I cori razzisti nella gara contro la squadra della città di Gabriele D’Annunzio. Evviva l’Africa, evviva il Ghana, di Gianfranco Murtas
Mi piacerebbe che nelle gare sportive vi fosse, prima che la tecnica e l’agonismo, l’educazione e la… sportività. Sempre. E magari la squadra di casa accogliesse quella che viene da fuori, e le dedicasse qualche ora, il giorno prima della partita, per visitare la città, qualche suo angolo nobile. Si potrebbe… lo potrebbero intanto le squadre giovanili, quelle impegnate negli sport i più diversi, non soltanto nel calcio. E sarebbe bello che le squadre che vengono da fuori portassero, non soltanto il gagliardetto, ma anche qualche libro, qualche album fotografico della propria città, anticipando una restituzione di cordialità ospitale, alla gara di ritorno.
I pescaresi avrebbero potuto portare qualche opera illustrativa della loro bellissima città, e avrebbero potuto riaccendere in noi la memoria storica delle mille occasioni di relazione fra i sardi e D’Annunzio, fra D’Annunzio e noi, non soltanto a Fiume… L’animus crea l’atmosfera.
Giuste – val bene qualificarle così – le espressioni adoperate da Enrico Pilia nel fondino della sezione sportiva dell’Unione Sarda di oggi (lunedì 1° maggio, festa del lavoro e di Sant’Efisio) riguardo ai cori razzisti che qualche vociante ha lanciato in cooperativa da una curva del Sant’Elia in occasione della partita di ieri fra Cagliari e Pescara. “Combattiamo i cretini del buu” è il titolo dell’articolo.
Come vecchio allievo, e poi amico sodale, del compianto professor Fernando Pilia – professore di virtù civica prima ancora che di lingua e letteratura italiana, e di archeologia, e di etnografia, e di ogni altra scienza bella che nobilita la nostra storia sarda – so quanto il deficit che sta montando anche da noi, terra di lavoro e accoglienza, sia un deficit di educazione alla prossimità, alla identità e alla alterità insieme, un vuoto o un indebolimento del senso comunitario.
Ho seguito, proprio in questi giorni, i discorsi di papa Bergoglio pronunciati in Egitto e quel certo suo insistere sulla bellezza delle polifonie anticonvenzionali, quelle espressive di talenti i più diversi ma mossi da uno stesso intento reciprocamente oblativo. E’ l’immagine che ho del mosaico, della integrazione che vale come inclusione non omologante. E perché non portare la metafora anche allo sport, cioè alla sede dove è ben lecita ed anzi pertinente la competizione? S’intende la competizione non arrogante, la competizione che vale per il mutuo riconoscimento dei partecipanti e si mostra al pubblico nell’unità del podio ben più nei suoi gradoni, nei numeri del tabellone elettronico che danno la misura dell’impegno nel gioco.
Sulley Muntari avrebbe dovuto essere abbracciato dai suoi e dai nostri, insieme, e accompagnato da tutti i giocatori – in primis dai capitani (dal nostro Daniele Dessena) – attorno al campo, per l’applauso di tutti gli spettatori. Il Ghana vale dieci territori della Sardegna, vale venti popolazioni della Sardegna. Avevamo, residenti nel capoluogo della Sardegna, al 1° gennaio 2016, ventiquattro ghanesi, fra i quasi milletrecento del continente nostro dirimpettaio mediterraneo, gente nostra restando orgogliosamente africana…
La società per azioni Cagliari calcio, modesta nel vertice d’oggi come modesta fu quella di Cellino – del Cellino che rivelava dallo storico labbiale (passato centinaia di volte in televisione e fatto spettacolo in sé pochi anni fa) l’antisportività del padrone, e lo sprezzo dato di ogni sentimento pedagogico verso i ragazzi che guardano al gioco e allo sport – pure stavolta, con dichiarazioni sparse e perdute, non ha saputo cogliere il potenziale enorme che può avere, in termini di educazione alla prossimità, anche lo sport professionistico d’alto livello tecnico.
Gli episodi si ripetono, si ripeteranno. La vergogna di quel che accadde a Sassari poche settimane fa è vergogna che incombe su di noi. Sassari è – lo dico da cagliaritano amico del professor Manlio Brigaglia, che è un sassarese che ha studiato a Cagliari ed ama Cagliari – una città d’oro per mille qualità della sua storia e del suo presente: da lei sono venute e vengono testimonianze di democrazia e socialità che hanno unito ed uniscono gli spiriti migliori e migliorano noi, ultimi arrivati, che abbiamo occhi per vedere e guardare. Una più esplicita presenza del sindaco Zedda a Sassari, per restituire fraternità a chi ha sofferto intrusione e volgarità e violenza, due mesi fa, sarebbe stata opportuna e forse necessaria.
Non si può liquidare ogni episodio come bizzarra intemperanza di minoranze estreme. E neppure noi possiamo immaginare che la smodatezza belluina di certuno non derivi tanto spesso da difficoltà dell’essere personale e di gruppo, da frustrazioni di altra natura ed origine. Ciò non di meno resta il fatto che scindere lo sport – anche lo sport “tifato” (o soltanto questo, ché quello praticato è pressoché sempre virtuoso) – dalla educazione sociale è un non senso, un arbitrio, un boomerang.
Il presidente Giulini, che è giovane, spero non abbia inteso la sua avventura con il Cagliari calcio che volge al suo primo secolo di storia, come un puro passaggio d’investimento finanziario. E peraltro so bene che le visite dei giocatori nelle scuole, le prestazioni offerte al pubblico dei centri dell’interno dell’Isola sono, molto più di uno store 4 Mori nella piazza Yenne, opzioni che dicono di una volontà positiva nel senso della partecipazione sentimentale. Ma serve di più, molto molto di più. Non soltanto per limitare i danni offensivi provocati dai maleducati, ma per far crescere nella festa della gara, che nessuno mai può escludere – tanto meno gli avversari, e meno che meno per ragioni che non attengono alla competizione –, un pubblico che non potrebbe essere tifoso se prima non sportivo.