Papa Francesco: un paradosso? di Hans Kung

Queste pagine, parte dell’Epilogo della corposa autobiografia (Una battaglia lunga una vita, Rizzoli, Mi, 2014) del grande teologo cattolico svizzero, esprime la propria gioiosa sorpresa per i primi atti di papa Francesco in questo  intervento che riprende la speranza per la riforma della Chiesa e consiglia i fedeli sui modi e gli atteggiamenti che la rendano operativamente possibile. Lo pubblichiamo mentre siamo alla lettura dei resoconti del viaggio di Francesco in Svezia per ricordare il Lutero riformatore della Chiesa e studioso obbediente delle Scritture (s. c.).



Il 14 aprile 2013, a Lucerna, col mio discorso di «politica interna», ho occasione di parlare del nuovo pontificato e della situazione della Chiesa. Lo riporto qui parola per parola,” come testimonianza e documento:

«Chi l’avrebbe detto? Quando, tempo fa, decisi di rinunciare alle mie cariche onorifiche al compimento del mio 85 anno, ero convinto che il sogno da me coltivato per decenni, cioè di assistere di nuovo nella mia vita a una svolta nella nostra Chiesa, come ai tempi di Giovanni XXIII, non si sarebbe più realizzato.

E invece guarda un po’: Joseph Ratzinger, che ha condiviso con me per qualche anno un tratto della sua vita – abbiamo entrambi ottanta­cinque anni -, improvvisamente ha abbandonato prima ancora di me la sua carica papale e proprio il 19 marzo, giorno del suo onomastico e del mio compleanno, gli è subentrato un nuovo papa, con il sorprendente nome di Francesco.

Jorge Mario Bergoglio si sarà chiesto perché finora nessun papa ha osa­to scegliere il nome Francesco? Comunque, l’argentino era ben consapevo­le di ricollegarsi, con questo nome, a Francesco di Assisi, il santo del XIII secolo celebre per la sua scelta di rinunciare a tutto, il figlio mondano e gaudente di un ricco mercante di tessuti di Assisi, che a ventiquattro anni rinuncia alla famiglia, alla ricchezza e alla carriera restituendo al padre i suoi lussuosi vestiti.

È sorprendente come papa Francesco abbia scelto fin dal primo mo­mento della sua entrata in carica uno stile nuovo: a differenza del suo pre­decessore, niente mitra trapunta d’oro e gemme, niente mozzetta pur­purea orlata di ermellino, niente scarpe e copricapo rossi appositamente confezlonarl, niente trono c tiara.

Sorprendente anche che il nuovo papa abbia di proposito rinunciato ai gesti solenni e alla retorica pretenziosa e parli la lingua della gente, come la possono praticare anche i predicatori laici, oggi come allora vietati dai papi.

Sorprendente, infine, come il nuovo papa sottolinei il suo essere uomo tra gli uomini: chiede la preghiera della gente prima di impartire la sua benedizione; paga come chiunque altro il conto dell’ albergo; realizza la collegialità con i cardinali in autobus, nella residenza comune, nel con­gedo ufficiale, lava i piedi a giovani carcerati, anche a donne, perfino a un musulmano. Un papa che si presenta come una persona alla mano.

Tutto ciò avrebbe rallegrato Francesco di Assisi ed è il contrario di ciò che al suo tempo rappresentava papa Innocenzo III (1198-1216). Nel 1209 Francesco si era recato da lui a Roma con undici “frati minori” (fratres minores), per presentargli la sua breve regola, costituita esclusiva­mente da citazioni della Bibbia, e ottenere l’approvazione papale per la sua scelta di vivere in povertà e nella predicazione laicale, “in conformità al santo Vangelo”. Innocenzo III, conte di Segni, eletto papa a soli tren­tasette anni, era nato per comandare: erudito teologo, sottile giurista, oratore di talento, amministratore capace e diplomatico raffinato. Nes­sun suo predecessore o successore ebbe mai più potere di lui. Con lui, la rivoluzione dall’alto introdotta da Gregorio VII nell’XI secolo (la “Ri­forma gregoriana”) aveva raggiunto il suo obiettivo. Al titolo di “vicario di Pietro” preferì il titolo, impiegato fino al XII secolo per ogni vescovo o sacerdote, di “vicario di Cristo” (Innocenzo IV lo avrebbe cambiato addirittura in “vicario di Dio”). Da allora, diversamente da quanto era avvenuto nel primo millennio e pur senza mai essere riconosciuto dalle Chiese apostoliche orientali, il papa si è considerato un sovrano, legisla­tore e giudice assoluto della cristianità – fino a oggi.

Tuttavia, il trionfale pontificato di Innocenzo III fu non soltanto un apogeo, ma anche un punto di svolta. Già sotto di lui si manife­starono i segni di declino che in parte sono rimasti fino ai nostri gior­ni tratti caratteristici del sistema romano-curiale: nepotismo, avidità, corruzione e affari finanziari dubbi. Eppure già dagli anni Settanta e­Ottanta del XII secolo si formarono imponenti e anticonformisti mo­vimenti penitenziali e pauperisti (catari, valdesi). Ma papi e vescovi intervennero naturalmente contro queste correnti minacciose con di­vieti alla predicazione laicale, condanna degli “eretici”, Inquisizione- e­persino guerre contro gli “eretici”.

Fu però proprio Innocenzo III a cercare di integrare nella Chiesa i movimenti pauperisti evangelico-apostolici, nonostante la sua politica di eliminazione degli “eretici” più ostinati (i catari). Anche Innocenzo era consapevole di quanto fossero necessarie e urgenti quelle riforme della Chiesa per le quali alla fine convocò lo sfarzoso Concilio Latera­nense IV. Perciò dopo lunghe raccomandazioni rilasciò a Francesco di Assisi il consenso alla predicazione quaresimale. Sull’ideale di assoluta povertà prescritto dalle regole egli si riservava di interpellare in preghiera la volontà di Dio. Si racconta che il pontefice alla fine approvò la regola dì Francesco di Assisi. In seguito a un sogno nel quale aveva visto un modesto fraticello salvare dal crollo la basilica papale del Laterano. Egli la rese nota. al concistoro dei cardinali, ma non fissò nulla per iscritto.

In effetti, Francesco di Assisi rappresentò e rappresenta l’alternativa al sistema romano. Cosa sarebbe accaduto se già Innocenzo e i suoi avessero di nuovo preso sul serio il Vangelo? Le esortazioni in esso racchiuse anche se intese non alla lettera, ma nel loro contenuto spirituale, significavano e significano. una profonda messa in questione del sistema romano, di quella struttura di potere centralistica, giuridicizzata, politicizzata e clericalizzata, che a partire dall’XI secolo si è impossessata a Roma della causa di Cristo.

Innocenzo III sarebbe stato l’unico papa che in base a qualità eccezio­nali e all’autorità avrebbe potuto con un Concilio mostrare alla Chiesa una strada fondamentalmente diversa. Ciò avrebbe potuto risparmiare al papato nel XIV-XV secolo scissione ed esilio e alla Chiesa nel XVI secolo la Riforma protestante. Certamente questo avrebbe avuto per conseguenza per la Chiesa cattolica un cambio di paradigma già nel XIII secolo, peraltro uno che non avrebbe scisso la Chiesa, anzi avrebbe rinnovato e al contem­po riconciliato la Chiesa occidentale e la Chiesa orientale.

Così dunque le protocristiane richieste centrali di Francesco di Assisi restano fino a oggi domande alla Chiesa cattolica e ora a un papa che si chiama programmaticamente Francesco: paupertas (povertà), humilitas (umiltà), e simplicitas (semplicità). Ciò ben spiega come mai finora nes­sun papa abbia osato prendere il nome di Francesco: le pretese appariva­no troppo alte.

Si pone allora la seconda domanda: Cosa significa oggi per un papa adottare coraggiosamente il nome Francesco? Ovviamente anche la per­sona di Francesco di Assisi, che ha le sue unilateralità, esaltazioni e de­bolezze, non può essere idealizzata. Egli non è una norma assoluta. Ma le sue richieste protocristiane vanno prese sul serio, anche se non devono essere realizzate alla lettera ma dovrebbero essere tradotte dal papa e dalla Chiesa nell’epoca odierna:

1.paupertas, povertà? La Chiesa nello spirito di Innocenzo III è una Chiesa della ricchezza, della boria e del lusso, dell’ avidità e degli scan­dali finanziari. AI contrario, una Chiesa nello spirito di Francesco vuol dire una Chiesa dalla politica finanziaria trasparente e dalla semplicità frugale. Una Chiesa che si prende cura soprattutto dei poveri, dei deboli, degli handicappati, dei bisognosi. Che non accumula ric­chezza e capitale ma combatte attivamente la povertà e offre condi­zioni di lavoro esemplari al proprio personale;

2.  bumilitas, umiltà? La Chiesa nello spirito di papa Innocenzo è una Chiesa del potere e del dominio, della burocrazia e della discriminazio­ne, della repressione e dell’Inquisizione. Al contrario, una Chiesa nello spirito di Francesco significa una Chiesa della filantropia, del dialogo, della fraternità, dell’ ospitalità anche per gli anticonformisti, del servizio modesto dei suoi dirigenti e della solidarietà sociale, che non esclude dalla Chiesa nuove forze e idee religiose, bensì le rende feconde;

3.  simplicitas, semplicità? La Chiesa nello spirito di papa Innocenza è una Chiesa dell’immobilità dogmatica, della censura moralistica e della protezione giuridica, una Chiesa della canonistica onniregolan­te, della scolastica onnisciente e della paura. Al contrario, la Chiesa nello spirito di Francesco di Assisi vuol dire una Chiesa della lieta no­vella e della gioia, di una teologia orientata al semplice Vangelo, che ascolta gli uomini invece di limitarsi a indottrinare dall’alto verso il basso, una Chiesa non solo insegnante, ma sempre di nuovo discente.

Alla luce delle istanze e dei principi di Francesco di Assisi oggi si possono formulare opzioni di fondo anche per una Chiesa cattolica la cui faccia­ta risplende in occasione delle grandi manifestazioni romane, ma la cui struttura interna nella vita quotidiana delle comunità di molti Paesi si rivela ormai fragile e fatiscente, sicché molte persone se ne allontanano interiormente e spesso anche esteriormente.

Tuttavia, nessun individuo razionale può attendersi che tutte le rifor­me vengano realizzate da un solo uomo dall’oggi al domani. Nondimeno, un mutamento di paradigma sarebbe possibile in cinque anni, come dimostrò nell’XI secolo il papa lorenese Leone IX (1049-1054), che aveva preparato la riforma di Gregorio VII, e come avrebbe poi dimostrato nel xx secolo l’italiano Giovanni XXIII (1958-1963), convocando il Concilio Vaticano II. Oggi, soprattutto, dovrebbe essere chiara la direzione: non una involuzione restaurativa verso i tempi preconciliari come sotto il papa polacco e sotto quello tedesco, ma passaggi meditati, pianificati e ben mediati di una riforma in linea con il Concilio Vaticano II.

Oggi come allora si pone una terza questione: Una riforma della Chiesa sa non incontrerà una seria resistenza? Indubbiamente essa susciterà, soprattutto nell’apparato di potere della curia romana, potenti controforze alle quali sarà necessario far fronte. I potenti del Vaticano non rinunceranno spontaneamente a un potere accumulato fin dal Medioevo,

Quanto possa essere forte la pressione curiale lo dovette sperimen­tare anche Francesco di Assisi. Egli, che si voleva staccare da tutto in povertà, si attaccò sempre più alla “santa madre Chiesa”. Voleva vivere la conformità con Gesù non nel confronto con la gerarchia, ma nell’ ob­bedienza al papa e alla curia: in povertà vissuta e con la predicazione laicale. Lascia addirittura elevare se stesso e i suoi compagni allo stato clericale per mezza della tonsura. Questo invero facilita l’attività di pre­dicazione, però promuove la clericalizzazione della nuova comunità, la quale comprende sempre più sacerdoti. Non è quindi sorprendente che la comunità francescana venga sempre più integrata nel sistema romano. Gli ultimi anni di Francesco vennero incupiti dalla tensione tra l’ideale originario dell’imitazione di Gesù e l’adeguamento della sua comunità al tipo precedente di vita monastica.

Gloria a Francesco: il 3 ottobre 1226 egli muore povero come aveva vissuto, a soli quarantaquattro anni. Papa Innocenza III era morto, in modo del tutto inaspettato, già dieci anni prima, un anno dopo il Con­cilio Lateranense IV, all’età di cinquantasei anni. Il 16 giugno 1216 il cadavere di colui che aveva saputo accrescere, come nessun altro prima, il potere, il dominio e la ricchezza della Santa Sede, fu trovato nella catte­drale di Perugia, abbandonato da tutti, completamente nudo e derubato dai suoi stessi servitori. Un segnale del rovesciamento della sovranità universale del papa nell’impotenza del papa: all’inizio del XIII secolo il glorioso pontificato di Innocenza III; alla fine di quello stesso secolo il megalomane Bonifacio VIII (1294-1303), miseramente fatto prigionie­ro, al quale sarebbero seguiti l’esilio di Avignone, durato circa settant’ an­ni, e lo scisma d’Occidente, con due e alla fine tre papi.

Nemmeno due decenni dopo la morte di Francesco, il movimento francescano rapidamente diffusosi in Italia sembra quasi completamente addomesticato dalla Chiesa romana, tanto da porsi ben presto al servizio della politica papale, come un normale ordine monastico, e da farsi ad­dirittura coinvolgere nell’Inquisizione.

Se dunque è stato possibile addomesticare Francesco di Assisi e i suoi compagni nel sistema romano, ovviamente non si può escludere che alla fine un papa Francesco venga catturato nel sistema romano che dovreb­be riformare. Papa Francesco: un paradosso? Potranno mai conciliarsi il papa e Francesco, un contrasto evidente? Solo con un papa delle riforme ispirato dal Vangelo. Non dobbiamo rinunciare troppo presto alla nostra speranza in un simile pastor angelicus!

Infine, una quarta questione: Che fare se ci viene tolta dall’alto la spe­ranza nella riforma? I tempi in cui il papa e i vescovi potevano contare tranquillamente sull’ubbidienza dei fedeli sono comunque passati. Con

La Riforma gregoriana nell’XI secolo era stata introdotta nella Chiesa cattolica una certa mistica dell’obbedienza: obbedire a Dio significava obbedire alla Chiesa e questo a sua volta significava obbedire al papa e viceversa. Da quel momento l’obbedienza al papa come virtù centrale venne inculcata a tutti i cristiani; conseguire comando e obbedien­za – con qualsiasi mezzo! – divenne lo stile romano. Ma l’equazione medievale “obbedienza a Dio = obbedienza alla Chiesa = obbedienza al papa» contraddice già la parola dell’ apostolo davanti al sinedrio di Gerusalemme:’ «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini”.

Dunque, non possiamo in alcun modo cedere alla rassegnazione, ma di fronte alla mancanza di impulsi riformatori “dall’alto”, dalla gerar­chia, dobbiamo intraprendere decisamente le riforme “dal basso’: a partire dalla gente. Se papa Francesco metterà mano alle riforme troverà un vasto consenso da parte della gente, ben al di là della Chiesa cattolica. Se però alla fine andasse avanti così e non sciogliesse il nodo delle riforme, il grido “Indignatevi! Indignez-vous!” risuonerebbe sempre più anche nella Chiesa cattolica e provocherebbe riforme dal basso che sarebbero realizzate lo stesso senza l’approvazione da parte della gerarchia e spesso addirittura contro i tentativi di impedirle della stessa gerarchia. Nel caso peggiore – l’ho scritto già prima dell’elezione di questo papa -la Chiesa cattolica vivrebbe, anziché una primavera, una nuova era glaciale e cor­rerebbe il pericolo di ridursi a una grande setta poco rilevante.

Ma come devono essere varate dunque le riforme “dal basso’? Non posso consigliare niente di meglio di quanto avevo già affidato non meno di quarant’anni fa – chi non pensa qui ai quarant’anni trascorsi da Israele nel deserto! – alla dichiarazione Contro la rassegnazione di 33 eminenti teologi nel 1972. Tra questi, di lingua tedesca, i teologi riformisti, in primo luogo il padre- della nostra Fondazione Herbert Haag, ma anche Alfons Auer, Franz Bockle, Norbert Greinacher, Otto Karrer, Walter Kasper e Johann Baptist Metz. Ripeto le 5 parole d’ordine:

Parola d’ordine 1: Non tacere! Ognuno nella Chiesa, ministro o no, uomo o donna, ha il diritto e spesso il dovere di dire cosa pensa della Chiesa e della sua direzione, e cosa considera necessario fare, dunque apportare proposte per il miglioramento (cfr. CIC c. 212 § 3).

Abbiate fiducia nel potere della parola! Tre giovani donne coraggiose del gruppo Pussy Riot a Mosca hanno coperto di ridicolo davanti a tutto il mondo il regime autoritario del capo del Cremlino Putin. E l’artista cinese Ai Weiwei si è impegnato a Pechino, osservato in tutto il mondo, per diritti umani, democrazia e giustizia, sfidando così l’intero apparato totalitario del partito.

Parola d’ordine 2: Agire in prima persona! Non solo lamentarsi e inveire contro Roma e i vescovi, ma diventare attivi in prima persona.

Abbiamo fiducia nel potere dell’azione! Proprio nella società moderna i singoli come i gruppi hanno la possibilità di influenzare positivamente la vita ecclesiale, in modo particolare attraverso i nuovi media e internet. Che non possa forse una volta o l’altra giungere dopo quella araba una “primavera cattolica”?

 

Parola d’ordine 3: Camminare insieme! L’individuo deve, ove possi­bile, procedere col sostegno degli altri: degli amici, del Consiglio par­rocchiale, dei sacerdoti o pastorale e delle associazioni cattoliche laiche o anche di liberi raggruppamenti di laici, dei movimenti riformisti, dei gruppi sacerdotali e di solidarietà.

Abbiate fiducia nel potere della comunità! Quarant’anni fa ho formu­lato la frase che si è avverata solo nel 2011: “Un parroco nella diocesi non conta, cinque vengono notati, cinquanta sono invincibili”. La coraggiosa e persistente Iniziativa parroci in Austria, al vertice il nostro premiato Helmut Schiìller, conta ormai circa 500 firmatari e ha portato a cedere il cardinale viennese Christoph Schònborn, che dapprima minacciava la scomunica. E anche l’iniziativa parrocchiale avviata in Svizzera conta ormai quasi 550 firme di assistenti spirituali. Simili incoraggianti par­tenze e sviluppi alla base della Chiesa ci sono oggi ovunque nel mondo. Si spera che a questi movimenti si associno molti altri singoli, gruppi e soprattutto pastori.

Parola d’ordine 4: Perseguire soluzioni provvisorie! Le discussioni da sole non sono di aiuto. Spesso occorre mostrare di far sul serio. Una pres­sione sulle autorità ecclesiastiche nello spirito della fraternità cristiana può essere legittima là dove i titolari di un ministero non sono all’altezza del loro compito. Chi non vuole ascoltare deve sentire.

Abbiate fiducia nel potere della resistenza! La lingua nazionale nell’intera liturgia cattolica, il cambiamento delle norme relative ai matrimoni misti, l’affermazione della tolleranza, della democrazia, dei diritti umani e tante altre cose sono state raggiunte nella storia della Chiesa soltanto in virtù di una costante e leale pressione dal basso. La disobbedienza diffusa delle comunità parrocchiali tedesche di fronte al divieto romano alle donne di servir messa lo ha mostrato chiaramente. Là dove una disposizione dell’ au­torità ecclesiastica costituita manifestamente non corrisponde al Vangelo, la resistenza può essere lecita e persino doverosa. Proprio nella Chiesa si deve “obbedire a Dio invece che agli uomini” (At 5,29). E perché, mi chie­do, non si deve per esempio sostituire la legge sul celibato con un celibato volontario anche per la Chiesa tedesca come per le Chiese orientali unite a Roma, lasciando la legge a coloro i quali la vogliono mantenere?

Parola d’ordine 5: Non abbandonare! Nel rinnovamento della Chiesa la tentazione più grave o, spesso, anche un comodo alibi è rappresentato dall’idea che tutto sia privo di senso, che non si debba insistere, ma sia meglio andarsene: emigrazione all’esterno o all’interno. Ma proprio nell’at­tuale fase di restaurazione e stagnazione intraecclesiastica è necessario perse­verare tranquillamente in una fede fiduciosa e trattenere a lungo il respiro. Anche la “restaurazione politica” nel XIX secolo era finita dopo tre decenni.

Abbiamo fiducia nel potere della speranza! Molti ancora aspettano il ravvedimento dei responsabili. Ma il disbrigo dei casi di abuso ha len­tamente messo in moto anche in molti vescovi un cambiamento di co­scienza. E ora sono anche esposti a interrogativi più fondamentali: per esempio sul potere e il suo esercizio nella Chiesa, sul suo rigido dogma­tismo o sulla sessualità e la sua repressione.

Auguro a tutti voi di cuore: non lasciatevi scoraggiare dalle delusioni.

Continuate a combattere accanitamente, coraggiosamente e con perseveranza in una fede fiduciosa e mantenete di fronte a ogni indolenza, stoltezza e rassegnazione la speranza in una Chiesa che di nuovo vive e’ agisce di più sul Vangelo di Gesù Cristo. E in ogni ira, alterco e protesta non dimenticate l’amore!»

Con questo appello avevo già chiuso nello stesso spirito il mio discorso «Per una riforma della Chiesa dal basso», il 18 ottobre 2012 nella chie­sa di San Paolo a Francoforte, dove gruppi riformisti provenienti da tutta l’area tedescofona insieme a ospiti internazionali erano convenuti per  commemorare il 500 anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II  e per partecipare a un «convegno conciliare» che si sarebbe protratto per più giorni. Gli oltre 1000 riformisti che affollavano quel luogo tanto significativo per la democrazia in Germania, durante la cerimonia di inaugurazione dei lavori, diedero anche nei giorni successivi della conferenza molteplice espressione alloro anelito a una maggior democrazia nella Chiesa.

 

 

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