Memoria orgogliosa di Lando Conti, il libero muratore assassinato dalle BR. Ma la Massoneria sarda lo ricorda ancora? di Gianfranco Murtas

In un articolo di memoria e documentazione pubblicato lo scorso 25 maggio sul sito di Fondazione Sardinia ricordavo come nel 1986, trent’anni fa, fosse caduto sotto il fuoco delle Brigate Rosse, vittima innocente fra tante vittime innocenti della strage terroristica, l’ex sindaco di Firenze Lando Conti, repubblicano di antica storia democratica familiare, e massone. Ne evocai nome e, pur rapidamente, biografia per rilevare come in quello stesso anno, quattro mesi dopo l’efferato e vigliacco assassinio, a Cagliari, ad iniziativa di un pugno di liberi muratori locali e Fratelli oristanesi, promotore primo un dignitario di tanta storia obbedienziale – Gianfranco Cusino – si desse vita ad una nuova loggia proprio a Conti intitolata, la n. 1056 nell’ordine progressivo (dal censimento del 1947), all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia. Quel titolo distintivo della compagine al suo esordio venne suggerito, secondo testimonianze accreditate, dallo stesso gran maestro che allora firmò il decreto di fondazione, il sardo Armando Corona.

All’indomani del tragico delitto avvenuto al Ponte alla Badia che Conti attraversava, in quel pomeriggio del 10 febbraio, per recarsi in Consiglio comunale a Palazzo Vecchio, Corona pubblicò un editoriale sulla rivista giustinianea, Hiram, titolato “Dall’odio all’assassinio”.

Ne richiamo pochi passaggi: «Ancora una volta le bandiere della Massoneria si sono abbrunate e si sono chinate in omaggio ad una vittima dell’intolleranza e della violenza. In Toscana è la terza volta che ciò accade. Era avvenuto nel ‘700 per Tommaso Crudeli, vittima dell’Inquisizione Romana, poi per Giovanni Amendola, martire dello squadrismo fascista, e accade ora per Lando Conti, inerme bersaglio delle Brigate Rosse.

«Fino ad oggi la Massoneria si è chiusa nel suo riserbo e nel suo dolore, senza esecrare nessuno, senza covare vendette o invocare leggi speciali, ferma nel suo convincimento che la violenza sia sempre generata dall’intolleranza e dal fanatismo.

«Oggi però non possiamo passare sotto silenzio un gravissimo episodio che noi riteniamo una fra le cause dell’assassinio di Lando Conti. Ci riferiamo alla campagna scandalistica e scandalosa, elusiva di ogni principio democratico e dei più elementari diritti dell’uomo, promossa in Toscana da Democrazia Proletaria, allorché Lando Conti venne democraticamente eletto Sindaco della città di Firenze.

«In quella vergognosa campagna, condotta attraverso manifesti affissi un po’ dovunque, un uomo retto, libero, democratico e di buoni costumi veniva additato quale fabbricante e venditore di armi. Guarda caso, le stesse false e ignobili motivazioni sono contenute nei comunicati delle Brigate Rosse che hanno coronato l’ormai tristemente noto rituale di morte».

Si rivolgeva quindi, Corona, alle forze politiche e sociali di tutto l’arco democratico per una presa di coscienza dei pericoli di quella deriva dottrinaria e sconclusionata e insieme, però, anche per una precisa assunzione di responsabilità in termini di recupero di efficienza delle istituzioni civili e di libertà, per le quali la Massoneria – direi io da Meuccio Ruini e Giovanni Conti, l’uno presidente della Commissione dei 75 e l’altro vicepresidente dell’Assemblea costituente, per risalire appena all’era della ricostruzione postbellica – sempre si era battuta.

La personalità di Lando Conti si presentava tanto mite quanto determinata sui grandi principi etici e sugli impegni del dovere. Era succeduto, nella carica di primo cittadino di Firenze, al repubblicano Alessandro Bonsanti, già direttore del Gabinetto Vieusseux. Sullo sfondo, mi permetterei di dire, erano le molte centrali culturali della capitale toscana e fra esse in prima linea la “Cesare Alfieri”, al tempo ancora sotto l’illuminata presidenza del professor Luigi Lotti, il grande storico (da poco mancato) che era stato il miglior allievo di Giovanni Spadolini in quella stessa facoltà di Scienze Politiche. Intellettuale d’oro fra altri maestri che, con la storia “sempre contemporanea”, insegnavano la scienza dei doveri e la nobile dignità delle istituzioni in democrazia.

Iniziato nel 1957 (24enne) nella pratese Giuseppe Mazzoni – una loggia che celebrava il mazziniano gran maestro del 20 settembre! –, Lando Conti lavorò poi, massonicamente, nelle fiorentine La Concordia e Abramo Lincoln. Fu anche alto dignitario del rito dell’Arco Reale, in rapporti di mutuo riconoscimento con il Grande Oriente d’Italia.

Citando Tommaso Crudeli, membro della loggia inglese di Firenze e condannato per eresia ed incarcerato fino alla consunzione estrema, e citando Giovanni Amendola, iniziato (23enne) nella romana Gian Domenico Romagnosi, bastonato dai selvaggi fascisti a Montecatini il 29 luglio 1925 e sopravvissuto ai colpi appena nove mesi, il gran maestro Corona avrebbe potuto citare molti altri nomi che la Libera Muratoria italiana offerse alla causa della libertà piena. Compreso, per restare – con Crudeli, Amendola e Lando Conti – in Toscana ed a Firenze,  Giovanni Becciolini, iniziato nella loggia Galileo Galilei, intervenuto disarmato per difendere il suo Fratello Napoleone Bandinelli aggredito dagli squadristi in camicia nera il 3 ottobre 1925, “notte di San Bartolomeo”.

Le imboscate e le violenze ai danni dei massoni, tanto più in Toscana, prima e dopo il delitto Matteotti e la stagione dell’Aventino, non si contano. Furono violentate anche le biblioteche di loggia e di capitolo, i libri finirono al rogo, secondo il costume dei santinquisitori passati e dei nazisti futuri. Nel novembre 1925 la stessa fine, con i guanti dei questurini, fece il Tempio massonico di Cagliari, e con esso perì tutto quanto v’era contenuto, costringendo i migliori a frequentazioni segrete, taluno alla sorveglianza di polizia od al continuo precariato professionale.

Tradizione, memoria e dimenticanza liquida

Importava richiamare qualche precedente perché siamo in un’epoca storica che vive la dimenticanza come una ovvietà, forse come una virtù, nella convinzione che la storia avvenire possa fare a meno della memoria. Non lo dovrebbe la Massoneria, che è società di tradizione – ma tradizione dinamica, non museale – per eccellenza. Come lo erano le grandi scuole ideali – dal liberalismo al socialismo, alla democrazia radicale e repubblicana, dallo stesso popolarismo di matrice cattolica al sardismo cattaneano, tuveriano, asproniano (con l’Italia nel cuore) – oggi (e anche ieri mattina) sepolte dal nulla delle siglette del plebiscitarismo destrorso, demagogico e conformista dei protagonisti pagani ed improvvisati della nuova scena e da vent’anni resistenti: forza italia e sodali leghisti (quelli del tricolore imprigionato nel cesso) e parafascisti che soltanto teste confuse possono aver ribattezzato fratelli d’Italia. Fratelli d’Italia! come se il mazziniano-garibaldino Goffredo Mameli, caduto ventunenne per Roma repubblicana liberata dalla teocrazia di Pio IX, potesse avere qualcosa a che fare con gli epigoni e i mignon di contorno di Mussolini e Almirante, fra dittatura guerrafondaia e leggi razziali. Né molto molto diverso sembrerebbe lo schieramento avverso, convenzionale e chiacchierone oltre misura, quello – si tratta di libere e personali opinioni – dei replicanti nel partito cosiddetto democratico di un presidente spavaldo e forse sfrontato, e di compagni cari e discari (compresi i tattici già comunisti e già democristiani ora in riciclo). Peggio che peggio, per il nulla ideale, ed inclassificabile, il movimento recente degli arruffapopoli tutto umori e malumori schizzati sui palcoscenici della effimera notorietà e dell’atomismo controdemocratico affidato alle conte di internet.

La civiltà del pensiero massonico, ecumenica per statuto, interagiva, in Italia soprattutto, fino alla stagione di vita di Lando Conti, con i valori delle grandi correnti ideali che consideravano la politica santa al pari della religione, perché afferente il bene comune, e tutte avevano contribuito alla unità territoriale e agli ordinamenti di libertà affermatisi nel risorgimento e rilanciati, purificati, nel secondo dopoguerra repubblicano. Sotto questo profilo essa aveva incrociato, tanto più nella fertile presidenza di Carlo Azeglio Ciampi, l’azionista tessera d’onore dell’Associazione Mazziniana Italiana, fino ad ieri il presidente del Comitato dei garanti di Nuova Antologia, il riferimento più alto e coerente delle “costanti” umanistiche e civili dell’Italia democratica.

Tutto sembra cambiato sulla grande scena nazionale ma anche sulla nostra locale. Anche in Sardegna ed a Cagliari? Anche nella Massoneria sarda e cagliaritana? Me lo domando.

La bandiera nazionale della Repubblica, associata sovente a quella dell’Unione Europea ed a quella dei nostri più intimi sentimenti regionali (i sentimenti e gli ardori della “piccola patria”), entra nei templi massonici con la dignità che le riconosce l’eggregora, la catena d’unione, l’idem sentire fattosi energia morale, appunto umanistico e civile, di chi intende volgere la propria azione, dopo che il proprio pensiero, ad una socialità larga ed inclusiva, libera nelle premesse e giusta negli approdi: il progresso dell’umanità fra meridiani e paralleli, ma partendo da qui, dalle case e dalle strade, dalle scuole e dagli ospedali, dai laboratori, o dagli uffici, e dai carceri della città convissuta.

Conserva ed alimenta ancora oggi, la Libera Muratoria sarda e cagliaritana, questa tensione ideale, questa fermezza sui paradigmi della democrazia operante, questo ancoraggio alle modalità riflessive e critiche, anticonformiste nella sostanza ed educate, disciplinate e perfino austere nello stile, che la storia complessa e provocatrice parrebbe esigere da lei  come da ogni altra corporazione di storia consolidata e sempre attiva sulla scena pubblica?

La trasversalità a riguardo delle possibili appartenenze partitiche, così come ad altri aspetti della formazione o dello status individuale dei partecipanti, o ancora a riguardo delle loro associazioni in intraprese collettive, non può eliminare, in quanto dato di base, la sensibilità etico-civile e quella sorveglianza, razionale ed insieme appassionata, direi sacerdotale, sul trasparente funzionamento delle istituzioni pubbliche che rimane la garanzia maggiore dei diritti della cittadinanza.

Mi permetto, al riguardo, un richiamo, o un rimando, personale: precisamente alle riflessioni ampiamente argomentate (sessanta cartelle!) esposte nell’articolo uscito ancora nel sito di Fondazione Sardinia il 21 marzo 2014 (“Riflettendo circa la presenza della Massoneria italiana e sarda sulla scena pubblica, fra storia e cronaca. Il rapporto con la religione – e la Chiesa – e la politica”).

I liberi muratori al voto

Nelle scorse settimane oltre settecento liberi muratori giustinianei, portatori di responsabilità alte nell’ambito delle rispettive logge – sono ora 25 a Cagliari e 45 in tutta l’Isola – hanno rinnovato gli organi di governo, controllo e giustizia della circoscrizione sarda. Sarebbe certo auspicabile che, in perfetta sequela dei migliori predecessori, si sappia da parte dei nuovi titolari, in questa stagione in cui tutto appare malinconicamente (e pericolosamente) liquido, riproporre i riferimenti fondamentali ai quali la Massoneria deve ispirarsi per essere quel che è stata nella storia dei continenti e nella nostra Italia: una sede umanistica di discussione libera e ordinata rivolta ad obiettivi di avanzamento morale e, nella concretezza del vissuto, sociale. In una logica sempre partecipativa, non di delegazione e mai di paternalismo.

Così anche in Sardegna. Le esperienze non mancano, a Cagliari come a Sassari ed anche a Nuoro e negli altri Orienti muratori. Ne ho anticipato un elenco diverse volte, rivelando – di mia piena iniziativa – quanto sovente rimane sotto la coltre virtuosa della discrezione. Ma certo il potenziale intellettuale e professionale che la Massoneria sarda incorpora, invero enorme, può essere assai meglio tradotto nell’interesse generale, può esprimersi in termini assai più efficaci che nel passato nella pedagogia civile e laica e nella testimonianza sociale. Nella manifestazione sociale certamente, ogni giorno, per pratiche personali o di comunità, ma io direi anche propriamente nel civile e in quella dimensione che i nostri padri perfettamente chiamavano del “lavoro morale”, per più alti standing della cittadinanza, per una maggiore e diffusa consapevolezza della storia presente così come delle responsabilità che essa richiama senza esentare nessuno.

Le grandi questioni del fine vita, ad esempio, del testamento biologico, e della ingegneria biologica e dunque della libertà (o dei limiti) della ricerca scientifica – verrebbe qui da evocare il Galileo di Bertold Brecht – , ma anche, su tutt’altro campo, delle nuove formulazioni del vivere familiare, meriterebbero trattazioni libere e la Massoneria, che non può, per statuto, derivare da sé alcuna dottrina fatta, potrebbe proporsi come luogo neutro di conoscenza ed approfondimento, di studio e di confronto fra chi è portatore di motivate tesi diverse ed anche opposte. Perché lo specifico della sua missione risiede, a mio parere, nel favorire non, lobbisticamente, questo o quello sbocco legislativo od amministrativo, ma l’innalzamento del livello del confronto pubblico (e, prima, dei convincimenti personali), nella prospettiva sempre di portare la massa alla dignità di popolo come l’intendeva Mazzini. Chiamali pure protagonismo della responsabilità o dignità della cittadinanza.

Se nei decenni passati, e già nel secondo Ottocento, dalle logge sarde era salito l’appello alla proscrizione della pena capitale – così come era stato statuito nella costituzione della gloriosa Repubblica Romana del 1849 – o, ormai quasi quarant’anni fa, dalle stesse logge o dalle loro filiazioni si promuoveva, a Cagliari, la pratica della cremazione – quella di cui recentemente si è occupato anche il magistero della Chiesa – con la fondazione di una apposita società e la sollecitazione all’Amministrazione di un intervento sul punto, e se forse non mancano le materie sulle quali potrebbero anche oggi riunirsi le volontà miranti ad innovazioni normative in questo o quel campo, parrebbe corretto pensare che gli ordinamenti ed il costume sappiano oggi risolvere le questioni aperte e di speciale merito senza dover ricorrere a iniziative di lobbing. Insomma, se un tempo fu necessario un impegno pressoché diretto delle logge sulla scena della vita politica e sociale – tanto più nel Risorgimento e postRisorgimento, fino a patire le aggressioni del fascismo squadrista e il carcere o il confino o l’esilio dei propri migliori e degli stessi vertici – oggi non si chiede eroismo ma testimonianza sì, sempre. La testimonianza del pensare in grande, dell’accogliere nel confronto le tesi e le proposte argomentate più diverse, per una più alta civiltà. Si può, se si può forse si deve.

La storia di una loggia cagliaritana

La loggia Lando Conti era nata, a Cagliari, da quell’impulso morale di una memoria civile e politica che sentiva la democrazia e l’Italia nel patrimonio non negoziabile con nulla, assolutamente con nulla. Era lo stesso titolo distintivo, quel nome del Fratello trucidato da diciassette revolverate dei terroristi, ad impegnare a pensare e a fare cose grandi.

Il Venerabile fondatore Solinas – che veniva da una tradizione famigliare che nel nome di Ovidio Addis, lo scopritore della Cornus paleocristiana,  si riassumeva e da esso prendeva luce – o, nella sequenza dei successori, il Venerabile Bruno Fadda – altro esponente della politica repubblicana a forte sensibilità autonomistica – e i dignitari loro collaboratori hanno tenuto alti il nome e l’impegno per lungo tempo. Lo voglio ricordare perché tante volte, ripetendo slogan e cliché vuoti oltreché irrispondenti alla verità dei fatti, ancora si fa accusa alla Libera Muratoria di non raccontare se stessa e le sue attività.

E della loggia cagliaritana intitolata a Lando Conti il mio Archivio generale della storia della Massoneria sarda riunisce forse il più di quanto nel trentennio s’è prodotto nel circuito giustinianeo isolano. Naturalmente esso è depositato per una consultazione di studio vincolata alla tempistica che la stessa legislazione sulla privacy autorizza, dunque fuori da qualsiasi improprio sconfinamento, da parte di chicchessia, nella banale curiosità. Si tratta di carte – queste e le altre – che costituiscono un corpus, unitario nella sua ampia articolazione, destinato, quando sarà, ad una pubblica istituzione giusto per incrociare interessi di scavo ed elaborazione quando finalmente il clima sociale, depurato dei dottrinarismi catto-comunisti o clerico-fascisti, per restare alle antiche categorie, ma anche dalle sguaiataggini mentali di nuovi battitori, saprà apprezzare quel che è stato e quel che è, al netto delle cadute degli uomini, la Libera Muratoria come profezia dialogica ed ecumenica anche nella nostra terra sarda.

Per restare al campo regionale e cagliaritano in specie, ed alla particolare esperienza della loggia Lando Conti, ricorderei almeno il bellissimo convegno pubblico del 10 marzo 2007 andato secondo l’insegna di «Una giornata mazziniana», con il dono conclusivo, alla casa massonica di Cagliari, di un artistico busto del Profeta dell’unità (a far da gemello a quello storico, datato 1905, di Giovanni Bovio,opera del massone cagliaritano Pippo Boero). Quella giornata, concordata con la sezione sarda dell’Associazione Mazziniana Italiana e documentata da una pubblicazione successivamente diffusa con spirito liberale, vide la presenza in quanto relatori, insieme con i sardi Marcello Tuveri, Raffaele Sechi – al tempo Venerabile della officina organizzatrice – e Vindice Ribichesu (che trattò dei “Massoni Mazziniani Sardi in epoca risorgimentale”), dello storico Cosimo Ceccuti, presidente della Fondazione Spadolini-NuovaAntologia. Né potrebbe essere dimenticato il rapporto di amicizia antica e solidarietà politica fra il compianto, autorevolissimo presidente del Senato e Lando Conti. Presente a Cagliari, quel giorno, con il gran maestro Gustavo Raffi, anche Lorenzo Conti, figlio di Lando.

Di due anni prima, del dicembre 2005, è il libro “Lavorando la pietra grezza…”, raccolta delle proposte tematiche di lavoro comunitario della loggia nel corso dei suoi primi vent’anni quasi. 54 relazioni/tavole architettoniche tutte di evidente spessore morale e culturale, in una silloge preparata, da par suo, da Bruno Fadda, prossimo gran maestro onorario, anch’egli ormai da noi perduto per debito di natura.

Né manca al rapido elenco l’organizzazione (con altre logge cagliaritane), il 30 marzo 2003, di una “giornata d’informazione” sull’alzheimer, nella sala Dino Zedda alla Fiera, relatori diversi clinici ed operatori sardi (fra essi anche l’attuale rettore magnifico Maria Del Zompo) e continentali. Indimenticato il contributo scritto trasmesso dal Nobel Rita Levi Montalcini.

E’ dell’ottobre 2012 un corposo meeting di taglio interconfessionale, allestito nel salone CIS di Cagliari all’insegna di «La fede permette il dialogo?», partecipanti il rabbino capo della comunità ebraica di Roma Riccardo Di Segni, il teologo musulmano e docente islamista alla Gregoriana Adnane Mokani, il monaco del milanese Centro Buddha della Compassione Geshe Jangchub Gyaltsen Lama, il docente di meditazione buddista Enrico Dellacà, il direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Cagliari Mario Farci, il docente di Antico Testamento presso la facoltà teologica valdese di Roma Daniele Garrone. Con il prof. Paolo Gastaldi, delegato del gran maestro del GOI, per le conclusioni.

La loggia ha saputo anche sposare, nel concreto e ripetutamente, la sensibilità civile e sociale al gusto, forse più privato ma non improduttivo di ricadute pubbliche, dell’arte, e di ciò fu manifestazione l’assemblea dell’intero piedilista non nel Tempio dei simboli e dell’azione rituale ma al Teatro lirico del capoluogo: nel febbraio 1996, per ascoltare la musica dotta eseguita dai maestri in organico, fra cui diversi dei propri Artieri. Secondo una certa tradizione – ecco un’altra nobile tradizione cagliaritana, partendo magari da Enzo De Bellis! – che combina molte personalità del Teatro lirico e del  Conservatorio di musica alla Libera Muratoria di… (per volare alto) Mozart e Sibelius, Mahaler e Respighi, Cherubini e Paganini, magari anche Ellington ed Armstrong…

(Breve parentesi. Sarebbe bello che il sindaco di Cagliari desse concreta attuazione al mezzo impegno da lui assunto di dotare la piazzetta intitolata, mesi fa, a Franco d’Aspro, di lato alla chiesa di San Pio X e a poche decine di metri dallo stadio Amsicora, di una delle opere del grande scultore e alto dignitario massonico. In quella auspicabile occasione si potrebbe eseguire, ritengo per la prima volta e nello stesso spazio aperto, uno spartito risalente addirittura al 1939 e composto da un Fratello musicista professore al Conservatorio di musica di Cagliari, il quale si trovò proprio con d’Aspro nelle attività della loggia Mazzini Garibaldi, nel tempio di via Macomer, fra il 1948 ed il 1949. Titolo della composizione: “Il cieco: da un’opera di Franco d’Aspro”).

Per spontanea gemmazione dalla Lando Conti è derivata, nel 2006, un’altra officina simbolica del largo circuito giustinianeo: la Rudyard Kipling n. 1272. E sembra bello vedere in stretta relazione al gran lavoro della loggia madre la comparsa di questa nuova compagine speriamo degna dell’ascendente, per l’immediato impegno solidaristico verso i marginali sociali della città e per l’inquadramento dei fondamentali – che ben furono chiari, in tema specialmente di ecumenismo –  al poeta inglese premio Nobel per la letteratura del 1907 (e autore dei versi “La Loggia Madre” scritti nel Punjab) .

Mi sono concesso queste libere considerazioni che riflettono un radicato sentire, non gli obblighi di una tessera che non posseggo. Invece posseggo, credo di possedere, quel tanto che serve per proporre alla pubblica opinione una visione sì critica, sì problematica, ma aperta e laicamente fiduciosa di una corporazione che, nei tempi della storia, anche della storia recente, ha offerto tesori al vivere civile della nazione e anche della regione. Con i suoi ideali e con i suoi uomini, con le sue iniziative e le sue relazioni. Da qui, cogliendone lo spunto dal calendario, il riferimento particolare alla loggia intitolata a Lando Conti. Che molto ha dato ma di più può e deve dare.

Verrà, da parte di questa loggia tanto nobile, nel trentennale – che è il trentennale della sua costituzione ma anche il trentennale dell’efferato, malvagio assassinio del suo titolare –, una qualche iniziativa che possa riproporre alle nuove generazioni, ai giovani di Cagliari, la personalità eccellente di Lando Conti e, con questa, anche un rinforzo dell’asse di fraternità, che era stato messo nei programmi, fra la capitale della Sardegna e la Firenze capitale dell’umanesimo italiano ed europeo?

 

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