La politica disprezzata, di Angelo Panebianco
Chi pensa sia una attività che debba essere svolta dai tecnici, chi crede sia meglio affidarla a cittadini onesti ma privi di competenze. Due visioni solo apparentemente diverse.
Che cosa è la competenza politica? Le diverse risposte a questa domanda spiegano i differenti atteggiamenti verso la politica dei nostri concittadini. La prima è scelta solo da ristrette minoranze tranne che in rari, eccezionali momenti: fa coincidere la competenza politica con le competenze tecnico-scientifiche o, più propriamente, subordina la prima alle seconde. L’ideale o il mito del “governo dei tecnici” è figlia di questa concezione. Il governo Monti ne è stata l’ultima incarnazione. Poiché al governo dei tecnici ci si rivolge nelle fasi di più acuta crisi politica ed economica, c’è da scommettere che quando in futuro ci saranno altre crisi acute il mito tornerà in circolazione, i “tecnici” ricominceranno a essere vezzeggiati in omaggio alla loro presunta capacità di salvare la patria. La seconda risposta sta oggi facendo la fortuna del movimento 5 Stelle: la competenza politica non è altro che l’insieme delle virtù che definiscono il buon cittadino, la prima delle quali è l’onestà, intesa non come onestà intellettuale
ma come indisponibilità ad appropriarsi illecitamente di denaro pubblico, unita a una vocazione
al servizio (da svolgere senza compensi o con compensi limitati) per il bene della comunità. Qui l’idea è che chiunque, indipendentemente dalle sue esperienze e conoscenze, purché in possesso delle suddette virtù civiche (onestà e spirito di servizio), possa governare, amministrare la cosa pubblica. Non è un’idea originale, circola da quando, un paio di secoli fa, il processo di democratizzazione ha investito le società umane: Lenin pensava che anche la “cuoca” potesse amministrare la cosa pubblica una volta posto termine ai conflitti di classe mentre per il “populismo jaksoniano” (dal presidente americano Andrew Iackson) chiunque poteva entrare a far parte dell’amministrazione purché fedele al presidente in carica. Tra le due concezioni suddette, nonostante le apparenze, nonostante esse definiscano in modo assai diverso la competenza politica, ci sono molte somiglianze. Entrambe disprezzano i politici di professione (ignoranti e incompetenti per la prima, ladri e corrotti per la seconda), entrambe assumono che la politica non richieda capacità o competenze specifiche: è quindi una attività che può essere svolta dai tecnici, depositari di un sapere tecnico- scientifico oppure dai cittadini comuni privi di competenze e di esperienze. Al di là dell’aperta ostilità per i politici di professione, dietro alle due ideologie, si scorge un più generale disprezzo per la politica, a sua volta generato da un’incomprensione di fondo delle funzioni che essa svolge. Ne sono immuni solo quelle culture politiche nelle quale a nessuno salta in mente di pensare “piove, governo ladro”, dove è invece diffusa la convinzione che, se pioverà, solo i politici esperti disporranno della competenza necessaria per distribuire ombrelli.
Da SETTE, , N° 45, 11 NOVEMBRE 2016