Unione europea, i motivi per scegliere i popoli del Sud (alla faccia dell’olandese), di Enrico Lobina
Il 25 marzo del 1957 sei paesi si incontrarono a Roma per firmare i trattati riguardanti il mercato comune europeo. Dopo 60 anni si ritroveranno a Roma 28 paesi, la cui maggioranza da anni vive con difficoltà la propria permanenza in questa organizzazione internazionale.
Addirittura la Gran Bretagna, mediante un referendum, ha deciso di uscirne.
Così come nel caso delle celebrazioni dell’Unità d’Italia del 2011, il rischio è che la retorica si imponga.
In Italia nel 1961 si ebbe il coraggio di sottolineare tutto quello che non funzionava e, nel 2011 invece, sia perché i problemi erano aumentati sia perché la politica non aveva alcuna risposta, re Giorgio Napolitano organizzò qualche convegno super-anestetizzato pieno di miele.
Il 2017 europeo non potrà essere così. I problemi sono troppi ed i popoli sono infuriati, anche se non hanno una guida.
Unione Europa si o Unione Europa no è un falso problema. L’alternativa non è tra euro e lira. L’alternativa non è tra Unione Europea e nazione.
La soluzione alla crisi europea è decidere se stare col popolo o con l’élite che governa, che va rovesciata. Decidere se stare con chi lavora, e produce la ricchezza, o chi sta con le banche.
Il ministro degli esteri olandese Jeroen Dijsselbloem non trova affidabili i paesi del Mediterraneo perché avremmo speso i soldi europei “in alcool e donne”.
A lui ha risposta, attualizzando una moderna questione meridionale (dell’Europa) Senso Comune. Con una infografica ormai famosa su “I motivi per scegliere i popoli del sud Europa” chiariamo di quali colpe vivono i popoli del sud Europa:
“Lavorano più ore di quelli del nord ma rimangono fannulloni;
I loro giovani sono ottimi camerieri;
Li puoi semi-colonizzare in nome dell’Europa;
Comprano elettrodomestici del nord a gogo;
Salvano le banche tedesche da bancarotta certa;
I loro politici starnazzano un po’ ma alla fine obbediscono sempre”.
Agli occhi di un sardo, che conosce il carattere coloniale delle politiche italiane e savoiarde, non suona strano. Ma ormai la battaglia è a livello europeo.
Il tema è se la sovranità deve tornare al popolo, e come ci si organizza a livello europeo e mondiale. Il Movimento 5 Stelle non ci aiuta: non ha le idee chiare, cambia gruppi parlamentari europei che hanno idee molto diverse, ma che in ogni caso stanno con le banche e con le élite. Il referendum sull’euro è una scorciatoia per non presentare un programma sull’Europa.
A noi, popoli del Sud Europa e popoli europei, serve un piano A, ma anche un piano B ed un piano C.
Il piano A è la riscrittura dei trattati europei, partendo da principi economici e politici chiari. Personalmente ritengo imprescindibile l’introduzione di “uno standard sociale internazionale sui movimenti di capitali”.
Il piano B è una alleanza dei paesi del Mediterraneo, i quali si rendono conto che l’Europa che si sta costruendo (Europa a due velocità, subalternità alla Nato) è completamente sorda alle richieste fatte, e quegli stessi paesi organizzano un proprio livello di relazioni economiche, sociali e politiche internazionali.
Il piano C è immaginare come reagire, da soli, al ricatto di Francoforte e di Bruxelles.
Da Il fatto quotidano 23 marzo 2017