Papa Francesco: «Riforma della curia non è un lifting, dai tradizionalisti resistenze malevole al cambiamento», di Gian Guido Vecchi
Il Pontefice ha incontrato cardinali e arcivescovi per gli auguri di Natale: «Cambiamento necessario, la riforma della Curia efficace solo con uomini rinnovati. Serve snellimento delle strutture, maggiore apertura a donne e laici»
CITTÀ DEL VATICANO «La riforma non ha un fine estetico, quasi si voglia rendere più bella la Curia, né può essere intesa come una sorta di lifting, di maquillage o di trucco per abbellire l’anziano corpo curiale e nemmeno come una operazione di chirurgia plastica per togliere le rughe: cari fratelli, non sono le rughe che nella Chiesa si devono temere, ma le macchie!» Francesco e la Curia, parte quarta. Il Papa ha incontrato stamattina cardinali e arcivescovi nella Sala Clementina, per i tradizionali auguri di Natale. E anche stavolta, come nei tre anni precedenti del suo pontificato («il servizio e la santità di vita» nel 2013, l’elenco delle «malattie curiali» nel 2014, il «catalogo delle virtù necessarie» nel 2015), ha pronunciato un discorso fondamentale, centrato questa volta sulla riforma e le resistenze – aperte, nascoste o «malevole» e «ispirate dal demonio» -, ai cambiamenti in atto: «Mi è sembrato giusto e opportuno condividere con voi il quadro della riforma, evidenziando i criteri-guida, i passi compiuti, ma soprattutto la logica del perché di ogni passo realizzato e di ciò che verrà compiuto».
Le resistenze
Durissimo il passaggio sulle resistenze al cambiamento. Nel percorso di rinnovamento, dice Francesco, «risulta normale, anzi salutare, riscontrare delle difficoltà, che, nel caso della riforma, si potrebbero presentare in diverse tipologie di resistenze». Bergoglio ne distingue tre. «Le resistenze aperte, che nascono spesso dalla buona volontà e dal dialogo sincero; le resistenze nascoste, che nascono dai cuori impauriti o impietriti che si alimentano dalle parole vuote del “gattopardismo” spirituale di chi a parole si dice pronto al cambiamento, ma vuole che tutto resti come prima». Infine «esistono anche le resistenze malevole, che germogliano in menti distorte e si presentano quando il demonio ispira intenzioni cattive, spesso “in veste di agnelli”», scandisce il Papa. «Questo ultimo tipo di resistenza si nasconde dietro le parole giustificatrici e, in tanti casi, accusatorie, rifugiandosi nelle tradizioni, nelle apparenze, nelle formalità, nel conosciuto, oppure nel voler portare tutto sul personale senza distinguere tra l’atto, l’attore e l’azione».
Il senso della riforma
La Curia va riformata per «renderla conforme alla Buona Novella che deve essere proclamata gioiosamente e coraggiosamente a tutti, specialmente ai poveri, agli ultimi e agli scartati» e «conforme ai segni del nostro tempo e a tutto ciò che di buono l’uomo ha raggiunto, per meglio andare incontro alle esigenze degli uomini e delle donne che siamo chiamati a servire». Insieme, osserva Francesco richiamando l’autorità papale, si tratta di «rendere la Curia più conforme al suo fine, che è quello di collaborare al ministero proprio del Successore di Pietro, quindi di sostenere il Romano Pontefice nell’esercizio della sua potestà singolare, ordinaria, piena, suprema, immediata e universale». Poiché la Curia «non è un apparato immobile», la riforma «è anzitutto segno della vivacità della Chiesa in cammino, in pellegrinaggio, della Chiesa vivente» che ha sempre bisogno di essere riformata: «Semper reformanda, reformanda perché è viva».
Conversione
Ma la riforma «sarà efficace solo e unicamente se si attua con uomini “rinnovati” e non semplicemente con “nuovi” uomini», avverte il Papa. In una nota del testo spiega: «Il susseguirsi delle generazioni fa parte della vita e guai a noi se pensiamo o se viviamo dimenticando questa verità: l’alternanza delle persone è normale, necessaria e auspicabile». Però «non basta accontentarsi di cambiare il personale, ma occorre portare i membri della Curia a rinnovarsi spiritualmente, umanamente e professionalmente», prosegue: «La riforma della Curia non si attua in nessun modo con il cambiamento delle persone – che senz’altro avviene e avverrà – ma con la conversione nelle persone. In realtà, non basta una formazione permanente, occorre anche e soprattutto una conversione e una purificazione permanente. Senza un mutamento di mentalità lo sforzo funzionale risulterebbe vano».
Obbedienza incondizionata
Elencate le resistenze, Francesco tuttavia considera: «L’assenza di reazione è segno di morte! Quindi le resistenze buone – e perfino quelle meno buone – sono necessarie e meritano di essere ascoltate, accolte e incoraggiate a esprimersi». Ma insieme richiama l’obbedienza dovuta: «La riforma della Curia è un delicato processo che deve essere vissuto con fedeltà all’essenziale, con continuo discernimento, con evangelico coraggio, con ecclesiale saggezza, con attento ascolto, con tenace azione, con positivo silenzio, con ferme decisioni, con tanta preghiera, con profonda umiltà, con chiara lungimiranza, con concreti passi in avanti e – quando risulta necessario – anche con passi indietro, con determinata volontà, con vivace vitalità, con responsabile potestà, con incondizionata obbedienza; ma in primo luogo con l’abbandonarci alla sicura guida dello Spirito Santo, confidando nel Suo necessario sostegno».
La Curia a dieta
Il processo di riforma è in corso, Francesco ha messo la Curia a dieta e ridotto il numero di dicasteri e consigli. Alla fine del lungo discorso, prima di riepilogare i passi già compiuti, elenca dodici «criteri guida» della riforma. L’ «individualità» o «conversione personale», senza la quale «saranno inutili tutti i cambiamenti nelle strutture». La «pastoralità» o «conversone pastorale», perché la Curia è una «comunità di servizio» e nessuno deve sentirsi «trascurato o maltrattato». La «missionarietà» che pone Cristo al centro: «Senza vita nuova e autentico spirito evangelico, senza fedeltà della Chiesa alla propria vocazione, qualsiasi nuova struttura si corrompe in poco tempo». La «razionalità» per distinguere le competenze fra tutti i dicasteri, che «fanno riferimento diretto al Papa» La «funzionalità» con eventuali accorpamenti fra dicasteri. La «modernità» e l’aggiornamento, quindi saper «leggere e di ascoltare i “segni dei tempi”». La «sobrietà», e quindi la «semplificazione» e lo «snellimento» della Curia: fusioni di dicasteri, «eventuali soppressioni di uffici», «riduzione delle commissioni, accademie, comitati eccetera». Il tutto «in vista della indispensabile sobrietà necessaria per una corretta e autentica testimonianza». E ancora la «sussidiarietà» e la «sinodalità» tra dicasteri, con un migliore coordinamento tra loro e la Segreteria di Stato: la riduzione del numero dei dicasteri permetterà incontri più frequenti e sistematici dei singoli prefetti con il Papa ed efficaci riunioni dei capi dei dicasteri, visto che non possono essere tali quelle di un gruppo troppo numeroso».
Più donne e laici
Decimo e fondamentale punto, la «cattolicità»: «La Curia deve rispecchiare la cattolicità della Chiesa con l’assunzione di personale proveniente da tutto il mondo, di diaconi permanenti e fedeli laici e laiche, la cui scelta dev’essere attentamente effettuata sulla base della loro ineccepibile vita spirituale e morale e della loro competenza professionale». Il Papa chiarisce: «È opportuno prevedere l’accesso a un numero maggiore di fedeli laici specialmente in quei dicasteri dove possono essere più competenti dei chierici o dei consacrati. Di grande importanza è inoltre la valorizzazione del ruolo della donna e dei laici nella vita della Chiesa e la loro integrazione nei ruoli-guida dei Dicasteri, con una particolare attenzione alla multiculturalità». Ultimi due criteri sono la «professionalità» (con buona pace della pratica di promuovere chi si vuole spostare: «È indispensabile l’archiviazione definitiva della pratica del “promoveatur ut amoveatur”, questo è un cancro») e la «gradualità» nel «discernimento». Il processo di riforma richiede tempo: «Non si tratta di indecisione ma della flessibilità necessaria per poter raggiungere una vera riforma». malattie dell’anima Alla fine dell’incontro, Francesco ha raccontato a braccio: «Quando due anni fa ho parlato delle malattie della Curia, uno di voi è venuto a dirmi: “Devo andare in farmacia o a confessarmi?”. Io gli ho risposto: “Tutte e due!». Così ha donato ai curiali un volume di padre Claudio Acquaviva (1543-1615), quinto padre generale della Compagnia di Gesù, pubblicato dalla San Paolo a cura di padre Giuliano Raffo. Titolo: «Accorgimenti per curare le malattie dell’anima».
L’appello per il lavoro
Dopo la Curia, Francesco ha incontrato per gli auguri natalizi i dipendenti vaticani con le loro famiglie. «Oggi noi vogliamo ringraziare Dio prima di tutto per il dono del lavoro», ha detto. «Il lavoro è importantissimo sia per la persona stessa che lavora, sia per la sua famiglia. E mentre ringraziamo, preghiamo per le persone e le famiglie, in Italia e in tutto il mondo, che non hanno il lavoro, oppure, tante volte, fanno lavori non degni, pagati male, dannosi per la salute…». Di qui l’appello del Papa: «Dobbiamo sempre ringraziare Dio per il lavoro. E dobbiamo impegnarci, ciascuno con la propria responsabilità, a fare in modo che il lavoro sia degno, sia rispettoso della persona e della famiglia, sia giusto. E qui in Vaticano abbiamo un motivo in più per farlo, abbiamo il Vangelo, e dobbiamo seguire le direttive della Dottrina sociale della Chiesa. Niente lavoro in nero, niente sotterfugi».
Il corriere della sera, 22 dicembre 2016 (modifica il 23 dicembre 2016 | 10:52)