DOPO IL TERREMOTO: SALVATE L’ITALIA DEI PAESI, di Franco Arminio

L’autore di questo articolo, Franco Arminio è poeta, scrittore e documentarista. Anima il blog “Comunità Provvisorie” e ha fondato la Casa della Paesologia.

 

ANCHE CHI VIVE in cit­tà, chi vive sulle coste, dovrebbe sentire l’ur­genza di politiche alte per le terre alte dell’I­talia interna. La que­stione è l’altezza, lo sguardo verso il futuro. Costruire un grande corridoio ecologico lungo tutto l’Appennino è azione che non si fa in pochi anni, ma è quello che serve. I paesi italiani sono un patrimonio universale. Solo noi abbiamo paesi di mille abitanti che sembrano capitali di un impero. Come si fa a non vedere che la questione dell’Italia è la questione dei paesi?

Per anni ci siamo attardati sulla questio­ne meridionale e invece c’era una storia che riguardava tutta la penisola, era la storia dell’Italia alta, dell’Italia interna, una storia che va da Comiso a Merano. L’Italia ha un asso nella manica, i suoi paesi, e non lo usa. Speriamo che venga fuori con la Strategia Nazionale delle Aree Interne. È una delle poche cose buone avviate dal governo Monti, grazie a Fabri­zio Barca, che allora era ministro per la coesione territoriale. Ora quel ministero non esiste più, ma Barca ha comunque fatto in tempo ad avviare un complesso meccanismo che attualmente coinvolge 66 aree selezionate in tutta Italia (circa mille comuni e 2 milioni di abitanti). La Strategia Nazionale, attualmente guidata da Sa brina Locatelli, impegna una serie di giovani tecnici molto preparati e molto motivati, e vede tutt’ ora impegnato Barca in veste di consulente a titolo gratuito.

L’assunto è che l’Italia interna non è un problema, ma una mancata opportunità per il paese. La missione è fermare l’ano­ressia demografica dando forza ai servizi essenziali di cittadinanza: scuola, sanità, trasporti. A questa base si aggiungono le azioni di sviluppo locale che in tutte le regioni hanno come fuoco centrale il valore dell’ agricoltura e del paesaggio. Si parla da più parti di accesso alla terra da parte dei giovani, ma le pratiche concre­te sono ancora poche. A volte i gruppi di base sono più avanti delle istituzioni. Due buoni esempi vengono dalla Puglia: La Casa delle Agriculture nel Salento e l’e­sperienza di Vazapp nel foggiano. Ma ce ne sono in tutte le regioni: fare in modo che si incrocino e lavorino assieme è uno degli obiettivi della Casa della paesolo­gia, un’esperienza che mette insieme tante persone che incontro nei miei giri nell’Italia interna.

C’è bisogno di un grande investimento dello Stato per mettere in sicurezza le case fragili delle zone altamente sismiche. L’ar­ticolo 42 della Costituzione andrebbe inteso sempre più nel senso di garantire la funzione sociale della proprietà. In altri termini i palazzi dell’Italia interna non utilizzati dai proprietari dovrebbero di­ventare beni comuni. Bisognerebbe parla­re di scuole di montagna. Bisognerebbe riflettere sul valore di tutta una serie di mestieri che vanno perdendosi. La Strate­gia Nazionale ha previsto di realizzare in Basilicata una Scuola della pastorizia. L’ottica è quella di rendere attrattiva l’Italia considerata più marginale. Ma ovun­que ci si scontra con una burocrazia trop­po lenta e con una politica dal fiato corto, attratta dal1e azioni che fanno notizia e dai territori dove ci sono molti elettori.

L’Italia dei paesi ha bisogno di un approccio radicalmente ecologista. Se­guire più la lezione di San Francesco che quella dei santoni del1a finanza. Forse è arrivato il momento di rendersi conto che è andato in crisi il paradigma mec­canicista-industrialista che pensava i luoghi come inerti supporti della produ­zione di merci. Ripartire dai luoghi si­gnifica ripartire da un patrimonio di biodiversità straordinario. Da questo punto di vista non parliamo di luoghi del1a penuria, ma di luoghi della ricchez­za. E lo stesso vale per la sociodiversità.

QUESTO APPROCCIO ov­viamente non può elude­re il binomio mercato e lavoro. I paesi italiani se non ricevono domande non hanno lavoro e sen­za lavoro il territorio deperisce. Si può immaginare che i paesi saranno oggetto di domanda e dunque di lavoro per via della loro diversità. Pensia­mo che oggi ci sia un bisogno di diversità. Il lavoro cruciale è dare fiducia, portare  nei luoghi le persone che fanno buone pratiche. Forse è il momento giusto per coagulare, per dare coesione, per mettere assieme ciò che per troppo tempo è rima­sto isolato e disperso. Ci vuole un’idea di sistema. Nei prossimi anni ci sarà un ri­torno ai paesi e al1a campagna. Il lavoro da fare è dare forza a questa tendenza che è già in atto, è mettersi al1e spal1e l’idea che i paesi sono destinati a morire. Quella dei paesi in estinzione è una bufala mediatica. In Italia non è mai morto nessun paese. Si sono estinte piccole contrade, ma i paesi non sono mai morti, al massimo sono stati spostati a seguito di terremoti o frane. Se l’Italia dei paesi non esce dal clima depressivo è destinata al1′insuccesso qua­lunque strategia. La prima infrastruttura su cui lavorare è di tipo morale, è l’infra­struttura del1a fiducia: è il ragionameno da cui parte la festa del1a paesologia ad Aliano, una festa che mette insieme il meglio delle arti e del1′impegno civile al servizio delle piccole comunità e del mon­do rurale, in conflitto con le vecchie equa­zioni: mondo rurale-mondo arretrato.

È importante dare al1a parola “conta­dino” un prestigio che non ha mai avuto, riportandola all’ antica funzione di custo­de del territorio, oggi più attuale che mai, soprattutto in prospettiva futura. Pensia­mo agli artigiani del cibo, proprio per sottolineare la cura con cui si coltivano e si trasformano i prodotti. Il cibo che unisce bontà e qualità terapeutiche. È il lavoro che sul1a scia di Slow Food fanno tanti. Mi piace segnalare Peppe Zul10 sui monti del1a Daunia e Roberto Petza che in Sar­degna utilizza e rielabora i prodotti del territorio e del1a tradizione e li ripropone in forme originalissime. A Siddi si fa non solo ristorazione di respiro internazionale ma anche attività di formazione delle nuove generazioni rieducando al cibo e al gusto le persone attraverso una microfi­liera locale del vino, dei formaggi, degli ortaggi e dei salumi.

Una buona pratica per i nostri paesi è lo sblocco dell’immaginazione. In fondo la tradizione è un’innovazione che ha avuto successo. Troppo spesso nei piccoli paesi si ha paura di essere visionari, come se questo ci potesse assicurare un giudizio di follia da parte degli altri. Urge anche nel1e stanze del1a politica la presenza dei visionari che sanno intrecciare scrupolo e utopia, l’attenzione al mondo che c’è con il sogno di un mondo che non c’è.

 

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