Valori classici. Ha ancora molto da insegnare tutto ciò che troviamo nell’ Iliade, di Giovanni Pacchiano

Più volte ci siamo occupati del latino e della necessità di, preservarne lo studio nelle scuole. Latino è bello, dovrebbe essere il motto, al di là delle dispute sulla sua utilità o meno.

Tuttavia non ci eravamo mai occupati, o meglio, preoccupati, della lingua, della cultura e della tradizione che è maestra suprema. del latino: il greco, ovviamente. Per chi voglia addentrarsi nella questione della salvezza delle lingue antiche, occorrerà segnalare l’ottimo numero del luglio-agosto 2016 di Le Magazine Littéraire, dove, sotto il titolo generale di Sos latin grec, ben 23 pagine, con diversi interventi tutti altamente qualificati, sono dedicate al problema.

Greco da salvare, anzi, da sostenere e diffondere. Perché, siamo di fronte ad una società già adulta e completa nei suoi generi, che scava molto più in profondità delle nostre ciarle contemporanee, mantenendo in primo piano il senso della vita e il destino dell’uomo.

Ma per ora fermiamo l’attenzione sul primo impatto tra studenti e testi della grande poesia greca, quello con l’lliade omerica. Che avviene, a volte, con primissimi brevi assaggi in quinta elementare, poi alle medie e soprattutto, con lo studio dell’epica, nel biennio delle superiori. Prelievi, o anche letture più complete, che possono affascinare ma anche produrre grandi danni. Vuoi per la scelta di traduzioni “fuori tempo”, come quella famosa del Monti, che perseguitò me e i miei compagni di classe, affannati come eravamo a ricercare il significato delle parole e a scrivere – operazione peraltro non inutile – i riassunti dei singoli canti; vuoi per la scarsa attenzione da parte di molti docenti a trasmettere il senso profondo del testo. Tanto che, nella memoria dei più, l’lliade rimane come il poema della guerra fra Greci e Troiani, punto e basta.

Sarà il caso, invece, di suggerire agli studenti due testi, uno dei quali vecchio di 74 anni (pubblicato per la prima volta a New York nel 1943) ma preziosissimo, l’altro uscito pochi mesi fa, che vengono in aiuto alla comprensione di quello che rimane uno dei più grandi poemi della storia dell’umanità. Ecco gli estremi: Rachel Bespaloff, lliade, Castelvecchi 2012, pagg. 92, 9 euro; Giulio Guìdorizzi, lo, Agamennone, Einaudi, 2O~6, pp.l98, 14 euro, Della lettura in chiave esistenziale della Bespaloff (1895-1949) basterà ricordare due o tre frasi chiave fulminanti.

Un esempio. «Quel che esalta, santifica» nell’Iliade, «non è il trionfo della forza vittoriosa, ma l’energia umana nella sventura, la bellezza del guerriero morto, la gloria dell’eroe sacrificato, il canto del poeta nel tempo futuro: tutto ciò che, vinto dalla fatalità, continua a sfidarla e la sconfigge».

Anche perché «la forza ci appare nell’Iliade contemporaneamente come la suprema realtà e la suprema illusione dell’esistenza». E: «Non è dunque l’ira di Achille, ma il duello di Achille ed Ettore, il confronto tragico dell’eroe della vendetta con l’eroe della resistenza a costituire il motivo centrale dell’Iliade». Alla prossima con Agamennone.

SETTE n° 02-1;3.01.2017

 

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