Perché difendo l’oligarchia, di EUGENIO SCALFARI
SONO alquanto deluso dalle risposte che Gustavo Zagrebelsky ha dato ai miei duplici interventi sul rapporto tra oligarchia, democrazia e dittatura o tirannide che dir si voglia. Si tratta al tempo stesso di sostanza e di parole che la esprimono. Nel dibattito che c’è tra noi le parole talvolta coincidono, la sostanza no. Che l’oligarchia sia il governo dei pochi lo diciamo tutti e due. Che faccia un governo per i ricchi lo dice solo Gustavo e che i ricchi facciano i loro propri interessi a danno dei molti, anche questo lo dice soltanto lui, non io.
Che l’oligarchia abbia in mente una sua visione del bene comune è inevitabile. Lo diceva persino Giuseppe Mazzini che infatti quando fondò la Giovane Italia aveva in mente l’educazione dei giovani e li preparava ad essere gruppi d’assalto per sollevare le plebi contadine. In quegli assalti morivano quasi tutti; quello che si immolò con altri trecento fu Pisacane: “Eran trecento, eran giovani e forti e sono morti”. Quella era l’oligarchia mazziniana: aveva in mente la nazione italiana e la Repubblica invece della monarchia.
Del resto tre secoli prima lo stesso Machiavelli dedicò il Principe a Lorenzo de’ Medici affinché prendesse la guida per risollevare le plebi e farne un popolo. Un altro esempio porta il nome di Mirabeau che agli Stati generali di Francia riuscì a trasformare il Terzo Stato in un’assemblea costituente che rendesse il potere assoluto del re soggetto alla Costituzione.
Zagrebelsky è più giovane di me e forse non sa che l’oligarchia del partito comunista abitava in case molto povere; addirittura le lampadine appese al soffitto non avevano neppure una traccia di paralume, erano appese ad un filo e pendevano in quel modo. Io entrai in molte di quelle case e le ricordo bene: quella di Pajetta, quella di Longo, ed anche quella di Pietro Nenni che era il segretario del partito socialista, ed anche quella di Sandro Pertini. Potere ma con una visione del bene comune molto precisa, in parte ideologica ma soprattutto politica.
Identificare i pochi con i ricchi che ottengono il comando per favorire i propri interessi è un evidente errore. Talvolta può accadere, ai tempi d’oggi sono molti i potenti ricchi arruolati dai partiti e spesso anche membri del Parlamento e del governo. È il cosiddetto malaffare. La loro presenza in Parlamento – che Gustavo vede come il vero organo di rappresentanza della democrazia e il suo pilastro – è una prova che è un pilastro assai traballante, tanto più quando qualcuno di questi potenti e ricchi che fa la politica nel proprio interesse viene indagato dalla magistratura. La commissione delle immunità in questi casi concede l’immunità a tutti ed in più votando all’unanimità. Naturalmente negli ultimi anni il livello del malaffare è aumentato dovunque: è aumentato il livello del benessere ma con esso purtroppo anche quello del malaffare ma il fatto che il Parlamento sia secondo Gustavo il luogo principale dove deve risiedere la democrazia dimostra semmai che sono aumentati insieme al livello delle comodità della vita anche i ricchi e il declino etico. Io infatti non sostengo che l’oligarchia è per definizione il governo dei migliori; sostengo che è il governo dei pochi ma è la sola forma d’un governo democratico.
Zagrebelsky pensa che i pochi sono i ricchi e i potenti. Ricchi non necessariamente, potenti certamente e su questo è tutto. Le alternative sono la democrazia referendaria della quale ho già scritto l’impossibilità di governare; oppure la dittatura. Gustavo è d’accordo sul primo tema ma non sul secondo: la dittatura secondo lui è la forma estrema dell’oligarchia, con il passare degli eventi sia del passato remoto sia di quello prossimo. Ma questa asserzione sulla base della storia non è affatto vera.
L’Impero romano cominciò con Cesare Ottaviano, poi seguito dal termine Augusto, ma era ancora una struttura, quella da lui costruita, che lasciava un certo spazio al Senato. Il vero imperatore fu Tiberio. Lui comandava e il suo comando veniva eseguito. I tribuni diventarono cariche militari, i prefetti governavano le regioni che componevano l’Impero ma non erano altro che amministratori e Pilato ne è un esempio. Adriano, della famiglia Antoniniana, fu un altro imperatore che comandava da solo e senza alcun consigliere. Traiano è ancora di più un capo assoluto. L’Impero durò quasi cinquecento anni e consiglieri non ne ebbe mai. Si potrebbe dire che il giovane Nerone ebbe Seneca (solo Seneca) come educatore e la madre, assai autoritaria anche lei; talmente autoritaria che alla fine Nerone se ne stancò e la fece uccidere. Per cinquecento anni la struttura imperiale non fece nessun cambiamento salvo uno: la divisione tra Oriente e Occidente.
In tempi più ravvicinati le monarchie erano chiamate assolute. Il cosiddetto Re Sole, non a caso, sosteneva che lo Stato era lui. Al massimo fu in qualche modo orientato dalle sue amanti. E poi gli Asburgo d’Austria e di Spagna, i duchi di Borgogna, i Re di Spagna, di Francia, di Inghilterra, di Scozia, di Svezia. Gli zar di Russia. Napoleone. Dove sta in questi esempi l’oligarchia? Quelle dittature erano oligarchiche? Assolutamente no. Napoleone ascoltava solo Talleyrand in politica estera e basta.
Ma voglio aggiungere un caso che può sembrare particolare e infatti lo è ma è estremamente significativo: quello del Papa cattolico e dei vescovi. Non so quale sia il numero dei vescovi, certamente molte migliaia, compreso il Papa che è vescovo di Roma. Ma se paragoniamo le migliaia di vescovi alle centinaia di milioni di fedeli siamo di fronte in questo caso ad una oligarchia religiosa. Tanto più se aggiungiamo ai vescovi i cardinali che ammontano a un centinaio o poco più. Il Papa con cardinali e vescovi, nunzi apostolici e sacerdoti addetti a specifici compiti e dicasteri rappresentano un caso tipico di oligarchia. Un’oligarchia che si riunisce molto spesso nei Sinodi dove i pareri, sia pure nel quadro d’una religione che crede nel Dio assoluto trascendente, sono molto diversi e suscitano spesso controversie molto aspre. Il compito del Papa è proprio quello di cercare e trovare una mediazione che almeno per un periodo sia condivisa da tutti. In sostanza la Chiesa cattolica è sinodale. Potremmo anche chiamare i comitati centrali dei partiti con la parola Sinodo: significano in due diversi casi lo stesso fenomeno oligarchico.
Ora mi fermo e non parlerò più di questo tema. Viviamo tempi dove la politica è molto agitata e merita molta più attenzione che definire con le parole e con il pensiero se si chiami oligarchia la sola forma di democrazia che conosciamo.
LA REPUBBLICA 13 ottobre 2016