Luciano Violante: “L’uso delle inchieste nella lotta politica rischia di spezzare la democrazia”, di Francesca Schianti
«La politica pensa di essere forte usando gli strumenti della giustizia: ma in questo modo sancisce la propria subalternità alla magistratura». E’ preoccupato, l’ex presidente della Camera Luciano Violante: «I problemi non riguardano solo il Pd o i Cinque Stelle o il gruppo Ala; riguardano il Paese. L’uso spregiudicato delle inchieste nella lotta politica, da chiunque fatto, indebolisce la democrazia, che è una costruzione fragile: se sottoposta a stress continui, rischia di spezzarsi».
Presidente, il padre di Renzi e il ministro a lui più vicino sono indagati: molti leggono questa situazione come un assedio all’ex premier. Lei?
«Indagati non vuol dire condannati: il problema è che forze politiche deboli usano le iniziative giudiziarie come armi contro gli avversari. Lo fanno tutti. Ma eviterei di usare termini come assedio o accerchiamento».
Altrimenti all’assedio potrebbero iscriversi anche i problemi di tessere nel Pd: il candidato che sosterrà lei, Orlando, parla di un partito che in alcuni territori è un «votificio».
«Renzi non merita molte delle critiche che gli vengono rivolte come presidente del consiglio, mentre le merita come segretario: i partiti sono macchine delicate, o li dirigi bene o diventano permeabili alle infiltrazioni. Lui non ha diretto il partito».
Tra problemi di tesseramento e inchiesta Consip, sarebbe stato il caso di rinviare le primarie del Pd?
«Una sciocchezza. Se domani arriva un’altra inchiesta, si rinvia ancora?».
Se l’idea ha sfiorato qualcuno, questo non prova un’eccessiva influenza delle inchieste sulla politica?
«Non sono le inchieste, ma l’uso che se ne fa, a snaturare la lotta politica; anche se poi, dal caso Incalza a quello dell’onorevole Graziano, ci sono vari casi di assoluzione dopo forsennate campagne accusatorie. Se l’etica pubblica è regolata dal codice penale, tutto diventa accusa reciproca, uno rinfaccia le tessere comprate e l’altro le firme false. Il conflitto politico deve avere delle regole e deve saper individuare un punto di chiusura».
Difficile che una forza politica si autoregoli unilateralmente, però…
«Sarebbe bene invece che qualcuno cominciasse, non per garantismo, ma perché il conflitto politico non degeneri. Machiavelli scrisse che la grandezza della Repubblica romana era stata proprio quella di saper regolare il conflitto politico».
Ma se un processo dura dieci anni, uno continua a fare politica con la spada di Damocle di un’accusa magari pesante?
«Questo attiene al senso di responsabilità dei partiti, che caso per caso possono decidere se una persona crea un problema di affidabilità della persona e del partito».
Ci possono essere anche atteggiamenti non penalmente rilevanti ma inopportuni, non trova?
«Certo. Ma, in questa inchiesta, siamo sicuri che un figlio debba rispondere di quello che fa il padre?».
Secondo lei questa inchiesta rischia di avere ripercussioni sul governo?
«Gentiloni sta facendo bene e sta costruendo una collocazione del governo di tipo istituzionale, più che dipendente dai partiti della maggioranza. Spero nel senso di responsabilità delle forze politiche: ci sono all’orizzonte la trattativa con l’Europa, i trattati di Roma, il G7, non mi sembra il caso di affrontarli con un governo in crisi».
I vostri ex compagni di strada di Dp voteranno la sfiducia a Lotti secondo lei?
«La sfiducia individuale a un ministro non vuole dire sfiducia al governo, e non può avere gli stessi effetti di una sfiducia al governo».
Cuperlo ha consigliato a Lotti un «passo di lato». Farebbe bene a farlo?
«Cuperlo fa politica attiva, è un giocatore in campo, io sto in tribuna e non intendo intervenire su questo tipo di decisioni».
Ma lei cosa farebbe?
«Io non farei il ministro dello Sport… Non ne ho le doti».
la stampa il 04/03/2017