Woodcock: legalizzare la marijuana di HENRY JOHN WOODCOCK
L’autore è sostituto procuratore presso il tribunale di Napoli.
CARO direttore,
iIprossimi 5 e 6 maggio, nelle sale dell’Istituto Italiano per gli Studi filosofici, si è tenuto un convegno promosso dalla associazione “Not dark yet” (Non è ancora buio), dal titolo “Prima (invece) di punire”. La mattinata di venerdì è stata dedicata al tema della legalizzazione della cannabis, proposta come una strategia per combattere l’illegalità. Parteciperò anche io a questa sessione, insieme ad altri autorevoli personaggi come Franco Roberti (Procuratore Nazionale Antimafia), il senatore Benedetto Della Vedova (promotore di una proposta di legge sul tema che ha raccolto moltissimi consensi) e il giurista Fernando Rovira, che ha contribuito alla stesura della prima legge che, in Uruguay, ha regolamentato la vendita della cannabis, come specifica strategia per combattere il narcotraffico.
Dopo la coraggiosa iniziativa di questo piccolo Stato dell’America Latina, anche alcuni Stati nord americani, come il Colorado e Washington DC, hanno liberalizzato l’uso delle droghe leggere per scopi ricreativi, ad essi si sono poi aggiunti l’Oregon e l’Alaska e, in concomitanza con le elezioni presidenziali dello scorso novembre, anche in altri 8 Stati (tra cui l’immensa California) sono passati referendum che proponevano il libero uso della marijuana per scopi medici e/o ricreativi.
Si tratta, io credo, di un fiume che sarà difficile arrestare. Recentemente anche il premier canadese Justin Trudeau si è fatto promotore di una legge di legalizzazione dell’uso della marijuana per scopi ricreativi e, anche in Italia, qualcosa si sta muovendo. A partire dalla sentenza del 12 febbraio 2014, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della legge Fini-Giovanardi, ripristinando una rilevante differenza di pena tra droghe leggere e droghe pesanti. E dal modo in cui, già in più occasioni, la Direzione nazionale antimafia (Dna) ha trattato la questione nelle sue annuali relazioni al Parlamento. Nella prima di queste, si parla infatti del notevole incremento di sequestri (nello scorso anno 147.132 kg, pari al +120%), e si conclude che – calcolato il sequestrato inferiore di almeno 10-20 volte al consumato – la massa circolante di cannabinoidi soddisfa un mercato di “dimensioni gigantesche”. Insomma ogni abitante in Italia, compresi vecchi e bambini, avrebbe a disposizione dalle 100 alle 200 dosi all’anno. Si tratterebbe dunque di un fenomeno paragonabile, secondo la Dna, “quanto a radicamento e diffusione sociale” a quello dell’utilizzo di altre sostanze lecite quali alcool e tabacco.
Ciò che è più importante, però è che la Dna afferma il “totale fallimento dell’azione repressiva ” e suggerisce al legislatore la depenalizzazione, di cui descrive i vantaggi: deflazione dei carichi giudiziari, possibilità di dedicarsi al contrasto di fenomeni criminali più gravi e, non ultimo, sottrazione alle gang di un mercato altamente redditizio. Fra i vantaggi, non vengono contemplati gli introiti che lo Stato italiano ricaverebbe da una legalizzazione, e si tratterebbe di svariati miliardi di euro. Intanto in Colorado prosegue la corsa a quello che viene oramai definito “l’oro verde”, con l’apertura di centinaia di dispensari, che impiegano migliaia di dipendenti e pagano le tasse. Per non parlare dell’indotto, con avvocati specializzati nel “diritto della marijuana”, commercialisti, tecnici della coltivazione e della trasformazione… La scelta della depenalizzazione si fa dunque sempre più matura e si consolida nell’opinione pubblica. E riguarda molto Napoli, da alcuni additata come “la capitale dell’illegalità”. Sommessamente penso che debba affermarsi l’idea che il contrasto solo “militare” dei fenomeni criminali sia troppo costoso (in termini di risorse materiali, ma anche di sperpero di vite e destini individuali) e si sia dimostrato fallimentare, come dice oggi la Dna a proposito delle droghe leggere. Varrebbe la pena di cominciare a pensare a strategie di contrasto dell’illegalità che superino una impostazione meramente repressiva, e soprattutto bisognerebbe immaginare ad un progetto che in un futuro, speriamo non lontano, consenta di impiegare le “energie umane”, oggi impiegate nel mercato illegale della cannabis (e, di regola, sfruttate dalla criminalità organizzata), nell’auspicabile “mercato legalizzato” della stessa.
Il correre della sera, 05 maggio 2017