Caso Moro, l’ex br Franceschini: “Moretti una spia? Riduttivo, si sentiva Lenin”, di Alberto Custodero

Il fondatore br alla Commissione Moro: “Hyperion ‘parlamento’ degli 007 internazionali”. “Dalla Chiesa fu fermato a un passo dalla sconfitta dei brigatisti”. “All’Asinara temevamo di essere uccisi”. Fioroni: “Strano il salto di capacità militare e culturale dopo il suo arresto”.

 

 

 

 

 

 

 

MARIO MORETTI

 

ALBERTO FRANCESCHINI

La strage di via Fani ROMA – “Spia? Una definizione troppo riduttiva per Mario Moretti. Io sono convinto che abbia giocato le sue carte in un certo modo, c’è un livello psicologico da tenere presente, lui crede di essere Lenin, lui era per alcuni compromessi su cui io non ero d’accordo”.

In tre ore di audizione, Alberto Franceschini, uno dei fondatori delle Brigate Rosse che fece poi autocritica, autore, tra l’altro, del libro ‘Mara, Renato e io’ di Franco Giustolisi e Pier Vittorio Buffa (in carcere all’Asinara durante il caso Moro), parla così dell’ex tecnico della Sit-Siemens a capo delle Br che hanno gestito il sequestro dello statista democristiano.

La sua audizione lascia agli atti della ‘Commissione parlamentare d’inchiesta Moro’ presieduta da Giuseppe Fioroni nuovi dubbi su Hyperion, la scuola di lingue francese fondata da SimioniBerio Mulinaris, dopo la rottura con le Br, nella prima metà degli anni ’70.

Franceschini avverte: “I dietrologismi non mi interessano, io faccio una critica politica a Moretti, deve ancora giustificare il fatto che ha distrutto un’ipotesi politica, in base a una linea politica sballata”. “Senza copertura dei servizi esteri si regge la storia dei 55 giorni?”, gli chiedono i parlamentari della Commissione. “Sono pensieri che ho, ma è importante la riflessione politica della nostra esperienza”, risponde.

L’ipotesi che ci fossero altri personaggi, rispetto a quelli conosciuti e processati, a gestire l’operazione militare di via Fani e, soprattutto, l’interrogatorio di Aldo Moro, durante i 55 giorni resta forte. Franceschini, in particolare, ricorda come seppe dal generale Inzerilli, uomo di Gladio, del “ruolo chiave che svolgeva Hyperion, (scuola fondata da brigatisti fuoriusciti a Parigi, nel ’77, ndr) una specie di parlamento degli 007, che poneva ai palestinesi le regole dei servizi internazionali, dai francesi ai tedeschi”.

Poi un riferimento al Mossad: “Gli israeliani ci cercarono chiedendoci cosa ci servisse, ‘a noi interessa che voi ci siate, non vogliamo indicare obiettivi, ci dissero. Ma noi rifiutammo”.

“I servizi potrebbero aver condizionato il ‘superclan’ – sottolinea il fondatore delle Br – . Noi nel ’76 siamo finiti, a seguito delle operazioni del generale Dalla Chiesa. Ma va rilevato come proprio a Dalla Chiesa” a un passo dalla sconfitta definitiva del brigatismo “gli tolgono il gruppo speciale. Nel giugno del ’76 viene sciolto quel gruppo che teneva insieme magistratura, intelligence e carabinieri e dava fastidio a tanta gente”.

“Dal ’76 al ’78-79 non avviene un arresto. Poi Dalla Chiesa viene richiamato in servizio da Rognoni, da ottobre del ’78 e in due mesi riarresta un sacco di gente. Il generale non ‘chiuse gli infiltrati nel periodo in cui era stato estromesso, evidentemente”, dice ancora Franceschini.

Parlando del fondatore di Hyperion, Corrado Simioni, Franceschini dice che “era personaggio interessante intellettualmente, uno degli esponenti di punta del Psi a Milano, espulso per indegnità morale, amico di Craxi. Per anni a Monaco di Baviera a lavorare a radio libertà, con noi parlava in latino”. “Nel ’68 aveva fondato comitati di base del giornalismo, girava il movimento proponendo di fare un quotidiano del movimento – ricorda Franceschini – facendo capire che i soldi li aveva. Loro erano borghesi, rampolli della borghesia di destra e sinistra, noi venivamo dalle fabbriche, invece”.

Franceschini ricorda ancora come “alcuni di loro giravano con tesserini delle questure locali e se venivano fermati non avevano problemi”. Il fondatore delle Br dice poi che loro sapevano “degli strani rapporti di Corrado, lui diceva per esempio che aveva soldi in banca nella Grecia dei colonnelli, ‘per fare la rivoluzione dovete fare compromessi’, ci diceva”.

“Nel novembre del ’70 ci fu la rottura con noi – aggiunge Franceschini – lui e altri scomparvero” creando una rete, la Dip, diffusione italiana periodici, che si occupava di giornali della polizia. “Dopo la rottura con lui andarono Ivan Maletti, Prospero Gallinari e tanti altri”.

Franceschini ricorda che dopo la morte di Feltrinelli “rimaniamo come gattini ciechi, perché lui gestiva i rapporti con l’esterno. Ci saltarono le relazioni, mentre i rapporti ora li coltivavano Simioni e gli altri di Hyperion”. E si torna a Moretti, che inizialmente andò con Simioni: “Lui e Corrado avevano rapporto anche conflittuale, ma Simioni lo stimava capace, penso fosse un suo uomo”.

Altro episodio oscuro l’arresto di Curcio e Franceschini l’8 settembre del ’74. “Il giovedì arrivò una telefonata che avvertiva dell’imminente arresto di Curcio, organizzato per domenica. Levati avverte Moretti, che da giovedì a domenica, non avverte della soffiata, bastava piazzarsi lì vicino e fermare la nostra macchina – sottolinea Franceschini – E lui non l’ha fatto”. Franceschini poi parla di Valerio Morucci e di Giovanni Senzani.

Per il primo, che disse che sapeva come Franceschini lo volesse morto dice: “A Nuoro abbiamo fatto insieme la rivolta in carcere, se volevamo ucciderlo era l’occasione e non l’abbiamo fatto. Sa che le ha fatto sporche e teme sempre vendette, rispetto alla verità le sue affermazioni sono sempre molto ‘complesse’”. Loro cattura, con Faranda nel ’79, una autoconsegna? “Morucci fuggì con 80 milioni delle br romane, lui temeva per la sua vita, nessuno di noi ha mai rubato”.

“Altro personaggio interessante è Senzani – dice parlando del criminologo forlivese – che per me era un perfetto sconosciuto, viene ‘immesso nelle Br, sono personaggi che fanno riferimento a certe reti”.

Sulla vicenda della trattativa per la liberazione di Moro, Franceschini spiega come “noi eravamo per la trattativa, Renato (Curcio, ndr) per tenersi fuori, ma sapevamo che se ammazzavano Moro avrebbero ucciso anche noi in carcere, per questo ruotavamo in cella con Curcio, poiché per noi era il primo che avrebbe fatto quella fine”. Franceschini ricorda come fu lo stesso Ugo la Malfa a dichiarare che ‘se Moro moriva, sarebbe giusto fare come i tedeschi Stammheim (con alcuni dei capi della Raf, trovati ‘sucidati in carcere, il giorno dopo l’assassinio del presidente degli industriali tedeschi Hanns-Martin Schleyer, ndr).

“Noi volevamo la chiusura dell’Asinara, come punto di partenza per trattare la liberazione. Volevamo lo stesso schema del sequestro Sossi, che per noi era stata una vittoria politica”, spiega Franceschini a San Macuto. Sulla dinamica di Via Fani restano i dubbi: “Per fare operazione Sossi, che era senza scorta e viaggiava da solo, impiegammo 18 compagni. A via Fani erano in nove, come dice Morucci, di cui 4 sparatori, affrontarono una scorta che non credo fosse incapace di difendere Moro. Allora ci si domanda come hanno fatto? I compagni mi dissero ‘l’abbiamo fatta noi, addestrandoci nel cortile di casa, diceva Gallinari”.

Il commento di Fioroni. “Sottolineo il richiamo di Franceschini a non semplificare la complessità del fenomeno eversivo di cui fu fondatore – ha commentato il presidente della Commissione, Fioroni – ma ad osservarlo all’interno del contesto geo-politico che ne ha influenzato le scelte. Inoltre, trovo utili le riflessioni sull’utilizzo degli infiltrati e sul ruolo del gruppo Hyperion, come l’analisi sulla rapida trasformazione del gruppo brigatista che, nel volgere di pochi anni, dal ’74, anno dell’arresto di Franceschini, al ’78, acquisisce una sorprendente capacità militare ed anche culturale, se si pensa agli interrogatori cui fu sottoposto Aldo Moro. Franceschini ci fa capire esplicitamente che le persone che aveva conosciuto durante la sua militanza, in sostanza, non avevano quei livelli di operatività”.

I dubbi di Grassi. “Di estremo interesse – sottolinea Gero Grassi, componente della Commissione – il racconto della nascita del gruppo brigatista e il passaggio oscuro alla gestione morettiana. Resta una domanda che certamente non può essere rivolta a lui: perchè gli toccò scontare 18 anni di galera, 21 a Renato Curcio? Erano accusati di banda armata, non avevano reati di sangue. I brigatisti condannati come responsabili dell’uccisione di Aldo Moro e della strage di via Fani se la sono cavata con molto meno”.

Il parere dello storico. “Non mi sembra che Franceschini faccia rivelazioni inedite – è il parere dello storico Federico Imperato, autore di due libri su Aldo Moro, ricercatore in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali – Di Hyperion, Franceschini aveva già parlato in una audizione in Commissione stragi, nel 1999. Hyperion era ufficialmente una scuola di lingue a Parigi, in realtà un centro di collegamento tra gruppi del terrorismo internazionale, ritenuta in contatto anche con i servizi segreti. Hyperion fu fondata nel 1970 da tre esponenti della sinistra extraparlamentare italiana: Corrado Simioni, Vanni Mulinaris e Duccio Berio. I tre ebbero un ruolo agli albori della storia delle Br. Parteciparono, infatti, nel 1969, ad un convegno del Collettivo Politico Metropolitano, che decise il passaggio alla lotta armata e la nascita ufficiale delle Brigate Rosse. Secondo Franceschini, Simioni, Mulinaris e Berio, staccatisi dalle Br, fondarono prima il Superclan, di cui avrebbero fatto parte Mario Moretti e Prospero Gallinari, e poi, nel 1970, in Francia, l’Hyperion. Secondo Franceschini, ancora, il padre di Berio era un famoso medico milanese, legato ai servizi israeliani.

“Il nome di Simioni fatto da Craxi”. “Corrado Simioni – spiega Imperato – è un personaggio interessante. Il suo nome viene fatto per la prima volta da Craxi a Montecitorio, forse nel 1980: “Non cercate i terroristi sulla luna, guardatevi intorno, magari tra i vostri compagni di scuola”. E ancora: “Quando si parla del “Grande Vecchio” bisognerebbe riandare indietro con la memoria, pensare a quei personaggi che avevano cominciato a far politica con noi e che poi improvvisamente sono scomparsi”. Simioni, infatti, aveva militato, negli anni Cinquanta e Sessanta, nel Psi, faceva parte della corrente autonomista, ed era in stretti rapporti di collaborazione con Craxi e Silvano Larini. Poi viene espulso dal Psi, nel 1965; si trasferisce a Monaco di Baviera, dove collabora con Radio Free Europe. Quindi il ritorno in Italia e l’impegno nella sinistra extraparlamentare di cui ho già detto. In quegli ambienti, tuttavia, inizia presto a farsi la fama di doppiogiochista. Secondo Lotta Continua è un confidente della polizia, mentre in una scheda ritrovata nell’archivio segreto di Avanguardia operaia si legge: ‘Entra tra i primi in clandestinità anche se all’epoca non ha alcun mandato di cattura a suo carico (…) era un pezzo grosso a livello di Curcio. Espulso come poliziotto, probabilmente è del Sid. Secondo Dalla Chiesa ‘È un’intelligenza a monte delle Brigate Rosse’”.

“Senzani gestì la regia del sequestro”. “Anche Giovanni Senzani è un personaggio interessante – continua Imperato – . Criminologo, docente dell’Università di Firenze. Secondo Giovanni Pellegrino sarebbe stato lui, da Firenze, a gestire la regia politica dei 55 giorni del rapimento Moro. Pellegrino cita anche documenti che confermerebbero i legami tra Senzani e apparati di sicurezza italiani e stranieri. In particolare, un documento, anonimo, quindi inutilizzabile nel corso delle indagini, consegnato dal generale Lee Winter al giornalista Ennio Remondino, secondo cui ‘la stazione di Roma (della Cia, ndr)ha dato assicurazione al Sops (Special Operation Planning Staff) che il nuovo collegamento con Parigi, Giovanni Senzani, è sotto contratto’. Probabilmente a lui si riferisce Morucci, in Commissione Stragi, quando accenna agli irregolari: ‘Bisogna chiedersi se c’era un

anfitrione o no, chi era il padrone di casa, chi era l’irregolare, chi batteva a macchina i comunicati del comitato esecutivo, che poi erano distribuiti in tutta Italia, sul caso Moro. Certo, ritengo che siano cose che non cambino radicalmente la questione, ma penso che andrebbero dette”.

Il corriere della sera, 27 ottobre 2016

Condividi su:

    Comments are closed.