VIVO DA SOLO PERCHE’ …. , di Sabina Minardi
Un nucleo su tre è formato da una persona che vive sola. Una gigantesca mutazione sociale.
VIVO DA SOLO «perché non ho tempo per gli altri»; «perché non ho trovato-la persona giusta»; «perché sono rimasto solo»; «perché preferisco così». Per scelta, per necessità, per convenienza, per fatalità,le famiglie cambiano struttura. Si restringono anno dopo anno: da una media di 2,7 componenti nel 1995 sono passate a 2,4 nel 2015. E, a furia di contrarsi, si riducono al minimo. a una persona sola . Famiglie unipersonali: l’unità di misura nuova che demografi e sociologi hanno inaugurato per censire inguaribili single e vedovi disorientati, neoseparati e irriducibili .workaholic. Uomini e donne che per ragioni diverse vivono da soli. Protagonisti dell’ultimo grande balzo registrato dalle statistiche: dal 21 ,1 a 131, 1 per cento del totale delle famiglie nel giro di pochi anni. Una crescita equivalente a una famiglia su tre, certifica l’Annuario statistico dell’Istat 2016.
Fuga dal matrimonio, separazioni in aumento, mortalità più alta della media registrata negli ultimi tempi, una nuova mobilità di italiani e di stranieri che, almeno inizialmente, vivono da soli. E la semplificazione familiare è compiuta. Dal Nord al Sud, Con la quota più alta di famigIie~unipe-rsooali-al Centrm il 34 ,2. per cento del totale. E regioni campioni del fenomeno: la Liguria (40,2 per cento), la Valle d’Aosta (39,8), il Lazio (38).
«Nel 2015 le famiglie unipersonali sono state 7 milioni 910 mila, circa il 40 per cento rappresentato da vedovi e, soprattutto, da vedove: 3 milioni 162 mila persone» ,chiarisce Sa brina Prati, ricercatrice Istat, responsabile del Servizio Registro della popolazione, statistiche demografiche e condizioni di vita: «La restante percentuale è gente che non si è mai sposata: oltre 3 milioni di persone per le quali l’esperienza di vivere da soli può rappresentare una fase della vita. E persone che hanno interrotto una relazione coniugale: un milione e 699 mila. La famiglia non è un sistema chiuso: la pluralizzazione degli stili di vita e il diversificarsi dei percorsi personali producono forme familiari nuove. Quella unipersonale è una possibilità».
Famiglie monogenitoriali, con più nuclei, ricostituite, di fatto. Tra le città che sperimentano di più modi nuovi di stare insieme c’è Milano. Qui la percentuale di famiglie unipersonali è da record: in dieci anni si è passati dal 38, 7 al 4 5,6 per cento. Quasi~umrfamiglia”suÙtIe; «Ea-fascia~ùipopolazione dove è stato più forte l’incremento è quella degli adulti, tra i 35 e i 64 anni: sono il 63 per cento delle famiglie unipersonali~, interviene la-docente- di Sociologia urbana all’università Milano Bicocca Francesca Zajczyk,che ha evidenziato l’exploit nella ricerca “Fare famiglia oggi a Milano”: «Perché? Da una parte ha pesato la ripresa di attrattività della
città, percepita come luogo che valorizza i talenti e le competenze. È cresciuto il peso dei giovani, soprattutto delle ragazze, che vi vono da sole». “Una rigenerazione della struttura demografica” la definisce uno studio del Cresme per Assimpredil Ance, che ha appena messo in luce il recupero di popolazione giovanile di Milano: 18 mila nuovi residenti in 2 anni.
«E va considerato l’invecchiamento della popolazione che fa ritrovare molti anziani soli. Queste cifre lanciano sfide nuove: come costruire reti alternative alla famiglia, come favorire cohousing e reti di vicinato, come dare supporto alle necessità di una fascia di popolazione. Siamo in una fase di passaggio, ma la direzione della società è chiara. Ecco perché è necessario ragionare in termini di servizi, oggi del tutto assenti, a supporto delle persone che vivono da sole».
Temi nuovi. Sullo sfondo di un mercato più incline ad esaltare una società di giovani singoli che di famiglie tradizionali: con più tempo libero, più denaro a disposizione. Gli imprenditori che reggeranno l’economia di domani? Uomini e donne sole, sostengono studi economici come uno recentemente diffuso dalla Georgia State University di Atlanta. Uomini, e soprattutto donne, estranee all’eterno dilemma del work-life balance. La prova? In dieci anni la sola percentuale di lavoratori autonomi in crescita è stata quella delle single.
Ma non è solo il mondo del lavoro a corteggiare le famiglie unipersonali: dal mercato dei consumi all’universo della socialità e del tempo libero, non c’è segmento di popolazione con più appeal.
«Vivo da solo perché ho un lavoro molto impegnativo: viaggio continuamente, non ho tempo per una relazione stabile. Nel weekend tomo a Roma, e nel mio circolo di golf ritrovo gli amici di sempre e nuove compagnie: si gioca durante il giorno, si passa la serata insieme», racconta Riccardo, informatico e golfista. «Vivo da solo perché mi sono trasferito per lavoro in un’altra città e contemporaneamente è finita la relazione con mia moglie: non mi auguro che duri per sempre,ma al momento va bene così: frequento una palestra, un corso da sommelier; difficilmente mi ritrovo senza qualcuno con cui passare la serata», aggiunge Davide, manager milanese.
«Stanno nascendo luoghi di aggregazione nuovi », conferma Paola Di Nicola, sociologa della famiglia all’Università di Verona: «Sono fondamentali, pur vivendo un’organizzazione del lavoro che tende a erodere tutto il tempo libero. li recente aumento delle famiglie composte da una sola persona è per me legato alla semplificazione delle procedure per separazioni e divorzi. Con l’entrata in vigore della legge sul divorzio breve nel 2015 è sufficiente andare in comune ed esprimere la consensuale volontà per separarsi, senza bisogno di assistenza legale. E ciò ha prodotto un’autentica rivoluzione: si sono attenuati i freni di fronte alle barriere burocratiche. E, dal punto di vista culturale, il conflitto è ormai considerato un esito della coppia altamente probabile. C’è un altro aspetto da non sottovalutare: si sa che le leggi fiscali non favoriscono il regime matrimoniale. In periodi di crisi è legittimo pensare che la gente cerchi di ottimizzare rotto. Costituendo; adesempio, due nuclei familiari per ragioni meramente fiscali». Più che una provocazione, ben più che un sospetto: gente che stabilisce due residenze diverse, simulando singolarità. Come confermano a bassa voce coppie sposate, ma fittiziamente separate per accedere a vantaggi fiscali (dall’ accesso agevolato agli asili nido per i figli all’esenzione del pagamento dell’Imu per la prima casa). E come ribadiscono i rappresentanti dei movimenti pro famiglia tradizionale, che denunciano le discriminazioni rispetto ai non sposati.
«Se si considera la situazione di due coniugi separati, con redditi diversi, e la si confronta con quella di una coppia di coniugati, sicuramente i primi avranno vantaggi tributari», chiarisce Giovanni Pizzolla, commercialista e socio fondatore dello studio Pizzolla Salini & associati: «La seconda abitazione può diventare la prima di uno dei due, non pagando più l’Imu; l’acquisto di una seconda casa per la residenza di uno di loro sconterà imposte ridotte. Separando i redditi si possono avere riduzioni delle rette scolastiche e universitarie e riduzioni di ticket sanitari». Chiave di tutto è l’Isee, l’indicatore della situazione economica familiare: se dichiaro di vivere da solo il reddito familiare sarà più basso, e potrò accedere ad agevolazioni: alloggi di servizio per certe categorie, graduatorie migliori per le case popolari, assegni al nucleo familiare. «Se uno dei due coniugi ha un reddito molto alto rispetto all’altro,il fatto di corrispondere degli alimenti produrrà una deduzione dal reddito della cifra pattuita», continua Pizzolla: «E anche in ipotesi di decesso di uno dei due ex coniugi non ci saranno effetti sulla reversibilità, garantita anche al coniuge separato. Ma, va detto chiaramente, se non corrispondono a situazioni reali sono vantaggi tributari derivanti da illeciti. Attenzione alle separazioni simulate, che conducono a famiglie unipersonali fittizie: questi artifici, se accertati, si traducono in gravi reati» .
Da L’ESPRESSO 22 GENNAIO 2017