1924-1925: a Cagliari, la contesa disparitaria fra la loggia e il fascismo, di Gianfranco Murtas
Un mio recente articolo in memoria di Lando Conti, già sindaco di Firenze trucidato dalle Brigate Rosse nel 1986, mi ha portato nella casella della posta elettronica domande varie circa un parallelo possibile fra la notte cosiddetta di San Bartolomeo, quando alcuni fascisti fiorentini uccisero – era l’ottobre 1925 – il massone (perché massone) Giovanni Becciolini intervenuto per difendere il suo Fratello Napoleone Bandinelli aggredito, con intenzione puramente malvagia, da una banda di squadristi, e l’antimassonismo cagliaritano.
A Firenze ma anche in altre dieci o cinquanta città d’Italia le logge erano state in quelle settimane e dopo assediate dai facinorosi in dark e le biblioteche date alle fiamme. A Cagliari, e in generale in Sardegna, non risultano episodi cruenti, ma certamente un assedio morale, una minacciosa prepotenza ideologica veicolata dalla stampa, furono questione non di settimane ma di anni.
Ne fanno fede le collezioni dei giornali consultabili nelle nostre biblioteche ed emeroteche pubbliche, a cominciare da quella Universitaria o da quella Comunale presso la MEM, o presso la Camera di Commercio, e altrove ancora.
I cattolici del Corriere di Sardegna – testata infine beffata essa stessa (con il saccheggio della tipografia di via Cima) dai carnefici con cui non s’era peritata di affiancarsi nella battaglia antibruniana ed antilatomistica, direi perfino antiliberale fino alle leggi fascistissime di confezionamento del regime di dittatura – avevano dato il loro contributo all’avvelenamento del clima civile del capoluogo sardo, e la compagnia procedeva con le cosiddette articolesse de L’Unione Sarda (portatore fino alle elezioni del 1924 della linea sorcinelliana del fascismo duro e puro o della prima ora) e anche de Il Giornale di Sardegna, organo dei fasciomori, infine vincitori del conflitto interno allo stesso PNF isolano, a Cagliari come a Sassari (dove L’Isola, in stampa dal 1924, avrebbe presto sostituito in pieno La Nuova Sardegna passata, per antifascismo, da un sequestro all’altro fino alla definitiva costrizione alla rinuncia, dunque alla sospensione delle pubblicazioni).
Nel novero delle pubblicazioni di serie uno spazio a sé, sul piano aggressivo, e ad onta della indubbia qualità dei suoi redattori, lo ebbe Battaglia – nella sottotestata detto “Periodico del lunedì”, poi “Periodico Sardo di politica e di cultura” –, autodefinitosi «anticomunista, antisocialista, antidemocratico, antipopolare, antiliberale» e fascista, uscito per sette mesi, dal lujglio 1924 al febbraio 1925.
Diretto dai Contu, Evaristo prima e Raffaele (prossimo direttore de L’ Unione Sarda) poi, poteva contare su un gruppo di collaboratori di prima scelta, da Sebastiano Deledda a Filippo Figari, da Vitale Cao (altro futuro direttore de L’Unione Sarda) ad Enrico Endrich, da Salvatore Manconi a Raffaele Di Tucci, da Ernesto Concas ad Antonio Taramelli, ecc. il settimanale era schierato su posizioni fortemente antimassoniche. E il paradosso – se tale lo si può chiamare volendo prescindere da altre considerazioni di “conversione” autentica – è che diverse di queste firme erano state compromesse fino ad epoca recentissima proprio con la loggia o le logge, per non dire di qualcuno che lo sarebbe stato, con tardo pentimento, alla ripresa democratica degli anni ’40 inoltrati.
Potrei riferirmi, sul punto allo stesso Deledda, insegnante ed anima della Università popolare degli anni ’20, iniziato presso l’oristanese Libertà e Lavoro (per delega della Sigismondo Arquer cagliaritana) nel maggio 1918 e promosso Compagno d’arte nel maggio di tre anni dopo; o di Salvatore Manconi, agronomo, che nella medesima loggia era stato accolto nel novembre del 1920 e promosso ai due gradi successivi nell’aprile e nel dicembre 1921; o di Ernesto Concas, il celebre dantista biografo dell’Arquer cinquecentesco, incardinato nell’obbedienza di Piazza del Gesù (dovrebbe ritenersi nella loggia Karales, quella rimasta fedele agli scissionisti di Saverio Fera, mentre l’omonima presieduta negli anni della grande guerra da Armando Businco s’era federata alla Comunione dei giustinianei); potrei anche riferirmi, per proprietà transitiva applicata ai vincoli familiari, all’Endrich il cui padre Ferdinando era stato di quella loggia Karales fattasi giustinianea uno dei punti di forza. Per non dire di Raffaele Di Tucci, validissimo studioso in carico all’Archivio di Stato di Cagliari, destinato a diventare l’Oratore della loggia Mazzini Garibaldi della Comunione di Palazzo Brancaccio nel 1948 (Tempio rituale nella via Macomer del capoluogo).
Ebbene, nonostante questi trascorsi e questi… annunci, Battaglia si costituisce come una vera e propria batteria di fuoco contro la Massoneria nelle sue varie articolazioni locali. Gli articoli repertoriati nei numeri fortunosamente superstiti dalle razzie del tempo, sono, concentrati in quei pochi mesi, una buona decina. Eccoli qui indicati: n. 7/18 agosto 1924, “Massoneria”; nn. 8-9/25 agosto, 1° settembre 1924, “a.g.d.g.a.d.u.”; n. 11/15 settembre 1924, “Massoni, Massoni fascisti”; n. 12/22 settembre 1924, “Fascisti massoni”; n. 13/29 settembre 1924, “Fascisti massoni”; n. 4/3 febbraio 1925, “Massoneria, Aventinismo, Fascismo”, di Romolo Loddo Lai; n. 5/19 febbraio 1925, “La missione Storica del fascismo”, di Romolo Loddo Lai; n. 6/16 febbraio 1925, “Imparzialmente”; nn. 8-9/27 febbraio 1925, “L’iniziazione massonica”, di Romolo Loddo Lai ; n. 10/16 marzo 1925, “Associazione e giuramento massonico”, di Romolo Loddo Lai. (E qui verrebbe da commentare la familiarità di quest’ultimo con un altro, ennesimo Artiere della maggior loggia cagliaritana, vale a dire l’archeologo Romualdo Loddo).
Per fornire una idea più concreta del tono della polemica riporto di seguito i testi di alcuni articoli, quelli in cui si fa minaccia, fra l’altro, di una pubblicazione degli elenchi degli associati, quasi da esporre – come volle fare il PDS nel 1993 in Sardegna, nonostante tutte le ipocrite spiegazioni trasparentiste – al pubblico ludibrio: un ludibrio senza senso e senza alcuna legittimazione né morale, né civica, né politica.
Le battaglie di “Battaglia”
1 – Il terzo Consiglio Nazionale del Partito fascista ha ravvisato nelle logge massoniche – nessuna esclusa – nemici che bisogna colpire inesorabilmente. Ha date a tal riguardo direttive precise a tutti i fascisti.
Interessa soprattutto colpire i massoni che sono impiegati nello Stato.
Ma fra essi noi crediamo si debba prima d’ogni altro porre al bivio «con la massoneria internazionale o con la Nazione» da un lato gli ufficiali dell’esercito, i magistrati, dall’altro coloro che ricoprono uffici i quali vivono su i margini dell’attività dello Stato.
In Sardegna, specialmente a Cagliari, non vi è alcun massone fra le tre categorie enunciate.
Toccherà rispondere all’autorità politica, naturalmente con provvedimenti sostanziali.
2 – Qualcuno potrebbe credere che un lieve titillamento, quale complemento della banale stretta di mano, non avesse grande importanza e non valesse la pena di darsene pensiero.
Ma il titillamento è invece, nella moderna società, il segno d’intesa di una falange, di un esercito che muove all’assalto delle posizioni di dominio servendosi di un’arma che pochissimi conoscono ed apprezzano nel suo giusto valore, mentre tutti ne risentono gli effetti disastrosi. Di riflesso, però, inconsciamente.
Arma subdola che ignora il bel raggio rapido della spada, ed anche la sottile perfidia del rettile che, poveretto lui, ha la sua arida bellezza, malgrado tutta la cattiva stampa dalla quale è perseguitato. Essa è l’aurea mediocrità.
Ecco, si sono detti gli uomini piccoli, battendosi il petto e recitando il confiteor: ecco, a noi è negata la fetta della torta domenicale! Per noi non v’ha che il gregge! Come ribellarsi al pastore e menarlo dove vogliamo noi, se pecore siamo?
Ed il male comune ha fatto trovare ai poveri reietti della forza, del coraggio, dell’ingegno, dell’audacia per l’audacia, il mezzo: l’unico mezzo!
E quando passano gli uomini che avevano dovuto nascondere l’ideale (oh, che parolone) perché l’Italia non fosse strangolata dal capestro come i suoi martiri, presero la pelle del leone… ma non ruggirono! ahimè, ragliarono.
E poiché fu facile tra le grancasse dell’orchestra ed i battimani del loggione l’equivoco, il gregge dei leoni non più terribili, mascherò la propria imbecillità di punti e di triangoli, di stole e di cabale; nascose il suo amore per l’ombra dietro la luce di un oriente di cartapesta, proprio come gli astrologhi medievali copersero il vuoto delle loro zucche sotto il baldacchino di un cappellone meraviglioso.
E lanciarono la nuovissima grida: vuoi tu esser ministro, generale, commerciante, industriale? Vuoi insomma la tua fetta di torta, che altrimenti non avresti? Embè, venite ca’!
Il prezzo? Ma gratis assolutamente! Un po’ di paura (c’è qualcuno che ti avverte prima che si fa per ridere) – un giuramento (sono parole soltanto) – quattro smorfie, e trentatre simboli! Non c’è altro!
E la cuccagna fu, e dura tuttavia!
C’è qualcuno che ci rovina addosso? Ma è inutile il nostro ostacolo, è molle – cautchou brevettato – c’è qualcuno che ci strilla in faccia la verità? Ma noi siamo mascherati. Perdio, se non fosse per quel tale giuramento!
E poiché non avete faccia, o signori dai tre punti, vedremo di far sapere i vostri nomi. Non saranno un gran che, si sa diggià, ma in compenso ci daranno il senso di consapevolezza allegra: oh! giusto così: lo avevamo capito da un pezzo! Soltanto per questo, mascherine.
3 – In tutta Italia la stampa onesta, seguita e confortata dall’appoggio delle libere e rette coscienze dei buoni italiani, ha avuto inizio una gagliarda campagna contro la “congrega verde” che deve portare al troncamento definitivo della torbida setta che per tanti anni, attraverso i mezzi più turpi ed infami, ha dominato la cosa pubblica.
Nella nostra provincia, Il Giornale di Sardegna, non secondo agli altri confratelli d’Italia, combatte vigorosamente la sua battaglia contro la Massoneria.
Noi, per conto nostro, non ce la sentiamo di stare con le mani in mano.
Abbiamo pronto un primo elenco di affiliati alle varie logge (via Barcellona, Corso Vittorio Emanuele, palazzo Brusa), di Cagliari, che pubblicheremo a suo tempo.
Ma poiché un giornale popolare ha detto «che sarebbe utile ricercare i massoni anche nelle file del fascismo» dichiariamo:
che i pochi fascisti appartenenti alla Massoneria ci sono noti;
che attendiamo da costoro una esplicita dichiarazione pubblica;
che se le dichiarazioni non verranno, e subito, pubblicheremo i nomi di coloro che ritengono di poter impunemente e comodamente tenere il piede in due staffe.
Un po’ di pazienza, signori popolari, ché sapremo servire a dovere i vostri fratelli di anime trepuntini.
4 – I pochi fascisti appartenenti alla Massoneria ci sono noti, attendiamo da costoro una esplicita dichiarazione pubblica che potrà essere inviata a Battaglia come ha già fatto taluno.
Se le dichiarazioni non verranno, e subito, pubblicheremo i nomi di coloro che ritengono di poter impunemente e comodamente tenere il piede in due staffe: s’intende che considereremo come tali anche i cosiddetti “dormienti”, i quali non procurino di “farsi bruciare fra le Colonne!”
5 – Il triumvirato del fascio di Cagliari (on. Cao, rag. Tredici, ing. Scano) in pieno accordo con il comitato consultivo ha disposto che tutti gli iscritti nella propria sezione «dichiarino sul proprio onore di non appartenere ad alcuna società segreta», che tutti i fascisti massoni dormienti inviino una lettera di dimissioni alla propria loggia, per il tramite dello stesso triumvirato.
Provvedimenti che potrebbero essere inviati in tutte le sezioni della Provincia, e urgentemente!
6 – […]. Istituzione rispettabilissima era nella sua origine, ed è tuttora nella sua essenza, la Massoneria. Non di meno, essa è ormai diventata anacronistica, inutile, dannosa; e dovrà, per conseguenza, o riformarsi e mettersi in armonia coi nuovi tempi, o scomparire addirittura.
Il Fascismo ha salvato l’Italia dalla decadenza, dal bolscevismo, dal discredito; ha soppresso gli scioperi; ha ristabilito la disciplina; ha dato un potente impulso alle industrie ed al commercio; ha pareggiato il bilancio; ha fatto dell’Italia una nazione rispettata, e anche un tantino invidiata dai suoi vicini. Chi nega queste benemerenze del Fascismo, o è mentalmente cieco, o è accecato da spirito di parte, o è assolutamente in mala fede.
Non di meno, anche il Fascismo ha le sue magagne, purtroppo! E non potrebbe essere diversamente, stante che i fascisti sono uomini, e dominati perciò da passioni umane! Esso resta, ciò nonostante, un’istituzione sommamente utile ed altamente rispettabile, così come spiritualmente utile e degna d’ogni rispetto è – e resterà sempre – la Religione, pur essendovi moltissimi preti cattivi ed immorali, e ad onta di tutte le vergogne di cui, in ogni tempo, si son macchiati – in alto e in basso – i ministri del culto, e talvolta i capi stessi della Chiesa.
Della Massoneria mi occuperò ancora in alcuni altri articoli di Battaglia. Per oggi, credo non del tutto inutile riportare (omettendo il principio e la fine) una lettera che ebbi occasione di scrivere, il 23 dicembre u.s. al Direttore della Tribuna, facendo poi seguire la risposta che ricevetti: (…).
Chiedo scusa della digressione e ritorno alla politica italiana.
Fascismo e Massoneria sono ora in guerra. Eppure io che di Massoneria ne so qualche cosa, posso affermare che “Mussolini è il più sincero massone d’Italia”.
Quale è infatti il principio fondamentale della Massoneria? Fare il bene e combattere il male. Ebbene, Mussolini lavora con tutte le sue forze per fare il bene di quaranta e più milioni di italiani (compresi quelli che stanno all’estero), e per combattere i mali che li affliggono: debiti, scarso livello culturale, analfabetismo, insufficiente protezione, malaria, ecc. ecc. Nella Massoneria impera una “rigorosa disciplina”: ma di questa è grande amico anche Mussolini, ed è suo merito non piccolo quello di verla restaurata abbastanza bene nello Stato italiano. Io dunque, che pur avendo ripudiato tutte le ridicole ed antiquate pratiche della Massoneria, e pure essendo un fervente fascista, mi onoro di aver sentimenti spiccatamente massonici – posso affermare, ripeto che “Mussolini è il più genuino, il più rispettabile massone d’Italia”.
Chi potrebbe dunque trovare strano ch’egli alti dignitari della Massoneria italiana (se son davvero sinceri massoni, e se amano davvero l’Italia) si incontrassero con Mussolini e con gli altri Membri del Governo fascista per proclamare la cessazione dell’inutile e sterile lotta, che ha diviso sinora i due campi?
So molto bene che ci son per lo mezzo multipli e cospicui interessi. Nondimeno, un accordo su basi ben precise, sarebbe secondo me sempre possibile. Base principale dell’accordo potrebbe forse essere questa: Nessuna ostilità tra le due parti; promessa solenne di lavorare – gli uni e gli altri coi propri mezzi – per il bene d’Italia; ma, con tutto ciò, assoluto divieto ai fascisti di appartenere alla Massoneria militante, e assoluto divieto ai massoni di far parte dei fasci.
Quanto poi ai signori dell’Aventino, se è vero che amino davvero la Patria, come parecchi di loro affermano, essi dovrebbero sentire il bisogno ed il dovere di far sì che cessi al più presto il diluvio d’accuse e di recriminazioni che ci discredita innanzi all’estero, che turba la pace degli animi, che ci tiene perplessi e trepidanti per l’avvenire, che tarpa per tal modo le ali ad utilissime iniziative industriali, che tende a diminuire la produzione nazionale, a svalutare sempre più la nostra moneta, a danneggiarci, insomma, in svariati modi.
Né si creda che Mussolini aspiri a tenere in sue mani il potere indefinitamente. E’ troppo intelligente per farlo, e d’altronde, ha già dichiarato in qualche suo discorso che tale non è punto la sua intenzione. Egli sa benissimo che anche in politica “varietas delectat, mentre l’uniformità e la monotonia producono sempre, a lungo andare, insopportabile tedio. Non si chieda però che egli lasci a metà la grande opera incominciata; si aspetti almeno che sia bene avviata; poi egli sarà felice, senza alcun dubbio, di riposare dalle sue erculee fatiche, tanto più che, anche come semplice deputato, potrà rendere all’Italia immensi servigi, avendo in pari tempo la certezza che, ad ogni occorrenza, sarà richiamato al potere. Quelli che aspirano alla successione, abbiano la bontà di pazientare un pochino: presto o tardi verèrà anche il loro turno! […].
[Risposta della redazione]. […]. Non possiamo però non esprimere in modo più esplicito il nostro dissenso dalla sostanza di quanto è scritto sopra.
La “festa della pace”, come un qualsiasi patto d’alleanza Fascismo-Massoneria o Fascismo-Aventino… è aspirazione utopistica, inattuale, inattuabile: ma è anche quanto di più antifascista di potrebbe immaginare, sperare, pensare.
La lotta che il Fascismo ha impegnato è lotta che va conclusa non dilazione condotta alla massima intensità, non attenuata… le rivoluzioni non possono patteggiare… le rivoluzioni sono tali in quanto giungono alle estreme conseguenze storiche…
Clericali e fascisti, falangi in convergenza
Anche a Cagliari, ho detto, convergono i cattolici popolari con l’anima ancora insuperabilmente clericale ed i padroni in dark che dal 1923, con il sistema dei commissari prefettizi e in vista del nuovo ordinamento che vedrà i podestà a capo, come organo monocratico, delle amministrazioni locali, hanno il pieno controllo del Municipio.
Sono almeno due, tre anni, che gli uni e gli altri – i bianchi e i neri – picchiano forte tutti i giorni su una minoranza associativa che caricano, con furore ideologico, di ogni valenza negativa. Non importa se pressoché mai motivata.
Se ne può ricostruire – di questa polemica a mille puntate – la sequenza almeno per larghi passaggi, magari in flashback partendo dalla fine.
Roma, mercoledì 4 novembre 1925. Dalla persiana di una finestra dell’albergo “Dragoni” un fucile austriaco a cannocchiale deve puntare dritto sul balcone d’angolo di palazzo Chigi e liquidare una volta per tutte Benito Mussolini quando questi, nella ricorrenza anniversaria di Vittorio Veneto, s’affaccerà per pronunciare il suo discorso celebrativo.
Una spia, tale Quaglia, ha però riferito tutto alla polizia che irrompe all’improvviso nell’albergo ed arresta l’attentatore in pectore, l’ex deputato socialriformista Tito Zaniboni. A Torino le manette toccano poi al gen. Capello – che era stato comandante militare della Sardegna negli anni precedenti il conflitto –, anch’egli come Zaniboni eroe della “grande guerra”, accusato d’essere il complice-mandante. Entrambi sono massoni. E’ con Palazzo Giustiniani, adesso, che il fascismo deve chiudere la partita.
La notizia del mancato attentato viene comunicata ai giornali ventiquattr’ore più tardi. Sotto il titolo a tutta pagina “Un attentato contro il presidente del Consiglio scoperto dalla polizia. L’arresto del gen. Capello e del socialista Zaniboni”, il Corriere di Sardegna – organo regionale del Partito Popolare – nella sua edizione del 6 novembre scrive: «In seguito alle risultanze dei primi accertamenti sono state date disposizioni ai prefetti del Regno per l’immediata occupazione di tutte le logge massoniche dipendenti da Palazzo Giustiniani».
Così Il Giornale di Sardegna, il quotidiano che contende a L’Unione Sarda dei Sorcinelli e direttor Caput il copyright dell’ortodossia dei fasci. Il dispaccio della Stefani riprende, parola per parola, il comunicato governativo: i giornali non aggiungono cronache particolari. Tacciono quel che avviene in città circa l’attuazione dell’ordine impartito dal ministro Federzoni. Eppure entrambi – sia il Corriere che il Giornale – si sono distinti per anni in un crescendo polemico contro la Massoneria, anche quella locale, contro il “serpente verde”…
“La Massoneria trionferà?”, s’era domandato con preoccupazione il foglio popolare nel settembre del 1921, quando aveva imputato ai libero-muratori di aver orchestrato l’aggressione subita a Roma dai giovani dell’Azione Cattolica dell’archidiocesi in attesa dell’udienza pontificia. «Palazzo Giustiniani ha ancora comandato al Governo ma non ha vinto, la vittoria è stata nostra, sebbene i nostri labari siano stati mutilati e i nostri giovani calpestati dai cavalli e feriti dai moschetti delle RR. Guardie – aveva denunciato.
«Noi oggi ci sentiamo più forti che mai e siamo tutti disposti a spuntarla ad ogni costo. Lo sappiano i massoni, perché è la Massoneria che oggi ha tentato di comandare. I giovani cattolici oggi, passando davanti al papa, hanno emesso il loro grido, tutti abbiamo fatto il solenne giuramento: o Cristo o morte! E resteremo sempre fedeli a questo giuramento…».
I popolari locali vedono nella Massoneria l’origine un po’ di tutti i mali, della corruzione della società, della politica, dello Stato. Il loro giornale dedica alle logge editoriali, corsivi, interpretazioni di cronache, titoli ed occhielli, tagli alti e tagli bassi, e sfrutta l’argomento anche come comodo oggetto della sua polemica antifascista.
Un esempio. Da Tempio – la città che nel settembre 1908 aveva ospitato il primo (e unico) congresso regionale del “libero pensiero” – è arrivata una corrispondenza che merita largo spazio: «Noi eravamo sempre convinti […] che la Massoneria ha le sue radici, più o meno profonde, la sua influenza malefica, più o meno decisiva, i suoi tentacoli, più o meno robusti, in tutti i partiti […] escluso solo il Partito popolare – ha esordito Tindaro.
«Ma giorni or sono, alla Camera – ha aggiunto – dopo le dichiarazioni del Governo, l’on. Mussolini nella sua dichiarazione di voto, che contribuì pure alla clamorosa caduta del Ministero del debole e buon Facta […], disse di non credere “che il mondo cattolico possa seguire il Partito popolare che è laico, che è massone”».
Clamoroso. E anche falso. Tindaro infatti parte in quarta per dimostrare che «il Partito popolare è completamente puro e pulito di pece massonica, di cui invece sono sporchi gli altri partiti». Fa riferimento ai valori della famiglia, dell’educazione religiosa, della scuola cristiana, della libertà della Chiesa, ecc. Dov’è lo spunto per un’accusa al PPI «del minimo contatto o della criminosa vicinanza colla Massoneria?».
Sono i massoni a volere l’introduzione del divorzio, ad opporsi alla libertà della scuola, ad incoraggiare il dilagare della stampa oscena e ad ostacolare ogni iniziativa in difesa della pubblica moralità, a perpetuare lo sfruttamento della classe operaia, a propagandare il disfattismo nell’esercito, ecc.: «dove fanno capolino tutte queste cose – spiega Tindaro biancofiore – ivi è indizio sicuro di pece massonica, come dove apparisce l’erba verde è indizio di umidità». Tutti i partiti, meno il Popolare, devono qualcosa ai libero-muratori. Anche quello fascista: «Esso è proprio infeudato alla Massoneria: è prezzolato dall’oro massonico-agrario-ebraico-pescecanesco-usuraio».
Massoneria e fascismo: pietanza prelibata per i popolari che se la cucinano in tutte le salse. Una veloce scorsa al regesto del quotidiano di via Cima, anche solo (e paradossalmente) limitato ai pochi mesi di convivenza fra fascisti e popolari nello stesso governo, rivela molte perle ideologico-lessicali sull’argomento.
Diktat-in-dark
Non certo da meno del Corriere suo concorrente è Il Giornale di Sardegna, solito esprimere e denunciare con le sue titolazioni un senso di costante ed incombente (quanto irreale) minaccia, da cui sembra necessario e doveroso difendersi. “Trame massoniche contro l’Italia fascista”, “Nuovi trucchi massonici”, “Il serpente massonico”, “Il nemico più subdolo: la Massoneria”, “Dio li fa…”, “La Massoneria alla sbarra: nuove rivelazioni sugli scopi antinazionali della setta verde”, “A proposito di ufficiali massoni”, “I falsi della Massoneria”, “L’ostruzionismo burocratico-governativo-massonico ai danni dei mutilati nel 1920”, “La Massoneria ordina la ripresa dell’azione anticlericale ma i cristianissimi del P.P. non ci vedono e non ci sentono”, “La malafede della setta verde”, ecc.
E non è solo malaffare nazionale. Anche nell’Isola è in agguato il pericolo massonico: a Bosa, “Manovre massoniche antifasciste” (opera di «una losca congrega di politicanti e faccendieri immandrilliti nelle mollezze e consumati nel gioco lucrativo della bisca»); a Oristano, “Un direttore massone e sovversivo” («anabattista mangiapreti e socialista»); a Sassari, a Cagliari…
La minaccia si cela dietro il ridicolo. E’ giusto dunque anche irridere a rituali e a formule esoteriche: “Chiassetti e spassetti trepuntineschi…”, “Sui margini della farsa massonica. Come si nutrono i fratelli nei dì di festa”, “Attraverso i misteri massonici. I delitti e le vendette dei maestri eletti del IX”, sono alcuni dei titoli proposti dal giornale che non rinuncia neppure a caricaturare il nome di Domizio Torrigiani, gran maestro di Palazzo Giustiniani, che chiama “Torrizio Damigiani di Lamporechio”. Sono i tempi.
Quali sensazioni, quali sdegni o quali paure, e anche quali e quanti abbandoni di convenienza di Figli della Vedova avrà generato nell’assemblea libero-muratoria di via Barcellona questo sempre più ossessionante tambureggiare di motivi di guerra?
Sì, le diserzioni non sono mancate. Anzi, sono state numerose: qualcuna, anche nel rispetto delle buone maniere oltre che del regolamento, formalizzata per iscritto (richiesta di messa “in sonno”), qualche altra espressa tacitamente, nell’assenteismo prolungato e ingiustificato, nella morosità di semestri e di anni verso gli obblighi di cassa…
Al PNF sono giunte adesioni da tutte le parti: dai cattolici-popolari – anche da loro! nonostante le vuote polemiche di un tempo – e dai laici democratici, da sardisti, da socialisti, da repubblicani, da liberal-monarchici. L’omnibus latomistico non include forse laici di tutte le appartenenze, di tutte le sfumature?
La “vera luce massonica” ha illuminato virtù e fedeltà ma, come una cartina di tornasole, ha anche rivelato la fatuità di molte obbedienze. I maestri della loggia contabilizzano quasi ad ogni tornata, fra 1923 e 1925, le abiure, le fughe, le rinunce.
Novembre 1925, dunque. In città qualcuno corre ad avvertire i capi dell’Arquer: «La loggia domattina sarà perquisita dalla polizia. Arrivano i fascisti! ».
Il luogo d’incontro quotidiano ed informale dei Fratelli – la mattina intorno a mezzogiorno, la sera un’oretta prima di cena – è in via Manno, nel negozio di stoffe di Mario Lay. I frequentatori più assidui – tanto per salutarsi, scambiarsi qualche idea o qualche informazione sugli affari e sulle cose della città oltre che dell’officina – sono Enrico Pernis, Pasquale Scuderi, Federico Canepa, Francesco Napoleone, Luigi Frau Serra e suo figlio (e socio) Gigino, il prof. Lillino Garau, il capitano Antonangelo Pala… tutti nomi del commercio o delle professioni che a Cagliari vogliono dire molto.
La notizia che giunge improvvisa, ma certo non inattesa, quella sera, s’impone all’attenzione di tutti. Scatta l’allarme. Non c’è tempo da perdere: occorre mettere in salvo l’archivio, i verbali, i registri di matricola e di presenza, quelli di cassa, tutto. Possibilmente anche gli arredi, almeno quelli più preziosi, più legati alla tradizione o alla storia unica e straordinaria del sodalizio libero-muratorio.
Dell’operazione-salvataggio si incarica, con la generosità di sempre, proprio Mario Lay. Quarantott’anni, celibe, un passato e un presente di militante repubblicano (è cassiere della loggia ma anche del partito), in Massoneria ormai da quasi tre lustri, egli abita con la sua numerosissima famiglia – un clan che ha avuto come leader quell’Agostino Lay Rodriguez, padre di Mario, che è stato il pioniere dell’arte fotografica in Sardegna – in un villino singolarmente costruito sulla millenaria necropoli punica di Tuvixeddu.
L’improvviso cambiamento della destinazione d’uso – da casa di campagna, per i fine settimana a casa d’abitazione ordinaria – conseguenza di una nuova legge che non consente più agli stessi soggetti l’occupazione di due case nell’ambito del medesimo territorio comunale, induce i Lay ad avvalersi, per i medesimi necessari e continui lavori di sistemazione di tramezzi, scale, terrazze e giardino, dell’opera di un’impresa rionale, quella del signor Pilleri (Pillai?) organizza la sua squadra di operai ed il camioncino della ditta, quella notte stessa, raggiunge silenzioso la sede massonica. Centinaia di quaderni, di cartelline e blocchetti di ricevute, album fotografici, riferimenti personali di qualsiasi tipo sono sveltamente ammonticchiati sul cassone dell’automezzo che, a carico completato, trotterella, spiato solo dalla luna, alla volta di Sant’Avendrace (ma forse una parte nella casa comunque di parenti sul fianco alto di “su brugu”).
La montagna di carte sprofonda in pochi minuti, e purtroppo senza protezione alcuna, nel burrone domestico costituito dalle fosse e dai cunicoli calcarei in cui s’innestano i solidi pilastri della casa. Una copertura di terra sul prezioso clandestino e un pavimento nuovo e sicuro completano l’opera. E’ quasi l’alba quando i Fratelli che si sono mobilitati per dare una mano e sorvegliare possono tirare un sospiro di sollievo.
(Parentesi. Una sede massonica parrebbe esserci – o esserci stata –, a detta di Battaglia, anche nel corso Vittorio Emanuele oltreché – ma forse d’interesse della loggia ferana – a palazzo Brusa, lungo la strada per Pirri. Testimonianze rimontanti alla famiglia Lucchese riportano quella sede specificamente a palazzo Bolla, domicilio del Fratello Battista Rossino, professore di disegno e pittore conosciuto ed apprezzato, di grande futuro. Ma, sembra, destinato a disertare la loggia ed a scegliere il regime, secondo quanto riportato nel libro-matricola della Sigismondo Arquer: «Dimissionario per incompatibilità 23.11.1923»).
In via Barcellona arrivano i questurini (forse non solo loro), ma documenti non ne trovano. Gli arredi sì, e qualcuno finisce in frantumi, qualche altro prende destinazioni pubbliche e anche private. Così i biliardi delle sale-svago, così i salotti buoni dei tranquilli conversari, così la pressa-copie tanto utile per le necessità della Segreteria. Qualche quadro è giunto, chissà attraverso quali mani, fino alle logge attuali; un bel busto in gesso di Giovanni Bovio, opera di Pippo Boero, ha fatto bella mostra di sé, a lungo, nella sede del Partito Repubblicano e torna poi, sarà nel 2008, nella sede di palazzo Sanjust.
Via Barcellona del primo Novecento significa anche il circolo “I martiri del libero pensiero: Giordano Bruno”, quello frequentato pure da Gramsci, e ancora significa la più prossima parallela alla strada che ospita la sezione repubblicana (via Sant’Eulalia: dove è oggi l’istituto Galileo Galilei), centrale d’appoggio di tutte le organizzazioni anticlericali, soprattutto giovanili, sempre un po’ enfatiche se non barricadiere, prive di sede propria.
I massoni – che nel tempo hanno avuto sede in via Gesù Maria (poi Eleonora d’Arborea) dapprima, a palazzo Vivanet poi (dal 1896) –, ci arrivano il 2 febbraio 1907, un sabato. La città vive l’effervescenza dell’attesa della più grande manifestazione giacobina che mai si sia vista qui: il corteo bruniano, il solenne pontificale laico in onore del monaco ribelle arrostito vivo dalle leggi del papa e dalla sua Inquisizione, nel bel mezzo di quarantamila messe e trecentomila comunioni che rappresentato il “quantum” liturgico dell’anno del Giubileo, il 1600. Già s’annuncia la contro-dimostrazione clericale, patrocinata dall’avv. Sanjust, conte palatino e direttore de Il Corriere dell’Isola (figlio de La Sardegna Cattolica e… babbo de Il Corriere popolare), e dal can. Miglior, vicario generale dell’archidiocesi. (Il prefetto deciderà infine di negare l’autorizzazione ai comizi da chiunque promossi, guelfi o ghibellini non importa).
E’ tornata alta la stella di Bacaredda, dopo “sa Rivoluzzioni” del maggio 1906, ma l’avversario non demorde. Si stanno per avviare, in Comune, i grandi progetti per le case operaie, a Campo Carreras, e per la pubblicizzazione dei servizi di distribuzione dell’acqua e del gas.
Febbraio. Camillo Cipelli, 46 anni, originario di Cortemaggiore, e Gaetano Giacomelli, 24 anni, sassarese, entrambi impiegati alla Banca d’Italia, ricevono la “luce massonica” nel nuovo Tempio. A concedergliela è Enrico Pernis, il Venerabile più in gamba della storia trentacinquennale della loggia Arquer, presieduta sempre da uomini di primissima qualità, fra cui Giuseppe Sanna Randaccio (avvocato e futuro parlamentare e sottosegretario di Stato), Gustavo Canti (preside dell’Istituto Tecnico e fondatore della sezione cagliaritana della Dante, prossimo bloccardo con Nathan al Campidoglio nonché gran maestro aggiunto di Palazzo Giustiniani), ecc.
E a proposito di luce. Nella stessa tornata d’inaugurazione (“consacrazione”) del nuovo Tempio ne ricevono l’aumento – sono cioè promossi al grado superiore, il secondo – l’impiegato Pietro Brida e il sottoprefetto Giuseppe Mori, in Massoneria ormai da alcuni anni.
E’ una bella festa. L’orazione ufficiale la tiene Bartolomeo Rapisardi, un siciliano quarantenne, in servizio presso l’Avvocatura dello Stato, uomo di solida formazione umanistica, parlatore efficace ed elegante, dirigente di club culturali, tipo la Dante o il Filarmonico, o sportivi, tipo la Società schermistica.
Vige ancora, nel 1907, il regolamento interno approvato dalla loggia nel maggio 1892, giusto due anni dopo la fondazione (aprile 1890), e ratificato nell’ottobre dal gran maestro Lemmi, il banchiere del Risorgimento. Pochi gli aggiustamenti.
Tre lustri esatti fra 1892 e 1907. Ma nel segno della continuità, con quel maglietto allora affidato alle mani di Eugenio Pernis, console di sua maestà britannica, e adesso, più saldamente ancora, in pugno a suo figlio che della loggia ha saputo fare, e così continuerà fino alla vigilia della prima guerra mondiale), una delle protagoniste, nelle forme possibili, della vita culturale ed amministrativa della città.
«La loggia si aduna ordinariamente il primo e il terzo lunedì di ciascun mese dell’anno, ad un’ora e mezza dopo il tramonto (un’ora di notte) nel locale all’uopo destinato […]. E’ fatta eccezione pei mesi di luglio, agosto e settembre, in cui la loggia prende le sue ordinarie vacanze estive», esordisce l’articolato scritto da Settimio Canti, direttore dei Magazzini generali, insieme con Pietro Pellizzari, rettore del Convitto Nazionale ed il farmacista Cesare Sbragia.
«Nessuno deve giungere impreparato alle discussioni…, Nessun oggetto potrà essere sottoposto alle deliberazioni della loggia senza la preventiva inscrizione all’odg…», recita l’art. 3.
La presenza è obbligatoria: «Tutti i fratelli attivi hanno, piucché il diritto, il dovere, anzi l’obbligo di intervenire a tutte e adunanze della loggia…». La multa è (inizialmente) di 50 centesimi per un’assenza «non validamente giustificata»…
Come una vera officina operaia, dove ognuno ha la sua funzione particolare e deve rispondere con efficienza agli ordini del capo-squadra, così è la loggia, in cui ad ogni Fratello corrisponde un ufficio specifico: dalla gestione della segreteria a quella del tesoro, dall’organizzazione minore (affidata al Servente, all’Intendente Decoratore e al Maestro di Casa) al servizio di biblioteca, dalla direzione dei cerimoniali all’istruzione dei neofiti, all’amministrazione della solidarietà ad extra (compito dell’Elemosiniere) e ad intra (che spetta all’Ospitaliere) ecc.
Un’esperienza di sodalizio che durerà, s’è detto, fino al novembre 1925. Quando il gran maestro Torrigiani (destinato al confino in quel di Lipari), all’indomani delle perquisizioni di polizia e dei provvedimenti restrittivi adottati dal regime, sospenderà sine die l’attività di tutte le logge all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia.
Fine d’una storia associativa e ideale. Una folla di 370 personaggi, di tutte le provenienze geografiche e sociali, professionali e politiche; una germinazione ripetuta di altre logge a Carloforte, ad Iglesias, ad Oristano (tutte con nomi emblematici: Cuore e Carattere, Ugolino, Libertà e Lavoro), ed un’articolazione territoriale diffusa anche attraverso i cosiddetti triangoli, da Ghilarza a Lanusei; una partecipazione sempre dichiarata, discreta ma mai clandestina, alle necessità solidaristiche espresse dalla città così come ai turni elettorali amministrativi e anche politici; una testimonianza di patriottismo, nel solco dell’interventismo democratico, negli anni della “grande guerra”, anche con i suoi caduti giovani…, tutto, tutto finisce. Ora è tempo dei dark, uomini violenti, portatori del “pensiero unico”.