il presidente Macron e io siamo totalmente d’accordo su questo: ci sono due modi di rafforzare l’eurozona: cambiare i Trattati oppure farlo con pragmatismo attraverso l’intergovernativo. Modifiche dei Trattati richiedono l’unanimità e la ratifica nei Parlamenti nazionali o in alcuni Paesi addirittura un referendum. Siccome al momento non è realistico, dobbiamo provare ad andare avanti con gli strumenti esistenti, dunque attraverso uno sviluppo del trattato che regola il fondo salva-Stati Esm”.
Il fondo salva-Stati Esm deve diventare un Fondo monetario europeo, come lei lo sostiene da tempo?
“Sì, ne ho parlato spesso con Mario Draghi: bisognerebbe rafforzare le istituzioni perché la Bce non debba sempre portare il peso di tutto. Ma ci vogliono cambiamenti dei Trattati. Però non possiamo neanche non fare nulla, perché rischiamo che si disgreghi l’Europa. La seconda migliore soluzione, dunque, è quella di creare un Fondo monetario europeo, sviluppando lo statuto dell’Esm”.
E su cosa siete già d’accordo con Macron?
“Potremmo rafforzare i meccanismi. Ne ho parlato anche con Emmanuel Macron: con i parlamentari del Parlamento europeo si potrebbe creare un Parlamento dell’Eurozona. Che potrebbe avere un potere consultivo sul fondo salva-Stati”.
Lei ha anche proposto che l’Esm diventi una sorta di istituzione terza che controlli rigorosamente i conti pubblici, senza margini di flessibilità. Una sorta di commissario della Commissione Ue…
“L’idea è semplice: se creiamo norme comuni, vanno applicate. Non mi piace essere criticato perché voglio che le regole siano rispettate. E’ il motivo per cui cresce la distanza tra i cittadini e l’Europa: quando non vengon rispettate le regole. E’ qualcosa che sfinisce le persone”.
E’ stato un errore riconoscere molta flessibilità all’Italia?
“No, e non ho mai criticato la Commissione Ue per questo. Lo chieda al ministro Padoan. E trovo che il Patto conceda abbastanza margini di flessibilità. A proposito: se i debiti creassero crescita, la Germania dovrebbe crescere di meno. E invece. Non si può dare sempre la colpa agli altri. Se la Francia ed altri hanno problemi, non può essere sempre colpa della Germania”.
Ma la Spagna cresce a ritmi robusti adesso, dopo anni di sforamento del disavanzo.
“La Spagna ha fatto soprattutto le riforme. A proposito: anche l’Italia ha fatto molte riforme. Ma ormai devo stare attento quando elogio il suo Paese. Quando l’ho fatto prima del referendum dello scorso dicembre la reazione dei media italiani non è stata gradevole. Ho grande rispetto per il lavoro che sta facendo Gentiloni. Spero non lo danneggi”.
Ma l’Italia cresce poco. Secondo lei perché?
“Non lo so. Anche il mio collega italiano, Pier Carlo Padoan, ritiene la crescita attuale insufficiente. Io penso che il percorso di riforme di Renzi, quando era presidente del Consiglio, sia stato giusto. Adesso temo che l’Italia soffra della fase attuale di incertezza politica. Spero sia rapidamente superata”.
Questa incertezza la spaventa?
“Ho una grande fiducia nella saggezza democratica dell’Italia. La Germania ha un interesse genuino al benessere di tutti, in Europa, compresa l’Italia”.
L’euro è “irreversibile”, come sostiene Mario Draghi?
“Sì”.
Pensa che vada introdotto un meccanismo per consentire a qualcuno di uscire?
“Se un Paese non vuole uscire deve fare riforme strutturali, come la Grecia. Con l’euro è finita l’era in cui alcuni Paesi restavano competitivi attraverso la svalutazione delle monete. E’ una scorciatoia politica. In questo sono perfettamente d’accordo con l’analisi di Mario Draghi sui difetti dell’eurozona. E quello che Draghi dice sempre è che i Paesi devono creare da soli le condizioni per crescere. In questo la Grecia sta migliorando. E il programmi di aiuti decisi durante la crisi per la Grecia, il Portogallo, Cipro, la Spagna e l’Irlanda sono stati molto criticati, ma hanno sempre portato risultati”.
Cos’altro può cambiare?
“Credo che il fondo salva-Stati ESM dovrebbe aiutare Paesi in difficoltà, ma penso anche che i titoli di Stato dovrebbero avere implicita, sin dall’emissione, la possibilità di una ristrutturazione. E un’altra cosa che va fatta, con cautela, è riconoscere la non neutralità dei titoli di Stato. So che è un tema spinoso. E penso anche che le regole per la ristrutturazione delle banche vadano applicate”.
Per lei la valutazione non neutrale dei titoli di Stato è un pre requisito per completare l’Unione bancaria con il deposito comune?
“Prima di mettere i rischi in comune, dobbiamo ridurli”.
L’Italia non sottoscriverà mai una cosa del genere.
“Ovunque, anche in Italia, i bilanci delle banche devono essere messi in ordine, va risolto il problema delle sofferenze. Su questo siamo d’accordo tutti. Lo abbiamo ampiamente fatto e alcune le abbiamo anche chiuse – Westdeutsche Landesbank non esiste più. E’ un percorso doloroso. Ma è accaduto anche in Portogallo o in Spagna: deve essere gestito in modo cauto. Abbiamo negoziato a lungo le regole per le banche, ma se poi non le applichiamo alimentiamo i populismi”.
Facile per il governo tedesco insistere sul bail in e su regole create dopo che avevate già salvato i vostri istituti di credito con soldi pubblici…
“Dopo il fallimento di Lehman Brothers emersero problemi acuti e fummo costretti ad agire in fretta. Poi si diffuse il pensiero che non bisognava più salvare le banche con soldi dei contribuenti. Una retorica globale. E allora abbiamo faticosamente creato regole per questo. E’ vero, abbiamo ristrutturato WestLB quando valevano altre regole. Adesso, però, le regole saranno applicate rigorosamente anche qui – e anche qui in Germania ci sono istituti di credito con problemi”.
Quindi la direttiva sul bail in, quella che coinvolge anche azionisti e risparmiatori nei salvataggi, non si può cambiare?
“Si può parlare di tutto. Ma finché valgono le regole attuali, vanno applicate”.
Lei è il politico più amato in Germania, ma nel resto del continente meno. E’ considerato il simbolo dell’austerità.
“Io sono il simbolo della crescita”.
E dove vede la crescita, in Europa?
“Ovunque! Per la prima volta da quasi un decennio la Commissione Ue si aspetta tassi di crescita positivi in tutti gli Stati membri. Io sono il ministro delle Finanze tedesco, quindi conosco soprattutto la Germania. Abbiamo una crescita forte e, grazie a una disoccupazione bassa, salari in aumento e consumi in crescita. Però sopporto il peso di essere considerato il capro espiatorio di tutti coloro che non riescono a risolvere i loro problemi, in Europa”.
E il surplus commerciale tedesco, non ha nulla a che fare con le sue politiche di risparmio che smorzano la domanda interna?
“Il surplus è per metà colpa dell’euro debole. E noi non crediamo che possa essere risolto se ci indeboliamo noi: sono gli altri che si devono rafforzare. La predominanza delle squadre spagnole in Champions League non può certo essere risolta indebolendo il Real Madrid. E’ la Juventus che si è rafforzata”.
‘Crescita inclusiva’ è la nuova parola d’ordine dei consessi internazionali, ma che vuol dire?
“Sono felice che finalmente sia un tema discusso al livello internazionale, dopo anni che ho cercato di introdurlo nelle riunioni del Fmi, del G7 e del G20. La crescita ‘inclusiva’ può essere ottenuta soltanto se le differenze tra i Paesi avanzati e quelli emergenti si riducono. E’ sbagliato dire che solo i Paesi più industrializzati debbano crescere di più. Ho sempre sostenuto che il divario va rimpicciolito. In Germania abbiamo avuto il padre dell’economia sociale di mercato, Ludwig Erhard. Lui diceva che la competitività e la stabilità sociale vanno sempre combinate, solo questo rende stabili le società. Vale anche per la comunità mondiale. Non è un caso che con la presidenza tedesca del G20 l’Africa sia per la prima volta nell’ordine del giorno”.
Lei è a favore di un assegno di disoccupazione comune in Europa, come Macron?
“Lasciamolo lavorare, intanto, ha un percorso complesso davanti a sé….In Europa abbiamo il problema che a causa degli standard di vita molto diversi tra Paesi, l’armonizzazione dei servizi sociali è un problema gigantesco”.
Lei ci crede al fatto che l’asse franco-tedesco possa rivitalizzare l’Europa?
“Noi tedeschi sappiamo che il nostro futuro sarà positivo solo se l’Europa starà bene. In Francia è in atto un processo interessante. Emmanuel Macron ha la stessa età di JF Kennedy quando divenne presidente. Ha fondato un movimento nuovo e ha vinto le elezioni. Trovo straordinario che sia andato sul palco del Louvre accompagnato dall’Inno alla gioia, l’inno europeo. Riempie molti giovani di speranza. Se qualche giovane in più fosse andato a votare a giugno in Gran Bretagna non avremmo avuto la Brexit. Però non dobbiamo neanche fare come se il rinnovato motore franco-tedesco fosse la ripartenza dell’Europa”.
Cosa intende dire?
“Senza l’Italia non si può fare l’integrazione europea. Ne sono sempre stato convinto: Carlo Azeglio Ciampi glielo potrebbe raccontare, se fosse ancora vivo. Le direbbe che (negli anni Novanta, ndr) un certo Wolfgang Schäuble, allora capogruppo della Cdu al Bundestag, si impegnò molto per fare entrare l’Italia nel gruppo di testa dell’euro, nonostante i problemi finanziari che aveva. E l’Italia ha fatto un’impresa grandiosa, all’epoca. Ma poi ci si è riposati per un ben pezzo sugli allori. L’Italia deve proseguire sul percorso di riforme. E’ quello che volevo dire prima del referendum di dicembre scorso”.
Lei è stato ministro delle Finanze durante la Grande crisi…
“Quale crisi? L’eurozona cresce dello 0,5% nel primo trimestre, i dati finanziari migliorano. La crisi è alle nostre spalle e adesso dobbiamo capire come andare avanti in modo positivo”.
Fu un errore la sua proposta di far uscire temporaneamente la Grecia dall’euro, nel drammatico luglio del 2015?
“Le sa ciò che Pier Carlo Padoan disse pubblicamente: una stragrande maggioranza dei ministri delle Finanze erano convinti che sarebbe stato meglio se la Grecia fosse uscita temporaneamente dall’euro. E’ stata la Grecia a decidere diversamente. Adesso ci stiamo impegnando perché il terzo pianto di aiuti abbia successo”.
Lei è famoso per essere leale. E’ anche una qualità che riconosce a se stesso. Lo è stato con Helmut Kohl, ma anche l’anno scorso con Angela Merkel, quando la crisi dei profughi aveva fatto emergere indiscrezioni sul fatto che lei potesse sostituirla alla cancelleria. Lei invece preferì rimanerle leale. Perché?
“Ho un’idea un po’ démodé della politica. Ovvio che sono molto ambizioso e ho l’esigenza di impormi. Altrimenti non sarei un politico. Ma cerco sempre di dire che non io sono la cosa più importante. E’ vero, sono leale. Ma proprio perché sono leale, sono libero e scomodo. E forse in questa combinazione è tollerabile.
Il correre della sera, 11 maggio 2017