Perché diciamo no al “regionalismo differenziato”? Semplicemente perché la Sardegna non è Italia, di Franciscu Sedda
Perché diciamo no al “regionalismo differenziato”? Perché il documento politico firmato a Cagliari il 28 aprile scorso dai Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni a Statuto speciale e delle Provincie autonome parte dal presupposto implicito che la Sardegna sia una regione d’Italia mentre la Sardegna è una nazione storica differente dalla nazione italiana. In quanto tale, quando la Sardegna pone il problema del superamento dell’attuale organizzazione dei poteri, lo fa – lo deve fare – non per riformare l’Italia ma per affermare davanti all’Italia la necessità del popolo sardo di avanzare sulla strada dell’esercizio dei suoi diritti nazionali e della sua prospettiva di autodeterminazione nazionale all’interno del quadro europeo.
La questione sarda, in quanto questione nazionale, non può omologarsi e sciogliersi nell’ennesimo tentativo di riforma italiana. Men che meno, per noi del Partito dei Sardi, può ancora valere l’idea autonomista dei sardi “primi italiani”, i “primi a sacrificarsi”, quelli pronti a tirare la volata a riforme fatte per il bene dell’Italia e della sua democrazia che puntualmente lasciano immutata o aggravano la condizione dei sardi e della Sardegna. L’Italia e gli italiani hanno tutto il diritto di riformare la loro Costituzione. Che lo facciano in senso federalistico o in senso centralistico non cambia di una virgola il dato essenziale: la Sardegna e il popolo sardo, se vogliono vivere e prosperare, hanno il diritto e il dovere di trovare e perseguire la propria strada, vale a dire, costruire, attraverso la partecipazione democratica, l’attivismo civico, il consenso politico una propria prospettiva nazionale, un proprio Stato, fuori dall’Italia e dentro il contesto federalista europeo.
O si assume questa posizione, o il nostro Parlamento e le nostre istituzioni hanno il coraggio di assumere questa posizione come si è intravisto accadere nella storica Assemblea congiunta fra Sardegna e Corsica, oppure il tema dell’autogoverno verrà ancora una volta ridotto a mera questione tecnica ed amministrativa. Perché questa è l’idea autonomistico-federalista sarda, per quanto ad alcuni faccia male confessarlo: fare in Sardegna ciò che è giusto per l’Italia, comandare e agire in Sardegna in nome e per il bene dell’Italia (o di qualcuno dei progetti per l’Italia che si scontrano di tempo in tempo sul palcoscenico pubblico).
Con tutta la serenità di questo mondo noi diciamo che all’Italia auguriamo ogni bene ma la Sardegna non è Italia.
Proprio come ciò che si festeggia il 28 aprile non è una “giornata di autonomia” – com’è scritto nella nota del Consiglio regionale che precede il documento sul regionalismo differenziato – ma una giornata in cui si ricorda e commemora la Sarda Rivoluzione, il tentativo della Nazione sarda di riaffermare la propria piena ed originaria sovranità.
Ieri come oggi devono valere e vanno tradotte al futuro le parole de L’Achille della Sarda liberazione, il testo che circolava durante la rivoluzione: “La Nazione sarda contiene in se stessa delle grandi risorse per poter sviluppare una grande forza coattiva, onde far rispettare la sua costituzione politica”.
È tempo di ritrovare coraggio, sviluppare forza, scrivere la nostra costituzione, affermare pacificamente e pienamente la nostra esistenza in Europa e nel Mondo.
A innantis!
Franciscu Sedda
Segretario Nazionale Partito dei Sardi
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Professor of Semiotics
Department of Philology, Literature, Linguistics
University of Cagliari
Professore di Semiotica
Dipartimento di Filologia, Letteratura, Linguistica
Università degli Studi di Cagliari
Studio:
via San Giorgio, 12
09124 – Cagliari