Le storie hanno un sapore, un odore, un rumore, di Maria Michela Deriu.

Il secondo romanzo di Nicolò Migheli, recensito da Maria Michela Deriu. Con parole dell’Autore.

Diego Henares De Astorga. Vi dice qualche cosa questo nome? Fino a poco tempo fa nulla neppure a me.

Oggi con questo  nome sento l’alterigia Castigliana, il fervore laborioso del popolo delle Fiandre, gli odori e i colori di Barcellona, il silenzio di Malta, isola per me come un chiostro a cielo aperto.

I romanzi fanno questo quando hanno la forza di essere evocativi.

Uno spirito international quello di Diego, che dopo aver avuto” fortuna”, nel senso cavalleresco del termine, complice il fraterno amico Jayme di Mantcada, decide di recarsi in Sardegna.

Qui i colori si attenuano per lasciar posto alla storia.

Benedetto Croce

“Il bisogno pratico, che è nel fondo di ogni giudizio storico, conferisce a ogni storia il  carattere di “storia contemporanea”, perché, per remoti e remotissimi che sembrino cronologicamente i fatti che vi entrano, essa è, in realtà, storia sempre riferita al bisogno e alla situazione presente nella quale quei  fatti propagano le loro vibrazioni”.

Da “ La storia come pensiero e come azione.”

Se ci si attiene ai testi scolastici, noi sardi siamo un popolo quasi senza storia, ma le vibrazioni del nostro passato fanno  sì  che il tempo in cui vive  Diego Henares de Astorga possa essere riferita al momento presente per comprendere meglio ciò che ci circonda.

Nicolò Migheli in questo libro  (LA STORIA VERA DI DIEGO MENARES DE ASTORGA,  Arkadia editore, Cagliari, 2013, pagg. 308, euro 16,50) ci regala uno spaccato della Sardegna dell’ultima metà del cinquecento. Le scorribande di Diego dalle Fiandre, a Malta e a Barcellona ci danno l’esatta rappresentazione della nostra isola, incastonata nel contesto europeoe, dell’inevitabile paragone che ne deriva.

Sigismondo Arquer è già stato arso al rogo a Toledo, Madrid è lontana ma non abbastanza da impedire che i suoi vicerè opprimano la popolazione con tasse e balzelli.

La nobiltà locale è divisa, le famiglie Aymerich e Zatrillas tramano per consolidare il proprio potere, ognuno a discapito della fazione avversa.

Intorno alla storia ufficiale si svolge la storia domestica.

Il romanzo è anche una storia di grandi sentimenti , l’amicizia fraterna tra Jayme e Diego e il grande amore tra Diego e Julya.

Nella storia familiare è interessante notare come alcune usanze vivano ancora ai nostri giorni.

Riti magici e superstizioni  sono vibrazioni che vivono ancora tra Castello, Marina e Stampace, in un mondo come quella sardo, dove il sincretismo religioso è la vera spiritualità.

La storia di Diego è decisamente avventurosa. La prima parte, dal sapore  cavalleresco, si svolge nella Spagna di Filippo II. Il giovane Diego Henares de Astorga inizia la sua vita da soldato al servizio di Sua Maestà nei fronti caldi del Cinquecento europeo – Corsica, Malta, le Fiandre, distinguendosi per coraggio e ardimento.  A Barcellona  ha la fortuna di ricevere lezioni di scherma  dal veneziano Alvise Padoan che divenne suo” Mestro d’arme e maestro di vita”. Giunto a Cagliari, e divenuto ben presto aiutante del comandante della piazzaforte in prima linea nella difesa del Mediterraneo dagli assalti dei Turchi, Diego assiste allo scontro tra la nobiltà locale e i rappresentanti regi, alle rivalità che oppongono gli Aymerich agli Zatrillas, all’impoverimento del Regno e alle angherie degli ufficiali fiscali. La sua ascesa sociale è vertiginosa. Si innamora di Jiulia, donna ricca e colta lui, ma non sa che Julia è una bruxia. La donna è denunciata e arrestata per stregoneria. Da qui le avverse vicende  che porteranno Diego e Julia a trasformare la loro vita.

Perché un romanzo storico diventi evocativo occorre, necessariamente, operare alcune scelte.

Chiediamo a Nicolò Migheli quali sono state quelle che hanno portato alla costruzione del romanzo.

Perché hai scelto un personaggio semisconosciuto?

E’ la voglie di giocare con la storia o un diverso modo per raccontare la storia?

Il personaggio è semisconosciuto perché è totalmente di mia invenzione. È nato casualmente dopo la lettura di alcuni testi sui i sardi e i reparti militari dell’Impero Spagnolo. Uno in particolare, il Tercio de Cerdeňa, di cui si è favoleggiato tanto. Però le vicende che racconto nel romanzo su quel reparto militare sono aderenti alla storia e per come si è evoluta. Il romanzo storico è una mia passione e non nego di aver desiderato anche una sorta di ruolo didattico, raccontare un pezzo di storia sarda poco conosciuta con lo strumento del romanzo. Poi ci si lascia prendere anche la mano nelle ricostruzioni, tenendo però fisso l’aderenza a quello che le fonti raccontano. Non è facile, bisogna studiare tanto però poi il risultato, a giudizio dei lettori, è stato buono.

 

Nel tuo romanzo si parla diffusamente e, anche in maniera dettagliata di riti magici e preghiere al limite del sacro. Poi dirci quali sono state le tue fonti?

Su questi  aspetti ci sono molte fonti. Le prima quelle ecclesiastiche, che ci hanno lasciato mole di documenti che raccontano come i riti popolari venissero combattuti dalle gerarchie. Poi in Sardegna esiste un corpus ricco di studi etnologici dove vengono riportati riti e credenze ancora vivi. Io ne ho fatto esperienza diretta una decina di anni fa con un ricerca che feci nel Sulcis, dove vi è una permanenza di riti e brebus che sorprende. Per cui è stato poi naturale inserirli nel racconto visto che nel Cinquecento l’Inquisizione controllava la vita quotidiana di tutti.

 

 

Infine, da femminista mai pentita, mi ha molto piacevolmente colpito il capitolo dove Antiogo de Querqui impone a Diego un matrimonio alla Sardisca. Nicolò tu hai la capicità di essere esplicativo senza essere fastidioso(vedi Dan Brown), puoi spiegare meglio in  che termini questo atto matrimoniale differiva dal resto dell’Europa?

Ecco, questo aspetto è uno dei più originali. Anche qui però c’è una abbondanza di fonti data dai contratti matrimoniali che venivano stipulati. Mentre tra sardi non vi era nessuna difficoltà, perché si rispettava l’usanza, con i non sardi nascevano problemi, che potevano essere superati solo con un contratto. Nel resto d’Europa vigeva l’istituto della dote, di cui diventava proprietario il futuro marito. In Sardegna agiva un regime differente: i beni che la moglie portava in dote rimanevano di sua proprietà e potevano essere trasmissibili solo ai figli. Nel caso di premorienza senza eredi, cosa abbastanza diffusa allora, i beni ritornavano alla famiglia della moglie. Che l’usanza fosse già allora antica lo dimostrano i Condaghes, dove non è difficile incontrare donne che lasciano i propri beni al convento. Quindi, se facevano così, si dimostra che le donne erano soggetti che potevano decidere di sé e dei propri beni. Una unicità in Europa, che io sappia. In realtà, poi, il matrimonio alla sardisca nella mentalità è sopravvissuto fino ai nostri tempi. Ad esempio: mio padre, quando si riferiva a terreni che erano di mamma, lo specificava, non usava la parola “mio”, mentre noi figli eravamo autorizzati ad usare il termine “nostro” per indicare il gruppo familiare.

Bene, questa è la vera storia di Diego Henares de Astorga che da altero Castigliano si innnamorò di questa isola, isola che ammalia come le sue donne.

 

Diego confessò al suocero che ora si sentiva parte di quella terra, di quel luogo. Non si vedeva da altre parti, non voleva essere da altre parti.

“Eppure è stato qui che ho provato il tradimento, il disonore, la cattiveria. Dovrei odiare questa terra, per quello che i suoi figli hanno fatto. O  per quello che sto subendo. Ma la amo perché l’ho conosciuta con gli occhi di vostra figlia”

Diego Henares de Astorga

 

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