Il suo nome VERO è ‘MULIERICIDIO’. L’originale riflessione sul tema epocale sviluppata in Sardegna da NEREIDE RUDAS. Intervento di Michela Deriu
Con l’intervista finale alla dott.sa Sabrina Perra, coautrice del libro insieme al prof. Giuseppe Puggioni.
“Donne morte senza riposo” un’indagine sul muliericidio (AM&D Edizioni, pag.331, anno2016) e’ l’ultimo lavoro di Nereide Rudas in collaborazione con Sabrina Perra e Giuseppe Puggioni.
L’ argomento che viene trattato sempre di piu’ riempie le cronache dei media nostri tempi.
Il tema è stato piu’ volte affrontato ma Rudas,Perra, Puggioni,svolgono l’argomento con altra chiave rispetto ad altri lavori, dello stesso genere, gia’ noti.
Importante il vocabolo che si è voluto utilizzare :
muliericidio, diverso da femicidio, diverso da femminicidio.
Il termine femicidio utilizzato dalla sociologa statunitense Diana Russell definisce per la prima volta una violenza di genere con connotazione sessista e misogina.
Successivamente l’antropologa messicana Marcela Lagarde amplia i confini dell’opera della Russel.
Se infatti per la Rassel l’evento dell’omicidio e’ necessario perche’ si configuri il femicidio, la Lagard con feminicidio intende denunciare tutti gli eventi in cui la violenza contro le donne investe ogni relazione sociale, culturale e politica. L’evento della morte non e’ necessario, poiche’ si puo’ parlare di femminicidio anche in presenza dell’annientamento somatico, esistenziale e psicologico della vittima.
Cos’e’ allora il muliricidio?
E’ sempre, come precedente affermato, un reato di genere, e’ un reato misogino e sessista che affondano le radici in una realtà culturale dove persiste nella simbologia la presunta superiorita’ maschile ma non solo.
E’, direi soprattutto, un reato domestico o di prossimita’, commesso da un uomo con la quale la vittima ha avuto una relazione interpersonale stretta, sentimentale o in qualche modo intima.
Non nasce improvvisamente .
È il risultato di una lunga e dolorosa catena di violenze progressive che sfociano nella piu’ atroce brutalita’ quando la vittima cerca di rompere la relazione o quando la rottura e’ gia’ avvenuta.
E’ bene sottolineare che l’indagine di questa ricerca è volta trovare le cause della violenza di in questi uomini”dominanti a tutti costi” esclusivamente nell’humus culturale in cui si svolgono. E’scartata l’ipotesi un movente psicopatologico da parte degli uomini e una codipendenza da parte delle donne.
La Rassel pubblica il suo lavoro Femicide.The politics of woman killing nel 1992 , nel 1985 Robin Norwood pubblica il suo”Donne che amano troppo”.
La Norwood psicoterapeuta americana, attribuisce alle donne vittime di violenza, di cui presenta i casi clinici, come donne affette da dipendenza. La volonta’ di legarsi a uomini violenti e’ da ricercare nel loro vissuto malato.
Tuttora”Donne che amano troppo” e’in cima alla classifiche mondiali delle vendite.
L’approccio dell’indagine dei nostri Autori e’ totalmente diversa, non esistono casi clinici ma testimonianze di donne che alle loro spalle avevano una vita non disturbata.
Le storie delle donne di”Donne morte senza riposo” hanno come denominatore comune un vissuto pregresso normale e sereno.
Non c’e’ nulla di patologico, non si puo’ ascrivere ad alcuna malattia mentale l’atteggiamento sia dell’abusato che dell’abusante, si devono ricercare la cause nella cultura dominante.
Questo e’ il messaggio e l’oggetto dell’indagine.
”Donne morte senza riposo” e’una lettura complessa, tanti sono gli elementi che emergono.
L’ accurata ‘indagine statistica sul muliericidio in Sardegna affonda l’analisi fin dal lontano 1600, da questo lavoro emerge che nella nostra isola esiste una diversa distribuzione territoriale del tragico fenomeno. La violenza sulle donne e’ meno diffusa nelle zone rurali interne mentre e’ piu’ diffuso nelle zone urbane e suburbane.
E’ interessante osservare che Le donne che prestano la loro voce nel saggio, pur avendo origini deverse, alcune non sono sarde, e proveniente da ambienti e ceti sociali differenti hanno almeno due denominatori in comune : tutte hanno un vissuto familiare sereno; colui che sara’ il loro carnefice non manifesta subito la volonta’di opprimerle ma questo avviene nel tempo, il progetto del partner e’ comune, ridurre la vittima ad un totale stato di illiberta’ .
L’uomo abusante nell’utilizzare strategie che portano le loro vittime all’annientamento del proprio senso di si richiama alla cultura che riconosce nel maschio una supremazia simbolica.
A tale proposito la Professoressa Rudas contrasta la teoria freudiana dell’invidia penis con la sua originale teoria dell’eccedenza. La donna in quanto femmina e generatrice di vita”eccede” in natura e non puo’ sentirsi deprivata a causa dell’organo maschile.
Forse proprio a causa di questa naturale eccedenza intrinseca la donna non ha creato fuori di se una simbologia che supportasse la sua supremazia.
”Nella fase sessuale materna, quella fase cioe’ di creazione, fondazione e trasmissione degli elementi , la partecipazione femminile e’cosi evidentemente prevalente e dominante, che sembra persino assurdo che sia stata teorizzata un’invidia femminile verso il maschio.”
Nereide Rudas ci ha lasciati, abbiamo chiesto alla coautrice Sabrina Perra di illuminarci su aspetti e intenzionalità di “Donne morte senza riposo”.
Il muliericidio è un reato identitario. Nell’ identità sono presenti due dimensioni l’autoconsapevolezza e l’eteroriconoscimento. Specificamente nell’identità sarda, donne matricentriche e uomini balentes, come si collocano nel più ampio panorama generale del muliericidio ?
Il discorso identitario è uno dei più complessi tra quelli affrontati nel volume. Nell’identità si coagulano elementi soggettivi e collettivi riferibili alla storia e alla cultura (intesa nel suo senso più ampio) dei singoli e dei gruppi a cui essi appartengono. Vi è dunque una parte generale che attiene i processi di costruzione delle identità – soggettive e collettive – e una specifica che si riferisce alla Sardegna. Questa dimensione è rappresentata collettivamente da un presunto matriarcato e dalla figura, quasi mitica dell’uomo balente.
Per quanto riguarda il primo aspetto, ovvero i processi di costruzione dell’identità, con specifico riferimento all’esperienza storica in Sardegna, nel volume abbiamo identificato una componente di autoconsapevolezza e una di eteroriconoscimento. Queste due dimensioni sono state alla base del discorso identitario sardo che si sviluppa tra il tentativo di preservare elementi specifici della “sardità” e quello opposto di apertura che porti ad un apprezzamento di tali componenti non minoritari. Si tratta di un percorso complesso di cui è difficile dare conto. Soffermandoci sul solo rapporto che tali elementi hanno rispetto al muliericidio, i dati a nostra disposizioni evidenziano che tale reato non si distribuisce in maniera omogenea nel territorio regionale. Esso è meno diffuso nelle sub-aree in cui sono più marcate dove i sentimenti identitari si connotano per una maggiore adesione agli orientamenti tradizionali. Il reato si concentra nelle aree urbane, suburbane e costiere più esposte alle influenze esterne in cui vi è un’attenuazione delle componenti più tradizionali. Queste evidenze non devono spingere però verso facili automatismi e strumentalizzazioni, soprattutto politiche che contrappongano aree urbane e rurali. Più convenientemente sarebbe auspicabile, a partire da tali evidenze, che i più giovani fossero coinvolti in una discussione pubblico-politica rispetto all’identità sempre più aperta al confronto e capace, come già accade, di svilupparsi in modo autentico, ovvero incentrata su elementi storici saldi e non di fragili miti.
Tali elementi si riconnettono al discorso sulla mascolinità e femminilità in Sardegna. Mentre la mascolinità è stata ampiamente studiata e ricostruita, la femminilità è stata ricondotta allo schema del matriarcato. Pochi studi sono stati condotti sul tema, ma quelli condotti in vari ambiti scientifici, dimostrano che per la Sardegna si può parlare di una forma di matricentricità incentrata sul riconoscimento di valore a capacità pratiche e simboliche strettamente legate alla domesticità. A questi si aggiunge un codice dell’onore molto diverso da quello descritto per le altre regioni del Mezzogiorno e che meglio si adatta ai codici della mascolinità osservabili in Sardegna, tra cui quella del balente. Questa dimensione è stata discussa soprattutto in relazione alla violenza, ma nel discorso specifico sul muliericidio è importante osservare che esso presenta tratti distanti dalla mascolinità egemone (così come descritta nel volume) cui si associano più di frequente comportamenti violenti all’interno della coppia.
La violenza domestica in quanto fenomeno culturale è passibile di trasformazione. Sabrina Perra è anche curatrice (con E. Ruspini) di un volume dal titolo “Trasformazione del lavoro nella contemporaneità. Gli uomini nei lavori non maschili” in cui si evidenziano numerosi elementi di trasformazione rispetto alla mascolinità a partire dalla divisione sessuale del lavoro.
Per accelerare questo processo di mutamento sociale di riduzione della violenza domestica, cosa potrebbero fare i singoli e le istituzioni?
Il mutamento sociale è un processo lungo e difficilmente governabile. Spesso i tentativi di indurlo si avvalgono di guerre, di oppressione delle libertà individuali e collettive, di forme di controllo sociale dello stato che tenta di disciplinare i comportamenti degli individui con pratiche e discorsi egemonici che accentuano le gerarchie sociali e le disuguaglianze. Le donne sono state e continuano ad essere vittime di tali processi, anche nei paesi che si dicono democratici e sono riconosciuti formalmente tutti i diritti. Le pratiche del controllo sociale e della subordinazione ad un ordine sociale patriarcale si sviluppano sia in ambito privato, sia pubblico. Spesso, il potere politico sostiene tale ordine mediante il suo profilo istituzionale e normativo, soprattutto in alcuni ambiti. Il sistema di welfare, le politiche sociali di assistenza e previdenza, l’organizzazione del lavoro e dei tempi di vita ancora profondamente caratterizzati dal modello fordista tendono a rafforzare le gerarchie di genere costringendo le identità maschili e femminili in schemi non più adeguati ad esprimere le soggettività più innovatrici e fornendo rappresentazioni sociali dei generi e del rapporto tra loro improntate su mascolinità egemoni. A tale proposito si possono considerare alcune campagne pubblicitarie istituzionali, i discorsi pubblico-politici sui corpi, sulla sessualità, sulle genitorialità, per citarne solo alcuni. Anche quella che è stata definita la “legge sul femminicidio” è intrisa di questi elementi e mostra tutte le colpevoli arrendevolezze dello stato nel tutelare le donne cui riconosce una cittadinanza incompleta.
Gli ambiti di intervento sono molteplici perché la riduzione della violenza domestica è il prodotto indiretto di trasformazioni profonde della vita collettiva cui contribuirà un processo educativo che si strutturi in modo più simmetrico per maschi e femmine e sviluppi nei più giovani mascolinità e femminilità consapevoli e non gerarchizzate. Si tratta di interventi di lungo periodo che devono cominciare quanto prima e che sia veicolata mediante tutti i canali della socializzazione, prima fra tutti la scuola. Vi sono poi molteplici interventi diretti di “breve periodo”. In primo luogo un nuovo assetto normativo che sanzioni negativamente la violenza, ma soprattutto che tuteli e sostenga le vittime della violenza mediante strumenti di protezione e di emancipazione dagli esiti dei processi di vittimizzazione subiti. Servono inoltre misure di prevenzione e di identificazione precoce della violenza domestica che intercettino anche indirettamente coloro che si trovano o rischiano di vivere relazioni violente. La scuola, il sistema sanitario, i luoghi di lavoro costituiscono gli ambiti privilegiati perché sono i contesti sociali che possono arginare l’isolamento che rappresenta il primo passaggio nei percorsi della violenza. L’esclusività che la coppia predilige come schema relazionale iniziale può divenire solitudine e alienazione dalle relazioni quotidiane e favorisce il processo di de-costruzione dell’identità che è alla base di tutti i rapporti violenti.
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Nel corso della stesura dell’articolo abbiamo rivolto delle domande alla prof.sa Sabrina Perra. La ringraziamo.
Nereide Rudas, in Sardegna quasi un mito , che esperienza è stata lavorare con lei?
L’incontro con Nereide è stato un evento straordinario, sotto il profilo scientifico e personale. Si è creata da subito una grande affinità che ne nostri incontri si è rafforzata grazie anche alle discussioni su tanti altri aspetti delle nostre vite. Nereide mi ha dedicato molto del suo tempo, ma soprattutto delle sue conoscenze, competenze, della sua professionalità. Benchè partissimo da presupposti scientifici e metodologici differenti, sin dal primo incontro, Nereide ha voluto che ogni aspetto della nostra ricerca fosse il risultato del confronto, della discussione, della comparazione di metodi e di risultati di ricerche condotte anche in precedenza. Questo percorso è stato condiviso anche con il Prof. Puggioni (co-autore del volume) che con Nereide aveva condiviso numerosi percorsi di ricerca e l’amicizia di una vita. I loro studi sulla criminalità e la violenza in Sardegna sono stati un punto di riferimento in questo lavoro. Con grande generosità entrambi mi hanno avvicinato alla criminologia, ma soprattutto al metodo multidisciplinare. I nostri incontri sono stati un’occasione di apprendimento preziosissimo in cui non ho mai percepito alcuna gerarchia, né le differenze di generazione e di genere. La curiosità di Nereide per i temi e metodi più recenti della sociologia mi hanno consentito di metterli alla prova nel confronto con discipline che partono da presupposti estremamente differenti. Il confronto è stato spesso serrato, ma sempre rispettoso dello statuto scientifico delle nostre discipline. Nella stesura del testo ci siamo spesso soffermate su singole parole e ogni frase è stata scritta cercando di renderla accessibile a qualunque lettore e lettrice. Il lavoro è nato per la volontà degli autori di scrivere un libro per le donne e non sulle donne. È stato questo il filo conduttore del nostro lavoro.
Sul piano personale mi rimane il ricordo delle nostre chiacchiere sulla poesia, l’arte, la religione, le passioni politiche, le nostre vite. Il suo sorriso, la sua ironia che si manifestava in una parola o in un gesto della mano, mi ricordano ogni giorno la fortuna del nostro incontro e della amicizia.