Quella varia e ricca umanità italo-sarda frequentata da Francesco Ciusa nella sua militanza liberomuratoria prima della dittatura, di Gianfranco Murtas
Alcune settimane fa ho presentato una rapida biografia, fra il privato ed il professionale artistico, di Francesco Ciusa, inserendovi le tracce della sua esperienza nella Libera Muratoria sarda, maturata fra Oristano e Cagliari a cavallo fra secondo e terzo decennio del Novecento. L’ho fatto adottando una formula narrativa che al genere mi era parso, tutte le volte che l’avevo pubblicamente proposta, dare risultati efficaci: il racconto autobiografico simulato, naturalmente fermi restando tutti i riferimenti storici, alla grande e alla piccola storia.
Torno sul tema , secondo modalità tradizionale, con questo secondo articolo dedicato a Francesco Ciusa, il grande, il più grande forse – ove mai esistano i misuratori in questo campo – dell’arte sarda del Novecento. Il focus qui è tutto massonico e si basa sulla lettura contestualizzata dei pochi, ma certi, riferimenti documentari presenti tanto nelle registrazioni di emissione dei nulla osta e delle bolle conservate nell’Archivio storico del Grande Oriente d’Italia quanto nel libro-matricola, oggi vincolato dalla Soprintendenza archivistica per la Sardegna, e di cui posseggo la fotocopia integrale, della loggia cagliaritana intitolata a Sigismondo Arquer, con annotazioni dal 1890 al 1924. Fino alla capitolazione imposta dai dark nuovi padroni d’Italia.
Gesso e creta, squadra e compasso
Nell’anno in cui fu iniziato alla Massoneria, nel Tempio periferico e modesto di Oristano, Francesco Ciusa produsse per l’arte due opere destinate una alla Biennale di Venezia e l’altra alla Esposizione mondiale di Roma: “Dolorante anima sarda” e “La Bontà”, questi i titoli. Il titolo che prese lui in Massoneria – mentre fuori già lo chiamavano Maestro – era quello di Apprendista. A Cagliari, nel grande Tempio al primo piano di palazzo Fulgher, in via Barcellona quasi allo sbocco nella via Roma, il diploma di Maestro Massone glielo diedero tre anni dopo,nel 1914. Che fu lo stesso anno in cui, in un’altra loggia pure essa di Rito Scozzese Antico e Accettato – e anch’essa del circuito del Grande Oriente d’Italia (in cui s’era appena regolarizzata, essendosi essa costituita all’interno della concorrente Obbedienza di Piazza del Gesù: la Karales all’Oriente di Cagliari) – veniva iniziato, giovane di 27 anni, l’oranese Mario Delitala, uno degli amici del cuore dell’autore della “Madre dell’ucciso”.
Sono pochi i documenti che raccontino la militanza liberomuratoria di Francesco Ciusa, benché siano certi e certificati quelli essenziali: in primo luogo la data del brevetto (n. 35.093) rilasciato dalla Gran Segreteria di Palazzo Giustiniani (il 4 aprile appunto del 1911); la data poi del suo passaggio dalla loggia oristanese portante il titolo distintivo di Libertà e Lavoro a quella cagliaritana (da cui essa era gemmata nel 1907) intitolata nientemeno che a Sigismondo Arquer, il giurista e teologo cagliaritano accusato ingiustamente di eresia protestante e arso vivo nell’autodafé di Toledo del 1571 (quasi trent’anni prima di Giordano Bruno): quella data era l’11 ottobre 1912 (con nulla osta del GOI n. 9.625 del 23 settembre precedente).
Altre date conosciute, registrate nel libro matricola della Sigismondo Arquer ed a Roma nei corrispondenti quadri recanti le annotazioni anche degli aumenti di “salario” degli Apprendisti o dei Compagni d’Arte, sono quelle che segnano le promozioni al secondo grado e al terzo. Al grado di Compagno d’arte il 16 maggio 1913 (con brevetto del 28 aprile), a quello di Maestro il 10 luglio 1914 (con brevetto del 20 giugno).
Alla essenzialità di tali dati deve farsi riferimento, per adesso, e nella speranza sempre di reperire più cospicue unità d’archivio, per inquadrare almeno le prime fasi della vita liberomuratoria di Francesco Ciusa. Per il resto recuperando dalla verosimiglianza le coordinate di un racconto più possibile aderente ai dati di fatto.
Nel Tempio di Oristano
Si cominci da Oristano, dalla compagine che lo accoglie ritualmente nel Tempio che il can. Raimondo Bonu – uno degli storici d’eccellenza della città e del territorio, non soltanto della Chiesa arborense – individua in un edificio religioso medievale ed ormai sconsacrato: quello di San Lazzaro, presso la strada provinciale Oristano-Santa Giusta, risalente forse al 1335. Questo ove l’abbattimento del manufatto da parte del Comune, che lo stesso canonico colloca intorno al 1910, possa ipotizzarsi nella seconda parte del 1911 o successivamente. In difetto, la sede più probabile potrebbe essere in un locale di palazzo Spano oppure di palazzo Parpaglia, residenze rispettivamente dei FF. Eugenio Sanna Spano – per diverso tempo anche sindaco della città – ed Attilio Manconi, della cui ospitalità si hanno testimonianze orali, o ancora nel retrobottega di una farmacia del centro – magari proprio di fronte alla cattedrale – anche’essa di proprietà di un Fratello (Antonio Angioy). Della esatta successione di tali sedi manca la prova documentale e dunque è da immaginarsi non più che la suggestione del rito di ammissione nella società fraternale.
Attiva da quattro anni come gemmazione della loggia cagliaritana, la Libertà e Lavoro ha avviato la sua esperienza un lunedì, il 29 luglio 1907. Sono sette i fondatori, provenienti chi dalla Planargia/Montiferru (Cuglieri), chi dal Marghine (Macomer), chi dal Guilcer (Norbello, Ghilarza). Il proselitismo subito avviato ha finito per quadruplicare e più in un lustro l’organico: 14 neofiti fra 1907 e 1908, 12 nel 1909, 2 nel 1910, altri due – fra essi Francesco Ciusa (che potrebbe esser stato iniziato unitamente a Raimondo Cossu Loi (insegnante cinquantenne originario di Ula Tirso).
Maestro Venerabile della loggia è, nel 1911, e anche nell’anno successivo, il Fr. Pietro Loffredo, uno degli anziani per età anagrafica in una realtà che conta molti trentenni . Dovrebbe dunque essere stato lui, Pietro Loffredo – oristanese classe 1856, rappresentante di commercio e socio amministratore e cassiere del Consorzio agrario cooperativo locale, iniziato a Cagliari nel 1906 (prossimo purtroppo a migrare nell’Oriente Eterno: sarà alla vigilia del Natale 1913) – a donare a Francesco Ciusa la “Vera Luce”, l‘introduzione cioè all’esperienza latomistica.
Verrebbe da domandarsi chi possa essere stato a suggerire o proporre allo scultore – 28enne nel 1911 – l’iniziazione massonica. Un nuorese? Va intanto considerato che a Nuoro per tutti gli anni d’inizio Novecento non funziona alcuna loggia. Soltanto negli ultimi anni ’10, fra la fine della grande guerra e l’insorgenza fascista, avranno spazio varie formazioni liberomuratorie di stampo scozzesista, anche in asse con Ozieri, gran regista il poeta e martinista Vincenzo Soro, colui che da ginnasiale si prestò a fungere da “mano scrivana” di Sebastiano Satta impedito dalla emiparesi . E comunque si trattò di logge o capitoli del Rito Scozzese (forti di nomi come Pietro Mastino!), tanto nel capoluogo di circondario così come a Sarule ed Orani, – si chiameranno Barbaricina, Ora e Sempre, La Vera Luce – estranei al circuito del Grande Oriente d’Italia in cui l’officina oristanese era incardinata.
Se non un nuorese, forse un macomerese, considerando la provenienza della moglie Vittoria Cocco. Nel Marghine s’era trasferita la madre del giovane scultore con il suo secondo marito, quello sposato dopo la prematura morte di Giacomo Ciusa, che tanto dolore e tanti problemi comportò in famiglia. E ad Oristano un bella personalità macomerese – Giovanni Bonelli, medico (e futuro Venerabile) – ornava le Colonne dal 1910; con lui, proveniente da Macomer, anche l’avvocato Gavino Uras Binna, professionista e pubblico amministratore di grande notorietà e rispetto. Chissà…
Chi trovò, Ciusa,nell’ensemble simbolico oristanese frequentata quell’anno/anno e mezzo fra 1911 e 1912? Ricostruendo il piedilista è possibile immaginare il consesso, attorno al M.V. Loffredo, lavorassero in 34 (fondatori compresi), anche se naturalmente non tutti dovevano essere contemporaneamente presenti alle tornate periodiche. L’affiatamento fra le Colonne sembrerebbe complessivamente buono. Sotto i trent’anni sono sette i Fratelli – tre insegnanti, un professore, due avvocati, un commerciante –, tra i 31 ed i 40 la maggioranza e precisamente 22 (inclusi alcuni dei fondatori) – due insegnanti, cinque avvocati, sei medici, un veterinario, un ingegnere, un impiegato, un possidente, un enotecnico, un commerciante, un esattore, un operaio (il 22° non è classificato) –, due fra i 41 e 50 anni – un medico e un farmacista -, quattro appena(compreso il Venerabile) oltre i 50: un ingegnere, un cancelliere, un negoziante,un rappresentante .
E dunque in tutto ecco cinque insegnanti, un professore, sette avvocati, sette medici, un veterinario, un farmacista, due ingegneri, un possidente, un enotecnico, quattro commercianti e affini, un cancelliere, un impiegato, un esattore, un operaio: il panorama di esperienza sociale e formazione culturale nel quale Francesco Ciusa è chiamato ad inserire il suo apprendistato liberomuratorio. Nell’anno e qualche mese in cui calca anche lui il pavimento a scacchi del piccolo Tempio arborense, osserva che la sua loggia ha deciso di segnare il passo con l’ampliamento ulteriore dell’organico, come se ritenesse opportuno – saggia decisione! – di compattare meglio le Colonne, incrementare le occasioni volte soltanto a cementare la Fratellanza locale favorendo la mutua conoscenza ed amicizia. Si riprenderà con le ammissioni quando il Fr. Ciusa – ormai residente a Cagliari – avrà formalizzato, con debito exeat, il suo passaggio alla Sigismondo Arquer.
Ma per intanto conosce l’ambiente, si fa toccare dalle suggestioni della simbologia e del rituale. Né mancano nel piedilista della Libertà e Lavoro personalità capaci di fornire, anche per la derivazione da studi o per la coltivazione di virtuose passioni culturali o di talenti nativi, stimoli al giovane artista così come all’intera organico. Si pensi al Fr. Bachisio Masala, un insegnante elementare che scrive (e pubblica) – al pari di un altro non ignoto Fratello: Ausonio Spano, segretario comunale – deliziose composizioni in versi adottando il sardo delle sue zone; si pensi al Fr. Ugo Enrico Paoli, fiorentino di nascita e giovanissimo professore di lettere al liceo-ginnasio De Castro, che quando tornerà in continente per insegnare all’ateneo della sua città od a Genova sarà un prolifico saggista di letteratura e costume dell’antichità classica e latina, nonché esponente dell’intellettualità antifascista toscana. Si pensi alla dinastia dei Loffredo, referenti omnibus in quel d’Oristano, alla dinastia dei Deriu, referenti omnibus anch’essi nel Guilcer, o al Fr. Cornelio Villafranca, che a Terralba sarà, come amministratore comunale, fra i protagonisti delle bonifiche. O ancora al Fr. Francesco Giorgio Mameli, ambasciatore d’Italia presso il governo bulgaro negli anni del secondo conflitto mondiale e poi presso la Santa Sede, oppure al Fr. Paolo Lorica, brillante giovane avvocato seneghese, che di Oristano diverrà sindaco socialista… Portano nomi di famiglie prestigiose – i Bonelli, di origini corse e avventure rivoluzionarie, gli Uras Binna, macomeresi sospesi fra avvocatura e pubbliche amministrazioni fino al governo di Roma, i Contini, industriali e pubblici amministratori, i Sanna Spano professionisti e amministratori civici pure essi, i Busachi, legati alle grandi infrastrutture civili locali e magari anche ai censimenti dei preziosi reperti di Tharros, i Manconi, altro eccellente ceppo che offre alla comunità professionisti, amministratori e filantropi (imparentati con i Parpaglia ed i Passino), e così a proseguire…
Ecco: un artista neppure trentenne, amato e di grande successo, con un futuro creativo e di riconoscimenti, si trova nel mezzo prevalente di amici che si chiamano – come nella poesia di Kipling e come nei conventi religiosi – «Fratelli» e insieme con loro s’immerge nelle fascinazioni d’un linguaggio che rimanda continuamente dall’infinitezza dell’universo e alle regole dell’arte costruttiva. Tutto poi è certamente inquadrato – non potrebbe essere diversamente – nel contesto storico-sociale della città d’Oristano in tensione di crescita, pur ancora e sempre con i suoi ritmi mai accelerati, ancora afflitta dal male diffuso della malaria, ed a forte condizionamento, nel costume, religioso e clericale, quando anche la politica ancora non riesce a emanciparsi dalle tutele notabiliari (ne è stato un esponente l’ormai anziano Fr. Salvatore Papaglia, cinquant’anni di parlamento fra Camera e Senato, un passato fecondo di consigliere e di sindaco, di promotore della società operaia mutualistica, ecc.).
Mancano purtroppo i verbali delle tornate, rituali o bianche che siano. La dispersione dovuta soprattutto alla persecuzione fascista che si farà progressivamente dura per il tradimento, o il voltafaccia, di alcuni degli stessi componenti della Libertà e Lavoro (a cominciare da Paolo Pili, il “duce della Sardegna” e anche di Giovanni Battista De Martis fatto suo vice per tutto l’Oristanese in uno alla carica di seniore della Milizia), impedisce ogni più mirata ricostruzione. E sarebbe interessante poter trovare evidenze riportanti alle relazioni, negli anni ’20 e ’30 e ancora in quelli di guerra, fra gli intemerati – come il Fr. Agostino Senes, mazziniano e repubblicano incorruttibile – e gli ex, ora padroni del campo. (Invero il Fr. Pili, personalità comunque di gran riguardo, retrocede rapidamente nella scala del potere politico ed economico regionale e, suprema beffa, sarà egualmente contrastato da fascisti ed antifascisti).
Nel Tempio di Cagliari
Ma Ciusa – il Fr. Ciusa – è toccato dalle suggestioni liberomuratorie, si è coinvolto in dinamiche associative ma forse più ancora intellettuali ed etico-morali che dell’impianto massonico costituiscono come il midollo motivante e critico. Sicché appena può chiede l’assegnazione all’organico della cagliaritana Sigismondo Arquer. Autorizzato a settembre – l’anno è il 1912 – il passaggio diventa realtà venerdì 16 maggio 1913.
La compagine massonica nella quale si è ora incardinato conta ormai 23 anni di vita, essendosi costituita dopo un sonno durato quasi un decennio (nessuna loggia era operativa in Sardegna negli anni ’80 dell’Ottocento), nella primavera del 1890. Ha passato già varie stagioni, conosciuto molti Venerabili, accelerazioni e rallentamenti nel proselitismo, arrivi importanti ed arricchenti di Fratelli venuti dal continente a Cagliari per insegnare al liceo, all’istituto tecnico, o alle altre scuole superiori oppure all’Università – soprattutto in facoltà di Medicina e Chirurgia –, assunto iniziative che andranno via via crescendo col tempo in campo sia culturale (come la promozione della sezione locale della Dante Alighieri) che sociale (come il Dormitorio pubblico che diventerà ospedale della Croce Rossa negli anni della grande guerra e poi molto altro, e oggi sede della facoltà di Scienze Politiche) con un cantiere di idee ed iniziative sempre attivo (magari per lanciare la Croce Verde o l’Università popolare ecc.). Ha conosciuto anche passioni e travagli “profani”, quando i turni elettorali – amministrativi (comunali e provinciali) più che politico-parlamentari – hanno chiesto a tutti di fare la propria parte, prendere posizione rispetto ai programmi ed alle liste. Il che ha forzato le situazioni, anche e soprattutto perché Cagliari negli anni d’inizio Novecento – che sono poi quelli delle grandi trasformazioni tecnologiche e di costume: s’affaccia il foot ball, circolano le prime autovetture, s’accende il primo schermo cinematografico, viaggiano i primi vagoni tramviari per collegare l’hinterland al porto…) – è tutta attraversata da una febbre ideologica e dal versante guelfo e da quello anticlericale che esaspera lo scontro quotidiano che rimbalza deflagrante dalla stampa, dai comitati e dall’associazionismo diffuso orizzontalmente nel territorio e dentro le classi ed i ceti.
La Massoneria – né partito né chiesa – gioca anch’essa la sua partita, non di rado mettendo a rischio la sua costitutiva estraneità o terzietà rispetto ad ogni competizione che paga inevitabilmente la ruvidezza del contingente. Il profilo pubblico di molti dei suoi Artieri impegna la Sigismondo Arquer a non rinchiudersi nelle elaborazioni degli esoteristi, dei ritualisti o dei simbolisti. Ora – anni 1912-1913 – i Fratelli sono impegnati anch’essi nella gran colletta per donare a Cagliari un busto di Giordano Bruno (che faccia il paio con quella dettorinna di Dante Aligheri) da collocare in una piazza per l’ammirazione e il memento pubblico…
Sono forse settanta, od ottanta quelli che frequentano la sede di via Barcellona, quasi all’imbocco della via Roma, proprietà nientedimeno che della… Congregazione del SS. Sacramento della parrocchia di Sant’Eulalia! Al primo piano con sei luci impreziosite da balconcini d’artigianato secolare, immediatamente sopra il doppio portone d’ingresso, altre sei nella parallela via Mores (o Napoli). Si tratta di un compendio dal gusto tutto borghese, e di grandi dimensioni: forse 400 metri quadrati, distinti fra la parte tecnico-rituale (il Tempio, la sala dei Passi Perduti, l’annessa segreteria – ambienti questi ultimi in cui non mancano le opere d’arte, i busti od i ritratti dei padri della patria) e la parte meglio riferita alla vita associativa e ricreativa: sono altre tre o quattro le sale e salette ora per i conversari ora per il gioco del biliardo o della dama…). Un inventario delle suppellettili datato 31dicembre 1910 offre la puntuale descrizione di ogni stanza, rappresentandone la funzione.
Ecco il luogo nel quale Francesco Ciusa viene ammesso, il luogo che egli frequenta intrattenendosi nella conversazione, talvolta chissà anche in qualche passatempo, il luogo dove viene promosso ai gradi superiori della Massoneria simbolica: quello di Compagno d’Arte (il grado della società delle pietre digrezzate) e la Maestria. La descrizione può aiutare a seguire, seppure soltanto sul filo della verosimiglianza, il giovane Apprendista-Compagno-Maestro nelle incombenze che egli stesso si è dato allargando il raggio delle sue relazioni in quella Cagliari che ormai da qualche tempo ha scelto per propria residenza: dove radicare la famiglia, far crescere i figli… La saletta d’ingresso (con bussola in legno e vetro opaco e col campanello d’allarme) presenta 37 attaccapanni ed il portabastoni-ed-ombrelli, un divano imbottito tappezzato in raso, alcuni specchi “luce molata” con mensolette, dei candelabri ed una bacheca. Da lì si accede, attraverso un andito (pure esso con doppio portamantello: uno girevole ed uno a sei parti, tenda di juta e becco a gas), alle sale di ricreazione: quella da biliardo (banco a sei buche, almeno diciotto stecche, uno steccone e un mezzo steccone, sette biglie e trenta fra ometti e stecchini avorio, una piccola lavagna, e accostati alle pareti quattro divani, due tavolini in ferro e marmo, una mensoletta da muro, qualche sputacchiera per i fumatori di tabacco, alcune lampade a gas, un grande avvoltoio imbalsamato), quella da gioco (tre tavolini, tre sottopiedi e dodici sedie, scacchiere e tavole di dama, ecc.), ed al salone (una specie di museo con quadri di Mazzini, Garibaldi e Lemmi, fotografie storiche autografate dei primi massoni cagliaritani e quelle dei primi sei Maestri Venerabili della (Ricciardi, Eugenio Pernis, Sbragia, Canti, Labisi, Aresu), di alcuni aderenti al movimento del Libero Pensiero e della corona bronzea deposta sulla tomba di Caprera nel 1902, e medaglie incorniciate, uno scrittoio, un finto caminetto, e ancora divani e poltrone e seggioloni e sedie di tutti i modelli, un gran lampadario a gas a tre fiamme, due preziosi vasetti giapponesi), nonché ad una saletta interna (protetta da una tenda rossa) per le conversazioni più riservate e personali. Insomma, la versione associativa del salotto di nonna Speranza descritto dal Fr. Gozzano…
Due piccoli ambienti, deputati ai servizi d’igiene (lavandino ad angolo, toeletta-lavabo, ecc.) ed ai depositi di stoviglieria (12 bicchierini da malvasia, 6 bicchieri a calice, 2 altri grandi per acqua, una guantiera di cristallo ed un’altra di metallo bianco), rispondono ai più ordinari bisogni, o piaceri, della sosta.
Grandi spazi per il pensiero e la convivialità
C’è poi la parte rituale, ad iniziare dal Gabinetto di riflessione, dove il profano viene rinchiuso prima di essere trasferito, bendato, nel Tempio per il rito di iniziazione: tutto qui è tappezzato di stoffa scura e lugubre (40 metri di tessuto!). Domina, in alto, l’ammonimento alchemico “Visita Interiora Tua Rectificando Invenies Occultum Lapidem”; sotto, una bara, una clessidra, pane duro, una brocca, del sale, un teschio e due scritte: “Vigilanza”, “Perseveranza”. Un tavolino triangolare (con sedia di legno uso noce) serve, alla fioca luce di un becco a gas, per vergare il Testamento.
Ecco ora la Segreteria e la sala dei Passi Perduti: un altro museo storico con abbondanti dotazioni iconografiche fra cui spiccano Garibaldi e Mazzini, Vittorio Emanuele II e Umberto I e naturalmente Ernesto Nathan, ed includono anche i busti in gesso, oltre che del “primo massone d’Italia”, pure di Giovanni Bovio – opera del Fr. Pippo Boero (che oggi, dopo i salvataggi che ne avevano fatto i repubblicani e modestamente chi scrive queste note, fa bella mostra di sé a palazzo Sanjust) – e di Giosuè Carducci, opera del Fr. Andrea Valli (uno dei più gettonati del suo tempo, impegnato anche nei lavori di decorazione interna del nuovo municipio di via Roma)… Un bell’orologio a muro segna, nella Segreteria, il tempo; là sotto, una pressa copia-lettere, fra armadi (di pertinenza della loggia oppure del collegato capitolo Rosa+Croce Ichnusa), scrittoi e tavolini, divano e sedie Vienna, e molte, molte lampade a gas….
Un gran tappeto verde copre il lungo tavolo posto al centro dei Passi Perduti, attorno a cui i liberi muratori sogliono riunirsi per banchettare quando la riservatezza di un momento particolare sconsiglia migrazioni in massa in qualcuno dei ristoranti cittadini.
In fondo è il solenne Tempio capace forse di una settantina di posti: 58 per l’esattezza sono le sedie in paglia (le più modeste che sia dato di immaginare), 10 quelle con spalliere imbottite in cuoio per i Dignitari ed Ufficiali (i Sorveglianti, l’Oratore, il Segretario, il Cerimoniere, l’Elemosiniere, ecc.); uno scomodo austero seggiolone è al settimo dei bassi gradini che accoglie la postazione del Maestro Venerabile con tavolo triangolare (con tre lumi, così come di simile, ma con lumi decrescenti, l’hanno i due gerarchi-Sorveglianti, l’Oratore ed il Segretario verbalizzante). Appoggiati alle pareti di Occidente sono le due Colonne B e J in lamina bronzata, e all’Oriente – dov’è il Venerabile – i labari della loggia (in seta ed in lana verde), e quelli del Capitolo e del Conclave; sopra il tronetto del Venerabile sono collocati il gran Delta luminoso richiamante l’idea eterna di Dio-Grande Architetto dell’Universo, ed i luminari (Sole e Luna), sui lati lunghi le colonnine d’ornamento tornite ed alle postazioni del M.V. e dei Sorveglianti rispettivamente il medaglione di Minerva e le statuine di Venere ed Ercole, sull’ara il menorah ebraico e la squadra e il compasso di ferro sopra la Bibbia aperta sul prologo del Vangelo di Giovanni apostolo, e sotto le pietre grezza e lavorata (in daes), ai banchi una trentina di spade ricordo dei cavalieri cattolici scozzesi, una gran quantità di sciarpe e di grembiuli colorati, in un angolo una scatola con le palline rosse, bianche e nere e relativo bossolo (per le votazioni interne e d’ammissione di nuovi Fratelli), tre copie dei rituali, il quadro con l’elenco degli appartenenti alla Sigismondo Arquer e quello con la Bolla di fondazione del 1890…
Quando arriva nel Tempio cagliaritano, donandosi all’abbraccio personale e comunitario di benvenuto, nel l’autunno del 1912 il Venerabile è – secondo la tabella conosciuta (in verità bisognosa di ulteriori messe a punto) – il Fr. Antonio Ferrari, un ingegnere del Corpo Reale delle miniere, direttore o agente di varie società estrattive e di lavorazione (la Malfidano di Buggerru, la Anonima esplodenti e prodotti chimici)… E’ stato attivo, in Sardegna e fuori, nella raccolta di fondi a favore dei familiari dei caduti di Buggerru nel 1904, a Cagliari è dirigente del Casino filarmonico ed anche dell’Associazione degli impiegati civili di Cagliari – una specie di Rotary delle burocrazie pubbliche e private –, nonché consigliere provinciale e comunale (così come Romolo Enrico Pernis e Giuseppe Sanna Randaccio e altri). A lui è anche affidata per alcuni anni la presidenza dello IACP, il primo istituto pubblico di amministrazione delle case operaie nel capoluogo…
E’ sotto il suo Venerabilato che nasce a Cagliari la Croce Verde con l’intento di «porgere pronto ed efficace soccorso nei pubblici e privati infortuni, assistere gli infermi e trasportarli nei luoghi di cura, impedire che chi è colpito da qualche improvvisa infermità offra di sé doloroso spettacolo e veda ritardato un alleviamento delle sue sofferenze dalla mancanza delle prime cure» (vi sono coinvolti una quarantina di massoni, dal presidente Roberto Binaghi al consigliere Luigi Cocco Serreli: quel Cocco Serreli che, giovanissimo medico, pochi anni prima ha capeggiato a Palermo una squadra di studenti universitari – fra i quali sono almeno quattro i prossimi Fratelli, incluso Armando Businco, al quale un giorno si intitolerà l’Ospedale Oncologico di Cagliari –, accorsi come barellieri e medicatori all’indomani del rovinoso terremoto di Messina e Reggio).
Dopo i sei i cui volti sono in rassegna nei ritratti del gran salone, hanno retto il Maglietto di comando i FF. Giovanni Todde Diana, Sanna Randaccio, Pernis jr., Stefano Cardu (colui che donerà la sua collezione d’arte siamese al Comune di Cagliari che ne fa permanente mostra in uno degli spazi della Cittadella dei musei), ancora Pernis, il quale ha modo di intervenire direttamente nella carriera massonica di Francesco Ciusa… Nel 1911 – pressoché nelle stesse settimane in cui il giovane (ma già consacrato) scultore varca la Porta d’Occidente del Tempio oristanese per farsi massone – Pernis ha rilasciato una intervista in prima pagina all’Unione Sarda che lo qualifica come “Venerabile della Massoneria” e leader dell’Associazione democratica, una sorta di partito di sinistra liberale e tratto rigorosamente laico… Queste le sue parole d’ordine: «La Massoneria, come istituzione, non si occupa di elezioni. Possono ed effettivamente ne fanno parte uomini appartenenti a tutti i partiti liberali. Ma essa non potrà non simpatizzare per quei candidati i quali si propongono di opporsi, in tutti i modi, al pericolo clericale, sempre più evidente e temibile». E ancora: la Massoneria «tende a favorire il trionfo della democrazia contro le insidie e gli agguati delle orde reazionarie che sono una cosa sola con il clericalismo, il grande nemico della libertà e del progresso».
Dunque in quest’alternanza al vertice dei FF. Pernis e Ferrari, Francesco Ciusa è accolto, venerdì 11 ottobre 1912 nella comunione della Sigismondo Arquer, ed il 16 maggio 1913 ed il 10 luglio 1914 viene promosso rispettivamente al 2° e al 3° grado.
La tabella registra che in entrambe tali ultime tornate rituali si procede anche ad altri importanti adempimenti: nel primo caso perché con lui, aumenta il salario anche del Fr. Antonio Mario Lay (ultimo dei dieci figli di Agostino Lai Rodriguez, l’importatore della fotografia in Sardegna a metà Ottocento, ed intimo di un massone storico, rappresentato nei celebri “Goccius”, come Efisio Marini celebre pietrificatore dei cadaveri!). Una bella accoppiata con Ciusa: anche Lay è un uomo di ascolto. Del suo negozio di stoffe in via Manno, a un passo dalla chiesa di Sant’Antonio abate, ha fatto il luogo di incontro quotidiano (il più a mezzogirno e a fine serata) dei Fratelli in circolazione per i quartieri cittadini; in più è un mazziniano che avrà presto la segreteria amministrativa della sezione dell’onorato Partito Repubblicano e, quando sarà – e sarà nel novembre 1925 –, eviterà che i questurini fascisti irrotti nella casa massonica possano sequestrare carteggi e documenti, perché nottetempo li ha fatti sparire per seppellirli in quel di Tuvixeddu…
Nella stessa seduta viene affiliato con il grado di Compagno anche il Fr. Giuseppe Berti, un professore dell’Istituto Nautico giunto da L’Aquila (dove frequentava la Gran Sasso).
E ancora si procede a due iniziazioni: quelle di Angelo Capobianco, un giovane ingegnere dell’Ispettorato ferroviario, lucano di Rionero in Vulture, e di Battista Rossino. E’ da immaginarsi che Ciusa abbia provato speciale emozione ad assistere specialmente a quest’ultima iniziazione, perché Rossino è un collega artista, ancorché della tela invece che della creta o del bronzo. Un pittore che ha ed avrà ampia fama non soltanto in Sardegna. Ora quarantenne, insegna disegno alle scuole tecniche e bene accompagna la docenza al libero esercizio artistico…
C’è poi l’altra data: martedì 14 luglio 1914, quando – e non è a dirsi con quanto merito – Francesco Ciusa riceve dal suo Ven.mo la Maestria. Il calendario parla già di guerra mondiale. Da due settimane – dall’assassinio cioè dell’arciduca d’Austria – cancellerie ed eserciti di mezza Europa hanno messo all’ordine del giorno il rifacimento radicale della cartina del continente.
A Cagliari, in quel Tempio simbolico e rituale di via Barcellona, all’ordine del giorno è una botta espansiva al proselitismo ed al riassetto delle Camere oltre quella d’Apprendista. Perché nella stessa seduta di lavori, con l’aumento di paga al Compagno d’Arte Francesco Ciusa, e con lui al Fr. Mauro Angioni – sì, il grande avvocato prossimo parlamentare dell’Elmetto presardista e poi del grande salto nel PNF (con ripudio della Libera Muratoria, idealità e circuito comunionale) – vengono aumentate le paghe massoniche anche agli Apprendisti Oreste Deiana, capitano medico all’Ospedale militare di Cagliari, e ad Angelo Capobianco (di cui sopra), e formalizzate ritualmente le affiliazioni dell’Apprendista Arturo Salvi, un ingegnere perugino direttore della scuola industriale di Cagliari (proviene dalla Darwin all’Oriente di Pisa), e dei Maestri – entrambi provenienti dall’iglesiente Ugolino – Giuseppe Carta, industriale minerario nativo di Iglesias, ed Attila Zerbini, d’origini parmensi, già direttore dell’officina del gas e professore presso la scuola tecnica, anima attivissima sempre (ad Iglesias, dove ha risieduto per lungo tempo, ha fondato la sezione locale della Dante Alighieri). E con le affiliazioni – che integrano un semplice trasferimento – anche una regolarizzazione, il risveglio cioè di un Fratello in congedo autorizzato ormai da un lustro: Ignazio Varese, cagliaritano, capitano contabile presso il comando della legione RR. carabinieri.
Infine, ma certo non ultime nella riserva delle cure dell’officina, una iniziazione: quella Luigi Manca, palermitano di nascita (ma forse di origini sarde), giovane segretario del Tribunale militare di Cagliari.
Questa è l’umanità che il Fr. Ciusa incontra e con cui si lega nelle occasioni forti della sua esperienza liberomuratoria. Ma certo è che nei circa due anni che separano la sua affiliazione cagliaritana alla conquista della Maestria egli ha visto le dinamiche proprie di una qualsiasi compagine massonica consapevole dei suoi compiti virtuosi: «scavare oscure e profonde prigioni al vizio e lavorare al bene e al progresso dell’umanità». Lo ha visto con l’azione di proselitismo che è incessante, ancorché varie ragioni abbiano consigliato ritmi più riposati rispetto ad altre fasi espansive della vita della Sigismondo Arquer, e lo ha visto attraverso le cosiddette tavole architettoniche, le relazioni sugli argomenti i più vari ma rifilati dalla dottrina liberomuratoria, che l’Oratore o le Colonne stesse hanno offerto alla generale riflessione e alla libera discussione.
Intanto il proselitismo, la “campagna iniziazioni”, dopo l’ottobre 1912 e fino a quel luglio 1914, ha dato molti risultati: la loggia ha accolto fra i propri neofiti i profani Eugenio Castelli, magistrato cagliaritano ad avvio di carriera (28enne di famiglia coinvolta per molti rami con la Massoneria locale); Calogero Gagliardo, siciliano di Girgenti, agente delle imposte; Carmelo Naim, calabrese maresciallo al 46°reggimento fanteria (che in Sardegna metterà radici e famiglia); i sopra menzionati Mauro Angioni, Battista Rossino, Oreste Deiana, Angelo Capobianco e Luigi Manca; ed ancora Antonio Ghisu, pittore cagliaritano – un altro pittore! – che darà molto all’arte anche religiosa della città (tanto più nella basilica di Bonaria, dove un giorno anche Ciusa offrirà del suo); Giuseppe Morganti, giovanissimo ragioniere cagliaritano purtroppo destinato a prematura morte in un ospedaletto da campo nel 1917; Isidoro Magliocco, sassarese funzionario del provveditorato agli studi; Angelo Bassani, cagliaritano direttore didattico e vice ispettore scolastico; Vincenzo Marchi, veneziano ingegnere alle regie Saline; Vittorio Serra, patavino professore alla scuola Normale femminile…
Ci sono poi, nello stesso tratto temporale, le affiliazioni da altra loggia o le regolarizzazioni: di Raffaele De Marco, elettricista alle regie Saline, proveniente dalla Skanderbegh all’Oriente di Lungro; Arminio Olivotti, ingegnere direttore della Manifattura tabacchi, proveniente dalla Universo all’Oriente di Roma; Attilio Cevedalli, professore di medicina legale all’università, proveniente dalla Nicola Fabrizi all’Oriente di Modena; Pasquale Sfameni, professore anche lui in facoltà di Medicina, proveniente dalla Darwin all’Oriente di Pisa; Attilio Gentili, assistente universitario, proveniente dalla Propaganda all’Oriente di Torino; Luigi Noli, cagliaritano macchinista della Marina mercantile (e figlio di Fratello), proveniente dalla ferana (Piazza del Gesù o ancora Via Ulpiano) Bixio all’Oriente di Genova con appartenenza anche alla Stella d’Italia all’Oriente di Genova; Agostino De Lieto Vollaro, professore di oculistica all’università, proveniente dalla Figli di Garibaldi all’Oriente di Napoli; Lotario Belli, rappresentante di commercio maceratese, proveniente dalla La Regola all’Oriente di Roma; Luigi Murgia, medico e dirigente repubblicano (già sindaco di Guspini), proveniente dalla Cirillo all’Oriente di Napoli; Antonio Pierazzuoli, aretino direttore della Cassa Ademprivile, proveniente dalla Concordia all’Oriente di Firenze, che sarà della partita delle bonifiche arborensi; Luigi Camboni, sassarese magistrato e professore, proveniente dalla Gio.Maria Angioy all’Oriente di Sassari; Artidoro Gattoronchieri, elettrotecnico ligure, proveniente dalla Garibaldi-Libertà-Giustizia all’Oriente de La Spezia; Renzo Saluz, cagliaritano segretario alla Provincia, proveniente (come già Ciusa) dalla Libertà e Lavoro; oltreché i già citati Berti, Varese, Salvi, Carta, Zerbini…
Cosa si ricava da questo lungo elenco di nomi, di estrazioni territoriali e professionali le più varie, di rimandi a esperienze latomistiche in mezza Italia? La possibilità che Francesco Ciusa ha di allargare le sue relazioni umane, per prendere e per dare… Egli partecipa a queste continue affluenze nel piedilista, ha modo di conoscerne idee ed orientamenti nelle discussioni regolate del Tempio, soffermarsi con i singoli in colloqui – magari già nei salotti della grande sede di via Barcellona – e anche trascorrere qualche ora di svago, chissà,nelle ospitali sale del biliardo o della scacchiera…
Dei Fratelli Romanelli, Valli e Ghisu, Casagrandi e Lo Bue, e di Cesare Battisti
Su tutto poi, oltreché i Venerabili nella loro successione, e gli alti gradi del Rito Scozzese nel quale la Sigismondo Arquer è incardinata, vigila e tutto promuove – in termini di entusiasmo – la bella figura dell’Oratore. E’ lui ad aver dato il benvenuto nel Tempio dell’antico quartiere della Marina al Fr. Ciusa nel 1912, ad avergli dato un nuovo benvenuto nella Camera dei Compagni d’Arte nel 1913, ed il terzo benvenuto nella Camera di Maestro nel 1914. Il Fr. Giovanni Romanelli, affiliatosi nel 1910 provenendo dalla Michelangelo all’Oriente di Firenze, la sua città, è un ufficiale di fanteria, avvocato nei processi militari, un conferenziere su tematiche politico-patriottiche che i circoli cagliaritani si disputano, uno dei columnist (pur con pseudonimo) dell’Unione Sarda, alla vigilia della grande guerra. E nella grande guerra lascerà la sua vita, combattendo eroicamente sul Carso, già poche settimane dopo l’inizio dei combattimenti per l’esercito italiano, nell’estate 1915.
Tutto fa credere che la militanza liberomuratoria di Francesco Ciusa abbia proseguito il suo corso onorevolmente. Se ne ricava indirettamente la prova dalla mancanza di segnalazioni avverse nel registro-matricola della Sigismondo Arquer aggiornato nome per nome, per i meriti (magari la morte in guerra!) e i demeriti (come le diserzioni, nei primi anni ’20 per i richiami fasciomori).
Con diversi componenti della stessa Sigismondo Arquer ha lavorato, nei primi anni ’10, alle decorazioni pittoriche o plastiche del nuovo municipio di via Roma; nel 1915 ammirerà il busto del re assassinato Umberto I che il collega Fr. Andrea Valli ha realizzato per il Dormitorio pubblico del viale degli Ospizi (poi fra Ignazio) fortissimamente voluto dalla Fratellanza e che (seppure con altra destinazione per le sopraggiunge necessità belliche) viene inaugurato nel 1915 dai sovrani in visita a Cagliari; negli anni successivi condividerà con il Fr. Antonio Ghisu – l’ho anticipato – gli abbellimenti della basilica di Nostra Signora di Bonaria: il che evidentemente non porrà problema alcuno ai buoni padri mercedari che non vorranno rinunciare al talento seppure in capo a degli scomunicati…
Avrà assistito, Ciusa, alla visita cagliaritana di Cesare Battisti, una cui istantanea è stata poi collocata in una qualche stanza della casa di palazzo Fulgher (ed oggi di palazzo Sanjust)… Avrà assistito ai tentativi del Saggissimo del Rito Scozzese Oddo Casagrandi – microbiologo e magnifico rettore dell’Università – di impiantare a Cagliari, proprio negli anni della guerra, una presenza organizzata di donne massone con un intento civile e solidaristico… Avrà assistito alle conferenze del nuovo Oratore, già dal 1919, il pastore battista, di fede mazziniana, Francesco Lo Bue… Avrà assistito alle piroette ideologiche di chi ha considerato più conveniente saltare il fosso e farsi fascista…
Nel secondo dopoguerra, gli ultimi aggiornamenti per mano del Fr. Alberto Silicani – il profeta liberomuratore di due terzi di secolo in Sardegna, includendo il periodo della cattività fascista subita con dignità esemplare nella imposta precarietà professionale dopo il licenziamento dall’Unione Sarda – recano l’annotazione del suo passaggio all’Oriente Eterno, il 26 febbraio 1949.
E dunque una delle piste che sarebbe bello e utile seguire per approfondire il percorso di vita ed esperienza di Francesco Ciusa nella Libera Muratoria isolana sarebbe quella delle sue relazioni private con gli Artieri conosciuti e frequentati a Cagliari soprattutto, nei due anni di cui s’è partitamente detto, e poi naturalmente anche dopo: negli anni tragici e dolorosi della guerra (quando, fra il 1915 ed il 1918, sono ammessi, pur nel vistoso e necessitato rallentamento del proselitismo, altri 20-25 profani) e negli anni dell’incertezza fra smobilitazione e affermazione del dark (così fra il 1919 e il 1924 sono addirittura una settantina i nuovi che s’aggiungono ai vecchi)… Nel gran novero, naturalmente, la speciale amicizia con il Fr. Mario Delitala, di cui è prova anche l’epistolario.
Si potrebbe opporre alla tesi della inalterata fedeltà agli ideali, quella dell’approfondimento – non del ripensamento – religioso di Ciusa, di cui abbiamo ricca documentazione. Ma a parte che, nella logica ecumenica e spirituale autenticamente propria della Libera Muratoria, non v’è di fatto alcuna dicotomia fra militanza massonica e appartenenza ecclesiale (come Kipling insegna), è da dire che la accettazione della candidatura social-comunista nel collegio di Oristano alle elezioni parlamentari del 1948 testimonia che la visione civile di Francesco Ciusa non teme le scomuniche: siano quelle contro i comunisti o i social-comunisti (e i sardisti: si ricordi la testimonianza di Marianna Bussalai del 1946), siano quelle contro i massoni.
Per questo anche quel che è venuto dopo, pur non venendo da lui ma onorando il suo nome,contribuisce a una ricollocazione con piena giustificazione nella storia della Comunione giustinianea nazionale: fu massone per lunghi anni e fino al suo passaggio all’Oriente Eterno il figlio Nino, lo sono stati vari altri discendenti. E a Cagliari, dal 1986 – sono ormai trent’anni e più – una loggia s’intitola a Francesco Ciusa e ad ogni tornata, in apertura dei lavori, quando la squadra si sovrappone al compasso sul prologo del Vangelo della Luce, una piccola deliziosa statua dello scultore-Fratello si aggiunge nell’ara strumento e rappresentazione del bello e del vero…