Ahmed, l’infiltrato tra i jihadisti scovato in Italia da un ex agente dell’intelligence italiana, di Guido Olimpio

Una storia di spie, terrorismo e misteri raccontata per voi dal nostro esperto di gruppi armati e servizi segreti.

WASHINGTON — Luigi è stato un agente della nostra intelligence e un grande reclutatore. Capace di convincere un «cattivo» a collaborare, persuasivo nell’indurre una fonte a lavorare per lui. E la sua storia si svolge tra Europa e Vicino Oriente, sul finire degli Anni ’80, quando è in corso una sfida tra servizi segreti, terroristi, militanti. Allora i criminali erano dei «professionisti» rispetto a quegli attuali, con alle spalle apparati di Paesi mediorientali. I Mukhabarat, i servizi speciali dei regimi. Veri sponsor, che offrivano denaro, protezione, armi, passaporti puliti e pretendevano in cambio operazioni clandestine. Gli esecutori dirottavano aerei o li facevano esplodere, un nemico che colpiva con una cadenza impressionante. La strage di Fiumicino dell’85 (foto in apertura, Ansa), il massacro nei cieli di Lockerbie nell’88 (foto sotto, Reuters), le bombe nelle vie di Parigi, i sequestri di decine di occidentali in Libano, i gruppi di fuoco. Molti se ne sono dimenticati ma quell’epoca era molto più dura.

 

La conversione di un militante

Luigi può raccontare certi particolari perché è passato tanto tempo e ormai è fuori dai giochi. O quasi. Infatti non ha mai reciso del tutto quel cordone ombelicale di passioni, sensazioni, dovere. Ancora oggi quando vede una news su un attentato gli scattano le stesse domande, i medesimi riflessi. Ipotizza, valuta, con l’occhio allenato. Va subito oltre la prima versione. Perché la missione ti resta dentro, come l’intuizione. Specie se hai passato la tua vita più in strada che dietro una scrivania. E il filo del discorso riparte dopo il fermo di un giovane estremista d’origine araba, bloccato in una città del nord d’Italia. Non è uno qualsiasi, è legato a un’organizzazione importante e tra i documenti che gli trovano addosso c’è un indirizzo che porta ad un «amico» – Ahmed – che vive a diverse centinaia di chilometri di distanza, lungo la nostra penisola. L’amico è pulito, lo ha solo ospitato per un periodo, condividendo il tetto e certe idee ma senza valicare il confine che conduce all’illegalità. Luigi decide di esplorare il sentiero. Inizia dalle carte. Annotazioni scarne, niente di incriminante o sensibile. Poi bussa alla porta di Ahmed come fosse un poliziotto qualsiasi, domande di rito, conduce una ricognizione «a vista». Deve farsi un’idea, costruire un quadro del target, è come un sarto che prende le misure. La manovra d’accerchiamento inizia alla larga. Vuole capire se ha problemi sul lavoro – Ahmed ne ha uno regolare e tranquillo –, cerca di scoprire se esistono guai familiari o personali, eventuali debolezze. Soldi? Sesso? Vizi? Tutto è utile. Come campa, relazioni, abitudini, anche le più innocenti finiscono nella memoria. Luigi non affonda sul pedale. Mai avere fretta, ripete anche adesso. Con il tempo costruisce un rapporto di conoscenza che diventa quasi amicizia, consapevole però che rimarrà sempre qualcosa di sommerso, non rivelato. Come fosse un cassetto segreto. Luigi incoraggia Ahmed, è sempre disponibile, ascolta discorsi impegnati e litanie familiari, ma è anche attento a mettere dei paletti. In particolare se toccano il tema della lotta armata. Il reclutatore, docilmente e continuamente, gli rammenta cosa sia giusto o sbagliato, traccia una linea per fargli comprendere che uccidere civili o far esplodere un’ambasciata rientrerà pure in una strategia politica, ma oltre che essere un crimine non porta da nessuna parte. L’agente è sempre cauto, diffida dei metodi forti, così come dell’arma del ricatto. A volte è usata per convincere qualcuno a collaborare, però può diventare controproducente: l’informatore che si sente sotto pressione rischia di venderti quello che non sa. Per la semplice ragione che vuole tenerti buono. Stessa discorso per la violenza sui prigionieri, è raro che paghi.

La missione in un’area rischiosa

Ahmed diventa una pedina importante. Non rinnega la sua causa, è estremamente osservante dei precetti religiosi, tiene ai rapporti però accetta di cooperare. Solo che la sua presenza è più utile nel suo paese e non Italia. Dunque parte con ordini precisi e il premio di un salario mensile che gli viene versato in una località a distanza di sicurezza. Precauzione ovvia. Se la fazione alla quale appartiene dovesse fare un controllo non troverebbe tracce di denaro anomale, un possibile segnale di infedeltà o comunque di qualcosa di strano. Poiché l’infiltrato agisce in uno scacchiere complesso e interessante è gestito con un’operazione bilaterale: insieme agli italiani c’è un altro servizio. Per comunicare Ahmed ha uno speciale inchiostro, con il quale scrive lettere e messaggi. Poi utilizza un secondo sistema, tecnologico. Che non riveliamo. Infine, in caso di necessità, ha un «corrispondente», un agente che vive nella sua stessa città, sulla sponda meridionale del Mediterraneo. Questa è l’ultima risorsa, per la semplice ragione che lo 007 può essere pedinato o controllato, un contatto che finirebbe per tirarsi dietro anche Ahmed. In qualche occasione la «recluta» si sposta in territorio neutro, un viaggio per incontrare Luigi ed altri. Colloqui fondamentali per tenere vivo il legame, rinsaldare la fiducia, dare coraggio a chi comunque cammina sull’orlo di un precipizio. «Alla lunga sono diventato il fratello maggiore di Ahmed – ammette Luigi – Lui, pur attestato su posizioni radicali, mi riconosceva un’onestà di intenti. Certo, il denaro che gli passavamo rendeva tutto più agile, il bonifico era importante, ma stavo molto attento su questo aspetto. Se il vincolo è basato solo sul baratto dollaro-dritte può nascere il sospetto che non tutto ciò che racconta sia fondato». Al tempo stesso chi ti passa l’indiscrezione non sempre desidera far la figura del mercenario, spinto esclusivamente dal soldo. Una famosa spia russa che lavorava per la Cia raccontò che aveva chiesto una cifra pazzesca all’agenzia americana non perché fosse avido, bensì per sottolineare il valore dei segreti che stava svelando. Può avere le sue buone ragioni e un codice d’onore che non collide con il tradimento. Che senso ha trattarlo come un juke-box dove si infila la moneta ed esce il disco preferito? Meglio coltivare la sua personalità, riconoscerli dei principi. Infatti il metodo di Luigi ha funzionato, ha portato dalla sua un uomo prezioso. Un rapporto che, come ogni cosa, non è eterno. La fonte, per quanto affidabile, può stancarsi, cambiare idea, scegliere un percorso diverso.

Una fine improvvisa

La missione di Ahmed è andata avanti per oltre un anno e mezzo senza apparenti ostacoli. Lui riferiva, gli altri raccoglievano. Un flusso che si è interrotto bruscamente e misteriosamente dopo un ultimo messaggio che segnalava una situazione «diventata difficile». E un brutto giorno la talpa ha smesso di scavare, senza un motivo o un perché. Luigi ha sempre temuto che l’infiltrato alla fine sia stato scoperto. Avrà commesso un errore. È stato tradito. Oppure i danni che ha provocato hanno spinto i suoi superiori a cercare la falla nella sicurezza e l’hanno individuata. Ma c’è anche un altro scenario, ipotizzato da un addetto ai lavori: Ahmed è stato scippato da un servizio segreto concorrente che lo ha convinto a saltare il fosso. Per la seconda volta. Magari dopo che ha conosciuto un altro reclutatore che aveva da offrire qualcosa in più o disponeva di leve potenti. Così Ahmed è stato inghiottito dalla giungla mediorientale, dove è facile sparire e complicato cercare.

NB: Nota: nomi e alcuni dettagli sono stati leggermente modificati per tutelare le fonti

Il corriere della sera, 12 marzo 2017

 

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