Cesare Pintus, il sindaco della ricostruzione cagliaritana (ottobre 1944 – marzo 1946). Un convegno nel palazzo municipale, di Guido Portoghese
Nella FOTO: Guido Portoghese, presidente del consiglio comunale di Cagliari.
Ad iniziativa del CID – Centro di Iniziativa Democratica – e del suo presidente Pietro Maurandi, si è svolta lo scorso lunedì 13 marzo, nella aula consiliare del Comune di Cagliari, una bella tornata convegnistica tesa ad onorare la figura luminosa di Cesare Pintus, sindaco del capoluogo nella stagione ciellenista.
Ne hanno trattato il professor Aldo Borghesi, storico stimato e prolifico, esponente dell’istituto per la storia dell’antifascismo e dell’età contemporanea nella Sardegna centrale oltreché dell’istituto sardo per la storia della resistenza e dell’autonomia, ed il dottor Marcello Tuveri, fin da giovanissimo militante del Partito Sardo d’Azione e successivamente (dopo la confluenza della corrente autonomista antiseparatista del PSd’A nel Partito Repubblicano Italiano) dirigente regionale dell’Edera.
Con Borghesi e Tuveri ha parlato di Cesare Pintus, introducendo la serata, il presidente del Consiglio comunale di Cagliari, ingegner Guido Portoghese. Il suo intervento è stato pubblicato dei giorni scorsi dal sito istituzionale del Comune capoluogo. Ne riportiamo appresso il testo.
Formalmente nominato dal prefetto regio, Pintus fu designato unanimemente dal Comitato provinciale di Concentrazione antifascista di Cagliari nell’autunno 1944, avvicendando l’avv. Gavino Dessì Deliperi, che era stato, succedendo a Bacaredda, l’ultimo sindaco della città prima del commissariamento fascista, avvenuto nel 1923. Proprio per tale ragione questi era stato dapprima incaricato, all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943, dell’ufficio di commissario prefettizio (godendo della collaborazione di Francesco Cocco Ortu e Guido Zoccheddu, sodali liberali) e poi di sindaco, capo cioè di un esecutivo costituito da rappresentanti di tutti i partiti democratici.
Furono le tensioni determinatesi nel rapporto fra Dessì Deliperi e l’interpartito – vero protagonista politico di quella delicata fase storica che doveva costituire il passaggio, invero complesso e talvolta anche contraddittorio, dalla dittatura alla democrazia pluralista – a determinare la crisi della giunta presieduta dall’esponente del PLI, galantuomo e competente amministratore ma non idoneo a un leaderismo che nel 1944 o giù di lì nessuno poteva consentire a chicchessia. Quella fu infatti la stagione del “coprotagonismo” non dei solipsismi pur variamente declinati. La mancata conta elettorale impediva ai partiti di misurare se stessi in rapporto agli altri e viceversa, il che imponeva, al contrario, la concertazione spesse volte perfino nel dettaglio amministrativo.
Assai più di Dessì Deliperi, Pintus era interno alla logica dei partiti e capace di spendere in proprio anche una autorevolezza derivatagli dal suo autentico e ammirevole martirio civile per la causa democratica (cinque anni di galera, tre di libertà vigilata, espulsione dall’albo professionale protrattasi fino al 1944, gravi postumi di malattia dati dalla carcerazione: tubercolosi e zoppia). Fu quanto gli venne riconosciuto, con la designazione a sindaco, da tutte le componenti della Concentrazione, della quale era il segretario da un semestre ormai quando la nomina venne formalizzata, presenti i vertici dei comandi militari alleati, il 9 ottobre.
Si faceva politica anche con il giornalismo allora più di oggi. E Pintus fu redattore capo dell’Unione Sarda defascistizzata e sottratta alla proprietà legale dei Sorcinelli per tre anni circa. Del giornale furono responsabili dapprima il socialista umanitario Jago Siotto (dimessosi poi per le eccessive intromissioni, e censure, anglo-americane, così come si dimise dalla segreteria della Concentrazione a lui affidata già dal 1943), quindi il riformista Giuseppe Musio – pure egli avvocato – affiancato da un comitato di direzione di emanazione ciellenista: il comunista Luigi Pirastu – per qualche tempo anche responsabile in proprio della testata – , il sardista Giovanni Maria Angioy e il liberale Paolo Mulas.
Redattore e collaboratore del giornale e segretario della Concentrazione fino a quell’ottobre 1944 (quando nell’ufficio politico fu sostituito dal comunista Giovanni Lay), Pintus non si estraniò dalla redazione di Terrapieno e neppure dalle dinamiche dell’interpartito quando dovette occuparsi dell’amministrazione attiva del capoluogo. E’ di Luigi Pirastu una testimonianza che rimanda al gennaio 1945: «Una delegazione di manifestanti si recò nel pomeriggio alla sede dell’Unione chiedendo che il giornale prendesse posizione contro l’invio di giovani sardi in Continente per partecipare alla guerra di liberazione. Non mi trovavo nella sede del giornale e la delegazione venne ricevuta, se non ricordo male, da Cesare Pintus che respinse decisamente la richiesta e rifiutò persino di pubblicare l’ordine del giorno portato dai manifestanti. La sera stessa a piazza Yenne si ebbero tumulti che provocarono la morte di un giovane soldato continentale. Corsi subito al giornale e non solo condivisi pienamente l’atteggiamento assunto dall’avv. Pintus, ma scrissi un articolo a caldo contro la manifestazione e i suoi organizzatori». La linea del giornale e di Pintus fu dunque quella di contrastare ogni pulsione isolazionista, intimamente reazionaria quand’anche avvertita e manifestata da certo sardismo.
Nonostante gli sforzi di molti – di Aldo Borghesi in primo luogo e già del professor Brigaglia in anni remoti, di Maria Rosa Cardia, di Francesco Atzori (che ha pubblicato una bella tesi di laurea puntata sul Pintus amministratore ma certo sul quadro largo della sua fede ideale e politica), di Carlo Dore e modestamente anche miei – manca una biografia approfondita e complessiva tanto quanto la meriterebbe Cesarino.
Altre volte ho ricordato di come ebbi fra le mani molte carte sue e anche l’archivio intero del Partito d’Azione isolano e soprattutto del capo di sotto, relativo agli anni 1943-44 e fino alla confluenza, nel settembre 1944, del Pd’A nel PSd’A: avvenne in occasione di un incontro con Antonino Lussu, nel 1989, nell’abitazione di questo generoso testimone dei valori alti di giustizia e libertà come Emilio Lussu (parente stretto della moglie) li aveva interpretati e portati nel movimento di GL. Mi fecero luce su un periodo cruciale della vicenda pubblica (oltre che umana) di Pintus, così come mi dettero un supporto fondamentale le collaborazioni archivistiche di due amici repubblicani: di Lello Puddu, che mi passò alcune carte (di provenienza della famiglia Saba) relative alla condanna del ’30, e di Piero Cossu – al tempo segretario nazionale della FGR – che per me si offerse di consultare pagina per pagina le annate della Voce Repubblicana degli anni fra il 1921 ed il 1925. Queste furono le mie fonti alle quali, naturalmente, potei associarne altre, tanto più quelle generosamente apertemi dall’avv. Gonario Pinna, nel suo dominariu nuorese, e dalla famiglia del sen. Pietro Mastino (sottosegretario nel governo Parri in quota azionista, così come nel successivo governo De Gasperi, e deputato costituente).
Certo sarebbe bello che la materia tornasse negli interessi prioritari dei migliori, magari di Borghesi che – come lo stesso Marcello Tuveri, cofondatore (nel 1988) con Salvatore Ghirra e Lello Puddu, dell’associazione Cesare Pintus – nella recente manifestazione di palazzo Bacaredda ha offerto un profilo approfondito e ulteriore dell’esponente mazziniano: dico mazziniano perché egli visse il mazzinianesimo come una religione civile, antica e sempre attuale, che ne ispirò la militanza attiva nelle diverse formazioni alle quali prestò, con singolare coerenza, il suo nome: il Partito Repubblicano Italiano, Giustizia e Libertà, il Partito d’Azione, il Partito Sardo d’Azione, il Partito Sardo d’Azione socialista. gf.m.
Amministratore nel quotidiano con un’anima politica
Cagliari ha avuto la grazia di dare i natali, nell’agosto 1901, a Cesare Pintus.
Il Municipio ne ha goduto la leadership amministrativa per diciotto mesi, fra l’ottobre 1944 e il marzo 1946, un arco di tempo nel quale si susseguirono nella capitale ben quattro governi di CLN: primo e secondo Bonomi, Parri, primo De Gasperi. E con quei governi – con presidenti del Consiglio e con ministri – egli trattò con veemenza, in ripetute missioni romane, cercando di strappare ogni provvidenza di cui la città “disagiatissima” (come la qualificò) aveva bisogno e diritto
Le prime elezioni comunali dopo la fine della dittatura e della guerra portarono alla sindacatura Crespellani e alla primazia, nello schieramento politico anche cittadino, della Democrazia Cristiana.
Pintus apparteneva idealmente a una formazione di minoranza destinata a mantenere una posizione critica verso quelle iniziali amministrazioni che furono di larga intesa fra democristiani e sinistre social-comuniste.
Nato repubblicano – tale si professò già da adolescente e liceale dettorino, avido lettore di Mazzini insieme con il suo amico Silvio Mastio – fu avversario clandestino della dittatura nelle formazioni di Giustizia e Libertà, che si tradussero politicamente, nel dopoguerra, nel Partito d’Azione.
Emilio Lussu, dirigente sia del Partito d’Azione, a Roma, che del Partito Sardo d’Azione, a Cagliari, promosse in quello stesso anno-laboratorio che fu il 1944 la fusione, nell’Isola, dei due partiti: sicché alle elezioni comunali del 1946 Pintus partecipò come candidato sardista, fedele sempre al magistero di Giuseppe Mazzini e Carlo Cattaneo e all’idea della patria italiana una e indivisibile, pur se articolata nelle autonomie territoriali.
Partecipò con i sardisti alla vita comunale ancora un anno circa dopo le elezioni della primavera 1946, poi la tubercolosi contratta nel carcere fascista (che lo aveva ospitato per cinque anni, dal 1930 al 1935, fra Regina Coeli e Civitavecchia) lo costrinse a diversi ricoveri nei sanatori del continente, fra Roma (il Forlanini) e Pra-Catinat (l’Agnelli) dove morì alla fine di agosto del 1948.
Questi, sul piano della biografia politica di Cesare Pintus, i dati essenziali che mi pareva importante richiamare.
Aggiungerei che i meriti della precarietà professionale che si protrassero fino quasi all’assunzione della sindacatura, con la riammissione finalmente all’albo degli avvocati da cui era stato escluso nel 1930, all’atto dell’arresto, gli offrirono l’opportunità di un ruolo pubblico capace di riscattarne tante sofferenze:
dal novembre 1943 fu capo redattore dell’Unione Sarda, che allora aveva ripreso le pubblicazioni (dopo la sospensione determinata dai bombardamenti del maggio e dallo sfollamento massivo dei cagliaritani): da allora e fino al 2 giugno 1946 il giornale fu sottratto ai proprietari Sorcinelli e gestito dai partiti del CLN;
dall’aprile 1944 e per sei mesi fu segretario della concentrazione antifascista provinciale di Cagliari, il nostro CLN [Comitato di Liberazione Nazionale], a cui competeva la guida politica delle amministrazioni pubbliche, sia quelle territoriali [Comuni e Provincia] che quelle erogatrici dei servizi.
Designato sindaco dalla concentrazione antifascista di Cagliari – sardisti, azionisti, repubblicani, comunisti, socialisti, democristiani, liberali, demolaburisti – fu nominato tale dal prefetto Mocci ed entrò nelle funzioni il 21 ottobre 1944. (Siamo dunque sette mesi prima del fatidico 25 aprile 1945, il giorno della liberazione delle grandi città del nord, da Milano a Torino. Pintus successe a Dessì Deliperi, anche lui sindaco nominato, in carica da aprile ad ottobre 1944).
Nella sua giunta dodici furono gli assessori rappresentativi delle varie forze politiche partecipanti: Crespellani, Fois, Manca, Leo – democristiani –, Macciotta, Carcangiu, Dessanay, Borghero – socialisti e comunisti associati –, ed i sardo-azionisti Farci, Picciau, Nonnoi, Antonino Lussu (colui che gli fu amico fraterno, dandogli lavoro nello studio legale-commerciale al rientro dalla galera e un domani assistendolo con sovvenzioni di sussistenza – tale era l’indigenza personale del sindaco “santo” – nei lunghi mesi dei finali ricoveri ospedalieri).
Pintus tenne per sé, oltre alla guida politica della giunta, le competenze al Personale, agli Affari generali e alla Rappresentanza, nonché il concerto sull’Annona, cui riservò specialissime cure.
Lo si ricorda, poche settimane dopo l’insediamento, onorare il 2 novembre, al monumentale di Bonaria, con i duemila concittadini caduti nel gran macello della guerra, i grandi di Cagliari, quasi a voler ricostruire, dopo la dittatura e le devastazioni belliche, la trama della storia civica: Ottone Bacaredda, Francesco Cocco-Ortu, il canonico Giovanni Spano, Giovanni Marghinotti, Mario De Candia, Pietro Martini, ecc.
Valorizzerei l’episodio che non fu soltanto d’ordine celebrativo e retorico. Fu come dire che, superato quel triste ventennio, Cagliari tornava ad essere, forte delle sue migliori e secolari energie morali e culturali, la città guida della Sardegna.
Appartiene a questa sensibilità il cambio toponomastico che servì a collegare la città risorta, anche se debole per le ferite subite, all’Italia che andava emancipandosi dalla schiavitù nazi-fascista: esemplare l’intitolazione della piazza Carlo Sanna (l’eroico generale della Brigata Sassari che però accettò la presidenza del famigerato Tribunale Speciale, per il quale passò, come imputato, anche Pintus) ad Antonio Gramsci. La piazza Italo Balbo divenne piazza Matteotti.
Ricorderei che i bombardamenti avevano colpito anche questo palazzo municipale e che gli uffici erano dunque sparsi in città. Il ritorno qui avvenne, almeno per il grosso, il 28 agosto 1945: ammezzati, primo e secondo piano, settori di destra e sinistra: ecco gli uffici Anagrafe e Statistica, Stato civile e Leva, Affari militari ed Elettorato, Tecnico e Riscossione acqua, Pubblicità e Sfollati, Spedalità e lavoro, Annona ed Economato, Archivio e protocollo, Alloggi e Patrimonio, Approvvigionamento e Tasse, Ragioneria e Acquedotto.
Poche settimane dopo, il 25 settembre, in un lungo rapporto alla concentrazione antifascista ed all’autorità prefettizia, Pintus presentò un dettagliato quadro dello stato cittadino e delle prospettive di graduale ritorno alla piena normalità.
Chi volesse avere piena cognizione dell’attività amministrativa in quei 18 mesi insieme terribili ed impegnativi, potrebbe fare riferimento a diversi lavori di Gianfranco Murtas – sono due libri ed una dispensa – che riprendono, fra il molto altro, anche l’elenco delle delibere di giunta per sovvenire alle urgenze cittadine. Si trattò allora di pensare alla implementazione delle risorse di bilancio, all’inquadramento dei dipendenti, a recuperare alloggi per gli sfollati che rientravano senza trovare più la loro casa. In un anno ne tornarono, di cagliaritani sfollati, circa 30.000. E tornarono, dai paesi dell’interno, le scuole – che non ritrovarono né porte né finestre nei loro caseggiati – e le facoltà universitarie, le banche e gli uffici pubblici, anche alcuni comandi militari. Si riattivò il servizio tramviario e riaprirono i cinematografi così come il Lido al Poetto.
L’Ufficio tecnico comunale rilevò che gli edifici completamente distrutti ammontavano a 862 su 7.000, e quelli gravemente lesionati erano 1.647; furono allora 4.000 gli appartamenti resi inservibili. Nell’arco di un anno o poco più, contando anche sulla collaborazione del provveditorato alle Opere Pubbliche e del Genio Civile si ripristinarono 2.000 appartamenti variamente colpiti. E si consideri che al ripristino si volle allora accompagnare, almeno come fase di impostazione, il superamento del degrado secolare dei sottani: “risalire dal buio alla luce, dare ai bambini l’aria e il sole”.
Si adattarono ad alloggi familiari, grazie alla collaborazione dell’autorità militare, alcune caserme in San Bartolomeo e a Is Mirrionis. E si ripristinò la viabilità interna, tutti i servizi di prima necessità, dall’approvvigionamento idrico ai mercati, dalla nettezza urbana all’assistenza sanitaria, alle colonie per i bambini allestite insieme con l’Opera maternità e infanzia. Furono 1.300 i minori che ricevettero allora accoglienza in quelle strutture marine. Molte delle risorse finanziarie vennero allora dal concorso statale che fu gestito dall’Alto Commissario gen. Pietro Pinna.
Concludendo il suo rapporto alla concentrazione ed alla prefettura, Pintus riconobbe di non aver battuto la grancassa pubblicitaria: “l’assillo del turbinoso quotidiano lavoro non ci ha lasciato il tempo per dedicarci a pubbliche manifestazioni verbali, ed abbiamo preferito lavorare in silenzio. Ma ogni volta che critiche serie, appunti fondati ci sono stati mossi sulla stampa abbiamo cercato di chiarire e di precisare. Voi giudicherete se abbiamo assolto al nostro compito, se abbiamo fatto interamente il nostro dovere”.
Non mi diffondo maggiormente nei dettagli della azione amministrativa tutta cagliaritana di Cesare Pintus. Auspicherei che a tanto, magari nel prossimo 70° della morte – il prossimo anno – si possa dedicare una pubblicazione ad hoc.